TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2024-02-19, n. 202403206
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Testo completo
Pubblicato il 19/02/2024
N. 03206/2024 REG.PROV.COLL.
N. 10422/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10422 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato A F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento di rigetto della richiesta di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo del 09/05/2019, nonché di ogni atto allo stesso preordinato, presupposto, consequenziale e connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 2 febbraio 2024 il dott. V B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’istante ha chiesto la carta di soggiorno con raccomandata assicurata, allegando un documento attestante la conoscenza della lingua italiana (previo superamento di un apposito test, così come richiesto dall’art. 9, comma 2 bis, del D.lgs. 286/98).
Con il decreto in epigrafe la questura di Roma ha negato la concessione della predetta carta di soggiorno, sul presupposto che le informazioni fornite per giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto non sarebbero attendibili.
In particolare, secondo la Questura, il documento prodotto, ed attestante il superamento del predetto test di conoscenza della lingua italiana “a seguito di verifiche presso l’istituto è risultato non essere autentico”. Inoltre la Questura dichiara che da ulteriori accertamenti telematici risulterebbe la pendenza di una procedura di irreperibilità del ricorrente al domicilio indicato alla presentazione della richiesta della carta di soggiorno.
Avverso tale diniego ha quindi proposto ricorso l’interessato deducendo i seguenti motivi:
1) Violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 della L. 241/1990, nonché del d.lgs. n. 286/1998. Violazione del principio di legalità e dell’articolo 1, L. 24 novembre 1981 e successive modificazioni. Eccesso di potere per difetto di motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.
Il provvedimento impugnato non avrebbe fornito alcuna motivazione concreta sulle circostanze che hanno indotto la Questura a negare il permesso, ciò avrebbe impedito al ricorrente di comprendere le ragioni del diniego e di esercitare il diritto di difesa;
2) Violazione degli artt. 7 e 10-bis, L. N. 241/90 – Difetto di istruttoria.
L’Amministrazione non avrebbe comunicato l’avvio del procedimento e i motivi che ostano all’accoglimento della domanda.
L’interessato avrebbe sostenuto più di un test di lingua italiana a riprova della sua integrazione all’interno del territorio nazionale.
Sulla procedura di irreperibilità, l’accertamento (sopralluogo) circa la residenza sarebbe stato svolto presso un indirizzo diverso rispetto a quello di cui al certificato di residenza dello stesso (la residenza era fissata all’epoca in -OMISSIS- mentre dalla lettura del verbale relativo alla procedura di irreperibilità si evince che il controllo è stato svolto in -OMISSIS-).
L’avvio di una procedura di irreperibilità non sarebbe condizione sufficiente per negare il rilascio della Carta di Soggiorno senza la verifica, da parte della medesima Autorità, della correttezza della procedura aperta dagli organi comunali.
Si sono costituiti in giudizio gli intimati Ministero dell’Interno e Questura di Roma, depositando documentazione, comprensiva di una relazione sui fatti di causa.
Con ordinanza n. -OMISSIS-, non appellata, è stata respinta la domanda cautelare incidentalmente proposta.
All’udienza del 2.2.2024, tenutasi in modalità da remoto ai sensi dell’art. 87, comma 4 bis, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
1. Il ricorso è infondato.
Si rende necessario in via preliminare una breve esame della disciplina normativa applicabile al caso di specie.
In primo luogo si evidenzia che l'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 286/1998 prevede: `Possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente ai sensi dell'articolo 4, che siano muniti di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno rilasciati, e in corso di validità, a norma del presente testo unico...".
Il comma 4 del medesimo art. 5 del richiamato d.lgs. n. 286/1998 stabilisce: “il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui dimora, almeno sessanta giorni prima della scadenza, ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal presente testo unico".
Ancora l'art. 5, comma 8 bis, del D.lgs. 286/1998 prevede che “Chiunque (...) contraffà o altera documenti al fine di determinare il rilascio di un visto di ingresso o di reingresso, di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno oppure utilizza uno di tali documenti contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso la reclusione è da tre a dieci anni”.
2. Ciò premesso si tratta, quindi, di verificare le condizioni richieste per il rilascio della carta di soggiorno richiesta e gli elementi a ciò ostativi.
Per quanto concerne il quadro normativo applicabile alla fattispecie vengono certamente in evidenza le previsioni cui agli artt. 4, comma 2, quinto periodo e 5, comma 8 bis, del d.lgs. n. 286/1998.
Le norme richiamate costituiscono specificazione del più generale principio contenuto nell'art. 75 del d.P.R. n. 445/2000, che dispone la decadenza dei benefici conseguiti con dichiarazioni false (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 1091/2018).
Il legislatore non ha previsto un rapporto di pregiudizialità del processo penale rispetto all’esito del procedimento amministrativo: l’Amministrazione può procedere ad una autonoma valutazione dei fatti e può, dunque, dichiarare irricevibile la domanda ove abbia accertato la falsità della documentazione a prescindere dall’esito del procedimento penale (in senso conforme vedi anche Cons. Stato, sez. III n. 833/2018, n. 3182/2014 e n. 4203/2016).
3. E’ quindi evidente, dal combinato disposto delle citate disposizioni, che l’ordinamento conferisce alla produzione di documentazione non veritiera, intesa a dimostrare il possesso dei requisiti indispensabili ai fini del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, la conseguenza di precludere l’ottenimento dello stesso: valenza che non può ritenersi superabile dalla omessa dimostrazione della non veridicità della documentazione esibita da parte della questura, in quanto le norme citate cristallizzano una fattispecie impeditiva ad effetto immediato ed irreversibile.
L’istante in tal modo mira ad introdurre una inammissibile inversione dell’onere della prova, secondo cui spetterebbe all’Amministrazione dimostrare l’attendibilità delle verifiche svolte sulla certificazione di conoscenza della lingua italiana e non l’istante a dimostrare, mediante una idonea documentazione all’atto della richiesta del titolo di soggiorno, la effettiva conoscenza della lingua.
Tutto ciò non senza considerare che l’Amministrazione ha depositato in giudizio, in allegato alla relazione del 29.8.2019, una dichiarazione di non autenticità dell’attestazione fornita dall’istante, rilasciata dal Ministero dell’Istruzione su richiesta della Questura competente.
4. Da questo punto di vista, invero, deve osservarsi che l’utilizzo di un documento non veritiero ai fini del favorevole esito del procedimento integra un quid pluris , rispetto alla mera assenza del requisito, il quale legittima una più severa risposta dell’ordinamento, anche attraverso la preclusione di successive integrazioni (cui dà invece rilievo, laddove menziona gli “elementi sopravvenuti”, l’art. 5, comma 5, d.lgs. cit.).
5. Inoltre la disciplina vigente (il citato art, 5, comma 4, del d.lgs. n. 298 del 1998) in materia prevede l'obbligo generale di iscrizione anagrafica e di comunicazione delle iscrizioni e delle variazioni anagrafiche sia per i cittadini italiani che per quelli stranieri.
L'art. 15 del Regolamento di attuazione del Testo Unico sull'Immigrazione, così come modificato dal del d.P.R. n. 334/2004, prevede che "le iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate nei casi e secondo i criteri previsti dalla L.1228/1954 e dal regolamento anagrafico della popolazione residente approvato con D.P.R. 223/1989, come modificato dal presente regolamento". Gli artt. 1, 2, comma 1, e 11 della L. 1228/1954 prevedono l'obbligo di “chiedere per sé e per le persone sulle quali si esercita la patria potestà o tutela, l'iscrizione all'anagrafe del Comune di dimora abituale e di dichiarare alla stessa i fatti determinanti relativi alla mutazione della posizione anagrafica”.
Secondo l'art. 7, comma 3, del d.P.R. n. 223 del 30.05.1989 “gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l'obbligo di rinnovare all'ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora nel Comune, entro 60 giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno, corredato dal permesso medesimo".
Dal combinato disposto degli articoli sopra indicati si evince l'indispensabilità per il rilascio del titolo di soggiorno del requisito della residenza anagrafica nel Comune di dimora.
5.1. A tal riguardo è stato osservato (cfr. Cons. Stato, sez. III, 1.4.2016, n. 1313) che la falsa indicazione del luogo di residenza non costituisce mera irregolarità formale, ma deve ritenersi circostanza assolutamente dirimente, nel senso di imporre il rigetto dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno.
6. Ciò premesso è incontestato che il ricorrente abbia indicato in sede di richiesta del titolo di soggiorno un indirizzo presso il quale è risultato irreperibile, ciò di per sé, per le ragioni sopra esposte, è sufficiente a rendere inammissibile la domanda.
Peraltro il ricorrente non contesta che la verifica abbia riguardato l’indirizzo indicato nella domanda, ma che esso non coincida con quello di attuale residenza, che quindi sarebbe diverso da quello inizialmente indicato in occasione della richiesta.
6.1. Nessuna colpa tuttavia è imputabile all’amministrazione, essendo semmai onere del richiedente il permesso di soggiorno comunicare al Questore competente per territorio, entro i quindici giorni successivi, le eventuali variazioni del proprio domicilio abituale ai sensi dell’art. 6, comma 8, d.lgs. 286/98 e che ai sensi del comma 7 dell’articolo citato e dell’art. 15 del Regolamento di attuazione le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani sempre nel termine di 15 giorni.
7. Quanto alla dedotta omessa comunicazione di avvio del procedimento (peraltro contestata dalla Questura nella propria relazione del 29.8.2019), non inficia la legittimità del provvedimento finale, stante l’impossibilità di un apporto fattivo da parte dell’interessato anche in caso di partecipazione procedimentale.
Infatti l’art. 10 bis, della l. n. 241/1990 va interpretato alla luce del successivo art. 21 octies, comma 2, il quale impone al Giudice di non annullare formalisticamente l'atto, ma di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento alla luce del caso concreto.
A fronte degli elementi ostativi posti a base del provvedimento di diniego ed alla luce delle osservazioni contenute nel ricorso, la partecipazione del privato non avrebbe potuto condurre ad un esito diverso, in considerazione del principio della conservazione dei provvedimenti Amministrativi di cui al citato art. 21-octies, comma 2, della stessa legge n. 241/1990 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3458;Sez. II, 12 giugno 2017, n. 1394;Sez. I, n. 2666/2017 del 21 dicembre 2017).
8. In conclusione, il ricorso per le ragioni esposte deve essere respinto.
Le spese di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.