TAR Napoli, sez. III, sentenza 2016-01-27, n. 201600430

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. III, sentenza 2016-01-27, n. 201600430
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201600430
Data del deposito : 27 gennaio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05694/2011 REG.RIC.

N. 00430/2016 REG.PROV.COLL.

N. 05694/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5694 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
S G e C A, rappresentati e difesi dall’Avv. P Z, presso il quale elettivamente domiciliano in Napoli, alla Via Caracciolo, n. 15;

contro

COMUNE DI CERCOLA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. S C, ed elettivamente domiciliato presso l’Avv. M R d R in Napoli, alla Via Atri, n. 23;

per l’annullamento

- quanto al ricorso introduttivo:

- della disposizione dirigenziale n. 45 del 30.8.2011, notificata in data 31.8.2011, con cui il Dirigente dell’U.T.C. del Comune di Cercola ordinava la demolizione entro il termine di 90 giorni di opere realizzate al viale delle Azalee, n. 9, in assenza di titolo autorizzativo;

- di ogni altro atto, presupposto, conseguente o, comunque, connesso al provvedimento impugnato, per quanto di ragione, ivi compreso il verbale del Comando di Polizia Urbana del 9.8.11;

- quanto ai motivi aggiunti, notificati il 29.5.2015 e depositati il 23.10.2015:

- del silenzio rifiuto formatosi in ordine alla richiesta di accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001, presentata dal S presso il Comune di Cercola in data 29.4.2015 - prot. n. 0004667 - e concernente la realizzazione di una tettoia aperta sui lati per la copertura di spazi pertinenziali così come riportato nel Regolamento Urbanistico Edilizio Comunale (RUEC) approvato con delibera di Consiglio Comunale n. 26 del 9.9.2010 (art. 70…..) per l’immobile di proprietà posto al Piano Terra di Viale delle Azalee, n. 9, censito in catasto fabbricati al foglio 3 p. lla 1040, interno1;

- di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o connesso, per quanto di ragione.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti i motivi aggiunti in epigrafe;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato Comune;

Viste le memorie prodotte dalle parti;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi - Relatore alla pubblica udienza del 12 gennaio 2016 il dr. V C - i difensori delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato il 2.11.2011 e depositato il giorno 12 successivo, S G e C A - proprietari di un immobile adibito a civile abitazione, sito nel Comune di Cercola, al Viale delle Azalee, n. 9, riferivano, in fatto - che:

- in data 13.7.2011, inoltravano al Comune predetto comunicazione ex art. 6, D.P.R. n. 380/01, acquisita al protocollo generale al numero 11828, in relazione a lavori di manutenzione dello spazio esterni (cortile) allegando stralcio planimetrico e documentazione fotografica;

- nonostante le lavorazioni prospettate fossero pienamente conformi alla disciplina urbanistica, in quanto, rientrando nella nozione di “attività edilizia libera” di cui all’art. 6, D.P.R. n. 380/2001, così come modificato dalla legge 73/10 tali da non creare nuovi volumi, a seguito di sopralluogo effettuato da Agenti di Polizia Municipale del Comune di Cercola, in data 8.8.2011, era loro contestata la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di “una tettoia metallica su un lato ancorata al muro perimetrale dell’appartamento sorretta dal lato opposto da n. 2 pilastri in ferro zincato della sezione 10 x 10 bullonati sul pavimento coperto da lamiere del tipo isoduplex. Dette lamiere sono sorrette da ferro tubolare zincato della sezione 5 x 10 il tutto insiste su di una superficie di circa mq. 30 ed ha un’altezza di ml. 3,00 al colmo e ml. 2,80 alla gronda”, conseguentemente elevandosi verbale di sequestro conservativo, convalidato in data 10.8.11 con decreto del G.I.P. del Tribunale di Nola;

- con maggior dettaglio, la tettoria realizzata a soli fini di sicurezza dell’abitato, a seguito della caduta di massi ed oggetti, non è soggetta al regime concessorio del permesso di costruire, bensì, è ricompresa per legge nell’edilizia libera in quanto tale da non creare nuovi volumi ed avente un impatto irrilevante se non inesistente sull’assetto urbanistico, da ciò derivandone che alcuna res abusiva sarebbe stata realizzata dagli esponenti in assenza di titoli autorizzativi, trattandosi di interventi non necessitanti di alcun titolo concessorio e per i quali sarebbe stata depositata comunicazione ex art. 6, D.P.R. n. 380/2001;

- nonostante quanto sopra rilevato, con ordinanza n. 45 del 30.8.2011 in epigrafe, notificata in data 31.8.2011, il Dirigente dell’U.T.C. del Comune di Cercola, richiamata la comunicazione prot. 2/497 del 9.8.2011 e constatato che S G e C A, avevano realizzato al Viale delle Azalee n. 9, sul cortile di loro proprietà ed in assenza del titolo autorizzativo, le opere ivi descritte, visti gli artt. 27 e 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, in materia di controllo dell’attività edificatoria e sanzioni amministrative e penale, ordinava, previa sospensione ad horas di ogni attività edificatoria, di procedere alla demolizione delle predette opere eseguite entro 90 giorni dalla data di notifica dell’ordinanza e di ripristinare il precedente stato dei luoghi, senza pregiudizio delle sanzioni penali previste dall’art. 20 della legge 47/85, avvertendo che, decorso tale termine, le opere saranno demolite a cura del Comune di Cercola ed a spese del committente l’abuso.

Avverso la predetta ordinanza S G e C A proponevano formale impugnativa, innanzi a questo Tribunale, deducendone l’illegittimità per carenza del presupposto (opere realizzate “senza titolo autorizzativo”), nonché perché adottato in aperta violazione della disciplina dettata dalla legge n. 241 del 1990 in materia di procedimento amministrativo.

Nelle more del giudizio in tal modo instaurato S G, odierno ricorrente, relativamente alle opere oggetto di demolizione, depositava al Comune di Cercola richiesta di accertamento di conformità ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001 - prot. n. 0004667 del 29.4.2015, nonché di domanda per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del D.L. vo n. 42/2004, ed, in data 21.5.2015, altresì relazione tecnica asseverata ed elaborati progettuali.

Preso atto che, nonostante i termini previsti per la conclusione del procedimento fossero ampiamente decorsi, l’Amministrazione non si era espressa sulla suddetta istanza di permesso di costruire in sanatoria., al punto da risultare il comportamento dell’Amministrazione gravemente lesivo per i ricorrenti, tenuto conto che, come risultava dalla documentazione allegata all’istanza ex art. 36 citato, le opere erano pienamente conformi alla norme di piano del Comune di Cercola, parti ricorrenti, con i motivi aggiunti in epigrafe impugnavano anche il silenzio rifiuto formatosi in ordine alla richiesta di accertamento di conformità ex art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001, anche al fine di sentir dichiarare l’obbligo del Comune di provvedere.

Sia in relazione al ricorso introduttivo che ai motivi aggiunti si costituiva in giudizio l’intimato Comune, chiedendone il rigetto, in quanto infondati, in fatto ed in diritto.

Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2016 il ricorso unitamente ai motivi aggiunti erano ritenuti in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente va esaminata la questione relativa alla improcedibilità del ricorso introduttivo, indotta dalla quarta censura dei motivi aggiunti e della quale, pertanto, se ne anticipa la trattazione.

Sul punto parte ricorrente riferisce di quella giurisprudenza per la quale la presentazione di una domanda di accertamento di conformità in epoca successiva all’adozione dell’ordinanza di demolizione produrrebbe la conseguenza di far venir meno gli effetti dell’atto sanzionatorio, tant’è che, qualora quest’ultimo sia stato impugnato, il ricorso diverrebbe improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, posto che il riesame dell’abusività dell’opera, provocato dall’istanza, sia pure al fine di verificare l’eventuale sanabilità, comporterebbe la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito o implicito, (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa.

Il Collegio, pur consapevole dell’indirizzo giurisprudenziale richiamato dai ricorrenti (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 8.11.2013, n. 5018 e 5.6.2013, n. 2895;
C. di S., sez. IV, 21.10.2013, n. 5090), non condivide tale - peraltro datata - impostazione.

Infatti questa Sezione con indirizzo consolidatosi ritiene che la presentazione della domanda di permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, non influisce sulla legittimità del provvedimento emanato, né (essendo successiva allo stesso) determina l’improduttività di effetti di quest’ultimo;
ciò in quanto, decorso il termine di sessanta giorni, la legge espressamente vi riconnette la formazione del provvedimento di rigetto, che è onere della parte impugnare, senza poter addurre che dalla mera presentazione dell’istanza discenda la paralisi degli effetti del provvedimento sanzionatorio (la cui esecuzione resta solo temporaneamente sospesa, sino alla scadenza del termine suddetto).

Sul punto si richiamano le sentenze per le quali <<
L'art. 36 comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 13, l. n. 47 del 1985) configura a tutti gli effetti un'ipotesi di tipizzazione legale del silenzio serbato dall'Amministrazione. Pertanto, una volta decorsi inutilmente i richiamati sessanta giorni, sulla domanda di accertamento di conformità si forma a tutti gli effetti un atto tacito di diniego, con conseguente onere a carico dell'interessato di impugnarlo, nel termine processuale di legge, anch'esso pari a sessanta giorni, decorrente dalla data di formazione dell'atto negativo tacito. Da ciò consegue che la presentazione della domanda di accertamento di conformità, successiva all'ordine di demolire gli abusi, non paralizza i poteri sanzionatori del Comune, preposto alla tutela del governo del territorio;
la domanda non determina altresì alcuna inefficacia sopravvenuta o caducazione ovvero invalidità dell'ingiunzione di demolire ma provoca esclusivamente uno stato di quiescenza e di temporanea non esecutività del provvedimento, finché perduri il termine di decisione previsto dalla legge e non si sia formato l'eventuale atto tacito di diniego. Pertanto, una volta decorso tale termine e in mancanza di impugnazione giurisdizionale tempestiva del diniego tacito, l'ingiunzione di demolizione riprende ipso facto vigore e non occorre in nessun caso una riedizione del potere sanzionatorio da parte dell'Amministrazione procedente >>
T.A.R. Napoli sez. III >>
(02/04/2015, n. 1982);
ed ancora: <<
La presentazione della domanda di accertamento di conformità da parte del ricorrente, produce un effetto paralizzante del procedimento sanzionatorio derivante dalla presentazione di tale domanda di sanatoria ex art. 13, l. n. 47 del 1985 (ora, art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001). Corollario applicativo di tali principi è che l'intervenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità non paralizza i poteri sanzionatori comunali, non determina alcuna inefficacia sopravvenuta o caducazione, o invalidità di sorta dell'ingiunzione di demolizione, ma provoca esclusivamente uno stato di quiescenza e di temporanea inesecutività del provvedimento, finché perduri il termine di decisione previsto dalla legge e non si sia formato l'eventuale atto tacito di diniego, ragion per cui, una volta decorso tale termine e in mancanza di impugnazione giurisdizionale tempestiva di tale diniego taciuto, l'ingiunzione di demolizione riprende ipso facto vigore e non occorre in nessun caso una riedizione del potere sanzionatorio da parte dell'Amministrazione procedente >>
(T.A.R. Napoli sez. III, 02/12/2014, n. 6302).

D’altronde, nella fattispecie, l’assoluta irrilevanza dell’istanza di accertamento di conformità presentata dal ricorrente in data 29.4.2015, rispetto all’ordinanza di demolizione n. 45 del 30.8.2011, notificata il 31.8.2011 ed impugnata con il ricorso introduttivo, dopo che è stato notificato il 3.3.2015, altresì, il verbale di inottemperanza all’ordinanza di demolizione, deriva anche e per altro verso, dalla circostanza della presentazione della istanza de qua dopo circa 4 anni dalla notifica dell’ordinanza suddetta (oltre ovviamente alla formazione sulla stessa del silenzio diniego ex art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001, peraltro, impugnato dai ricorrenti con motivi aggiunti), mentre per produrre una temporanea inesecutività di tale ordinanza, alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata, avrebbe dovuto essere presentata entro il termine assegnato dal Comune per l’ottemperanza.

Ne deriva che - contrariamente a quanto rilevato dai ricorrenti - è senz’altro da escludere possa far ritenere venuto meno dell’interesse dei ricorrenti ad insistere nel ricorso introduttivo proposto avverso il provvedimento di demolizione n. 45 del 30.8.2011.

Ciò premesso, nel merito, il ricorso introduttivo è infondato.

Con la prima censura si deduce la violazione di legge (D.P.R. 6.6.2001, n. 380, come modificato ed integrato dal D.L. 25.3.2010, n. 40;
artt. 1, 2, 3 e 7, L. n. 241 del 1990), oltre all’eccesso di potere (per inesistenza dei presupposti, in fatto ed in diritto, omessa istruttoria, difetto di motivazione), lamentando che la demolizione delle opere ex art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe stata ingiunta sul falso presupposto per cui gli interventi sarebbero stati eseguiti in assenza di permesso di costruire, al riguardo rilevandosi che:

- rientrerebbero nell’”attività edilizia libera”, ai sensi dell’art. 6, D.P.R. n. 380 del 2001, modificato dal D.L. n. 40 del 2010 (tra gli altri interventi), le opere di pavimentazione e di finitura degli spazi esterni anche per aree di sosta che sarebbero contenute entro l’indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi compreso la realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque, locali tombati e, nella specie, i ricorrenti con istanza assunta al protocollo del Comune di Cercola in data 13.7.11 al numero 11828, avrebbero comunicato ai sensi dell’art. 6 citato la volontà di eseguire lavori allo spazio esterno di esclusiva proprietà che non avrebbero alterato lo stato dei luoghi, risultando tali opere qualificate dalla normativa di semplificazione edilizia di cui al D.L. n. 40 del 2010, come “attività edilizia libera”, non necessitanti di alcun titolo abilitativo;

- tratterebbesi di opera precaria non costituente volume, che si sottrarrebbe al regime del permesso di costruire, in quanto smontabile, facilmente amovibile, destinata ad utilizzo limitato a pochi mesi all’anno, come tale - alla stregua della richiamata giurisprudenza - preordinata, sul piano funzionale, a soddisfare esigenze oggettivamente provvisorie del soggetto attuatore, sul piano urbanistico riconducibili alle pertinenze, opere prive di autonomo valore di mercato e dotate comunque di un volume modesto rispetto all’edificio principale, tali da non alterare in modo significativo l’assetto del territorio;

- pertanto alcuna attività qualificabile quale “intervento edilizio” assentibile con permesso di costruire sarebbe in atto nell’area interessata, trattandosi di attività che avrebbe impatto irrilevante se non inesistente sull’assetto urbanistico, per il cui svolgimento non sarebbe prescritto, sia dalla normativa nazionale che regionale, alcun titolo abilitativo;

- come in fattispecie analoga, per la quale si sarebbe ritenuto non conforme al principio di proporzionalità, regolante i rapporti fra infrazione e misura sanzionatoria, l’ordine di demolizione di opere dal carattere prevalentemente pertinenziale ed insuscettibili di alterare in modo significativo l’assetto del territorio, anche nel caso di specie la sanzione irrogata sarebbe illegittima, illogica, sproporzionata, atteso la radicale insussistenza della trasformazione edilizia la quale soltanto postulerebbe la necessità di un titolo ampliativo.

La censura non merita condivisione.

Ciò posto le opere sanzionate con l’impugnata ordinanza non consistono in mere opere di pavimentazione e di finitura degli spazi esterni da ricondursi alla libera attività edilizia, di cui all’art. 6, D.P.R. n. 380 del 2001 - come ipotizzato dai ricorrenti -, in quanto, come risulta dalla comunicazione prot. 2/497 del 9.8.2011, quale atto avente fede privilegiata, sino a querela di falso (cfr. C. di S, sez. V, 5.11.2010, n. 7770), trattandosi di “tettoia metallica su un lato ancorata al muro perimetrale dell’appartamento sorretta dal lato opposto da n. 2 pilastri in ferro zincato della sezione 10 x 10 bullonati sul pavimento coperto da lamiere del tipo isoduplex (…..)”, l’inserimento di elementi nuovi nella preesistente struttura (e non il mero recupero dell’esistente), abbisogna del necessario permesso di costruire (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 24.9.2002, n. 5588, idem IV, 23.10.2002, n. 8027). In proposito si rileva in giurisprudenza che gli interventi consistenti nella realizzazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o i ripari di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredi o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono. Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tali da arrecare una visibile alterazione dell’edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando per la loro consistenza dimensionale - nel caso di specie, laddove la tettoia metallica presenta un carattere tutt’altro che precario e provvisorio, risultando ancorata su un lato al muro perimetrale dell’appartamento, sorretta dal lato opposto da n. 2 pilastri in ferro zincato e coperta da lamiere del tipo isoduplex: “il tutto insiste su di una superficie di circa mq. 30 ed ha un’altezza di ml. 3,00 al colmo e ml. 2,80 alla gronda” - non possono ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell’edificio principale o nella parte dello stesso in cui accedono (cfr. T.A.R. Campania, sez. II, n. 3870 del 13.7.2009 e n. 8320 del 2.12.2009;
sez. IV, n. 19754 del 18.11.2008;
C. di S., sez. V, 13.3.2001, n. 1442).;
pertanto <<
Anche la realizzazione di una tettoia è soggetta al permesso di costruire, in quanto essa incide sull’assetto edilizio preesistente;
incisione particolarmente significativa ove - come nella fattispecie, considerato il richiamo nel provvedimento impugnato anche all’art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001 - la tettoia insiste su un territorio vincolato. La realizzazione di una tettoia, nella misura in cui realizza l’inserimento di nuovi elementi e impianti, resta subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10 comma 1, lett. c) D.P.R. n. 380/2001 laddove comporti, come nella fattispecie, una modifica della sagoma e del prospetto del fabbricato cui inerisce >>
(T.A.R. Napoli, sez. III, 10.1.2014, n. 142;
T.A.R Napoli, sez. II, 12.7.2013, n. 3647);.

Inoltre neppure possono considerarsi - come pure dedotto con specifico profilo di censura - “pertinenziali”, in quanto la nozione di pertinenza, quale risulta dall’art. 7, comma 2 , lett a), D.L. 23.1.1982, n. 9, convertito dalla legge 25.3.1982, n. 94 <<
deve essere interpretata in modo compatibile con i principi della materia e non può quindi consentire la realizzazione di opere solo perché destinate al servizio ed ornamento del bene principale;
pertanto, il rapporto pertinenziale non può esonerare dalla concessione (o permesso di costruire) delle opere che, da un punto di vista edilizio ed urbanistico, si pongono come ulteriori rispetto alla res principale >>
(T.A.R. Campania, sez. IV, 12.12.2002, n. 8027).

Né ad una diversa qualificazione dell’intervento, nel caso di specie, può accedersi asserendo con i ricorrenti che “la tettoria realizzata a soli fini di sicurezza dell’abitato, a seguito della caduta di massi ed oggetti”, atteso che - alla stregua di quanto rilevato dalla resistente difesa - non riesce a comprendersi come una tale evenienza possa accadere in centro urbano pianeggiante ovvero ancora, esclusa la possibilità di ricondurre l’intervento al regime pertinenziale, invocando, al fine di evitare la sanzione demolitoria, il principio di proporzionalità fra infrazione e misura sanzionatoria che, invece, appare pienamente rispettato.

Pertanto, preso atto che trattasi di intervento di trasformazione urbanistica del territorio, con creazione di “nuove opere” e destinate a perdurare nel tempo, a nulla rileva la comunicazione (peraltro non rispondente ai requisiti richiesti dal D.P.R. n. 380 del 2001) da loro presentata in data 13.7.2011 per “opere di manutenzione” di cui all’art. 6, lett. a), D.P.R. n. 380/2001, nel dichiarato presupposto che i lavori da eseguire “non alterano lo stato dei luoghi e non comprendono tipologia di lavori per i quali è richiesta la D.i.a. (il cui regime, peraltro, risulta invocato - sia pure in subordine - con la successiva censura) o il permesso di costruire”, mentre la realizzazione delle opere in mancanza del titolo abilitativo rendeva doverosa l’adozione dell’ordinanza di demolizione.

Con la seconda censura è dedotta la violazione degli artt. 3, 6, 10, 22, 31, D.P.R. 6.6.2001, n. 380), oltre all’eccesso di potere (per difetto di istruttoria, inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto, travisamento sproporzione), al riguardo, fermo l’assorbenza della precedente censura e ribadito che i lavori realizzati dai ricorrenti rientrerebbero nel novero dell’attività libera ex art. 6 del T.U. dell’edilizia, rilevandosi che:

- non incidendo gli interventi realizzati sulla volumetria e superficie dell’immobile, non alterandone la sagoma ed essendo assolutamente irrilevanti dal punto di vista urbanistico, nella specie, l’assenza dei presupposti ed il travisamento inficerebbe insanabilmente l’impugnato provvedimento che ignorerebbe la portata ampliativa della comunicazione ex citato art. 6, attesa l’assoluta assenza di opere realizzate sine titulo;

- ne deriverebbe che le opere realizzate dai ricorrenti sarebbero assoggettate sia dal legislatore statale che regionale e dalla interpretazione giurisprudenziale - a tutto concedere - al regime autorizzatorio della D.i.a., in ragione dell’irrilevanza urbanistica delle opere sanzionate e, sul punto, secondo la giurisprudenza (cfr. C. di S., n. 3652/2003), il discrimen fondamentale tra le opere soggette a permesso di costruire e quelle realizzabili in forza di D.i.a. risiederebbe esclusivamente nella rilevanza urbanistica dell’opera medesima;

- inoltre. nella specie, difetterebbe il presupposto per l’irrogazione della sanzione ripristinatoria, atteso che la funzione della stessa sarebbe quella di garantire il rispetto delle prescrizioni urbanistiche disciplinanti la edificazione nelle singole aree laddove, nella specie, le opere sanzionate rientrerebbero non novero degli interventi di “attività edilizia libera”, irrilevanti dal punto di vista urbanistico;

- nonostante quanto appena rilevato, il Comune, in maniera illegittima, illogicità, sproporzionata ed atipica, avrebbe inflitto la più grave delle sanzioni previste per abusi edilizi, senza previamente esaminare la possibilità di applicare, in luogo della demolizione, la sanzione pecuniaria prevista dalla normativa vigente e senza motivare sulla scelta della sanzione, il che sarebbe ancor più grave in attesa la totale irrilevanza urbanistica dell’opera e, per fattispecie analoga, la giurisprudenza avrebbe rilevato che la graduazione delle sanzioni per abusi edilizi contemplata nel D.P.R. 380/2001 implicherebbe una discrezionalità in capo all’Autorità procedente nella scelta della sanzione più appropriata ai singoli abusi;

La censura è infondata.

Come emerge dalla descrizione dell’abuso sanzionato, nella specie non si è trattato di un intervento di modeste dimensioni, ma di una tettoia ancorata stabilmente alla parete sorretta da due pilastri in ferro infissi nel pavimento estesa per una superficie di circa mq. 30 e con un’altezza di ml. 3,00 al colmo e ml. 2,80 alla gronda e, secondo condivisa giurisprudenza: <<
Gli interventi edilizi che determinano una variazione planovolumetrica ed architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzati, non rientrano tra le opere minori soggette a d.i.a., ma sono soggetti al preventivo rilascio di apposito permesso di costruire e la sanzione applicabile è pertanto quella demolitoria, come stabilito dall’art. 33, D.P.R. n. 380 del 2001 >>
(T.A.R. Napoli sez. II, 07/05/2012;
T.A.R. Napoli sez. IV, 16/12/2011, n. 5912, n. 2079;
T.A.R. Napoli sez. IV, 13/05/2008, n. 4255).

Pertanto deve ritenersi che il Comune, dopo avere correttamente valutato la tipologia dell’opera, dalla cui abusività (non potendo in alcun modo, per quanto anzidetto, ritenersi “legittimata” da una D.I.A., a motivo delle caratteristiche a “gabbiotto” della struttura realizzata che necessitava di apposito permesso di costruire), ne ha doverosamente ordinata l’immediata demolizione che, in ragione di tale sua natura, non esige una specifica motivazione o la comparazione dei contrapposti interessi, né deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento (cfr., per tutte, Cons. Stato - Sez. V, 28 aprile 2014, n. 2196).

Relativamente alla dedotta mancata previa disamina della possibilità di applicare, in luogo della demolizione dell’intero fabbricato, la sanzione pecuniaria, pure prevista dalla normativa vigente, basta rilevare che, nella situazione in cui è stata ingiunta la demolizione delle opere abusive ai sensi dell’art. 31, D.P.R. n. 380 del 2001 per mancanza del permesso di costruire, alcun spazio può esservi originariamente per la disporre la preventiva irrogazione di una sanzione meramente pecuniaria (che non dà luogo ad una autonomo regime sanzionatorio) la quale può essere applicata, in alternativa alla riduzione in pristino unicamente allorquando, in applicazione di altre disposizioni del suddetto testo unico, in sede di esecuzione della demolizione, ci si renda conto che non è tecnicamente possibile eliminare le parti difformi della struttura senza compromettere quelle conformi o, addirittura, la statica dell’intero fabbricato.

Con la terza censura si deduce la violazione di legge (artt. 3, 7 e 10, L. n. 241 del 1990;
D.P.R. 6.6.1931, n. 380, come modificato ed integrato dal D.L. 25.3.2010, n. 40;
L.R. Campania, n. 19 del 28.11.2001;
L. n. 47 del 1985;
L. n. 724 del 1994) e l’eccesso di potere (per inesistenza dei presupposti, omessa istruttoria difetto di motivazione), attesa la mancata, doverosa comunicazione di avvio del procedimento prevista dall’art. 3, L. n. 241 del 1990, in proposito essendosi operato, nell’ambito dei provvedimenti vincolati, un distinguo in giurisprudenza tra i casi in cui i fatti che ne costituirebbero il presupposto e la loro valutazione sarebbero pacifici ed incontestati da parte del privato, nei quali apparirebbe superfluo ogni spazio di intervento da parte del cittadino inciso, dai casi in cui, invece, tali presupposti sarebbero contestati e la partecipazione del privato apparirebbe proficua, essendovi circostanze che, qualora fossero state rappresentate dall’interessato, avrebbero potuto indurre l’autorità a chiudere il procedimento in senso favorevole all’interessato stesso, in cui sarebbe, quindi, necessario l’avviso di avvio del procedimento, come nella specie, laddove la partecipazione dei ricorrenti al procedimento conclusosi con l’adozione dell’ordine demolitorio sarebbe stata utile permettendo agli stessi di produrre elementi atti a provare l’assenza dell’abuso contestato, specie considerando che tratterebbesi di interventi in parte di “edilizia libera” ed in parte assistiti da regolare domanda di condono edilizio.

La censura è infondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Sezione: <<
Gli atti sanzionatori in materia edilizia, dato il loro contenuto vincolato sia nell’an che nel quid, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento ai sensi dell’art. 7 l n. 241 del 1990 e non richiedono apporti partecipativi del soggetto destinatario. L’ordine di demolizione scaturisce dal mero fatto della commissione dell’abuso e, stante la sua natura vincolata, non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e non richiede una specifica motivazione e la valutazione sull’interesse pubblico, che è in re ipsa >>
T.A.R. Campania, Sez.

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