TAR ReggioCalabria, sez. I, sentenza breve 2015-07-08, n. 201500695

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR ReggioCalabria, sez. I, sentenza breve 2015-07-08, n. 201500695
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Reggio Calabria
Numero : 201500695
Data del deposito : 8 luglio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00376/2010 REG.RIC.

N. 00695/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00376/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso n. 376 del 2010, proposto da A F, rappresentato e difeso dall’avv. N T, per il presente giudizio elettivamente domiciliato in Reggio Calabria, Via S. Caterina, Trav. privata nr. 21, presso lo studio dell’avv. R I;

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, presso la quale è elettivamente domiciliato, in Reggio Calabria, alla via del Plebiscito n. 15;

per l'annullamento

del decreto prot. nr. 12288/W/Area I bis del 1° marzo 2010, notificata il 27 marzo 2010 – unitamente a tutti gli altri atti preliminari, collegati dipendenti o comunque connessi e non espressamente impugnati perché non conosciuti – con il quale il dirigente dell'Area I Bis della Prefettura di Reggio Calabria ha fatto divieto al ricorrente “di detenere qualsiasi arma la cui disponibilità non sia stata rilevata o che potrebbe a qualsiasi titolo essere successivamente acquisita”.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2015 il dott. R P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Il sig. A F ricorre per l’annullamento, previa sospensiva, del decreto prot. nr. 12288/W/Area I bis del 1° marzo 2010, notificato il 27 marzo 2010, con il quale il dirigente dell’Area I bis della Prefettura di RC ha fatto divieto al ricorrente di “detenere qualsiasi arma la cui disponibilità non sia stata rilevata o che potrebbe a qualsiasi titolo essere successivamente acquisita”.

Questi i dedotti argomenti di doglianza:

1) Eccesso di potere per violazione dell’art. 7 della legge 241/1990. Insussistenza delle condizioni di fatto e di diritto – Assoluta illogicità – Contraddittorietà – Illegittimità.

Nel contestare la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, con riveniente violazione dell’art. 7 della legge 241/1990, parte ricorrente evidenzia che il divieto di detenere armi notificato il 27 marzo 2010 non solo non è collegato ad alcun fatto che possa interessare personalmente il ricorrente ma è intervenuto a distanza di ben 21 mesi dal divieto di rinnovo della licenza di porto d’armi notificata il 18 giugno 2008, periodo temporale durante il quale è intervenuta la citata l’informativa del 18 marzo 2009, con la quale il Comando Stazione Carabinieri di Agnana Calabra aveva espresso parere favorevole al rinnovo della licenza di porto di fucile avanzata dal ricorrente.

Il provvedimento impugnato non sarebbe stato, quindi, adottato sulla base di fatti che potessero indurre l’Amministrazione resistente ad ipotizzare che l'interessato potesse fare uso improprio di armi ed esplosivi.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 39, 43 T.U.L.P.S. Difetto e contraddittorietà della motivazione – Difetto e carenza di istruttoria – Erroneità e travisamento dei fatti – Illogicità manifesta – Illegittimità.

Contesta poi il ricorrente l’esistenza di un pregiudizio per detenzione abusiva di munizionamento (atteso che il relativo procedimento penale si sarebbe favorevolmente concluso), nonché il rilievo relativo alle “ultime frequentazioni … con soggetti controindicati e di interesse operativo” che si sarebbero verificate nel Comune di Canolo frazione di Canolo Nuovo nelle adiacenze del Bar Merini.

Conclude la parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame ed il conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa;
ed ha prodotto in giudizio:

- Relazione prot. 37893W/Area I bis del 17 giugno 2010 della Prefettura U.T.G. di Reggio Calabria;

- Decreto D.D.A PROT. 12288 del 1° marzo 2010;

- Lettera informativa nr. 13/4-1/2009 prot. del 26 gennaio 2010 della Legione Carabinieri – Stazione di Agnana Calabra;

- Lettere n. Car6f/2009/PAS nr. 1405 del 17 aprile 2009 del Commissariato P.S. di Siderno;

- Informativa della Legione Carabinieri di Agnana Calabra nr. 13/4 prot. del 18 marzo 2009.

Rileva il Collegio, quanto alla sottoposta vicenda contenziosa, la presenza dei presupposti indicati all’art. 74 c.p.a. ai fini della definizione della stessa con sentenza in forma semplificata.

Tale tipologia di pronunzia, infatti, è suscettibile di definire il giudizio nel caso in cui l’adito organo di giustizia “ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso”;
la relativa motivazione potendo “consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme”.

Ciò preliminarmente posto, la normativa suscettibile di applicazione alla controversia all’esame è rappresentata:

- dall’art. 11 del TULPS di cui al R.D. 18 giugno 1931 n. 773, che così dispone:

“Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:

1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;

2) a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione.”

- dall’art. 43 dello stesso TULPS, che stabilisce:

“Oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:

a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;

b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;

c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.

La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi”.

La sentenza della Corte costituzionale 2-16 dicembre 1993 n. 440 ha dichiarato illegittime le suddette norme solo con riferimento all’attribuzione all’interessato dell’onere di dover provare la buona condotta, così confermando la piena legittimità degli accertamenti e delle valutazioni discrezionali dell’Autorità di pubblica sicurezza in ordine alla sussistenza di elementi oggettivi relativi alla buona condotta.

Con riferimento a questo aspetto, la giurisprudenza (cfr., ex plurimis , Cons. Stato, sez. III, 28 aprile 2015 n. 2162 e 14 ottobre 2014 n. 5398) ha affermato che “la valutazione al riguardo dell'Autorità di pubblica sicurezza, caratterizzata da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta” (Cons. Stato, sez. III, 19 settembre 2013 n. 4666)”.

Nell’osservare come l’autorizzazione al possesso delle armi non integri un diritto, ma costituisca, piuttosto, il frutto di una valutazione discrezionale nel quale devono unirsi la mancanza di requisiti negativi e la sussistenza di specifiche ragioni positive, deve ritenersi che la regola generale sia rappresentata dal divieto di detenzione delle armi, che la autorizzazione di polizia è suscettibile di rimuovere in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’autorità di pubblica sicurezza prevenire.

Può, conseguentemente, affermarsi che:

- l'autorizzazione alla detenzione ed al porto d’armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell'ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza (da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 11 marzo 2015 n. 1270);

- la valutazione che compie l'Autorità di Pubblica Sicurezza in materia è caratterizzata, quindi, da ampia discrezionalità e persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili;

- il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta” (Cons. Stato, sez. III, 27 aprile 2015 n. 2158 e 14 ottobre 2014 n. 5398).

Inoltre, va rammentato come il nostro ordinamento sia ispirato a regole limitative della diffusione e possesso dei mezzi di offesa, tant’è che i provvedimenti che ne consentono la detenzione ed utilizzo vengono ad assumere – su un piano di eccezionalità – connotazioni concessorie di una prerogativa che esula dall’ ordinaria sfera soggettiva delle persone.

Ciò determina che, nel bilanciamento degli interessi coinvolti, assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato, tanto più nei casi di impiego dell’arma per attività di diporto o sportiva.

Quanto, poi, alla latitudine espansiva assunta in subiecta materia dal sindacato giurisdizionale, è utile ricordare come i fatti presi in considerazione ed il pericolo di abuso che si è inteso prevenire non siano suscettibili di scrutinio nel merito da parte del giudice della legittimità dell’azione amministrativa, salvi evidenti profili di travisamento dei presupposti del provvedere, irragionevolezza e non adeguatezza allo scopo perseguito, che non emergono nella fattispecie di cui è controversia (cfr. Cons. Stato, sez. III, 1° aprile 2015 n. 1731).

Con riguardo, ulteriormente, alle formalità che devono assistere il procedimento culminante con l’adozione del provvedimento in materia di armi, costante giurisprudenza afferma che non sussiste l’obbligo di preventiva comunicazione di avvio, ai sensi dell’art. 7 della legge 241/1990 nel caso in cui l’urgenza, che consenta tale omissione, è rinvenibile ex se nel pericolo di compromissione degli interessi pubblici dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, rappresentato dalle circostanze prese a presupposto per l’emanazione della misura di sicurezza pubblica quale è, appunto, il divieto di porto d’armi ai sensi dell’art. 39 T.U.L.P.S. (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 novembre 2014 n. 5581 e 14 luglio 2014 n. 3609;
nonché sez. VI, 7 febbraio 2007 n. 509).

Con riferimento alla presente controversia, quanto precedentemente esposto persuade il Collegio che la discrezionale valutazione operata dalla competente Autorità –sostanziatasi nell’adozione del gravato provvedimento – abbia correttamente apprezzato gli elementi aventi rilevanza ai fini del rilascio del titolo abilitativo di che trattasi.

Ribadite le esposte considerazioni, dispone il Collegio la reiezione del presente gravame.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

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