TAR Bologna, sez. II, sentenza breve 2018-03-14, n. 201800234

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bologna, sez. II, sentenza breve 2018-03-14, n. 201800234
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bologna
Numero : 201800234
Data del deposito : 14 marzo 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/03/2018

N. 00234/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00032/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 32 del 2018, proposto da Cia Sorgente Acqua Minerale s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti P C, R S, con domicilio eletto presso lo studio della prima sito in Bologna, via Altabella, n.3;

contro

- il Comune di Vergato, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avv. F G, con domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via Altabella n. 3;

- Unione dei Comuni dell’Appennino Bolognese - Serv. Intercom. Polizia Municipale Comuni di Castel D'Aiano, Marzabotto, Monzuno e Vergato, in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituito in giudizio;

- la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Ferrara e Reggio Emilia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato presso i cui uffici distrettuali è domiciliata per legge in Bologna, via Guido Reni, n. 4;

nei confronti di

- Cristina Lipparini, Angela Lipparini non costituite in giudizio;

per l'annullamento

- dell’ordinanza di demolizione n. 31/2017 emessa dal Comune di Vergato;

- nonché per il risarcimento del danno.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Vista la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato;

Visti l’atto di costituzione in giudizio e la memoria del Comune di Vergato;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Ferrara e Reggio Emilia;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore il dott. G L G;

Uditi nell’udienza camerale del 14 febbraio 2018 i difensori delle parti come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti sulla possibilità di una definizione del giudizio nel merito ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., come da verbale;

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1.- Oggetto della domanda di annullamento proposta con il ricorso in epigrafe è l’ordinanza con la quale il Responsabile dello sportello unico per l’edilizia (SUE) del Comune di Vergato ingiungeva alla ricorrente società la sospensione dei lavori e la demolizione del manufatto edilizio destinato alla captazione di acqua nel sottosuolo e relativa recinzione, siti nello stesso Comune, in località Cereglio, via Pradaneva s.n.c., foglio 19, mappale 55.

2.- Le ragioni del provvedimento ripristinatorio risiedevano nella (presupposta) carenza del titolo abilitativo, nell’avvenuta realizzazione delle opere su proprietà altrui, nella sussistenza del vincolo forestale previsto dal PSC approvato in data 29 gennaio 2016 e nella circostanza che l’area risulta assoggettata alla tutela prevista dal d. lgs. n. 42 del 2004.

3.- Il ricorso si articola in sei motivi di doglianza con i quali la ricorrente ha dedotto i vizi come seguito rubricati:

1) Violazione di legge (art. 4, 16, 17 comma 1-bis, d. lgs. n. 165 del 2001;
artt. 107 e 109, c. 2 d. lgs. n. 267 del 2000;
artt. 5 e 6 l. n. 241 del 1990), nullità per difetto di competenza del funzionario che ha sottoscritto il provvedimento (arch. Lenzi). Ad avviso di parte ricorrente l’ordinanza impugnata sarebbe stata emanata in violazione delle regole che disciplinano la competenza degli organi in ragione della carenza della qualifica dirigenziale in capo al funzionario Responsabile dello sportello unico per l’edilizia;

2) Difetto di istruttoria e violazione di legge (artt. 3 e 7 l. n. 241 del 1990;
art. 826 c.c.;
artt. 22 e 32 r.d. n. 1443 del 1927 e degli artt. 12 e 13 l.r. Em. Rom. n. 32 del 1988). Il provvedimento impugnato è stato emanato - dopo 28 anni dalla realizzazione delle opere abusive - in assenza della prodromica comunicazione di avvio del procedimento (ciò che avrebbe impedito il previsto apporto procedimentale della parte privata), sarebbe insufficientemente motivato, non sarebbe stato preceduto dal necessario sopralluogo;

3) Violazione di legge (artt. 12 e 13 l.r. Em. Rom. n. 32 del 1998;
artt. 22, 23, 32, 35 e 43 del r.d. n. 1443 del 1927);
«carenza di legittimazione passiva» della società destinataria dell’ordinanza. L’impianto non si troverebbe in proprietà altrui ma su un sito ormai (asseritamente) transitato alla proprietà pubblica ovvero acquistato dalla ricorrente società per usucapione. L’Amministrazione non avrebbe potuto ingiungere la sospensione dei lavori e la rimozione delle opere in quanto le stesse ricadrebbero su proprietà pubblica, quale deve essere intesa quella presso la quale si svolgono le attività oggetto della concessione di attività estrattiva;

4) Eccesso di potere sotto diversi profili;
violazione del d. lgs. n. 42 del 2004 e del d. P.R. n. 31 del 2017. Il Comune aveva già espresso il giudizio di compatibilità paesaggistica dello stabilimento e delle sue pertinenze;
l’addotto vincolo forestale sarebbe stato introdotto successivamente al predetto parere di compatibilità. In ogni caso poiché nel caso di specie il manufatto, di modeste dimensioni, è interrato (al netto della recinzione), nessuna trasformazione urbanistica può ritenersi sussistere e, in ogni caso, l’area non può ritenersi, in tesi, rientrare nella zona boscata. La ricorrente ha, altresì, aggiunto che le opere in argomento rientrerebbero tra quelle per le quali il d.P.R. n. 31 del 2017 esclude la necessità dell’autorizzazione paesaggistica;

5) Eccesso di potere sotto diversi ulteriori profili e violazione dell’art. 13 della l.r. n. 32 del 1988. Poiché sia il Comitato per l’Ecolabel e per l’Ecoaudit - sez. Emas per l’Italia, sia Arpae e lo stesso Comune di Vergato avrebbero in precedenza certificato il rispetto della normativa ambientale da parte della ricorrente, il provvedimento si mostrerebbe adottato in violazione delle regole di esercizio del potere discrezionale;

6) Violazione dell’art. 9, comma 4, l.r. Em. Rom. n. 24 del 2004 e dell’art. 23, lett. f) della l.r. n. 31 del 20002;
difetto di motivazione. Nessun accertamento sarebbe stato nel caso di specie svolto al fine di verificare la compatibilità dell’opera con il vincolo e, in ogni caso, il provvedimento non avrebbe potuto essere emanato poiché l’impianto a servizio del quale è stato realizzato il manufatto costituirebbe opera di pubblica utilità.

4.- Parte ricorrente ha altresì proposto domanda di risarcimento dei danni asseritamente patiti dalla sospensione delle attività di coltivazione.

5.- Si è costituito in giudizio il Comune di Vergato il quale, con memoria, ha contrastato le pretese di parte ricorrente ed ha concluso per l’infondatezza del ricorso nel merito. Si è altresì costituita in giudizio la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Ferrara e Reggio Emilia, la quale non ha spiegato difese.

L’ Unione dei Comuni dell’Appennino Bolognese, seppur raggiunta dalla notificazione del ricorso, non si è costituita in giudizio.

6.- All’udienza camerale del 14 febbraio 2017, previo avviso ai procuratori delle parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., il ricorso, su richiesta degli stessi, è stato trattenuto in decisione.

7.- Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

8.- Con il primo motivo la ricorrente società lamenta l’avvenuta emanazione del provvedimento impugnato da parte di soggetto non dirigente.

9.- Il motivo è infondato.

10.- Osserva il Collegio che il Comune di Vergato, in ragione delle proprie dimensioni demografiche, è un ente privo di qualifiche dirigenziali all’interno del quale i provvedimenti di natura gestionale sono adottati da funzionari incaricati di funzioni dirigenziali, titolari di posizioni organizzative (artt. 8 e 11 CCNL comparto Regioni - Autonomie locali del 31.3.1999).

La difesa della medesima Amministrazione ha depositato in giudizio la determinazione del Sindaco n. 2/2017, di data anteriore al provvedimento impugnato, con la quale, tra i numerosi altri dipendenti incaricati delle funzioni ex art. 11 CCNL del 31 marzo 1999 figura anche l’arch. Katia Lenzi, sicché l’ordinanza impugnata va giudicata conforme all’assetto ordinamentale che regola le competenze all’interno degli enti locali privi di dirigenti in senso stretto. Sul punto deve, per completezza, evidenziarsi, che nessuna rilevanza assume il diverso richiamo alla qualifica dirigenziale ad opera dello statuto comunale dovendosi esso ritenere del tutto atecnico sul rilievo che, per ragioni di finanza pubblica, un piccolo comune non può contemplare nella propria dotazione organica qualifiche dirigenziali con rapporto regolato dal relativo CCNL;
per altro verso è altresì del tutto irrilevante l’avvenuto reclutamento a far data dal 1° luglio 2017 di un «istruttore direttivo tecnico» preposto all’istruzione dei procedimenti edilizi poiché lo stesso non risulta essere stato destinatario di funzioni dirigenziali ex art.109 d.lgs. n. 267 del 2000 (richiamate nell’art. 11 del citato CCNL) le quali necessitano di apposito separato conferimento.

11.- Con il secondo motivo parte ricorrente deduce vizi di ordine procedimentale che, a suo dire, avrebbero dato luogo alla difettosità della motivazione.

Il motivo non è meritevole di pregio.

Va preliminarmente osservato che la circostanza secondo cui l’ordine di rimozione del manufatto sia stato adottato a distanza di 28 anni dalla sua realizzazione non è idonea a radicarne la sua invalidità. La questione è stata affrontata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che «con sentenza n. 9 del 2017 con la quale ha statuito che nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo ) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere «legittimo» in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata […]. Se dunque il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata» ( cfr . C.G.A., SS.RR., n. 66 del 2018). E’ dunque del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento (recte: «opere edilizie realizzate in assenza di titolo abilitativo»), senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria (cfr. C.G.A., cit.;
Cons. St., IV, 28 febbraio 2017, n. 908). In tal senso, peraltro, neppure la lamentata omessa mancata comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento coglie nel segno, posto che secondo la consolidata giurisprudenza non è necessario dar luogo a siffatto adempimento in relazione all’ordine di demolizione ( cfr . in tal senso, C.G.A., SS.RR., n. 24 del 2018).

12.- Il terzo mezzo sottoposto all’attenzione del Collegio è volto ad evidenziare l’asserita carenza di presupposti per farsi luogo all’impugnata demolizione sul rilievo che il manufatto di cui trattasi ricadrebbe su area da ritenersi di proprietà pubblica.

La doglianza non è meritevole di pregio.

Osserva il Collegio che al di là dei rapporti interni tra i soggetti privati relativi allo statuto proprietario dell’area - e qui la natura pubblica del fondo non risulta affatto provata -, in ogni caso l’art. 9 della l.r. Em. Rom. n. 15 del 2013 stabilisce che «le attività edilizie, anche su aree demaniali, sono soggette a titolo abilitativo», sicché è naturale arguirne l’applicazione delle conseguenti norme ripristinatorie, fermo restando che anche il Testo unico per l’edilizia, approvato con d. P.R. n. 380 del 2001, attribuisce rilevanza alla realizzazione da parte di privati di interventi edilizi su aree demaniali.

Né ancora può ritenersi sussistere l’estraneità delle opere realizzate alla disciplina che regola il conseguimento del titolo abilitativo poiché corrleate alla coltivazione del giacimento: costituisce massima consolidata quella secondo cui «le opere edili realizzate all’interno di una cava in cui si svolgono attività estrattive autorizzate necessitano del permesso di costruire, ove non precarie, anche se connesse al ciclo produttivo» ( ex aliis , Cass. pen. 18546 del 2010).

Sulla base di tali considerazioni l’ordinanza emanata dal Comune risulta, per tali aspetti, correttamente adottata.

13.- Con il quarto motivo la ricorrente si duole dell’illegittimità del provvedimento poiché lo stesso riguarda opere interrate, aventi carattere precario, rispetto alle quali, all’atto del rinnovo dell’autorizzazione all’attività estrattiva, il Comune aveva espresso il proprio parere favorevole sul versante urbanistico.

Il motivo è infondato.

Rileva il Collegio che nessuno degli elementi volti a configurare il manufatto quale avente carattere precario risulta venir qui in evidenza. Sul punto deve essere ribadito che per individuare la natura precaria di un'opera, si deve seguire «non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale», per cui un'opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (fra le decisioni più recenti cfr . Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016). Non possono essere quindi considerati manufatti precari, destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee, quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, e l'alterazione del territorio non può essere considerata né temporanea né precaria né irrilevante (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4116 del 4 settembre 2015). La «precarietà» dell'opera postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità che non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016 cit.).

Nel caso di specie va ritenuto che siffatte caratteristiche non sussistano sicché il manufatto andava assoggettato al titolo abilitativo di legge.

Sul versante del parere espresso dal Comune di Vergato in occasione del rinnovo della concessione, richiamato dalla parte ricorrente, esso riguarda la «conformità degli strumenti urbanistici vigenti sia per l’area sede dello stabilimento […] sia per l’area sede delle pertinenze minerarie relative alla concessione di acque minerali» ed esso è, dunque, del tutto estraneo all’ipotesi di realizzazione di manufatti ed alla loro relazione con i vincoli preesistenti. Sul piano della consistenza e natura delle opere non deve essere confusa la circostanza, ampiamente contestata da parte ricorrente, secondo cui nessuna rilevanza avrebbero i vincoli ex d. lgs. n. 42 del 2004 trattandosi di opere interrate, con quella, indiscussa, secondo cui le opere sono state realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo ( cfr . memoria del Comune, pagg. 2, 3). Non è dato invero evincersi che le opere di cui trattasi fossero estranee al regime abilitativo di legge (non risultando trattarsi, come si è detto sopra, né di opere precarie né, ancora, di attività edilizia libera), sicché ogni discussione circa gli effetti dei vincoli sulle opere interrate (che tali, in verità, integralmente non sono poiché vi è anche la recinzione) non è dirimente.

Anche sul piano del vincolo forestale la doglianza di parte ricorrente non coglie nel segno. A parte la circostanza che il sito di cui trattasi è ricompreso dal vincolo ( cfr . risultanze cartografiche depositate dall’amministrazione comunale), la genesi di siffatte limitazioni non è certamente da ricondurre alla deliberazione consiliare del 2016 ma ai - ben anteriori - piano territoriale paesistico regionale e piano territoriale di coordinamento provinciale (dei quali la deliberazione comunale del 2016 ha mera natura ricognitiva). Sul punto deve essere ricordato come i predetti piani sovracomunali nell’ammettere specifici interventi edilizi li limitavano – come declinati negli strumenti comunali – ad opere di manutenzione o comunque su manufatti esistenti e, dunque, solo quando questi ultimi fossero legittimamente assentiti, sicché, in tal senso, le previsioni di semplificazione procedimentale dettate dal d. P.R. n. 31 del 2017 nessuna rilevanza sostanziale ad avviso del Collegio possono spiegare nella vicenda oggetto di controversia. In ragione di tali argomenti è del tutto ininfluente - nei termini esposti nel sesto motivo, la cui trattazione va qui anticipata - l’asserita omessa valutazione dell’inidoneità del manufatto ad incidere sulle prescrizioni di tutela del vincolo e la lamentata difettosità dell’istruttoria allorché il Comune non avrebbe testato la compatibilità dell’opera con il vincolo ex d. lgs.n. 42 del 2004.

14.- Nel senso sopra esposto nessuna incidenza può, ancora, ritenersi possa spiegare la certificazione di avvenuto rispetto della normativa ambientale da parte di EMAS ed Arpae, poiché si tratta di soggetti istituzionalmente estranei ai profili di verifica del rispetto della disciplina edilizia ed urbanistica, fermo restando, quanto ai pareri resi dal Comune, che, come si è detto, giammai essi hanno compiutamente riguardato lo specifico manufatto di cui trattasi.

15.- Alla luce delle suesposte considerazioni la domanda di annullamento, poiché infondata deve essere rigettata: tale esito conduce, altresì, al rigetto della domanda di risarcimento del danno poiché risultano assenti gli elementi costitutivi dell’illecito.

16.- Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo (art. 26 cod. proc. amm.);
le stesse possono essere compensate nei confronti dell’Amministrazione statale avuto riguardo alla relativa posizione procedimentale, mentre non è luogo a provvedere nei confronti dell’Unione dei Comuni dell’Appennino Bolognese, non costituita in giudizio.

17.- La presente sentenza va trasmessa, congiuntamente a copia delle determinazioni del Sindaco n. 2/2017 e n. 1/2018, alla Procura presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per l’Emilia Romagna per le eventuali valutazioni di competenza inerenti a tali due predetti provvedimenti.

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