TAR Bari, sez. I, sentenza 2020-05-25, n. 202000751
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Testo completo
Pubblicato il 25/05/2020
N. 00751/2020 REG.PROV.COLL.
N. 01396/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1396 del 2014, proposto da
La Lucente S.p.A., rappresentata e difesa dall'avvocato G V, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, Via Quintino Sella, 36;
contro
Azienda Sanitaria Locale Foggia, rappresentata e difesa dall'avvocato N S M, con domicilio eletto presso lo studio in Bari, Via Andrea Da Bari, 35;
per l’accertamento
del diritto ad ottenere la condanna dell’ASL di Foggia al pagamento della somma di €. 165.828,19 oltre accessori, a titolo di revisione prezzi per il servizio di pulizia, sanificazione e sanitizzazione dei presidi aziendali e degli altri immobili compresi nell'ambito territoriale dell’ex AUSL FG/1 negli anni dal 2002 al 2005.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale Foggia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2020 il dott. A F;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso ritualmente proposto la società La Lucente S.p.A. ha chiesto l’accertamento del diritto ad ottenere la condanna dell’ASL di Foggia al pagamento della somma di €. 165.828,19 oltre accessori, a titolo di revisione prezzi, previa eventuale declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dall'Amministrazione.
In punto di fatto la ricorrente ha esposto di essersi aggiudicata il servizio di pulizia, sanificazione e sanitizzazione dei presidi aziendali e degli altri immobili compresi nell'ambito territoriale dell’ex AUSL FG/1, e di aver stipulato in data 19.2.1999 il relativo contratto d’appalto, di durata triennale, per un corrispettivo pari a vecchie lire 1.307.737.848.
Invero, già prima della scadenza naturale del contratto (28.2.2002), con nota del 27.11.2001 la ricorrente ha chiesto il rinnovo per altri due anni dell’affidamento, dichiarando la propria disponibilità a praticare una riduzione del 3% sul corrispettivo;ma soltanto dopo l’effettiva scadenza contrattuale, con nota dell’1.7.2002 l’Azienda sanitaria ha proposto alla società un rinnovo basato sulla riduzione dei costi orari del 5% e sulla rideterminazione delle aree da medio a basso rischio: condizioni che La Lucente S.p.A. ha comunicato di accettare con nota del 12.7.2002, elevando l’ulteriore riduzione al 4% dall’1.3.2002 e al 5% a partire dall’1.8.2002 fino al 29.1.2004. Tale intesa è stata approvata con deliberazione del Direttore generale n. 168 del 29.1.2003.
È, tuttavia, accaduto che la ricorrente ha emesso la fattura n. 5230 del 30.11.2006, per l’importo sopra specificato, richiesto a titolo di revisione prezzi da imputare all’adeguamento alla tabelle FISE del costo della manodopera e all’adeguamento all’indice Istat del costo dei macchinari, delle attrezzature, dei prodotti e delle spese generali.
Non avendo, però, ottenuto tali corrispettivi, la ricorrente ha adìto il Tribunale civile di Foggia, che con sentenza n. 710 del 14.5.2013 ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in favore del Giudice amministrativo.
Questo è, in sintesi, l’antefatto della proposizione (in riassunzione) del ricorso, con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 6 della legge 537/1993 (nel testo sostituito dall’art. 44 della legge 724/1994 e, poi, trasfuso nell’art. 115 del d.lgs. 163/2006), cioè, in altri termini, della normativa ritenuta idonea a prevalere su quella generale di cui all’art. 1664 del codice civile, in quanto avente natura imperativa, tanto da imporsi sulle pregresse pattuizioni in ragione dell’eterointegrazione disciplinata dall’art. 1339 del codice civile
Nel presente giudizio si è costituita l’ASL di Foggia (9.1.2015), la quale, nella memoria del 6.3.2015, ha evidenziato che “ dall’esame del “prospetto” prodotto in giudizio dalla società si evince che le somme pretese riguarderebbero gli anni compresi tra il 2000 ed il 2005 ”;che “ su istanza della società l'originario contratto fu rinnovato in applicazione dell'art. 27, comma 6, L. n. 488/1999 ” (cfr. pag. 3);che in base a tale normativa non potrebbe essere riconosciuta alcuna revisione, essendo la ricorrente “ addivenuta al rinnovo alle medesime condizioni già previste nel 1999 ”, da considerare “ sufficientemente remunerative ” (cfr. pag. 4), sia in riferimento al periodo contrattuale “ 1.1.2000 – 28.2.2002, ossia nell’ambito dell’originario rapporto contrattuale avente decorrenza dal 1°.3.1999 ” (cfr. pag. 6), in relazione al quale è stata, inoltre, eccepita la “ prescrizione quinquiennale ex art. 2948, n. 4 c.c. ” del credito (cfr. pag. 7), sia “ per il periodo 1.3.2002 – 28.2.2003, ovvero relativamente alla prima annualità del contratto rinnovato ”, e ciò sul presupposto che “ la revisione dei corrispettivi contrattuali opera solo dopo il primo anno di vigenza del contratto ” (cfr. pag. 8), sia, ancora, “ relativamente agli anni 2004 e 2005 ”, in quanto “ gli effetti del rinnovo contrattuale sono cessati in data 29.1.2004, come risulta per tabulas ” (cfr. pag. 9);ha, inoltre, eccepito la decadenza dal diritto di chiedere la revisione per violazione dell’art. 2 del D.lgt. del Capo dello Stato 1501/1947, oltre che l’infondatezza nel merito della domanda per erroneità dei conteggi, contestandosi che la ricorrente avrebbe “ indebitamente incluso nel “canone revisionato” numerose voci che non possono essere oggetto di alcuna revisione quali, ad esempio, l’utile d'impresa ” (cfr. pag. 11).
La ricorrente ha replicato a tali opposizioni nella memoria depositata il 13.3.2015.
Con sentenza non definitiva n. 837 dell’11 giugno 2015 la Sezione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso relativamente alla domanda di accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione, e, nel contempo, ha disposto la conversione del rito (da speciale ad ordinario) per la cognizione della domanda diretta ad accertare il diritto al compenso revisionale.
In vista della discussione del ricorso nel merito, fissata per il 13 maggio 2020, le parti hanno depositato le rispettive memorie e repliche.
In particolare:
- nella memoria del 9.4.2020 la ricorrente ha dedotto che anche nell’ipotesi in cui “ il rinnovo contrattuale sia scaturito da una nuova negoziazione, con conseguente assorbimento del compenso revisionale nel nuovo prezzo concordato ”, ciò non escluderebbe che “ per il periodo successivo al primo semestre del contratto rinnovato la revisione del prezzo contrattuale spetti senz’altro ” in base all’art. 6, comma 6 della legge 537/93 (cfr. pag. 1);ha, inoltre, evidenziato che la revisione spetterebbe, comunque, “ per il periodo di proroga dal 1 marzo 2004 al 31 dicembre 2005 ”, che, peraltro, non riguarderebbe lo svolgimento di un rapporto di fatto (cfr. pag. 2);
- nella replica del 22.4.2002 l’Azienda resistente ha ribadito le proprie argomentazioni.
All’udienza pubblica del 13 maggio 2020 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, occorre rilevare che entrambe le parti hanno fatto concordemente cenno alla circostanza che la stipulazione dell’accordo successivo all’originaria scadenza contrattuale sarebbe avvenuta in applicazione dell’art. 27, comma 6 della legge 488/1999.
Ma, in realtà, nella deliberazione del Direttore generale n. 168 del 29.1.2003 è stato approvato il rinnovo contrattuale ai sensi dell’art. 17 della legge regionale 14/2001, norma in cui è previsto che “ al fine di realizzare l’acquisto di beni e servizi alle migliori condizioni di mercato, le Aziende sanitarie e ospedaliere, singolarmente o in forma aggregata, hanno l’obbligo, in attuazione e secondo i criteri di cui all’articolo 59 della L. n. 388/2000, di aderire alle convenzioni stipulate dal Ministero del tesoro attraverso la Consip per tutte le categorie merceologiche pubblicate sul relativo sito Internet, ovvero di utilizzare i relativi parametri di qualità e di prezzo per l’acquisto di beni comparabili con quelli oggetto di convenzionamento ” (comma 1);che “ le Aziende di cui al presente articolo, ove disattendano la disposizione di cui al comma 1, devono motivare i provvedimenti con cui procedono all'acquisto di beni e servizi a prezzi e a condizioni meno vantaggiosi di quelli stabiliti nelle convenzioni suddette ” (comma 2);che, ancora, “ i contratti per acquisto e forniture di beni e servizi stipulati a seguito di esperimento di gara, in scadenza nel biennio 2001-2002, possono essere rinnovati per una sola volta e per un periodo non superiore a due anni, a condizione che il fornitore assicuri una riduzione del corrispettivo di almeno il 3 per cento, fermo restando il rimanente contenuto del contratto, fermo restando il rimanente contenuto del contratto ”(comma 3).
Proprio il comma 3 della predetta disposizione, in particolare, ha un contenuto identico all’art. 27, comma 6 della legge 488/1999: disposizione, quest’ultima, che – a differenza della prima – è stata abrogata dall’art. 3, comma 166 della legge 24 dicembre 2003, n. 350.
Ciò premesso, il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
In prima battuta, non è revocabile in dubbio che il rapporto in questione è stato rinnovato – non meramente prorogato – in applicazione di una disciplina che espressamente assicura la possibilità di continuare a svolgere il servizio per un ulteriore biennio in esito ad un’espressa e, appunto, rinnovata manifestazione di volontà di accettare uno sconto di almeno il 3% sul corrispettivo dell’appalto e “ solamente sul presupposto, giuridico e fattuale, della persistente convenienza dei prezzi del nuovo contratto rinegoziato e quindi, a maggior ragione, del precedente rapporto ” (cfr. TAR Lazio - Roma, 2 marzo 2010, n. 3247).
Si tratta, pertanto, di una previsione del tutto peculiare, tanto che l’art. 6 della legge 537/2003, in tema di obbligatoria inserzione dei contratti pubblici di appalto di fornitura di beni e servizi, secondo la giurisprudenza sarebbe stata addirittura “ abrogata per incompatibilità a seguito dell’entrata in vigore degli artt. 26 e 27 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 marzo 2006, n. 1295, che richiama id., sez. V, 19 febbraio 2003, n. 921;id., sez. V, 8 gennaio 2002, n. 100;id., sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686).
In secondo luogo, sempre la giurisprudenza ha decisivamente chiarito che nell’ipotesi in cui l’appaltatore si avvalga di tale opzione e, pertanto, si addivenga al rinnovo del contratto di appalto, non può spettare la revisione del canone, tenuto conto:
- che “ l’impresa, che ha beneficiato di una speciale disposizione, che prevede la possibilità di rinnovo senza gara a condizione di una concordata riduzione del prezzo, non possa poi pretendere di applicare allo stesso contratto il meccanismo della revisione dei prezzi, che condurrebbe ad effetti, del tutto opposti rispetto alle pattuita riduzione del corrispettivo ”, cioè, in pratica, “ avrebbe l’effetto di eliminare o attenuare lo sconto, che gli ha garantito il rinnovo senza gara ”;la revisione dei prezzi, di contro, trova applicazione nel diverso caso in cui l’appaltatore “ avesse ottenuto il rinnovo del contratto con una procedura ordinaria (pubblica gara) ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI. 25 luglio 2006, n. 4640);
- che “ se alle proroghe contrattuali può applicarsi la clausola revisionale prevista dall'art. 6 della legge n. 537 del 1993, conclusione opposta vale rispetto ai successivi atti con cui, attraverso specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto analogo a quello originario, evenienza in cui la norma citata non si applica ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 1 giugno 2010, n. 3474;principio confermato da id., sez. III, 11 luglio 2014, n. 3585);
- che, dunque, dalla disposizione di cui al sopra citato art. 6 “ non possa automaticamente dedursi l'esistenza di un diritto alla revisione periodica dei prezzi ogni qualvolta la prestazione di un servizio venga protratta oltre il termine previsto da un originario contratto, dovendosi volta per volta verificare se sussistano tutti i presupposti per l'applicazione della norma ed in particolare la mancanza di circostanze che, nel caso concreto, la escludono. La natura imperativa della norma e la sua conseguente capacità di imporsi ai patti contrari non può comportare l'irrilevanza di disposizioni di segno diverso o di eventuali accordi successivi tra le parti, che modifichino per il futuro l'assetto dei rapporti contrattuali in relazione allo svolgimento di un servizio ” (cfr. TAR Sardegna, 22 dicembre 2008, n. 2199).
Deve, di conseguenza, concludersi che la disciplina sul rinnovo biennale del contratto di appalto è connotata da caratteri di eccezionalità (“ per una sola volta e per un periodo non superiore a due anni ”) e specialità che non rendono deducibile, nella presente controversia, la violazione dell’art. 6, comma 4 della legge 537/1993 (“ tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6 ”), quest’ultimo, peraltro, abrogato dall’art. 256, comma 1 del d.lgs. 163/2006 a decorrere dal 1° luglio 2006, quindi in epoca anteriore alla presentazione della nota del 14.4.2006, con cui la ricorrente ha chiesto all’ASL resistente il pagamento di €. 138.190,16 quale revisione relativa al periodo “ marzo 1999/dicembre 2005 ”.
Considerazioni non dissimili vanno estese alla revisione chiesta per il periodo successivo al 29.1.2004.
Sotto tale profilo, occorre, anzitutto, rilevare che la società ricorrente non ha allegato alcun documento idoneo a provare che l’espletamento del servizio non sia avvenuto “di fatto”.
Né tale documentazione può essere ottenuta per effetto della domanda istruttoria volta a far chiedere al Collegio l’esibizione di atti (“ delibere in base alle quali, per il periodo successivo al 28 febbraio 2004 venne disposta la proroga tecnica del contratto, sino all’espletamento della gara ”, cfr. pag. 2 della memoria del 9.4.2020) che si connettono ad un onere probatorio gravante sulla stessa ricorrente ed agevolmente assolvibile in base al principio di vicinanza – intesa come disponibilità e prossimità – della prova (cfr. Corte di Cassazione, 17 aprile 2012, n. 6008;id., sezioni unite, 30 ottobre 2001, n. 13533;id., sez. lav., 25 luglio 2008, n. 20484).
Difetta, dunque, per il sopra citato periodo, la prova del fatto costitutivo del diritto alla revisione azionato nel presente giudizio.
Indiretta conferma della natura fattuale del rapporto, peraltro, proviene dall’Amministrazione, alla quale potrebbe essere al più contestata la violazione dell’art. 6, comma 2 della legge 537/1993 (“ è vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli ”), applicabile ratione temporis ai fatti di causa (fino all’11.5.2005) e sostituito dall’art. 23 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (pubblicata in G.U. 27 aprile 2005, n. 96, entrata in vigore il 12.5.2005), che al comma 1 ha soppresso “ l’ultimo periodo dell'articolo 6, comma 2, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni ” (sarebbe a dire la sanzione di nullità), stabilendo, al comma 2, che “ i contratti per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ”.
Tale ultima disposizione recepisce nell’ordinamento nazionale il principio di concorrenza fissato dall’ordinamento comunitario, di cui è espressione diretta l’evidenza pubblica;in altri termini, la prorogabilità per soli sei mesi del contratto scaduto (tempo assunto dal legislatore come congruo per la stipula del nuovo contratto) costituisce una prescrizione cogente, di carattere imperativo, la cui violazione non può che comportare la nullità di eventuali atti e accordi contrari, ai sensi degli artt. 1339 e 1418 del codice civile.
Inoltre la nullità delle proroghe tecniche, alle quali la domanda di revisione del canone risulta legata sul piano logico-giuridico, traspare anche sotto il diverso profilo del difetto di capacità di agire, ove si consideri che in materia di contratti stipulati dalla pubblica Amministrazione con contraenti privati “ la violazione di norme imperative finalizzate ad assicurare i valori di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione, comportando il difetto della capacità di agire dell’amministrazione, denota il vizio genetico della formazione della volontà e della scelta del contraente, in un ambito che attiene pur sempre all’assolvimento di funzioni amministrative, riflettendosi sulla validità dell’atto di alienazione, con le conseguenze dell’art. 1418, primo comma cod. civile (cfr. in senso analogo, Cass. SS.UU. 10.6.2005, n. 12195). (…) Se è vero che la violazione delle norme imperative o, più genericamente, la violazione di legge è ivi espressamente richiamata con riferimento alla sola annullabilità, ciò non toglie che lo stesso vizio sia in grado di provocare la nullità ove comporti la mancanza di uno degli elementi essenziali dell’atto, come (…) nel caso di mancanza di capacità di agire dell’amministrazione. La più attenta dottrina ha individuato questo tipo di patologia come nullità strutturale dell’atto, tale da renderlo totalmente improduttivo di effetti e non abbisognevole di interventi caducatori di secondo grado ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 1 marzo 2010, n. 1156).
Il rigetto delle domande proposte dalla ricorrente esime il Collegio dalla pronuncia sulle eccezioni di prescrizione e decadenza, opposte dall’ASL di Foggia.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Si ravvisano i presupposti per disporre la compensazione delle spese processuali in ragione della complessità delle questioni esaminate.
La presente sentenza va inviata per l’esame di competenza alla Procura della Corte dei Conti per la Regione Puglia – Bari.