TAR Roma, sez. III, sentenza 2019-03-05, n. 201902896

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2019-03-05, n. 201902896
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201902896
Data del deposito : 5 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/03/2019

N. 02896/2019 REG.PROV.COLL.

N. 06830/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6830 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Ammaturo Francesco, V S, F G, D'Intino Giuseppina, C M C, D L C, S D, rappresentati e difesi dagli avvocati L G, M M B, E R, con domicilio eletto presso lo studio M M B in Roma, via Ennio Quirino Visconti, 103, come da procura in atti;

contro

Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dagli avvocati E L, C C, S C, domiciliata in Roma, via Cesare Beccaria, 29, come da procura in atti;

per l'annullamento

della determinazione n. 19/2014 di modifiche al regolamento recante "disciplina delle incompatibilita' e delle autorizzazioni a svolgere attivita' esterne all'ufficio per i dipendenti dell'INPS"


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre 2018 il consigliere Achille Sinatra e uditi per le parti i difensori per la parte ricorrente l'Avv. L. Gobbi e per INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale l'Avv. S. Caruso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. – Con ricorso spedito a notifica il 30 aprile 2014 e depositato il 1 maggio successivo, i nominati in epigrafe, medici dipendenti dell’INPS, hanno impugnato la determinazione n. 19 del Commissario straordinario dell’Istituto relativa alla disciplina delle autorizzazioni a svolgere attività esterna ai sensi dell’art. 53 d.lgs. n. 165\2001, nonché il Regolamento interno disciplinante la stessa materia adottato con la medesima determinazione, nella parte in cui tali atti vietano ai medici dipendenti dell’INPS di svolgere attività libero-professionale al di fuori dell’orario d’ufficio, subordinano la medesima attività a preventiva autorizzazione dell’Ente e impongono la preventiva autorizzazione per l’assunzione di incarichi di CTU nei giudizi diversi da quelli penali.

2. – Dopo un non breve excursus normativo volto ad evidenziare che i medici INPS sarebbero del tutto equiparati ai medici del Servizio Sanitario Nazionale, i ricorrenti svolgono a carico degli atti gravati i seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 53 comma VI del d.lgs. n. 165\2001 in relazione all’art. 13 L. 222\1984, nullità del regolamento, eccesso di potere, contraddittorietà: le norme in rubrica sancirebbero l’equiparazione tra medici INPS e medici del SSN, e, inoltre il comma VI dell’art. 53 d.lgs. n. 165\2001 escluderebbe i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% dal regime delle incompatibilità di cui ai commi successivi da VII a XIII;
in particolare, si applicherebbe il regime dell’attività libero-professionale fuori dall’orario di lavoro consentita ai medici del SSN dall’art. 4 comma VII della legge n. 412\1991 e dalle disposizioni successive, che, seppure differenziandone il regime, hanno consentito ai medici del SSN sia la libera professione intramuraria che quella extra-moenia;
inoltre, sussisterebbe contraddittorietà interna fra disposizioni del medesimo regolamento, che all’art. 5 dichiara incompatibile il lavoro dei medici con l’attività certificatoria volta ad ottenere benefici dallo Stato, ma all’art. 6 non contempla la libera professione medica tra quelle vietate ai dipendenti;
di fatto sarebbe stato imposto il divieto anche ai dipendenti part-time sotto il 50%, in quanto l’INPS non avrebbe dato seguito allo specifico accordo stipulato l’11 marzo 2002.

2) Eccesso di potere: disparità di trattamento, violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.: l’identità di disciplina normativa tra medici INPS e medici SSN implicherebbe che gli atti gravati, precludendo l’attività libero-professionale ai primi, violerebbero il principio di eguaglianza costituzionalmente previsto.

3) Eccesso di potere: sviamento di potere, in quanto il termine di 30 giorni per la risposta all’istanza di autorizzazione (oltre il quale, in assenza di risposta dell’Istituto, matura il silenzio-diniego) sarebbe incompatibile con l’attività professionale e di fatto ne vanificherebbe la possibilità.

4) Violazione dei legge in relazione all’art. 53 d.lgs. 165\2001 e all’art. 63 c.p.c., eccesso di potere per contraddittorietà e contrasto con la circolare del Ministero della Giustizia del 4 gennaio 1999, illogicità manifesta e disparità di trattamento: l’art. 8 comma I bis e l’art. 10 del regolamento, letti in combinato disposto, consentirebbe senza autorizzazione solo l’incarico di CTU nei processi penali e non negli altri processi.

Ciò comporterebbe i seguenti vizi delle due disposizioni:

- secondo la circolare INPS n. 37\14, la non necessità di autorizzazione per le CTU nei processi penali è giustificata dall’obbligatorietà dell’ufficio ex art. 359 c.p.c., ma in tal modo non si tiene conto dell’eguale obbligatorietà degli incarichi conferiti ex art. 221 c.p.p. dal P.M. in fase di indagini preliminari;

- l’ufficio è obbligatorio anche nel processo civile, ai sensi dell’art. 63 c.p.c., e l’art. 366 c.p. sanziona la violazione (anche) di tale obbligo;

- l’art. 53 d.lgs. n. 165\2001 non contempla l’ufficio di CTU fra gli incarichi incompatibili con lo status di pubblico dipendente, come confermerebbero la circolare del 4 gennaio 1999 del Ministero della Giustizia e la giurisprudenza contabile (che le subordina solo a preventiva autorizzazione).

3. – Sulla scorta di tali motivi i medici ricorrenti hanno chiesto l’annullamento o la declaratoria di nullità della determinazione commissariale n. 19\2014 nelle parti in cui il regolamento vieta loro di svolgere attività libero-professionale al di fuori dell’orario di ufficio e subordina tale attività ad autorizzazione;
inoltre, nella parte in cui impone l’autorizzazione per lo svolgimento di incarichi di CTU al di fuori del processo penale.

Infine, hanno chiesto che sia dichiarato il loro diritto a svolgere attività libero-professionale oltre l’orario d’ufficio senza autorizzazione.

4. – L’INPS si è costituito in giudizio per esistere al ricorso, precisando che successivamente alla notifica del gravame, con circolare n. 62 del 16 maggio 2014 emessa dal Direttore Generale, è stata dettata la disciplina di dettaglio delle norme regolamentari gravate, che ha ulteriormente specificato per le aree ordinarie e per quelle dei professionisti alla luce delle incompatibilità con i doveri e gli obblighi dei dipendenti;
in particolare, per i medici tale circolare ha precisato che, in base all’art. 10 del regolamento:

- l’attività esterna deve contribuire all’arricchimento professionale del dipendente;

- essa deve avere durata predeterminata, non superiore a 12 mesi;

- essa non può svolgersi presso organismi ed enti (sia di tipo societario che studi professionali, associazioni, patronati) che svolgano attività potenzialmente conflittuale con gli interessi dell’ente;

- essa può comprendere attività specialistiche, ma non se volte a rilasciare certificazioni per ottenere benefici a carico dello Stato ovvero la compromissione di capacità lavorativa o dell’autonomia personale.

L’Istituto ha quindi eccepito sia l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione della precedente determina n. 12 del 2012, che avrebbe disciplinato la medesima materia degli atti oggi gravati, che la sua improcedibilità per mancata impugnazione della determina n. 16 del 2014;
nel merito, poi, l’INPS ha dedotto l’infondatezza del gravame.

5. – Con ricorso per motivi aggiunti i ricorrenti hanno impugnato la determinazione direttoriale INPS n. 62 del 16 maggio 2014, deducendo contro di essa:

1) Eccesso di potere, incompetenza, sviamento di potere: sebbene l’atto dovesse limitarsi a dettare “istruzioni operative” per l’applicazione dei precedenti, esse porrebbero ex novo un divieto ai medici di svolgere attività libero-professionale nei locali dell’Istituto, prima non previsto.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 56 comma VI d.lgs. n. 165\2001 e dell’art. 13 L. 222\1984, illogicità e disparità di trattamento.

Il motivo ripropone le censure di disparità rispetto ai medici del SSN quanto all’art. 2 comma III ultima parte, in cui si dispone l’esclusione dall’attività certificativa per il riconoscimento di prestazioni economiche da parte dello Stato (anche perché, in tesi, tali prestazioni potrebbero essere svolte anche a fini diversi).

Inoltre, l’atto viene censurato nella parte in cui non subordina più ad autorizzazione la singola prestazione di CTU, bensì –ancora innovando rispetto agli atti precedentemente impugnati- l’iscrizione nell’apposito Albo tenuto dagli Uffici giudiziari, sia in quanto sussisterebbe, anche qui, la su dedotta disparità di trattamento con i medici del SSN, che per il carattere obbligatorio di tale ufficio, che, ancora, per la (dedotta) limitazione ad un solo albo territoriale (il che, ancora una volta, contrasterebbe con l’obbligatorietà dell’ufficio).

I ricorrenti censurano altresì, ritenendolo inadeguato allo scopo, il modello di modulo approntato dall’INPS per tali richieste.

6. – L’INPS ha replicato con memoria anche ai motivi aggiunti, chiedendone il rigetto.

Con ordinanza n. 3343\2014 è stata respinta l’istanza cautelare.

I ricorrenti hanno depositato memoria conclusionale.

In occasione della pubblica udienza del 28 novembre 2018 il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

1. – Il ricorso introduttivo è in parte infondato ed in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse;
pertanto il Collegio ritiene di potere prescindere dall’eccezione di inammissibilità per mancata impugnazione della precedente determinazione n. 12\2012 dell’INPS.

2. – I primi due motivi sono infondati.

Devono infatti essere respinte tutte le censure che –argomentando dall’assunto di fondo su cui ruota tutta l’impugnazione- assumono una attuale equiparazione tra medici del Servizio Sanitario Nazionale e medici dell’INPS.

Alla luce dell’attuale quadro normativo, infatti, tale equiparazione non può più dirsi esistente.

I ricorrenti, invero, la fanno discendere dalla disposizione di cui all’art. 13 L. 222\1984, per cui “Al personale medico degli enti previdenziali si applicano integralmente gli istituti normativi previsti per i medici dalle norme di cui all'art. 47 della legge 23 dicembre 1978, n. 833”.

Sarebbe di conseguenza applicabile l’art. 4 comma VII della legge n. 412\1991, il quale prevede che “L'esercizio dell'attività libero-professionale dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale è compatibile col rapporto unico d'impiego, purché espletato fuori dall'orario di lavoro all'interno delle strutture sanitarie o all'esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale”.

Tale ricostruzione non tiene conto del fatto che, già con l’entrata in vigore dell’art. 72 del decreto legislativo n. 29 del 1993, salvo che per le materie di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 , gli accordi sindacali recepiti in decreti del Presidente della Repubblica in base alla legge 29 marzo 1983, n. 93 , e le norme generali e speciali del pubblico impiego, che erano vigenti alla data di entrata in vigore del detto decreto e non abrogate, costituivano, limitatamente agli istituti del rapporto di lavoro, la disciplina di cui all'art. 2, comma 2.

La legge delega n. 421 del 1992, la quale, all’art. 2 comma I lettera C), prevedeva che “Sono regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell'ambito dei princìpi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi, le seguenti materie: (…) 7) la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici”.

Le disposizioni invocate dai ricorrenti, da una parte, sono dunque divenute “inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi disciplinati dal medesimo decreto in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati;
e le disposizioni a quella data vigenti hanno cessato in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, del secondo contratto collettivo previsto dallo stesso decreto legislativo n. 29 del 1993.

Ed invero, come affermato anche da Cass. Civ. sezione lavoro, n. 3705\2009, “la pregressa disciplina di pubblico impiego risulta abrogata per effetto della contrattazione collettiva stipulata nel nuovo contesto del lavoro pubblico privatizzato disegnato dal D.Lgs. n. 29 del 1993. Infatti l'art. 72 del cit. D.Lgs., ha previsto che gli accordi sindacali recepiti in decreti del Presidente della Repubblica come previsto dalla L. 29 marzo 1983, n. 93, e le norme generali e speciali disciplinanti il rapporto di impiego pubblico integrano la disciplina del rapporto di lavoro di cui all'art. 2, comma 2, nella parte non abrogata esplicitamente o implicitamente dal presente decreto. Ma tali disposizioni non solo sono derogabili da quelle dei contratti collettivi stipulati come previsto dal titolo 3^;
ma cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, del secondo contratto collettivo previsto dal presente decreto. Quindi le disposizioni legislative vigenti all'epoca hanno cessato di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento del secondo contratto collettivo previsto dal D.Lgs. n. 29 citato.”

Si tratta, in particolare, dei contratti collettivi nazionali del comparto Enti pubblici non economici dei periodi 1994\1997 e 1998\2001.

Quest’ultimo, all’art. 39 (Area medica) dispone che “1.Con riferimento al personale dell’Area medica le parti confermano tutte le seguenti norme peculiari contenute nel CCNL - stipulato il 14 aprile 1997- attuativo dell’art 94 del CCNL dell’11 ottobre 1997: orario di lavoro;
aggiornamento professionale, didattica, ricerca;
attribuzione degli incarichi;
valutazione;
collocazione funzionale;
libera professione, prestazioni e consulti”.

Il CCNL del 14 aprile 1997, da parte sua, ha minutamente disciplinato il rapporto di lavoro dei professionisti dipendenti dagli Enti del comparto, compresi quelli appartenenti all’Area medica.

D’altro canto, in ossequio all’art. 2 comma I lettera C della legge n. 421 del 1992, la disciplina dell’incompatibilità trova adesso la sua generale regolazione a livello normativo primario nell’art. 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che le norme interne qui impugnate intendono adattare alla realtà dei medici dipendenti dell’Istituto;
e non più nella previgente normativa invocata dai ricorrenti.

Ne segue il rigetto delle doglianze che si appellano alla pretesa equiparazione con i medici del Servizio Sanitario Nazionale.

3. – E’ altresì infondato il terzo motivo del ricorso introduttivo, che lamenta l’insufficienza del termine di trenta giorni approntato per l’autorizzazione agli incarichi extra moenia, in quanto deve ritenersi applicabile l’art. 53 comma X del decreto legislativo n. 165 del 2001, per cui l’autorizzazione a svolgere l’incarico va richiesta “all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico;
può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato;
l'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa”.

4. – L’ultimo motivo del ricorso introduttivo è improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, atteso che esso censura la disciplina apportata dalla determinazione n. 19 del 6 marzo 2014 in materia di consulenze tecniche d’ufficio affidate ai medici dell’INPS (lamentando l’assoggettamento ad autorizzazione delle CTU diverse da quelle svolte nel processo penale) la quale è stata riformata dalla successiva determinazione INPS n. 62 del 16 maggio 2014.

4. – Tale disciplina è censurata dai motivi aggiunti, che sono infondati, e vanno respinti.

In particolare, con il primo motivo aggiunto i ricorrenti assumono che la nuova regolamentazione interna impedisce ai medici dipendenti di svolgere attività privata nei locali dell’Istituto, con disposizione innovativa rispetto al passato;
e tanto sarebbe illegittimo sia sotto il profilo della incompetenza del Direttore Generale ad adottare l’atto che in ragione della innovatività stessa della disciplina introdotta.

Al riguardo è sufficiente ribadire che la determinazione commissariale n. 19 del 2014 è intervenuta in forza di precise disposizioni di legge, che hanno abrogato il precedente quadro normativo (che equiparava i medici dell’INPS a quelli del Servizio Sanitario Nazionale) ed hanno introdotto il nuovo regime di incompatibilità (art. 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001).

Ne segue che la determinazione direttoriale gravata con motivi aggiunti non può dirsi realmente innovativa rispetto a quella commissariale recante il numero 19 del 2014, atteso che essa (come la precedente) si configura quale atto sostanzialmente dovuto a causa delle disposizioni normative di riferimento (in primis, dell’art. 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001), e dunque rientrante nella competenza del vertice amministrativo dell’Istituto.

Invero l’atto impugnato con motivi aggiunti, nelle sue disposizioni qualificanti, prevede che:

“Ai sensi dell' art. 5 del Regolamento (ossia del decreto legislativo n. 165 del 2001), è assolutamente incompatibile con il rapporto di lavoro dei dipendenti dell'Istituto lo svolgimento di incarichi che generano conflitto di interessi anche potenziali con le funzioni svolte dal dipendente o dalla struttura cui lo stesso è assegnato e, in generale, con l'attività istituzionale dell'Amministrazione, nonché le attività che, per l'impegno richiesto o per le modalità di svolgimento, non consentono un tempestivo e puntuale svolgimento dei compiti di ufficio da parte del dipendente in relazione alle esigenze della struttura cui è assegnato.

In forza dell'espresso richiamo contenuto all' art. 2, comma 1, lett. b) del Regolamento, tale disciplina è applicabile anche ai medici dipendenti dell'Istituto, per i quali lo svolgimento di attività professionale esterna è consentito solo al di fuori dell'orario di servizio e al di fuori delle Strutture dell'Istituto”.

Inoltre:

“È consentito lo svolgimento delle attività specialistiche che prevedano accertamenti diagnostici clinici non invasivi compresa l'indicazione delle cure mediche;
tuttavia, così come indicato all' art. 5 del Regolamento, è escluso il rilascio di certificati volti ad attestare la sussistenza di condizioni morbose ai fini del riconoscimento di prestazioni economiche da parte dello Stato, ovvero la conseguente compromissione della capacità lavorativa ovvero il grado di autonomia personale.”

La linea direttrice delle disposizioni è, come si vede, l’esigenza di evitare situazioni di conflitti d’interesse fra medici dipendenti ed Amministrazione di appartenenza, che informa anche tutto l’art. 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001.

In questo quadro bene si inserisce la norma che vieta l’attività intramuraria, strettamente correlata a quella (contenuta nel medesimo comma) per cui l’attività privata non può essere esercitata nell’orario di servizio.

Il primo motivo aggiunto va dunque respinto.

5. – Eguale sorte segue il secondo motivo aggiunto, che si appella nuovamente ad una pretesa necessità di equiparazione con i medici del Servizio Sanitario Nazionale, la quale, per quanto detto nell’esaminare le conformi censure del ricorso introduttivo, non sussiste: al riguardo è sufficiente fare rinvio a quanto detto in precedenza sul punto.

E’ necessario aggiungere soltanto che anche il divieto di svolgere attività certificativa in determinate materie e la necessità di richiedere una autorizzazione generale per l’iscrizione negli Albi territoriali dei CTU in campi diversi da quello penale sono ispirati, all’evidenza, dall’esigenza di evitare i suddetti conflitti di interesse, nel primo caso in quanto si tratta di materie rientranti nel novero dei pubblici interessi curati dall’Istituto, e nel secondo caso in quanto è necessario un controllo -almeno preventivo- dell’Amministrazione di appartenenza affinchè tale conflitto non abbia a determinarsi (ad esempio, in controversie in cui l’Istituto è parte, nelle quali sono di regola trattate questioni di cui i medici INPS si occupano nell’ambito della loro attività d’istituto).

6. – In conclusione, il ricorso introduttivo è in parte inprocedibile ed in parte infondato, mentre i motivi aggiunti sono infondati.

7. – La peculiarità della materia induce alla compensazione delle spese di lite.

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