TAR Roma, sez. IV, sentenza breve 2023-06-22, n. 202310572

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. IV, sentenza breve 2023-06-22, n. 202310572
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202310572
Data del deposito : 22 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/06/2023

N. 10572/2023 REG.PROV.COLL.

N. 09385/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 9385 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato G I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

contro

- Ministero degli Affari Esteri;
- Ambasciata d’Italia ad Islamabad (Pakistan);
- Ministero dell’Interno;
in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12

per l'annullamento

del provvedimento di diniego di visto per lavoro subordinato pratica numero -OMISSIS- prot. n. -OMISSIS- emesso in data 27 giugno 2022 dall’Ambasciata d’Italia ad Islamabad e notificato a mani del ricorrente in data 6 luglio 2022, e di ogni altro atto presupposto, connesso e comunque consequenziale, ancorché di data e tenore sconosciuto, che incida sfavorevolmente sulla posizione giuridica del ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2023 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


1. Contesta parte ricorrente il diniego di rilascio di visto di ingresso in Italia, per motivi di lavoro subordinato.

A fondamento dell’avversato diniego, l’Autorità consolare italiana ha rilevato che l’interessato “ ha fornito informazioni insufficienti sul tipo di lavoro che andrà a svolgere/che non ha informazioni”.

2. Nel confutare la rilevanza/concludenza dei sopra riportati profili ostativi al rilascio del visto, il ricorrente ha censurato l’impugnata determinazione per:

Invalidità e/o illegittimità del provvedimento per eccesso di potere;
Invalidità e/o illegittimità del provvedimento per violazione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Invalidità e/o illegittimità del provvedimento per eccesso di potere: contraddittorietà interna del provvedimento per il motivo di cui sopra. Difetto di istruttoria. Violazione del principio di legalità ed illegittimità dell’atto per “mancata sottoscrizione del funzionario a ciò legittimato”;

ed ha, conclusivamente, chiesto l’accoglimento del proposto gravame, con conseguente annullamento dell’atto anzidetto.

3. In data 9 agosto 2022, l’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio.

4. La rilevata sussistenza dei presupposti indicati all’art. 60 c.p.a. consente di trattenere la presente controversia – portata all’odierna Camera di Consiglio ai fini della delibazione dell’istanza cautelare dalla parte ricorrente incidentalmente proposta – ai fini di un’immediata definizione nel merito.

Prevede infatti la disposizione da ultimo citata che, “in sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata”.

Di quanto sopra, è stato reso avviso, come da verbale dell’odierna Camera di Consiglio.

5. Va premesso che questa Sezione, con ordinanza 22 dicembre 2022, n. -OMISSIS-, ha chiesto alla parte ricorrente provvedersi alla legalizzazione della procura ad litem, dopo che la trattazione della controversia – originariamente fissata alla camera di Consiglio del 7 settembre 2022 – era stata rinviata, su richiesta della stessa parte.

Nell’osservare come la parte abbia posto in essere l’incombente, come sopra disposto (cfr. deposito documentale alla data del 20 giugno 2023), il ricorso è infondato.

6. Invero, i visti d’ingresso per lavoro subordinato sono disciplinati dagli articoli 22 del D.Lgs. n. 286 del 1998 e 31 del D.P.R. n. 394 del 1999.

Sulla base di quanto esposto dall’Ambasciata d’Italia in Pakistan (si confronti, in proposito, la relazione depositata in atti in data 19 agosto 2022), il diniego di visto è intervenuto in quanto l’interessato, a seguito di puntuale intervista, non ha fornito indicazioni attendibili circa:

- la conoscenza del rapporto di lavoro;

- la conoscenza e l’ubicazione del luogo di lavoro (Napoli).

7. Tali elementi appaiono confortare l’immanenza, quanto alla posizione dell’interessato, di un “rischio migratorio”.

L’esito del colloquio svoltosi in occasione della suindicata intervista, evidenziava che il ricorrente non dimostrava di conoscere direttamente gli elementi fondamentali del rapporto di lavoro.

Di conseguenza è del tutto ragionevole che la Rappresentanza diplomatica abbia potuto nutrire forti e fondati dubbi circa la corrispondenza tra le reali intenzioni del richiedente e quelle sottese alla tipologia del visto richiesto, dubbi sul rischio migratorio.

L’esito dell’intervista ingenerava, quindi, ulteriori dubbi circa le reali finalità perseguite dal richiedente, inducendo la Sede a ritenere che il rapporto di lavoro fosse fittizio in quanto esclusivamente finalizzato a permettere l’ingresso del richiedente nel Territorio dello Stato.

Alla luce di quanto sopra, gli elementi indicati dall’Amministrazione appaiono significativi ai fini del riscontro di tale circostanza, in quanto la mancata conoscenza, da parte del richiedente il visto, di aspetti fondamentali relativi al rapporto di lavoro ed al soggiorno in Italia è indicativa della probabile fittizietà del rapporto di lavoro, al cui svolgimento è finalizzata la richiesta di visto d’ingresso (cfr. TAR Lazio, sez. III-ter, sentt. nn. 9697 e 9679 del 2016).

8. Al riguardo, conviene anche ricordare che l’art. 31 del D.P.R. n. 394 del 1999, nell’indicare i requisiti necessari all’ottenimento del visto d’ingresso per lavoro subordinato, al comma 8, fa salva la facoltà da parte delle Rappresentanze diplomatico-consolari della verifica dei presupposti di cui all’art. 5 dello stesso Decreto (luogo nel quale il richiedente è diretto, motivo e durata del soggiorno).

Quindi i richiedenti il visto devono fornire alle Rappresentanze diplomatico-consolari prova delle condizioni che giustificano le finalità del viaggio e, qualora si tratti di un visto caratterizzato da necessaria temporaneità, dei presupposti dai quali si possa ragionevolmente ritenere l’interesse a far rientro nel Paese di origine.

9. Nel caso di specie, la mancata conoscenza da parte del lavoratore di circostanze fondamentali del futuro rapporto d’impiego sono indicative della sussistenza di seri dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni e non possono ritenersi sanate da altri documenti.

10. Infine, nel valutare le circostanze che hanno determinato il diniego, non si può trascurare che dall’ingresso per motivi di lavoro discende il diritto, non soltanto ad entrare e soggiornare sul territorio nazionale, ma anche a circolare liberamente nello Spazio Schengen.

Appare, dunque, applicabile l’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, che evidenzia gli obblighi internazionali assunti dall’Italia, e la relativa responsabilità che il nostro Paese si è assunto a livello internazionale, in particolare nei confronti degli altri Stati che formano lo Spazio Schengen, in merito al fatto che l’esame delle domande di visto avvenga in maniera rigorosa e che anche la minima mancanza dei requisiti previsti in capo al richiedente il visto giustifichi l’adozione di un provvedimento di diniego.

11. In conclusione il ricorso è infondato e va respinto, atteso che la motivazione a fondamento dell’avversato diniego è agevolmente evincibile sia, in sintesi, dal provvedimento impugnato, sia dalla documentazione depositata dalla Amministrazione, rispetto alla quale il ricorrente non ha opposto plausibili contestazioni, non soddisfacendo quindi l’onere della prova che sullo stesso incombe ex art. 64 c.p.a.

12. Le spese di lite vengono poste a carico della parte soccombente, giusta la liquidazione di cui in dispositivo.

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