TAR Napoli, sez. I, sentenza 2012-12-04, n. 201204892
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N. 04892/2012 REG.PROV.COLL.
N. 11666/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11666 del 2004, proposto da:
Fallimento Serit S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. A D A e R Q, con domicilio eletto in Napoli, via dei Mille n. 40 presso l’Avv. F P R;
contro
- Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale delle Entrate per la Campania, Ministero delle Finanze ora Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, con domicilio legale presso la stessa in Napoli alla via Diaz n. 11;
- Commissario Governativo, già Banco di Napoli, poi Sanpaolo I.M.I. S.p.A., ora Intesa Sanpaolo s.p.a., rappresentato e difeso dagli avv. Gherardo Marone, Augusto Ermetes, Alessandro Tozzi e Paolo Ermetes, con domicilio eletto presso Gherardo Marone in Napoli, via Cesario Console n. 3;
nei confronti di
Equitalia Sud S.P.A, rappresentata e difesa dagli avv. Alfonso Papa Malatesta e Alessandro Ela Oyana, con domicilio eletto in Napoli, via Melisurgo n. 44 presso lo studio dell’avv. Daniele Carsana;
per l'accertamento
degli inadempimenti contrattuali imputabili all’amministrazione finanziaria ed al Commissario governativo connessi alla mancata riscossione dei residui della gestione SERIT, anticipati all’erario in forza dell’obbligo del non riscosso come riscosso, a seguito della revoca, disposta con decreto ministeriale del 26/6/1994, della concessione del servizio di riscossione dei tributi e delle entrate dello Stato per l’ambito B della provincia di Caserta, con conseguente condanna al risarcimento dei danni lamentati nella misura di euro 129.270.675,97 oltre interessi e rivalutazione monetaria;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di integrazione del contraddittorio;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle entrate, Direzione Regionale delle Entrate per la Campania, di Ministero dell’Economia e delle Finanze, di Intesa Sanpaolo S.p.A. e di Equitalia Sud S.P.A;
Viste le produzioni delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2012 il dott. Fabio Donadono e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
FATTO
Con ricorso notificato il 22/9/2004, il Fallimento Serit riferisce che:
- con decreto ministeriale n. 1/7255 del 21/12/1989 veniva affidato in concessione alla Serit il servizio di riscossione dei tributi per l’ambito B della provincia di Caserta;
- tale concessione veniva revocata (recte: dichiarata decaduta, ai sensi dell’art. 20, co. 1, lett. b del d.P.R. n. 43 del 1988) con decreto n. 1/2377 del 26/6/1994 (recte: 24/6/1994), seguito da determinazione in data 23/9/1994;
- il Banco di Napoli s.p.a. veniva nominato Commissario governativo in applicazione dell’art. 24 del d.P.R. n. 43 del 1988;
- la Serit avrebbe anticipato all’amministrazione finanziaria ed agli altri enti impositori le somme risultanti dai ruoli ad essa consegnati in forza dell’obbligo del non riscosso come riscosso di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 43;
- la Serit avrebbe inviato gli elenchi dei residui della sua gestione a ciascuno dei soggetti pubblici emittenti i ruoli, ai fini dell’affidamento della loro riscossione da parte del Commissario governativo, per il successivo versamento alla Cassa Depositi e Prestiti e rimborso alla Serit, secondo le disposizioni dettate dall’art. 44 del citato d.P.R. n. 43 del 1988;
- l’amministrazione pubblica e lo stesso Commissario governativo non avrebbero adempiuto agli obblighi imposti dalla legge;in particolare non sarebbe stata affidata l’attività di riscossione dei residui, secondo quanto dichiarato in una nota del Banco di Napoli ricevuta il 3/9/2002;
- pertanto il diritto di credito vantato dalla concessionaria revocata e costituito dai proventi della riscossione dei residui sarebbe rimasto integralmente insoddisfatto.
Tanto premesso, il Fallimento Serit ha chiesto l’accertamento degli inadempimenti contrattuali imputabili alle amministrazioni finanziarie ed al Commissario governativo, del danno subito dalla Serit e del nesso causale tra inadempimento contrattuale e danno, con condanna delle parti intimate al risarcimento del danno subito.
Con atto notificato il 28/7/2011, il Fallimento Serit ha rinnovato l’istanza di fissazione d’udienza ai sensi dell’art. 1 dell’allegato 3 al c.p.a..
Con atto notificato il 15/3/2012, a seguito di ordinanza n. 472 del 31/1/2012, il Fallimento Serit ha integrato il contraddittorio nei confronti di Equitalia Sud.
Si costituivano in giudizio:
- l’Agenzia delle Entrate, la Direzione Regionale delle Entrate per la Campania ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, eccependo la perenzione del giudizio, l’infondatezza della domanda e la prescrizione del diritto;
- la banca Intesa Sanpaolo (subentrata al Banco di Napoli a seguito dei processi di fusione e concentrazione bancaria di SanPaolo IMI e Banco di Napoli), eccependo la giurisdizione in materia del giudice ordinario, l’irricevibilità del ricorso per tardività dell’atto di integrazione del contraddittorio, il difetto di legittimazione passiva di Sanpaolo IMI che mai avrebbe assunto la titolarità della gestione commissariale, nonché l’infondatezza della domanda;
- la società Equitalia Sud (derivante dalla società Esaban s.p.a., subentrata nella titolarità della gestione commissariale a seguito della cessione da parte del Banco di Napoli, anteriormente alla incorporazione, del ramo di azienda relativo al settore esattoriale, successivamente denominata Gestline s.p.a., poi Equitalia Polis ed ora Equitalia Sud), eccependo la giurisdizione in materia della Corte dei conti, il difetto di legittimazione passiva di Equitalia in forza dell’art. 3, co. 10, del decreto legge n. 203 del 2005 e dell’art. 2560 c.c., la sussistenza di un giudicato con riferimento alle pronunce della Corte dei conti in ordine alle quote inesigibili dei residui, il,difetto di legittimazione attiva di parte attrice, nonché l’infondatezza della domanda e la prescrizione del diritto.
DIRITTO
1. Nel merito il Fallimento ricorrente deduce che:
- l’amministrazione finanziaria sarebbe responsabile di inadempimento contrattuale in quanto non avrebbe adempiuto (o avrebbe ritardato l’adempimento) agli obblighi previsti dall’art. 44 del d.P.R. n. 43 del 1988, il quale integra le clausole della convenzione di concessione;in particolare l’amministrazione finanziaria non avrebbe formato l’elenco dei residui, né lo avrebbe consegnato al Commissario governativo subentrato nella gestione al concessionario revocato;
- il mancato svolgimento dell’attività di riscossione dei residui da parte del Commissario governativo e quindi il mancato rimborso delle somme riscosse, avrebbero determinato un danno per il concessionario revocato, corrispondente alle somme iscritte nei ruoli a suo tempo anticipate all’amministrazione in base al principio del non riscosso come riscosso;
- la responsabilità del Commissario governativo, delegato per la riscossione, si cumulerebbe con quella della pubblica amministrazione delegante;infatti la riscossione dei residui sarebbe un obbligo che graverebbe anche sul soggetto delegato, non esonerato dalla mancata consegna degli elenchi;
- il debitore della prestazione sarebbe responsabile a titolo di inadempimento contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c.;l’amministrazione finanziaria ed il commissario governativo non avrebbero provato alcun impedimento all’adempimento;la loro colpevolezza sarebbe peraltro provata dal comportamento negligente in violazione dell’art. 1176 c.c.;l’inerzia delle controparti avrebbero concorso in modo efficiente a produrre l’evento dannoso;
- la mancata riscossione dei residui avrebbe provocato lo stato di insolvenza della Serit, sfociato nella dichiarazione di fallimento;i danni, pari alle somme già anticipate e non più rimborsate, vengono quantificati in euro 129.270.675,97 sulla base della documentazione all’epoca consegnata dalla concessionaria revocata all’amministrazione, ovvero nella misura da accertare in corso di causa;
- l’obbligazione risarcitoria sarebbe suscettibile di rivalutazione monetaria, cui andrebbero aggiunti gli interessi legali.
2. Preliminarmente la difesa erariale eccepisce che il processo sarebbe estinto per perenzione;infatti il ricorrente avrebbe depositato tardivamente, in data 22/9/2011, l’istanza di fissazione d’udienza, dopo la scadenza del termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, ai sensi dell’art. 1 delle norme transitorie di cui all’allegato 3 del c.p.a., per i ricorsi pendenti da oltre cinque anni.
Al riguardo giova premettere che, in base al 1° comma della norma transitoria invocata, il decorso del termine di 180 giorni dà luogo all’emanazione del decreto presidenziale dichiarativo della perenzione. In base al 2° comma dello stesso articolo, il decreto si consolida e produce l’estinzione del giudizio, solo se il ricorrente omette di dichiarare, entro i successivi 180 giorni, di aver ancora interesse alla decisione della controversia, nel qual caso il decreto stesso viene revocato.
La legge consente, in definitiva, di evitare l’effetto estintivo qualora la parte manifesti un perdurante interesse alla trattazione del ricorso
Sennonché è pacifico che nella specie non è stato emanato il decreto dichiarativo della perenzione, ma anzi l’interessato ha rinnovato l’istanza di fissazione d’udienza con atto sottoscritto dalla parte personalmente e dal difensore, per cui l’eccezione in esame va disattesa.
3. Per quanto riguarda la tempestività dell’integrazione del contraddittorio, disposta dal Tribunale amministrativo con ordinanza n. 472 del 31/1/2012, con termine di 30 giorni dalla comunicazione o notificazione a cura di parte se anteriore, ed effettuata con atto notificato il 15/3/2012 e depositato in data 11/4/2012, è da osservare che manca la notifica a cura di parte della citata ordinanza e non è provata la ricezione della comunicazione in via amministrativa;ne consegue che non risulta in atti il “dies a quo” dal quale far decorrere il termine fissato dal giudice.
Peraltro, nella specie non si tratta di un’azione di annullamento nel quale vi siano soggetti che abbiano la qualità formale di controinteressati ed è quindi da escludere che l’inosservanza del termine stabilito dal giudice abbia come effetto l’automatica improcedibilità del ricorso in applicazione dell’art. 49, co. 3, c.p.a.
4. Vanno ora esaminate le eccezioni di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sollevate dalle parti resistenti sotto diversi profili.
4.1. Giova premettere che - in base all’art. 33 del d. lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000 e nel testo emendato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 6/7/2004, ora recepito nell’art. 133, co. 1, lett. c), del nuovo c.p.a. - il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, la cui cognizione è devoluta al giudice ordinario se non coinvolgano l'accertamento dell'esistenza o del contenuto della concessione, né la verifica dell'azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante ovvero non comportino l'esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione delle indennità o canoni stessi.
In base all’art. 30 c.p.a., tra le controversie rientranti nella giurisdizione esclusiva sono comprese le azioni di risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi.
4.2. Nella specie il ricorrente domanda il risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento di obblighi contrattuali, assumendo che rientrino negli obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di concessione anche quelli posti dalla legge, e segnatamente l’obbligo di riscuotere i residui della gestione secondo le disposizioni dell’art. 44 del d.P.R. n. 43 del 1988.
Sennonché è da rilevare che il provvedimento ed il rapporto concessorio sono venuti meno a seguito del provvedimento di decadenza. Quest’ultimo, che non costituisce oggetto del presente giudizio, ha prodotto la cessazione della convenzione.
Pertanto la normativa che regola gli effetti conseguenti all’estinzione del rapporto concessorio non può essere considerata come integrativa di un contratto che non disciplina più gli obblighi ed i diritti delle parti.
Vero è piuttosto che il d.P.R. n. 43 del 1988 regola i poteri dell’autorità amministrativa per lo svolgimento del servizio di riscossione dei tributi nel periodo di vacanza della concessione ed in mancanza di un concessionario. L’esecuzione dei compiti previsti in tale contesto riguardano l’esercizio della funzione amministrativa strumentale alla prosecuzione del pubblico servizio e non costituiscono adempimento di una obbligazione inserita in un rapporto contrattuale.
Ne consegue che le vicende successive alla decadenza, richiamate dal ricorrente, sono estranee all’ambito del rapporto convenzionale tra l’amministrazione finanziaria ed il cessato concessionario, rapporto che non esiste più.
A maggior ragione nessun rapporto obbligatorio di tipo privatistico è ipotizzabile tra il cessato concessionario ed il Commissario governativo incaricato della gestione.
4.3. Tanto premesso, è da soggiungere che l’art. 31 c.p.a., derivante dall’art. 21-bis della legge n. 1034 del 1971, contempla una specifica azione contro l’inerzia nell’esercizio dei poteri-doveri spettanti all’autorità amministrativa, mentre l’art. 30 c.p.a. disciplina l’azione per il risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi.
Sennonché il ricorrente nella sua azione non pone domande aventi questo oggetto (come petitum e causa petendi), per cui è da escludere che in questa sede si possa emanare alcuna statuizione al riguardo senza che la pronuncia sia viziata di ultrapetizione, in base all'art. 112 c.p.c. pacificamente applicabile al processo amministrativo.
4.4. Una volta esclusa la sussistenza di un vincolo contrattuale alla base della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo postulata dal ricorrente, resta da individuare il giudice al quale spetta la cognizione della controversia, tenendo conto della natura dei diritti da cui scaturisce la pretesa azionata.
A tale scopo giova premettere che, nel vigore del d.P.R. n. 43 del 1988, il concessionario è debitore alle scadenze previste dell’intero ammontare delle somme iscritte nei ruoli ancorché non riscosse, fatto salvo il rimborso dell’anticipazione per i debiti riconosciuti come inesigibili per causa non imputabile al concessionario.
Sopravvenuta la decadenza o la revoca della concessione, il concessionario cessato perde la legittimazione a riscuotere i ruoli scaduti, ancorché abbia versato le anticipazioni del non riscosso come riscosso. Pertanto, l’art. 44 del d.P.R. n. 43 del 1988 prevede che, una volta compilati gli elenchi dei residui di gestione (costituiti dalle entrate riscuotibili mediante ruoli scaduti ma non riscossi durante la gestione del concessionario comunque cessato), il commissario governativo ne curi la riscossione e versi l’importo riscosso presso la Cassa Depositi e Prestiti.
Le somme versate, purché corrispondenti a tributi per i quali sia stata effettuata l’anticipazione, sono rimborsate senza interessi al concessionario che le aveva anticipate sulla base di apposita autorizzazione dell'intendente di finanza e previa corrispondente riduzione della relativa quota inesigibile di cui sia stata presentata domanda di rimborso.
Giova soggiungere altresì che, in base all’art. 74, co. 2, del ripetuto d.P.R., il diritto al rimborso spetta al concessionario decaduto o revocato a condizione che non abbia debiti nei confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti impositori.
La pronuncia sulla domanda azionata dal ricorrente presuppone dunque l’accertamento dei rapporti di credito/debito tra il concessionario decaduto e gli enti impositori, per quanto riguarda l’anticipazione erogata sui ruoli scaduti e non riscossi, nonché con il Commissario governativo, per quanto riguarda le riscossioni nei confronti dei contribuenti ed i versamenti alla Cassa DD.PP., con gli enti impositori e l’amministrazione finanziaria, per quanto riguarda le domande di rimborso e le inesigibilità, nonché relativamente alla sussistenza di altre pendenze.
Tutto ciò premesso, è da osservare che l'esattore delle imposte va qualificato come contabile, essendo un agente incaricato, in virtù di una concessione-contratto, di riscuotere danaro di spettanza dello Stato o di altri enti pubblici e del quale egli ha il maneggio nel periodo compreso tra la riscossione ed il versamento. Ne deriva che il giudizio, che abbia ad oggetto il pagamento di quanto dovuto dall'amministrazione, va promosso innanzi alla Corte dei conti, che normalmente è competente a decidere sui rapporti riguardanti i conti di coloro che abbiano od abbiano avuto maneggio di danaro pubblico.
Infatti, in base agli artt. 13 e 44 del regio-decreto n. 1214 del 1934, il giudice contabile ha una giurisdizione tendenzialmente generale in materia di contabilità pubblica, in particolare per quanto riguarda i conti degli agenti incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare denaro pubblico;ciò anche per quanto riguarda le questioni relative al diritto al rimborso dell’anticipazione per inesigibilità, ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 43 del 1988.
Pertanto, una volta cessato il rapporto concessorio in forza del quale la Serit aveva svolto il servizio di riscossione dei tributi, ogni controversia relativa al "saldo" attivo o passivo della gestione è attratta innanzi al giudice della responsabilità contabile (cfr. Cons. St., sez. IV, 20/11/2008, n. 5744), ivi compresa la pretesa vantata a titolo risarcitorio, poiché anche in questo caso il riconoscimento del diritto è comunque subordinato ad un riscontro delle evidenze contabili, dalle quali non si può prescindere (cfr. Cass., ss. uu., 29/5/2003, n. 8580).
Né a diversa conclusione può indurre la disciplina relativa alla giurisdizione esclusiva assegnata al giudice amministrativo in materia di servizi pubblici, poiché le relative disposizioni regolano il riparto della giurisdizione tra il giudice ordinario e quello amministrativo, senza incidere in alcun modo sull’ambito delle attribuzioni devolute alla Corte dei conti in materia di contabilità pubblica e di vertenze di natura contabile tra lo Stato e gli enti pubblici, da un lato, ed i cosiddetti agenti contabili, dall'altro (cfr. Cass., ss. uu., 7/5/2003, n. 6956).
In conclusione va pertanto riconosciuta la giurisdizione della Corte dei conti sulla controversia in esame, ai sensi e per gli effetti dell’art. 11 c.p.a..
5. Attese le particolarità della vicenda e delle questioni trattate, si ravvisano giusti motivi per la compensazione delle spese tra le parti.