TAR Brescia, sez. II, sentenza 2012-06-05, n. 201201010

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Brescia, sez. II, sentenza 2012-06-05, n. 201201010
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Brescia
Numero : 201201010
Data del deposito : 5 giugno 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00469/2004 REG.RIC.

N. 01010/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00469/2004 REG.RIC.

N. 01266/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 469 del 2004, proposto da:
B L e Z B, Z A, Z D, Z D, Z G, Z G, Z L, Z M, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti G P e K P, con domicilio eletto presso G P in Brescia, via Solferino, 17;

contro

Comune di Cazzago San Martino, rappresentato e difeso dall'avv. M B, con domicilio eletto presso M B in Brescia, v.le Stazione, 37;

T M - Resp. Proc. Comune di Cazzago San Martino, non costituito in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 1266 del 2004, proposto da:
B L e Z B, Z A, Z D, Z D, Z G, Z G, Z L, Z M, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti G P e K P, con domicilio eletto presso G P in Brescia, via Solferino, 17;

contro

Comune di Cazzago San Martino, rappresentato e difeso dall'avv. M B, con domicilio eletto presso M B in Brescia, v.le Stazione, 37;

T M - Resp. Proc. Comune di Cazzago San Martino, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 469 del 2004:

- della deliberazione del consiglio comunale n. 88 del 29 novembre 1995 di approvazione del progetto preliminare per la realizzazione del centro sportivo comunale;

- della deliberazione del consiglio comunale n. 33 del 16 luglio 1997 di approvazione del piano economico finanziario per la realizzazione del nuovo centro sportivo comunale;

- della deliberazione della giunta comunale n. 292 del 1 luglio 1997 di approvazione del progetto definitivo per la realizzazione del centro sportivo comunale;

- della deliberazione della giunta comunale n. 293 del 1 luglio 1997 di approvazione del progetto esecutivo per la realizzazione del centro sportivo comunale;

- della deliberazione del consiglio comunale n. 7 del 19 febbraio 1999 di integrazione del piano particellare d’esproprio;

- della deliberazione della giunta comunale n. 78 del 12 aprile 1999 di approvazione dell’elenco delle ditte da espropriare e dichiarazione dei lavori di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità;

- della deliberazione della giunta comunale n. 79 del 12 aprile 1999 di autorizzazione all’occupazione d’urgenza e avvio del procedimento di espropriazione;

- dell’avviso di deposito atti ex art. 10 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, n. 306 del 9 gennaio 2004;

- della determinazione n. 2056 del 6 febbraio 2004 relativa alla perizia di stima dell’indennità di occupazione;

- della determinazione n. 2053 del 6 febbraio 2004 relativa alla determinazione dell’indennità provvisoria di espropriazione;

- di tutti gli atti presupposti e/o conseguenti;

nonché per la condanna del Comune

- al pagamento dell’indennità per la protrazione del vincolo oltre il quinquennio;

- al risarcimento del danno per occupazione senza titolo ed irreversibile destinazione dei beni, con interessi e svalutazione monetaria dall’occupazione al saldo;

quanto al ricorso n. 1266 del 2004:

- del decreto di esproprio n. 7287 del 5 maggio 2004, notificato il 6 maggio 2004, nonché di tutti gli atti presupposti come elencati con riferimento al ricorso che precede;

nonché per la condanna

del Comune al risarcimento del danno per occupazione senza titolo ed irreversibile ablazione dei beni dei quali trattasi con interessi e svalutazione monetaria dall’occupazione al saldo.

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cazzago San Martino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2012 la dott.ssa M B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I signori Zni e il signor B L espongono di essere rispettivamente proprietari dei mappali 285 i primi e 286 e 287 l’ultimo: realità, queste, interessate sin dal 1987 dalla realizzazione di un centro sportivo per la quale sono state adottate le deliberazioni del consiglio comunale n. 88 del 29 novembre 1995 e n. 25 del 3 dicembre 1996 e della giunta comunale n. 16841 del 26 luglio 1996, già censurate con i ricorsi sub R.G. 1489/96 e 1385/96, congiuntamente alla deliberazione n. 105/1996.

Nonostante il successivo annullamento in autotutela della deliberazione n. 105 del 12 marzo 1996, abrogata e sostituita dalle deliberazioni del Consiglio comunale n. 33 del 16 giugno 1997 e della Giunta comunale n. 292 dell’1 luglio 1997, il Comune avrebbe continuato a dare impulso al procedimento per la realizzazione dell’opera sulla scorta della deliberazione del consiglio comunale n. 88 del 29 novembre 1995.

Ciò adottando una serie di provvedimenti che non hanno mai avuto ad oggetto, però, le realità di proprietà dei ricorrenti come più sopra indicate.

Il 17 gennaio 2004, però, i proprietari hanno ricevuto comunicazione del fatto che con determinazione n. 2053 del 2004 è stata quantificata l’indennità di esproprio ad essi spettante per le realità in questione. In tale occasione i proprietari hanno, quindi, appreso che, con deliberazione del consiglio comunale n. 7 del 19 febbraio 1999 e della giunta comunale n. 78 del 12 aprile 1999, si era provveduto all’integrazione del piano particellare d’esproprio (includendovi i mappali 285, 286 e 287) e alla successiva approvazione del nuovo elenco delle ditte da espropriare, nonché al rinnovo della dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità, dando mandato al Sindaco per l’avvio del procedimento espropriativo entro il termine di tre anni.

Con la deliberazione della giunta comunale n. 79 del 12 aprile 1999, inoltre, era stato disposto di avviare il procedimento di occupazione d’urgenza (entro il termine di tre mesi) e autorizzato l’accesso ai fondi per la redazione dello stato di consistenza e del verbale di immissione.

Solo le determinazioni n. 2053 e 2056 del 2004, rispettivamente di determinazione dell’indennità di espropriazione e di occupazione, hanno però formato oggetto di notifica ai proprietari.

In particolare non è stato comunicato l’avviso relativo all’immissione in possesso che, in effetti, è avvenuta nel maggio 1998, come comprovato dal ricorso possessorio ex art. 703 c.p.c. esperito da alcuni dei proprietari, mentre la fine dei lavori si è avuta nel 2000.

Ciò premesso, i proprietari, dopo aver dato atto di concordare con la qualificazione urbanistica dell’area e aver precisato di ritenere che il valore da attribuirsi alla stessa debba essere almeno decuplicato, contestando a tal fine la circostanza secondo cui tali terreni sarebbero stati acquisiti al patrimonio stradale comunale sin dal 1971 (ragione per cui i mappali in questione non erano stati originariamente inseriti nel piano d’esproprio), negata anche dalla sentenza del Tribunale di Brescia n. 2062/02, passata in giudicato, hanno proposto il ricorso in esame deducendo:

a) nei confronti della deliberazione del consiglio comunale n. 88 del 29 novembre 1995 di approvazione del progetto preliminare per la realizzazione del centro sportivo comunale e della deliberazione della giunta comunale n. 293 del 1 luglio 1997 di approvazione del progetto esecutivo per la realizzazione del centro sportivo comunale, gli stessi vizi già dedotti con il ricorso sub R.G. 1329/97, quali violazione degli artt. 32 e 35 della legge 142/1990, violazione dell’art. 1 della legge 1/78 e degli artt. 50 e 51 della L.R. 70/83, violazione dell’art. 13 della legge 2359/1865, illegittimità per la violazione delle leggi di spesa e illegittimità per la violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90;

b) in relazione agli atti successivamente adottati:

b.

1. violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90 per mancata notificazione della comunicazione di avvio del procedimento preordinato all’inserimento delle particelle nel piano delle espropriazioni;

b.

2. violazione dell’art. 8 della legge n. 241/90 e degli artt. 7 e 71 della legge 2359/1865 e 3 della legge 1/78 per mancata notificazione della comunicazione relativa all’accesso ai fondi per la redazione dello stato di consistenza , peraltro, avvenuto dopo l’esecuzione dei lavori e non anche prima;

b. 3 eccesso di potere per falsa rappresentazione dei fatti e sviamento del potere. L’inserimento dei mappali nel piano delle espropriazioni è avvenuto solo a seguito della sentenza che ha ordinato la reintegra nel possesso in favore di Z A e, quindi, del tutto tardivamente, inficiando tutti gli atti successivi, preordinati a tentare di far apparire legittima una procedura tardiva;

b. 4 illegittimità per violazione del termine di inizio delle espropriazioni: esso avrebbe dovuto avvenire entro tre anni dalla pubblicazione del provvedimento di approvazione della variante al PRG, avvenuta il 14 novembre 1997 (delibera della GR 6/32426). Nella deliberazione n. 78 del 1999 tale termine sarebbe stato prorogato di altri tre anni, ma senza alcuna motivazione del provvedimento, con la conseguenza che l’inizio delle espropriazioni, avvenuto con la pubblicazione del 9 gennaio 2004 sarebbe da considerarsi del tutto illegittimo.

Parte ricorrente ha, quindi, fatto valere la pretesa della corresponsione dell’indennizzo per la reiterazione del vincolo espropriativo sin dal 1987, nonché chiesto il risarcimento del danno per l’illegittima occupazione e la conseguente realizzazione dell’opera, in misura pari ad Euro 88 al mq, oltre ad interessi e rivalutazione dal 1998 al saldo. A tale proposito è stata fatta un’ampia dissertazione sulla rilevanza delle dichiarazioni ICI presentate dai proprietari in ordine alla quantificazione del risarcimento del danno sulla scorta dei valori in esse dichiarati.

Il Comune, costituitosi in giudizio, ha precisato, con riferimento al ricorso sub 469/2004, che i ricorsi presentati da alcuni degli odierni ricorrenti sub R.G. 1329/97 e 105/98 sono stati decisi con sentenze passate in giudicato rispettivamente n. 741 del 18 maggio 2011 e n. 113 del 28 gennaio 2012 e che i terreni interessati dalla realizzazione dell’opera sono stati espropriati con decreto 5/99, fatta esclusione dei mappali 285, 286 e 287 che il Comune riteneva essere di sua proprietà in quanto utilizzati come strada o rampe stradali. In particolare, rispetto ai 38 mq del mappale 285, il Comune riteneva di essere titolare del diritto di proprietà in ragione di un contratto preliminare di cessione sottoscritto dal sig. Angelo Zni in occasione dell’allargamento stradale del 1971, che, però non ha mai condotto alla stipulazione del contratto definitivo. In ragione di ciò e per ragioni analoghe, a seguito della sentenza del Pretore che ha ordinato la reintegrazione dei proprietari del mappale 285 nel possesso del medesimo, il Comune ha avviato il procedimento di esproprio anche dei mappali 286 e 287, oltre al 285, ancorché già incorporati nella strada denominata via della Pace sin dal 1971.

Nel merito del ricorso, il Comune ha, rispetto alle censure riferite alle deliberazioni n. 88 del 29 novembre 1995 e alla deliberazione della giunta comunale n. 293 del 1 luglio 1997 di approvazione del progetto esecutivo, richiamato le eccezioni già formulate nell’ambito del giudizio che ha condotto alla sentenza di questo Tribunale n. 741/11.

Con riferimento alle doglianze successive, il Comune ha evidenziato l’irrilevanza della mancata comunicazione di avvio del procedimento di acquisizione di aree già destinate ad uso pubblico (strada) da più di trent’anni, nonché la regolarità del procedimento seguito per l’acquisizione delle aree, passato attraverso la redazione dello stato di consistenza prima di dare attuazione all’occupazione d’urgenza. Irrilevante sarebbe, inoltre, il superamento dei termini iniziali delle espropriazioni, di natura ordinatoria.

Rispetto alle domande risarcitorie, parte resistente eccepisce l’inammissibilità della richiesta di indennizzo per la reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio, sia per la mancata impugnazione del provvedimento con cui la reiterazione è intervenuta, sia per la giurisdizione del giudice ordinario rispetto al riconoscimento di tale somma. Rispetto alla pretesa illegittima occupazione, il Comune oltre a negarla sostiene che la strada è sempre stata utilizzata come tale, ma soprattutto che ogni domanda deve ritenersi prescritta e in ogni caso il risarcimento non potrebbe essere superiore agli 11,41 Euro al mq proposti dal Comune nel caso di cessione bonaria.

Parte ricorrente ha rinunciato, quindi, ai motivi di ricorso da 1 a 5, in ragione della sentenza di questo Tribunale che ha respinto l’impugnazione nei confronti delle deliberazioni del consiglio comunale n. 88 del 29 novembre 1995 e delle deliberazioni della giunta comunale n. 292 e 293 del 1 luglio 1997 di approvazione del progetto definitivo ed esecutivo per la realizzazione del centro sportivo comunale, insistendo, invece, per l’annullamento degli altri atti e per un risarcimento del danno quantificato, sulla scorta di una nuova perizia di parte, in 190,31 Euro/mq.

Al fine dell’accoglimento della domanda caducatoria, parte ricorrente ha sottolineato come la pubblicità data dal Comune alla deliberazione del consiglio comunale n. 7 del 19 febbraio 1999 non avrebbe potuto sostituire la necessaria comunicazione personale, come la proroga del termine per l’inizio dei lavori sia avvenuta in carenza di motivazione e come sussisterebbe la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla cognizione della legittimità dei provvedimenti impugnati, nonché al risarcimento del danno per l’illegittima occupazione.

Nelle more, il 5 maggio 2004, il Comune ha pronunciato l’espropriazione dei terreni in questione e anche tale provvedimento ha formato oggetto di ricorso, nel quale sono state dedotte, ancora una volta le cinque censure già indicate con riferimento all’approvazione del progetto, nonché le ulteriori quattro doglianze (da b.1 a b.4) rivolte contro gli ulteriori atti impugnati con il ricorso sub R.G. 469/2004 ed, infine, unico vizio proprio, l’illegittimità del decreto d’esproprio per mancata determinazione dell’indennità in via provvisoria o urgente e conseguente violazione dell’art. 23 del d. lgs. 325/2001 ( rectius 327/2001).

Anche con l’ulteriore ricorso, dunque, sono state riproposte le già viste considerazioni in ordine al risarcimento del danno per la reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio e al risarcimento del danno per l’occupazione illegittima delle aree.

Il Comune ha, conseguentemente, esplicato difese in tutto analoghe a quelle di cui si è dato conto con riferimento al ricorso che precede e parte ricorrente vi ha opposto identiche repliche.

Alla pubblica udienza del 23 maggio 2012 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi in epigrafe indicati, attesa la evidente connessione oggettiva (trattasi di ricorsi avverso atti tra di loro in rapporto consequenziale) e soggettiva, che ne rende opportuna la trattazione congiunta.

Ciò premesso, ancora in rito, deve essere dato atto della rinuncia all’impugnazione della deliberazione del consiglio comunale n. 88 del 29 novembre 1995 e delle deliberazioni della giunta comunale n. 292 e 293 del 1 luglio 1997 da parte dei ricorrenti, così da evitare la dichiarazione di inammissibilità per violazione del principio del ne bis in idem . Come dagli stessi ricorrenti precisato, infatti, tali provvedimenti hanno già formato oggetto di pronuncia di questo Tribunale (si vedano le sentenze 113/2002 e 741/11).

Per la restante parte, il ricorso si snoda attraverso alternativi ed altalenanti riferimenti a profili che presupporrebbero l’esistenza di una valida procedura espropriativa ed altri che sembrerebbero ipotizzare e far valere un’ipotesi di occupazione abusiva, così confusamente esposti che la declaratoria di nullità del ricorso stesso per incertezza assoluta dell’oggetto della domanda, ai sensi dell’art. 44 del c.p.a., può essere evitata solo attraverso uno sforzo di interpretazione degli scritti – da parte del collegio – così penetrante, da collocarlo ai limiti della doverosità..

Al fine di valutare la fondatezza del ricorso bisogna, in primo luogo dare conto del fatto che i proprietari sono stati puntualmente informati dell’avvenuto avvio del procedimento espropriativo, essendo stata portata a loro conoscenza l’avvenuto deposito degli atti relativi all’avvio del procedimento di espropriazione (avviso n. 307 del 9 gennaio 2004).

La loro partecipazione è stata omessa, dunque, solo con riferimento all’adozione degli atti prodromici, relativi all’adeguamento del piano particellare d’esproprio.

Invero i proprietari avrebbero avuto ben donde di lamentarsi della partecipazione a loro preclusa se l’Amministrazione avesse, in tale occasione, modificato il progetto dell’opera.

È pur vero, a tale proposito, che, in linea di principio, la modificazione dell’elaborato rappresentato dal piano particellare d’esproprio equivale ad una modifica progettuale e, quindi, richiederebbe il coinvolgimento dei proprietari che ne risultino colpiti. Nel caso di specie, la modifica è stata imposta dalla necessità di rimediare ad un errore materiale in cui il Comune è incorso laddove - preso atto della situazione di fatto per cui i mappali 285, 286 e 287 risultavano derivare dal frazionamento delle più ampie proprietà private oggetto di espropriazione totale per la realizzazione del centro sportivo, erano in concreto destinati a strada ed opere accessorie e risultavano essere stati oggetto di atti preordinati alla traslazione della proprietà a seguito della realizzazione, nel 1971, della strada denominata via della Pace – ha inteso porre rimedio alla mancata indicazione dei suddetti mappali tra le proprietà da espropriare in quanto, sebbene formanti oggetto del progetto fin dalla sua prima adozione, erano erroneamente state ritenute di proprietà del Comune.

Ne discende che non di una vera e propria modifica progettuale, ma di una necessaria correzione di errore si è trattato, così giustificando l’omessa comunicazione di avvio di un procedimento preordinato all’approvazione di un provvedimento (il progetto) già ben conosciuto (ed anche censurato) dai proprietari interessati.

Del resto non può non trovare applicazione nel caso di specie, il principio elaborato dalla giurisprudenza, secondo cui il ricorrente che lamenti la mancata comunicazione di avvio del procedimento, non può limitarsi a dedurre la medesima, ma deve anche indicare quali ragioni di fatto e di diritto avrebbe potuto rappresentare all’Amministrazione al fine di ottenerne la valutazione in sede di adozione dell’atto finale. Solo in tal caso scatterebbe l’obbligo per la pubblica amministrazione di dimostrare che il provvedimento adottato non avrebbe comunque potuto avere un contenuto diverso, condizione per escludere l’eventuale annullamento del provvedimento viziato (tra le tante, TAR Piemonte, 26 marzo 2010, n. 1602, Cons. Stato, VI, 29 luglio 2008, n. 3786).

Conseguentemente, l’operare del principio di conservazione, attesa la mancata dimostrazione in concreto di quali ragioni avrebbero potuto essere rappresentate, esclude, ai sensi dell’art. 21 octies della legge 241/90 la rilevanza della mancata comunicazione di avvio del procedimento rispetto all’adozione del nuovo piano particellare d’esproprio.

Ciò conduce al rigetto della prima doglianza, ma anche della seconda, atteso che la comunicazione relativa all’autorizzazione all’avvio del procedimento di occupazione e all’accesso ai fondi è intervenuta comunque prima degli atti in concreto lesivi (e cioè il decreto di occupazione e l’accesso ai fondi per l’immissione in possesso).

Né nessun vizio può essere fatto discendere, come vorrebbe, invece, la terza censura, dal fatto che i mappali in questione hanno formato oggetto di espropriazione solo dopo l’intervenuta sentenza che ha reintegrato nel possesso di 38 mq del mappale n. 285 la sig.ra Zni.

Dalla documentazione in atti sembra possibile ricavare che tale superficie è l’unica che non aveva formato oggetto di inglobamento nella strada denominata via della Pace sin dal 1971, rappresentando una rampa.

Assume particolare rilievo, dunque, il fatto che tutte le altre superfici erano già destinate a strada sin dal 1971, circostanza, questa, che non è mai stata contestata, in punto di fatto, da parte ricorrente che, del resto, non ha mai, prima dell’avvio del procedimento che può definirsi “sanante”, contestato la legittimità degli atti di esproprio che non includevano i mappali in questione, benché di fatto utilizzati. Il silenzio risulta giustificato dalla piena coscienza del fatto che la superficie staccata dai mappali di proprietà, di cui era previsto l’esproprio per intero, era già stata destinata ad uso pubblico a seguito della realizzazione della strada nel 1971 ed è la ragione per la quale il Comune è incorso nell’errore di ritenere di propria proprietà le superfici in questione, fino alla proposizione del ricorso possessorio e alla sua conclusione con esito favorevole alla sig.ra Zni.

Solo a quel punto si sono potute ritenere sussistere le condizioni necessarie per procedere a correggere, nel modo più immediato e radicale, ma anche sattisfattivo degli interessi della proprietà, e cioè attraverso l’estensione della procedura espropriativa anche ad essi.

In alternativa il Comune avrebbe potuto procedere ad ottenere in via coattiva la stipulazione del contratto definitivo conseguente all’accordo preliminarmente raggiunto con le parti ovvero percorrere la via dell’accertamento dell’intervenuta usucapione.

Per quanto attiene alla pretesa violazione del termine di inizio delle espropriazioni come già chiarito nella sentenza di questo Tribunale 741/2011, l’efficacia della deliberazione di approvazione del progetto che comporti variazione dello strumento urbanistico è subordinata alla pubblicazione della deliberazione della giunta regionale di approvazione della stessa. Nel caso di specie, dunque, il provvedimento regionale che rappresenta la condizione di efficacia è stato pubblicato il 10 dicembre 1997 ed è da tale data, dunque, che deve ritenersi decorrere il termine di inizio delle espropriazioni. Peraltro tale termine deve ritenersi valido per le sole particelle fondiarie inserite nel piano delle espropriazioni dichiarato di pubblica utilità. Per quanto riguarda i mappali n. 285, 286 e 287, che non erano inclusi in quel primo piano particellare, la dichiarazione di pubblica utilità è intervenuta solo con la deliberazione della giunta comunale n. 78 del 2004 che, dunque, non rappresenta affatto una proroga dell’originario termine, ma il provvedimento con cui, con specifico riferimento a tali aree, i termini della dichiarazione di pubblica utilità sono stati per la prima volta fissati.

Pertanto, delle due l’una: o, come sostenuto da parte ricorrente al fine di qualificare come tardivo l’avvio del procedimento espropriativo, anche le realità in questione erano previste dal progetto iniziale ed allora la loro mancata inclusione negli atti relativi al primo procedimento espropriativo determinerebbe l’inammissibilità per tardività di tutte le relative censure o la dichiarazione è avvenuta ex novo nel 1999 ed allora i successivi atti sono rispettosi dei termini fissati. Deve, pertanto, essere rigettata la quarta censura dedotta nel ricorso sub R.G. 469 e così l’intero ricorso, in quanto nessuno dei vizi dedotti inficia la legittimità dei provvedimenti impugnati che, quindi, non sono suscettibili di annullamento, con conseguente rigetto anche della domanda risarcitoria relativa alla pretesa illegittima perdita della proprietà, esclusa dal rigetto anche del secondo ricorso, avente ad oggetto il successivo decreto di esproprio.

Infatti, per quanto già precedentemente chiarito, tutte le doglianze perfettamente coincidenti con quelle dedotte nel ricorso che precede non possono che essere parimenti rigettate, con riferimento all’unico vizio proprio del decreto di esproprio emanato il 5 maggio 2004, dedotto nel successivo ricorso 1266/04, si può rilevare, invece, dalle premesse del provvedimento stesso, come le prescrizioni normative siano state rispettate, quantomeno con riferimento alla fase della quantificazione dell’indennità. In esse si legge, infatti, che con provvedimento n. 2053 del 6 febbraio 2004 è stata determinata l’indennità provvisoria di espropriazione, che essa non è stata accettata e conseguentemente è stata depositata presso la Cassa depositi e prestiti. Ne risulta il pieno rispetto del procedimento delineato dall’art. 23 del DPR 327/2001, il cui primo comma, alla lettera c) prevede espressamente che il decreto di esproprio indichi “quale sia l’indennità determinata in via provvisoria o urgente e precisa se essa sia stata accettata dal proprietario o successivamente corrisposta, ovvero se essa sia stata depositata presso la Cassa depositi e prestiti”.

Ne deriva il rigetto della domanda di annullamento del decreto di esproprio sulla scorta del quale deve ritenersi, dunque, essere intervenuto il trasferimento della proprietà, con conseguente esclusione del risarcimento per la perdita del diritto.

Ciò comporta, peraltro, per completezza degli effetti della pronuncia, il diritto dei proprietari ad ottenere, se non già avvenuta, la liquidazione dell’indennità di espropriazione, nella misura quantificata con determinazione n. 2053 del 6 febbraio 2004, ovvero in quella maggiore eventualmente determinata dalla Commissione provinciale per le espropriazioni o dalla Corte d’Appello (unico giudice competente a conoscere della sua esatta quantificazione), se i proprietari hanno tempestivamente proposto l’opposizione alla stima.

Per quanto attiene all’indennità di occupazione, nelle premesse della relazione di stima allegata alla determinazione n. 2056 del 6 febbraio 2004, si precisa che il terreno oggetto di apprensione è “da oltre trent’anni incorporato nella sede stradale comunale denominata via della Pace in parte coincidente con la scarpata stradale e in parte occupato dalla sede stradale. ….Le aree private occupate per la realizzazione dell’ampliamento, comprese quelle in esame, (trattasi delle opere realizzate tra il 1969 e il 1971 e collaudate il 21 giugno 1972, n.d.r.), sono state acquistate dal Comune di Cazzago S.M. con deliberazione del consiglio comunale n. 30 in data 8 febbraio 1974. L’atto ufficiale di cessione non è stato stipulato”.

Tale ricostruzione di fatto può essere ritenuta corrispondente alla realtà non solo in ragione delle plurime conferme contenute negli atti di causa, ma anche del fatto che parte ricorrente non ne ha mai contestato la veridicità.

Ciò posto, dal 5 maggio 2004 il terreno risulta essere stato trasferito nella piena titolarità giuridica del Comune, con conseguente cessazione di ogni eventuale situazione di occupazione e dell’obbligo di corrispondere qualsiasi corrispettivo per la materiale disponibilità dei terreni.

Secondo quanto affermato nel provvedimento con cui è stata determinata l’indennità di espropriazione, l’immissione in possesso dei terreni per la realizzazione del nuovo centro sportivo è avvenuta il 28 maggio 1999. Si può, quindi, ritenere legittima la pretesa di parte ricorrente ad ottenere la liquidazione di una somma a fronte della mancanza di disponibilità dei terreni per il periodo intercorrente tra quest’ultima data e il 5 maggio 2004 (complessivamente, dunque, per cinque anni, dal momento che la frazione del mese di maggio deve essere computata completamente).

Tale somma può essere quantificata in misura pari a quella risultante dalla relazione di stima allegata alla determinazione n. 2056 del 6 febbraio 2004, atteso che parte ricorrente non ha fornito alcun principio di prova di aver subito un danno diverso e maggiore, peraltro difficilmente ipotizzabile rispetto ad un’area già destinata ad uso pubblico da trent’anni ed inserita nell’ambito di un compendio urbanisticamente destinato alla realizzazione di strutture di interesse pubblico.

Ciò comporterà, dunque, la liquidazione, a favore degli odierni ricorrenti (in quota parte corrispondente alla proprietà da essi vantata), di un indennizzo pari all’interesse legale fissato per ciascun anno di riferimento, per l’intero periodo dal 1999 al 2004 (e quindi per cinque anni), da applicarsi sul valore venale dei terreni determinato moltiplicando il valore a mq di 20,66 Euro per la superficie occupata di ciascuno dei mappali 285, 286 e 287.

Per il periodo anteriore al 28 maggio 1999 non può non ritenersi operante l’eccepita, da parte del Comune, prescrizione del credito.

Anche recentemente, infatti, il Consiglio di Stato, nella sentenza della sezione IV, 2 dicembre 2011, n. 6375, ha avuto modo di chiarire come, con riferimento al risarcimento dei danni derivanti da illegittima occupazione, il dies a quo delle prescrizione - non potendo coincidere con l’irreversibile trasformazione dell’immobile, che non ha più alcuna rilevanza a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 42 bis, che esclude il configurarsi di una fattispecie di danno istantaneo in corrispondenza di una tale situazione di fatto - deve necessariamente decorrere da ogni momento dell’occupazione, che genera un danno permanente. Ne consegue che solo gli ultimi cinque anni di occupazione non coperta da un titolo legittimante possono essere oggetto di risarcimento: nel caso di specie, dunque, gli ultimi cinque anni antecedenti il decreto d’esproprio, esattamente coincidenti con il periodo individuato dal Comune come suscettibile di indennizzo.

Non sussistono, invece, i presupposti per il riconoscimento dell’indennizzo per la reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio, in quanto tale vizio risulta essere tardivamente dedotto nei ricorsi in esame: esso avrebbe dovuto essere proposto nell’ambito dei giudizi aventi ad oggetto la deliberazione di approvazione del progetto, già conclusisi con sentenza di rigetto, che ha accertato la legittimità dei medesimi.

A maggior ragione laddove si consideri che, nel caso di specie, la destinazione impressa dal piano regolatore ai fondi in questione risulta essere attuata da oltre trenta anni, essendo stati gli stessi destinati a strada sin dal 1971. Il procedimento espropriativo di cui è causa, dunque, non era preordinato alla realizzazione di una destinazione urbanistica, ma alla mera regolarizzazione di una, ormai risalente, situazione di fatto conforme allo strumento urbanistico.

Le spese del giudizio possono trovare parziale compensazione tra le parti in causa, atteso l’esito complessivo della controversia.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi