TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2022-11-17, n. 202207112
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Testo completo
Pubblicato il 17/11/2022
N. 07112/2022 REG.PROV.COLL.
N. 04503/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4503 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Capri, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato S R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
per quanto riguarda il ricorso introduttivo, a) - del provvedimento del 17 agosto 2020, prot. n. 10104, del Dirigente del Settore Tecnico del comune di Capri, dell'ordinanza n. 108 del 22 maggio 2019, mai notificata, con la quale è stata disposta l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 20 del 5 ottobre 2020, e di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale, comunque lesivo della posizione soggettiva del ricorrente;
per quanto riguarda i primi motivi aggiunti, della nota 8699 del 27 aprile 2021;
per quanto riguarda i secondi motivi aggiunti, l’ordinanza di acquisizione 108 del 22 maggio 2019.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Capri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2022 il dott. Davide Soricelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorso all’esame si riferisce a una ormai annosa vicenda che può essere sintetizzata nel modo seguente.
Il ricorrente è proprietario in Capri di un compendio immobiliare in via -OMISSIS-.
Nel corso del tempo in tale compendio erano acclarati vari abusi edilizi che il comune di Capri sanzionava man mano che essi erano accertati;in relazione a tali abusi il ricorrente presentava varie istanze di sanatoria che il comune respingeva (per la cronistoria analitica della vicenda e la descrizione degli abusi si veda la sentenza n. 5550 del 18 agosto 2021 della sezione).
Si giungeva alla fine della vicenda alla emanazione della ingiunzione a demolire n. 120 del 5 ottobre 2018 con cui il comune ordinava la demolizione delle svariate opere abusive che nel corso del tempo erano state realizzate e via via trasformate e ampliate.
Contro quest’ultimo provvedimento il ricorrente presentava ricorso giurisdizionale innanzi a questa sezione che era respinto con la sentenza n. 5550 del 2021 sopra citata.
Contro questa sentenza è stato quindi proposto appello al Consiglio di Stato, pendente.
Con il ricorso principale, notificato il 27 ottobre 2020 e depositato il 19 novembre 2020, il ricorrente impugna il provvedimento del 17 agosto 2020 del Dirigente del settore tecnico comunale, recante il prot. n. 10104;tale provvedimento, nel presupposto dell'ordinanza n. 108 del 22 maggio 2019 di acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive di cui all’ingiunzione di demolizione n. 20 del 5 ottobre 2018 (provvedimento di acquisizione che il ricorrente sostiene non essergli mai stato notificato) diffida il ricorrente “ ad osservare e rispettare il diritto di proprietà del Comune ” e a corrispondere a quest’ultimo, a titolo di indennità di occupazione e con decorrenza dal 22 maggio 2019, l’importo mensile di € 5.396,10;il ricorrente impugna altresì l’ordinanza di acquisizione del 22 maggio 2019, sostenendo, come già accennato, di non averne mai avuto conoscenza non essendogli stata notificata, e gli ulteriori atti presupposti.
Contro il provvedimento di acquisizione, il ricorrente denuncia anzitutto il vizio di violazione dell’articolo 31 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;in pratica il ricorrente sostiene che risulti violata la sequenza procedimentale prevista dalle disposizioni dell’articolo che prescrivono che – una volta decorsi i 90 giorni per la esecuzione dell’ordine di demolizione – sia accertata l’inottemperanza a opera dell’organo competente;la tesi del ricorrente è che a tal fine non sarebbe sufficiente il semplice verbale di acclaramento dell’inottemperanza redatto e sottoscritto dagli agenti di polizia municipale occorrendo invece un “ formale atto di accertamento ” redatto e sottoscritto dall’organo titolare della competenza provvedimentale (che faccia propri gli esiti della verifica eseguita dagli agenti della polizia municipale e individui esattamente le opere oggetto di acquisizione con particolare riguardo alle cd. pertinenze urbanistiche). In pratica la tesi del ricorrente è che la corretta sequenza procedimentale sia la seguente: 1) emanazione del provvedimento di demolizione e sua notifica all’interessato;2) formale accertamento dell'inottemperanza all’ingiunzione di demolizione da parte dell’organo competente;3) notifica all’interessato dell’eseguito accertamento dell’inottemperanza;4) trascrizione nei registri immobiliari del titolo di acquisizione dell’immobile e degli estremi sostanziali e catastali individuanti l’immobile.
Nella fattispecie difetterebbe l’atto di accertamento formale dell’inottemperanza (primo motivo).
Il ricorrente con il secondo motivo denuncia inoltre che l’acquisizione è illegittima in quanto: a) avrebbe a oggetto opere abusive della cui realizzazione egli non sarebbe responsabile non avendo concorso alla loro realizzazione né materialmente né moralmente;b) l’inottemperanza all’ordine di demolizione non è comunque volontaria;la tesi esposta in ricorso è che, essendo le opere abusive sottoposte a sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p., l’ordine di demolizione sarebbe stato ineseguibile con conseguente impossibilità di applicazione, per difetto dell’elemento della volontarietà, della sanzione della acquisizione.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’illegittimità dell’acquisizione per violazione del cd. ordine cronologico nella trattazione delle pratiche;la tesi del ricorrente è che in base ai principi di trasparenza e imparzialità e dello specifico disposto del D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, il Dirigente del settore tecnico dovrebbe (avrebbe dovuto) applicare le sanzioni per le violazioni edilizie secondo l’ordine cronologico mentre non risulta che egli abbia adottato alcuna sanzione per le “innumerevoli” ordinanze di demolizione adottate e rimaste inottemperate.
I vizi del provvedimento di acquisizione comportano in via di illegittimità derivata l’illegittimità del provvedimento del 17 agosto 2020 (di ingiunzione al pagamento dell’indennità di occupazione) che è comunque illegittimo anche per vizi propri e specificamente: a) per incompetenza, dato che, implicando il provvedimento l’applicazione di una sanzione economica, la relativa competenza sarebbe spettata al responsabile dell’ufficio di ragioneria;b) per violazione dell’articolo 31, comma 5, D.P.R. n. 380 sotto diverso profilo;evidenzia il ricorrente che il comma 5 citato dispone che “ l'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico ”;nella fattispecie la decisione in ordine alla conservazione delle opere e della loro “ concessione ” in uso oneroso non sarebbe stata giustificata nei modi previsti dalla legge.
Con successivi motivi aggiunti, notificati il 9 luglio e depositati il 30 luglio 2021, il ricorrente impugnava la nota prot. n. 8699 del 27 aprile 2021 con la quale il responsabile del Servizio Urbanistica comunale – nel presupposto della mancata demolizione o regolarizzazione delle opere abusive e della loro illecita occupazione – invitava il ricorrente a “ definire ogni somma a titolo di occupazione permanente abusiva ” nel termine di 10 giorni minacciando in caso contrario azioni per il recupero delle somme dovute.
Il ricorrente denunciava il vizio di illegittimità derivata riproponendo le medesime censure contenute nel ricorso principale.
Il comune si costituiva in giudizio per resistere al ricorso e ai motivi aggiunti.
La trattazione del ricorso era quindi fissata alla udienza pubblica del 10 maggio 2022 per essere quindi rinviata alla udienza pubblica del 13 luglio 2022 per garantire il rispetto dei termini a difesa avendo il ricorrente depositato una memoria notificata al comune di Capri che – oltre a ribadire e integrare i motivi contenuti nel ricorso principale - recava censure non contenute nel ricorso né nei motivi aggiunti.
Con tale memoria il ricorrente, “ ad ulteriore integrazione dei motivi posti a base della impugnativa proposta ” denunciava: 1) la nullità radicale ex articolo 21- septies della legge 7 agosto 1991, n. 241 del provvedimento di acquisizione;la tesi del ricorrente è che, essendo state le opere abusive sottoposte a sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p. in data 26 luglio 2019 (sequestro poi convalidato dal g.i.p. presso il Tribunale di Napoli), egli si trovava nella impossibilità giuridica di eseguire l’ordine di demolizione;ciò determinerebbe non la semplice illegittimità di quest’ultimo provvedimento ma la nullità radicale come affermato di recente dal Consiglio di Stato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 16 aprile 2020, n. 2431) e dallo stesso tribunale adito (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 12 maggio 2021, n. 3154);2) il difetto dei presupposti per l’acquisizione;sul punto il ricorrente sostiene che il provvedimento di acquisizione non sarebbe mai stato adottato e quindi sarebbe addirittura inesistente;ove poi risultasse l’esistenza di un provvedimento di acquisizione, l’effetto di acquisizione delle opere alla mano pubblica non si sarebbe comunque verificato perché delle opere in questione sarebbe proprietaria anche la signora -OMISSIS-nei cui confronti non è stato adottato alcun provvedimento (a partire dallo stesso ordine di demolizione che è stato rivolto al solo ricorrente);3) ribadiva le proprie argomentazioni in punto di illegittimità della pretesa di pagamento dell’indennità di occupazione.
Infine il ricorrente, nel presupposto del deposito in giudizio il 30 maggio 2022 dell’atto di acquisizione da parte del comune, notificava e depositava il 5 luglio 2022 i secondi motivi aggiunti (che reiterano censure già in precedenza proposte) con cui impugnava l’atto di acquisizione denunciandone l’illegittimità per difetto di presupposti e violazione dell’articolo 31 D.P.R. n. 380 a causa del mancata notificazione dell’ingiunzione alla demolizione alla propria moglie, comproprietaria delle opere e soggetto completamente estranea agli abusi contestati (nei cui confronti quindi non sarebbe possibile né consentita l’applicazione di qualsivoglia sanzione). Egli ha quindi ribadito le proprie argomentazioni – già contenute nel ricorso principale e nei primi motivi aggiunti - in punto di violazione della sequenza procedimentale dell’articolo 31 e di mancata individuazione delle cd. pertinenze urbanistiche da acquisire.
A seguito del deposito dei secondi motivi aggiunti la trattazione del ricorso era rinviata alla udienza pubblica del 8 novembre 2022.
Al fine di comprendere le ragioni della decisione è opportuno premettere in fatto che:
a) l’ordinanza di demolizione n. 120 del 5 ottobre 2018 è stata notificata al ricorrente in data 10 ottobre 2018;
b) in data 10 maggio 2019 era eseguito un sopralluogo (da un addetto all’ufficio lavori pubblici, demanio e protezione civile e da un agente di polizia municipale) che acclarava l’inottemperanza all’ordine di demolizione;la relativa relazione di sopralluogo era notificata al ricorrente il 28 maggio 2019;
c) nel frattempo il 22 maggio 2019 era stato adottato dal Responsabile del Settore edilizia privata il provvedimento n. 108 con cui, nel presupposto dell’acclarata inottemperanza all’ordine di demolizione, era dichiarata l’acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive ai fini della loro successiva demolizione ai sensi dell’articolo 31, comma 5 D.P.R. n. 380;non risulta che questo provvedimento sia stato comunicato al ricorrente;
d) seguiva il 17 agosto 2020 il provvedimento, notificato al ricorrente il 21 agosto 2020, impugnato a mezzo del ricorso principale con il quale il Responsabile del servizio edilizia privata, nel presupposto dell’avvenuta acquisizione, diffidava il ricorrente al pagamento dell’indennità di occupazione delle opere abusive con decorrenza dal 22 maggio 2019;
e) non avendo il ricorrente dato seguito alla diffida seguiva in data 27 aprile 2021 un sollecito del comune, impugnato a mezzo dei motivi aggiunti.
Il ricorso e i motivi aggiunti sono in parte infondati e in parte inammissibili per difetto di giurisdizione.
E infatti è anzitutto privo di fondamento l’assunto del ricorrente secondo cui il provvedimento di acquisizione non esisterebbe, dato che questo provvedimento è stato depositato in giudizio dal comune.
Piuttosto – poiché questo provvedimento reca la data del 22 maggio 2019 e il ricorso è stato notificato il 27 ottobre 2020 – il problema che potrebbe porsi è quello della tempestività della sua impugnazione. Senonchè dalla documentazione depositata dal comune non risulta che questo provvedimento sia mai stato comunicato al ricorrente, dato che la notifica documentata dal comune – eseguita in data 28 maggio 2019 (quindi dopo la data del provvedimento) – risulta riferirsi alla sola relazione di sopralluogo acclarante l’inottemperanza e non anche all’atto di acquisizione che nelle more era stato adottato. In effetti appare sorprendente che la notifica del 28 maggio 2019 non avesse a oggetto anche l’atto di acquisizione ma dalla documentazione depositata dal comune la notifica risulta formalmente riferita alla relazione di sopralluogo e non vi sono elementi che lascino intendere che insieme alla relazione sia stato comunicato anche l’atto di acquisizione. Deve dunque presumersi che dell’esistenza dell’atto di acquisizione il ricorrente sia venuto a conoscenza solo a seguito della notifica della diffida a corrispondere l’indennità di occupazione il successivo 21 agosto 2020 e quindi l’impugnazione di tale atto è tempestiva.
Premesso quindi che l’atto di acquisizione esiste e che esso non è stato notificato al ricorrente (che è quindi venuto a conoscenza della sua esistenza solo dalla diffida a corrispondere l’indennità di occupazione), possono esaminarsi le censure proposte contro tale atto.
Come accennato il ricorrente lamenta che sia stata violata la scansione procedimentale dell’articolo 31 D.P.R. n. 380 che presupporrebbe un atto di accertamento dell’inottemperanza a opera dell’organo competente;nella fattispecie il ricorrente sostiene che tale atto di formale accertamento difetterebbe.
Ritiene il Collegio che nella fattispecie la scansione procedimentale dell’articolo 31 sia stata invece rispettata dato che: a) è stato eseguito un preventivo sopralluogo che ha verificato la mancata esecuzione dell’ordinanza di demolizione;b) le risultanze di tale sopralluogo, eseguito da personale del comune, sono state comunicate al Responsabile del servizio edilizia privata;c) quest’ultimo, nel loro presupposto, ha dichiarato (ma più correttamente occorrerebbe dire che ha preso atto del) l’avvenuto effetto acquisitivo delle opere abusive al patrimonio del comune.
In pratica nella fattispecie il comune ha prima verificato se le opere abusive di cui aveva ingiunto la demolizione fossero state o meno demolite e – va incidentalmente osservato – non occorre che tale verifica sia eseguita dal responsabile dell’ufficio, come pare sostenere il ricorrente, dato che si tratta di mero acclaramento di un fatto storico che può essere affidato senz’altro (e nella prassi così avviene) a personale addetto agli uffici o alla polizia municipale;del resto i verbali di sopralluogo così eseguiti costituiscono atti pubblici;verificato che l’ordine di demolizione non era stato eseguito, il Responsabile dell’ufficio ha adottato l’atto di acquisizione che altro non è se non l’atto di formale accertamento di cui parla il ricorrente che dichiara l’avvenuto effetto acquisitivo (dato che quest’ultimo si verifica automaticamente alla scadenza del termine di 90 giorni che l’articolo 31 D.P.R. n. 380 fissa per l’esecuzione dell’ingiunzione alla demolizione). Nella fattispecie il Responsabile del servizio edilizia privata ha dichiarato l’acquisizione delle sole opere abusive e della relativa area di sedime e quindi non ha esteso l’acquisizione a aree ulteriori;sono quindi ultronee le censure basate sul richiamo della giurisprudenza che afferma la necessità della puntuale giustificazione da parte dell’atto di acquisizione dell’acquisizione dell’area necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive.
L’unica deviazione dal modello legale riscontrabile nella fattispecie è costituita dalla mancata notifica dell’atto di acquisizione al ricorrente ma nello schema dell’articolo 31 la notifica – che è riferita “ all’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire ” e il verbale di accertamento dell’inottemperanza è stato invece incontestatamente notificato al ricorrente - attiene al profilo dell’efficacia e costituisce il presupposto per l’immissione in possesso e la trascrizione dell’acquisto nei registri immobiliari, questioni che nella fattispecie non si pongono, dato che non risulta né l’una né l’altra.
Anche le ulteriori censure rivolte avverso l’atto di acquisizione non possono essere accolte.
Come accennato il ricorrente sostiene che l’acquisizione sarebbe priva di presupposti in quanto egli non sarebbe l’autore delle opere abusive (cioè il “ responsabile dell’abuso ”);questa censura è inammissibile dato che essa si riferisce in realtà all’ordine di demolizione che costituisce il presupposto dell’acquisizione;a ciò si aggiunge che, come correttamente eccepito dal comune, la responsabilità del ricorrente è stata già riconosciuta dalla sentenza con cui questa sezione ha respinto il ricorso da lui proposto contro l’ordine di demolizione.
Il ricorrente sostiene altresì illegittimità (ovvero la nullità) dell’acquisizione per “ impossibilità del comando ”, nel senso che egli sostiene che, essendo state le opere sequestrate, egli non avrebbe avuto la possibilità di eseguire la demolizione;questa impossibilità di ottemperare all’ordine di demolizione escluderebbe la volontarietà dell’inottemperanza e escluderebbe in radice il presupposto dell’acquisizione (la volontaria inottemperanza all’ordine di demolizione);di conseguenza l’atto di acquisizione risulta illegittimo ovvero nullo.
Questa censura – a prescindere da ogni considerazione in diritto - risulta infondata in fatto dato che: a) l’ordinanza di demolizione n. 120 del 5 ottobre 2018 è stata notificata al ricorrente in data 10 ottobre 2018;b) da tale data decorreva quindi il termine per eseguire il ripristino dello stato dei luoghi, termine che è scaduto il 8 gennaio 2019;b) il sequestro per stessa ammissione del ricorrente è stato disposto il 26 luglio 2019.
Deve quindi escludersi che la esecuzione dell’ordine di demolizione sia stata impedita dal sequestro delle opere abusive.
Nella memoria più volte citata e nei secondi motivi aggiunti il ricorrente per la prima volta denuncia l’illegittimità dell’acquisizione per il mancato coinvolgimento nel procedimento della moglie, signora Ferrara, comproprietaria delle opere, cui non solo non è stato comunicato l’atto di acquisizione ma nemmeno la presupposta ingiunzione alla demolizione che è stata pronunciata nei soli confronti del ricorrente.
In partica il ricorrente invoca l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “ affinché un bene immobile abusivo possa formare legittimamente oggetto dell'ulteriore sanzione costituita dall'acquisizione gratuita al patrimonio comunale ai sensi dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, occorre che il presupposto ordine di demolizione sia stato notificato a tutti i proprietari, al pari anche del provvedimento acquisitivo, ciò perché risponde ad ovvi principi di tutela del diritto di difesa e di partecipazione procedimentale il non riconoscere idoneità fondativa dell'irrogazione della sanzione dell'acquisizione al patrimonio comunale all'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione da parte dei proprietari che di quest'ultima non abbiano ricevuto regolare notifica, e perché, con la sanzione dell'acquisizione, si viene a pregiudicare definitivamente il soggetto già titolare del diritto di proprietà sui beni confiscati (cioè il fabbricato e le aree circostanti, nella misura indicata dalla legge), per cui necessariamente tale provvedimento ablatorio, a contenuto sanzionatorio, deve essere notificato al proprietario inciso e, se i proprietari siano più di uno, esso deve essere notificato a tutti, atteso che non sarebbe possibile una spoliazione solo pro quota” (Consiglio di Stato, sez. II, 13 gennaio 2020, n. 7008).
Al riguardo va osservato che – anche ad ammettere che il ricorrente sia legittimato a far valere questa censura (nel senso che, in caso di mancato coinvolgimento nel procedimento di un comproprietario, potrebbe ritenersi che sia quest’ultimo a essere legittimato a far valere la violazione) – essa risulta tardiva dato che il ricorrente conosceva l’esistenza del provvedimento di acquisizione almeno dalla data del 21 agosto 2020 in cui gli era ingiunto il pagamento dell’indennità con l’atto impugnato a mezzo del ricorso principale (come già visto);tale atto recava l’esatta indicazione degli estremi dell’atto di acquisizione per cui il ricorrente già a tale data sapeva che il comune aveva disposto l’acquisizione delle opere e dell’area di sedime nonostante non avesse mai ingiunto alla moglie, nella qualità di comproprietaria delle opere abusive, di procedere alla loro demolizione e quindi non potesse assoggettarla alla sanzione dell’acquisizione (per la mancanza del suo fondamentale presupposto cioè l’inottemperanza a una ingiunzione a demolire le opere abusive). In pratica sin dalla data del 21 agosto 2020 la censura formulata per la prima volta con la memoria notificata il 9 arile 2022 e nei successivi (secondi) motivi aggiunti avrebbe potuto (e dovuto) essere proposta, essendo l’interessato a conoscenza degli elementi di fatto e giuridici su cui essa si basa.
Per quanto riguarda invece la dedotta violazione dell’ordine cronologico di trattazione delle pratiche, costituisce giurisprudenza di questo Tribunale che tale violazione, quand’anche sussistente, non determina l’illegittimità del provvedimento ma può al massimo essere fonte di responsabilità dell’amministrazione (peraltro in caso di ingiustificato ritardo mentre nella fattispecie il ricorrente certo non si duole di un ritardo).
L’impugnazione del provvedimento con il quale il comune ha determinato l’indennità per l’abusiva occupazione egli immobili acquisiti al suo patrimonio indisponibile chiedendo al ricorrente il relativo pagamento è inammissibile per difetto di giurisdizione, come eccepito dal comune di Capri.
Costituisce orientamento di questo Tribunale che la controversia sulla pretesa del comune di percepire un’indennità per l’occupazione di immobili che l’ente abbia acquisito a seguito e per effetto di mancata ottemperanza a ordini di demolizione ex articolo 31 D.P.R. n. 380 ha ad oggetto diritti soggettivi pur ponendosi per così dire a valle dell’esercizio di una pubblica potestà;né al fine di sostenere la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo potrebbe farsi riferimento alla giurisdizione esclusiva prevista dall’articolo 133 c.p.a. in materia di edilizia e urbanistica dato che la stessa disposizione fa comunque salva la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie relative a indennità o altri corrispettivi conseguenti a atti di natura ablatoria (cfr. per tutte T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 28 febbraio 2022, n. 1347, id., sez. VIII, 30 dicembre 2021, n. 8319).
Conclusivamente l’impugnazione dell’atto di acquisizione è infondata;sull’impugnazione degli atti coi quali il comune ha ingiunto al ricorrente il pagamento dell’indennità di occupazione va invece dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a favore dell’autorità giudiziaria ordinaria innanzi alla quale la relativa domanda potrà essere riproposta ex articolo 11, comma 2, c.p.a..
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.