TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2019-10-16, n. 201911932
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 16/10/2019
N. 11932/2019 REG.PROV.COLL.
N. 09699/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9699 del 2019, proposto da C B, E P, F V, G S, F A, rappresentati e difesi dagli avvocati Felice C B e G L, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Sardegna, n. 29 e domicilio digitale agli indirizzi p.e.c. come da Registri di Giustizia;
contro
l’Ufficio centrale elettorale nazionale presso la Suprema Corte di Cassazione, in persona del legale rappresentante pro tempore ed il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, per legge domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
V S, candidato della Lista “Lega Salvini Premier” nella circoscrizione IV Italia Meridionale, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Spataro, Emilio Greco e Franceschina Bufano, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via di Val Fiorita, n. 90 e domicilio digitale agli indirizzi p.e.c. come da Registri di Giustizia;
S D M, candidato della Lista “Forza Italia”, nella circoscrizione III Italia Centrale, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Raffaele Montefusco e Socrate Toselli, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2 e domicilio digitale agli indirizzi p.e.c. come da Registri di Giustizia;
Sergio Antonio Berlato, candidato della Lista “Fratelli d’Italia” nella Circoscrizione II Italia Nord Orientale, non costituito in giudizio;
per l’annullamento e/o rettifica
previa questione pregiudiziale ex art.267 TFUE sulla compatibilità della Decisione del Consiglio 2002/772/CE e ove occorra della Decisione del Consiglio 2018/994/UE nella parte in cui prevedono soglie di accesso nazionali, facoltative/obbligatorie e variabili con gli artt. 10 par. 2 e 14 par. 2 TUE e la natura del Parlamento europei come organo di rappresentanza diretta dei cittadini UE e disposizioni della Carta dei Diritti Fondamentali nell’UE:
a) dell'atto di proclamazione degli eletti al Parlamento Europeo spettanti all’Italia per il quinquennio 2019/2024 adottato dall'Ufficio centrale in data 21 giugno 2019, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 25 giugno 2019;
b) dell’atto di proclamazione degli eletti adottato dall'Ufficio elettorale della circoscrizione II Italia Nord Orientale presso la Corte d’Appello di Venezia del giugno 2019;
c) dell’atto di proclamazione degli eletti adottato dall’Ufficio elettorale della Circoscrizione III Italia Centrale;
d) dell’atto di proclamazione degli eletti adottato dall’Ufficio elettorale della Circoscrizione IV Italia Meridionale;
e) di tutti gli atti preparatori, presupposti, connessi e conseguenziali compresi i verbali dell’Ufficio Elettorale della circoscrizione I Italia Nord occidentale e dell’Ufficio elettorale della Circoscrizione V Italia Insulare;
nonché, per la correzione dei verbali dell’Ufficio centrale nazionale e degli uffici circoscrizionali II, III e IV, limitatamente alla proclamazione con aspettativa di insediamento solo dopo che il recesso del Regno Unito dall’Unione Europea sarà divenuto giuridicamente efficace dei signori SOFO Vincenzo, candidato della lista LEGA SALVINI PREMIER nella Circoscrizione IV Italia Meridionale, DE MEO Salvatore candidato della lista FORZA ITALIA nella Circoscrizione III Italia Centrale e BERLATO Sergio Antonio candidato della lista FRATELLI D’ITALIA nella Circoscrizione II Italia Nord Orientale e la proclamazione in luogo dei controinteressati Sofo Vincenzo , De Meo Salvatore e Berlato Sergio Antonio dei Candidati più votati nelle corrispondenti circoscrizioni delle Liste PARTITO COMUNISTA, PARTITO ANIMALISTA ITALIANO e + EUROPA-ITALIA IN COMUNE-PDE ITALIA esattamente individuabili soltanto dopo la rettifica dei verbali e allegate tabelle dei voti e quozienti elettorali delle liste ammesse al riparto dei seggi e specificamente nelle Circoscrizioni II Italia Nord Orientale, III Italia Centrale e IV Italia Meridionale, beneficiarie di un seggio aggiuntivo ex Decisione 2018/937/UE e non insediabili se non “Una volta che il recesso del Regno Unito dall’Unione non sarà divenuto giuridicamente efficace”(art.3 par.2.2 Dec. 2018/937/UE).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, dell’Ufficio centrale elettorale nazionale presso la Suprema Corte di Cassazione, di V S, S D M;
Visti, inoltre, gli atti di costituzione in giudizio di: C C, legale rappresentante del Partito Animalista Italiano e candidato della relativa lista alla carica di membro del Parlamento Europeo, rappresentato e difeso in proprio, con domicilio digitale all’indirizzo p.e.c. come da Registri di Giustizia;M A, cittadino elettore iscritto nelle liste elettorali del Comune di Bitonto e candidato al Parlamento Europeo nella lista “+ Europa”, rappresentato e difeso dagli avvocati C C, F F e G L, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Sardegna, n. 29, e domicilio digitale agli indirizzi p.e.c. come da Registri di Giustizia;E F, parlamentare europeo uscente e candidata al Parlamento europeo nella lista “la Sinistra”, rappresentata e difesa dagli avvocati P A e B F, con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi in Roma, Corso d’Italia, n. 97 e domicilio digitale agli indirizzi p.e.c. come da Registri di Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2019 la dott.ssa B B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio i cittadini elettori in epigrafe hanno agito per l’annullamento – previo rinvio pregiudiziale alle Corte di Giustizia ex 267 TFUE in ordine alla compatibilità della Decisione del Consiglio 2002/772/CE e, ove occorra, della Decisione del Consiglio 2018/994/UE – dei risultati delle elezioni per il rinnovo dei rappresentanti italiani del Parlamento europeo, lamentando l’illegittimità della procedura elettorale nella parte in cui è stata applicata, in attuazione della normativa interna, la soglia di sbarramento del 4%.
I ricorrenti, premessa una ricostruzione degli sviluppi del procedimento elettorale che viene in rilievo e delle problematiche interpretative concernenti l’introduzione di una soglia di accesso del 4% con la legge n. 10 del 2009, alla base di pregressi contenziosi dai quali sono scaturiti due pronunciamenti della Corte Costituzionale, segnatamente, con le sentenze n. 271 del 2010 e n. 239 del 2018, hanno rilevato che la compatibilità del nuovo impianto di disciplina delle elezioni europee con le modifiche al TUE introdotte dal trattato di Lisbona in vigore dal 1° dicembre 2009 – che ha mutato la natura del Parlamento Europeo, costituito da cittadini dell’Unione e non più da rappresentanti degli Stati riuniti nella Comunità – e con i principi cristallizzati nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE) non ha costituito oggetto di vaglio né da parte della Corte Costituzionale né in esito a rinvio alla Corte di Giustizia, ponendosi, dunque, quale questione assolutamente nuova. Parte ricorrente ha, dunque, illustrato, con ampie argomentazioni, l’evoluzione della disciplina in argomento, contestando la previsione di soglie di sbarramento nazionali, facoltative e variabili, in quanto integranti limitazioni al diritto di voto, che nell’ordinamento dell’Unione si caratterizza per essere universale, diretto, libero e segreto, in conformità al principio della rappresentanza degressivamente proporzionale, il quale, tuttavia, non può essere, secondo ragionevolezza, interpretato nel senso che i cittadini dell’Unione che votano negli Stati più popolosi “ siano trattati ancora peggio, cioè oltre che avere un rapporto più alto tra popolazione e deputati, siano anche sfavoriti nella rappresentanza dall’esigenza di soglie di accesso dalla loro variabilità, che introduce una discriminazione non tra popolazione seggi, consentita dai trattati, ma tra voti validi con distorsioni nella rappresentanza ”, (pagg. 13 e 14 del ricorso introduttivo). In tale quadro, la difesa dei ricorrenti ha, tra l’altro, rimarcato che la decisione 2018/994/UE, Euratom del 13 luglio 2018, che modifica l'atto relativo all'elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto, allegato alla decisione 76/787/CECA, CEE, Euratom del Consiglio del 20 settembre 1976, con la quale, nello specifico, è stato previsto l’obbligo (e non più la facoltà) di prevedere una soglia minima (per le circoscrizioni elettorali che comprendono più di 35 seggi) per gli Stati in cui sia utilizza lo scrutinio di lista, non è ancora entrata i vigore, in quanto soggetta all’approvazione degli Stati membri secondo le rispettive norme costituzionali, e che, fermi i rilievi in punto di chiarezza della relativa formulazione, tale decisione è priva di significatività ai fini della comprova della compatibilità della c.d. soglia di sbarramento con la disciplina eurounitaria, sia tenuto conto della distinzione tra soglie facoltative e obbligatorie sia considerando la necessità di un vaglio della Corte di Giustizia acché “ le decisioni del Consiglio con le quali si approvano norme elettorali comuni siano approvate dagli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali ” (pagg. 16 e 17 del ricorso introduttivo) e siano conformi ai trattati e norme equiparate. Al riguardo, anzi, parte ricorrente si è soffermata sulle decisioni assunte dal Tribunale Costituzionale tedesco che per due volte ha annullato la soglia di accesso prevista nella legge elettorale nazionale per le elezioni al Parlamento europeo, evidenziando, altresì, la difformità della decisione 2018/994/UE rispetto all’obiettivo di creazione di una legge elettorale uniforme. Le argomentazioni successive si appuntano sulla valenza della previsione di soglie di accesso, tenuto conto delle specificità del Parlamento europeo che non presenta una frammentazione analoga a quella riscontrabile nel Parlamento italiano, nonché sulle distorsioni della rappresentanza che derivano dalla applicazione di una soglia di accesso facoltativa, nazionale e variabile – illustrate anche con un approccio comparativo (prendendo in riferimento, in specie, gli esiti delle consultazioni in Germania e nel Regno Unito) – in palese distonia con la nuova natura del Parlamento europeo quale organo che rappresenta direttamente i cittadini UE ed in contrasto con i diritti fondamentali cristallizzati nella CDFUE. Nella prospettiva di pervenire ad un chiarimento in sede generale ed astratta e con piena certezza giuridica in merito alle questioni prospettate, parte ricorrente ha escluso l’idoneità dello strumento della disapplicazione, sollecitando un intervento della Corte di Giustizia, attraverso il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. In esito alla ricostruzione prospettata ed alle argomentazioni articolate, i ricorrenti hanno sostenuto che, in assenza di soglia, i seggi supplementari previsti dalla Decisione (UE) 2018/937 del 28 giugno 2018 in correlazione con la conclusione del procedimento di recesso del Regno Unito dall’Unione europea, dovrebbero essere assegnati nel seguente ordine: il 74° al Partito Comunista, e, segnatamente, al candidato Marco Rizzo;il 75° al Partito Animalista e, segnatamente, al candidato C C;il 76° alla lista + Europa e, segnatamente, al candidato M A, con conseguente sostituzione dei medesimi ai candidati De Meo, Sofo e Berlato. Oltre ad evidenziare ulteriori criticità emergenti dalla disciplina nazionale delle elezioni europee, con riguardo, tra l’altro, alla necessità di un intervento del legislatore per la definizione dei meccanismi ritenuti più congrui ad assicurare il contemperamento tra le esigenze della rappresentanza politica e di quella territoriale, i ricorrenti hanno inteso chiarire l’oggetto dell’impugnativa. Al riguardo, parte ricorrente ha specificato di limitare la propria domanda alle sole operazioni elettorali di cui al n. 8, “individuazione dei seggi di cui alla decisione del Consiglio europeo 2018/937/UE del 28 giugno 2018”, nella sostanza concernenti i tre seggi supplementari, in quanto connotate da una propria autonomia, evidenziando, altresì, che tale perimetrazione della domanda determina anche l’esclusione della necessità di evocare in giudizio i candidati che sono stati proclamati eletti con insediamento immediato.
Il Ministero dell’Interno e l’Ufficio centrale elettorale nazionale presso la Suprema Corte di Cassazione si sono costituiti in giudizio con la difesa erariale, concludendo, con articolate argomentazioni, per il rigetto in quanto infondato.
Si sono costituiti in giudizio, con due distinti atti, anche i controinteressati V S e S D M, i quali hanno sollevato eccezioni di inammissibilità del gravame, costituendo la previsione di soglie di sbarramento e le modalità della loro applicazione manifestazioni della discrezionalità del legislatore, nonché tenuto conto delle finalità meramente esplorative del gravame ed anche del difetto di giurisdizione del giudice nazionale, in quanto le decisioni del Consiglio europeo avrebbero dovuto essere contestate in conformità alle previsioni dell’art.263 del TFUE innanzi alla Corte di Giustizia entro il termine di due mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’ U.E. La difesa del Sig. D M, inoltre, ha anche eccepito la tardività del gravame, alla luce della data della relativa notificazione. Entrambe i controinteressati, infine, hanno articolato pertinenti deduzioni rilevando la palese infondatezza nel merito del ricorso.
Si sono costituiti in giudizio, con due distinti atti, anche i Sig.ri C C (legale rappresentante del Partito Animalista Italiano e candidato nella relativa lista alla carica di membro del Parlamento Europeo) e M A (quale cittadino elettore iscritto nelle liste elettorali del Comune di Bitonto e candidato al Parlamento Europeo nella liste di “+ Europa”) insistendo per l’accoglimento del gravame, dal quale deriverebbe la propria proclamazione alla carica di parlamentari europei, sia pure con insediamento “differito” (alla conclusione del procedimento c.d. Brexit). Analogamente, si è costituita in giudizio, in data 11 ottobre 2019, la Sig.ra E F (europeo uscente e candidata al Parlamento Europeo nella lista “la Sinistra”), la quale pure ha insistito per l’accoglimento del gravame.
All’udienza pubblica del 15 ottobre 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Il Collegio deve preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice nazionale in relazione alle contestazioni articolate dai ricorrenti avverso le decisioni del Consiglio europeo, sollevata dalla difesa di uno dei controinteressati.
L’eccezione merita accoglimento.
Le decisioni del Consiglio europeo, infatti, costituiscono fonte derivata del diritto dell’Unione, dotata di efficacia diretta (C. giust., 6.10.1970, 9/70, Grad) e vincolante, la cui “ obbligatorietà vale per tutti gli organi dello Stato destinatario, ivi compresi i giudici ” (C. giust., 21.5.1987, 249/85, Albako).
Come chiarito anche di recente dalla Corte di Giustizia (Corte giustizia Unione Europea Sez. V, Sent., 20/06/2019, n. 458/15), “ qualsiasi parte ha il diritto di eccepire dinanzi al giudice nazionale adito l'invalidità di disposizioni contenute in atti dell'Unione su cui si basa una decisione o un provvedimento nazionale adottato nei suoi confronti, il che può indurre tale giudice, che non è competente a constatare esso stesso una simile invalidità, a interrogare in proposito la Corte mediante una questione pregiudiziale (v., in tal senso, sentenza del 29 giugno 2010, E e F, C-550/09, EU:C:2010:382, punto 45) ”;tuttavia, la stessa Corte ha specificato che il “ riconoscimento di tale diritto presuppone (…) che la parte stessa non fosse legittimata a proporre, ai sensi dell'articolo 263 TFUE, un ricorso diretto contro tali disposizioni, delle quali essa subisce le conseguenze senza aver potuto chiederne l'annullamento (cfr. sent., 20/06/2019, n. 458/15, cit.) ”. Tale preclusione della possibilità di richiedere l’annullamento della decisione del Consiglio europeo non ricorre nella fattispecie, tenuto conto della natura di detta decisione e della legittimazione prevista dall’art. 263 del TFUE, il quale, peraltro, stabilisce un termine di decadenza per la relativa impugnativa.
Anche a prescindere da tale preclusione, il Collegio rileva che i ricorrenti hanno agito nella propria qualità di cittadini elettori, a tanto certamente legittimati venendo in rilievo un’azione popolare prevista a tutela dell'interesse pubblico generale al corretto svolgimento delle operazioni elettorali, la quale non può, però, essere confusa con quella del candidato non eletto, diretta a fa valere il proprio interesse ad ottenere la preposizione all'ufficio elettivo attraverso un regolare procedimento. Orbene, sebbene le due azioni siano contestualmente esercitabili dal soggetto che rivesta entrambe le posizioni, nella fattispecie i ricorrenti hanno agito esclusivamente nella qualità di cittadini elettori, articolando diffuse argomentazioni a sostegno della non conformità con il diritto eurounitario della introduzione di una soglia di accesso (c.d. soglia di sbarramento), con la l. n. 10 del 2009, sulla base del c.d. Atto di Bruxelles (Allegato alla decisione 76/787/CECA, CEE, Euratom, del Consiglio del 20 settembre 1976, nel testo risultante a seguito della decisione 2002/772/CE, Euratom, del Consiglio del 25 giugno 2002 e del 23 settembre 2002), che ha previsto la facoltà degli Stati membri di introdurre soglie di sbarramento nella misura massima del cinque per cento all’interno delle rispettive legislazioni nazionali per l’elezione dei membri del Parlamento europeo, muovendo anche contestazione in relazione ad ulteriori profili riferiti alla disciplina delle competizioni elettorali in argomento, con specifico riferimento all’attuazione del principio proporzionale ed al contemperamento tra rappresentanza c.d. politica e rappresentanza c.d. territoriale. La domanda di annullamento rivolta a questo giudice non è però coerente con l’impianto difensivo articolato, tenuto conto della specifica legittimazione fatta valere e dell’interesse riconosciuto ex ante dal legislatore ai cittadini elettori. E, invero, i ricorrenti, pur mettendo in discussione i punti più qualificanti della disciplina che viene in rilievo, hanno agito non già per far valere l’interesse generale al corretto svolgimento delle consultazioni bensì per ottenere una pronuncia giurisdizionale limitata ai soli tre seggi “supplementari”, vale a dire i seggi derivanti dalla ripartizione di quelli spettanti al Regno Unito, per i quali la decisione (UE) 2018/937 del 28 giugno 2018 ha previsto un insediamento differito, con conseguente richiesta di una correzione del risultato elettorale attraverso la proclamazione a parlamentari europei eletti dei tre candidati specificamente indicati in sostituzione dei controinteressati. Sebbene le motivazioni di tale modulazione della domanda siano indicate nella esigenza di non interferire sul funzionamento e sulle attività del Parlamento europeo appena eletto, nondimeno il Collegio non ritiene tale domanda coerente con il fondamento della specifica legittimazione a ricorrere cui si associa l’interesse prefigurato dal legislatore, caratterizzato da una connotazione generale, scevra da posizioni di favore che verrebbero a radicarsi in capo ad alcuni candidati soltanto – i quali, peraltro, non hanno proposto autonoma impugnativa entro i prescritti termini di decadenza – in base ad una scelta rimessa nella sostanza ai ricorrenti. In altri termini, emerge con evidenza una inammissibile non corrispondenza tra la posizione giuridica soggettiva vantata dai ricorrenti cui si associano le relative fondamentali e, nella specie, peculiari, condizioni dell’azione ed il contenuto della decisione richiesta al giudice in rapporto anche alla causa petendi.
Ai fini dell'ammissibilità del ricorso, infatti, occorre che sussista piena corrispondenza tra interesse sostanziale dedotto in giudizio, lesione prospettata e provvedimento richiesto.
Inoltre, ove si intendesse valorizzare il fine di rimettere alla delibazione del giudice amministrativo una funzione interpretativa e di orientamento di future determinazioni, nella prospettiva anche di prevenire l'insorgere di contenziosi ulteriori, la natura degli interessi implicati e la specificità della materia elettorale inducono ad escludere nella fattispecie tale opzione ermeneutica. A ciò si aggiunge che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, tali seggi “supplementari” non rivestono una propria autonomia nel complesso delle operazioni elettorali in esame, alla luce anche dalla normativa europea.
Relativamente alla precedente legislatura, il Consiglio europeo, con decisione (UE) 2013/312 del 28 giugno 2013, aveva stabilito per l’Italia, all’art.3, il numero di 73 parlamentari, precisando, nel successivo art.4, che “ la presente decisione è rivista con sufficiente anticipo prima dell’inizio della legislatura 2019-2024 sulla base di un’iniziativa del parlamento europeo presentata prima della fine del 2016 al fine di istituire un sistema che consenta, in futuro, prima di ogni nuova elezione, del parlamento europeo, di assegnare i seggi agli Stati membri in modo obiettivo, equo, duraturo e trasparente, che traduca il principio della proporzionalità degressiva di cui all’articolo 1, tenendo conto dell’eventuale cambiamento del loro numero e dell’evoluzione demografica della popolazione quale debitamente accertata, rispettando così l’equilibrio globale del sistema istituzionale stabilito dai trattati ”.
La notifica della volontà di recesso del Regno Unito, alla quale ha fatto seguito l’approvazione dell’accordo da parte del Consiglio europeo, integra all’evidenza proprio la contemplata eventualità di cambiamento, di cui proprio il Consiglio ha avuto piena consapevolezza nell’adozione della decisione (UE) 2018/937 del 28 giugno 2018, con la quale, in applicazione delle previsioni del TUE, ha fissato, per la legislatura 2019-2024, all’art.3, primo comma, il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti in ciascun Stato membro, stabilendo per l’Italia il numero di 76 parlamentari.
Ed è proprio il sopra indicato art. 3 a stabilire, per l’eventualità del mancato completamento del procedimento c.d. Brexit all’inizio della legislatura, che “ il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti per ciascuno Stato membro che si insedieranno sarà quello previsto dall’art.3 della decisione 3013/312/UE del Consiglio Europeo, fino a quando il recesso del Regno Unito dell’Unione non sarà divenuto giuridicamente efficace ”;precisando, altresì, che: « una volta che il recesso del Regno Unito dall’Unione sarà divenuto giuridicamente efficace, il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti in ciascuno Stato membro sarà quello stabilito al paragrafo 1 del presente articolo. Tutti i rappresentanti al Parlamento europeo che occupano i seggi supplementari risultanti dalla differenza tra il numero dei seggi assegnati in base al primo comma e quelli assegnati in base al secondo comma si insediano al Parlamento europeo contemporaneamente ». La formulazione della previsione e, nello specifico, il verbo “insediare” che ivi figura rende evidente che il Consiglio europeo ha inteso stabilire che non appena il Regno Unito sarà effettivamente fuoriuscito dall’Unione, la composizione del Parlamento europeo subirà un cambiamento, giacché al posto dei rappresentanti di tale Nazione dovranno insediarsi i rappresentanti degli altri Stati membri che occupano i seggi c.d. “suppletivi”, in quanto tali già eletti, essendo l’elezione presupposta all’assegnazione dei seggi suppletivi.
Da ciò consegue che la scelta, si ribadisce, consapevole, del Consiglio europeo è stata quella di assicurare sin da subito l’elezione di 76 parlamentari italiani al Parlamento europeo, tanto che proprio in ragione di ciò ne è derivata l’applicazione di tale differenziale (76) e non di quello pari a 73, stabilendosi un insediamento differito dei tre parlamentari assegnatari dei seggi suppletivi, alla conclusione del procedimento di recesso del Regno Unito, il quale risponde all’esigenza di preservare il funzionamento del Parlamento europeo, evitando stalli nelle relative attività. Nessuna autonomia è, dunque, sul piano logico e giuridico predicabile quanto alla elezione dei tre parlamentari assegnatari dei seggi suppletivi.
Con specifico riferimento agli atti di costituzione in giudizio dei Sig.ri C C (legale rappresentante del Partito Animalista Italiano e candidato nella relativa lista alla carica di membro del Parlamento Europeo), M A (quale cittadino elettore iscritto nelle liste elettorali del Comune di Bitonto e candidato al Parlamento Europeo nella liste di “+ Europa”), ed E F (parlamentare europeo uscente e candidata al Parlamento Europeo nella lista “la Sinistra”) il Collegio rileva che tali atti si sostanzino in atti di intervento ad adiuvandum, inammissibilmente ed irritualmente spiegati da soggetti che vantano un proprio diretto e autonomo interesse, i quali, dunque, avrebbero dovuto agire entro i prescritti termini di decadenza. E, invero, le deduzioni articolate da tali parti sono dirette a sostenere l’accoglimento del gravame, dal quale asseritamente deriverebbe la propria proclamazione alla carica di parlamentari europei. Al riguardo, il Collegio reputa sufficiente evidenziare che nel processo amministrativo è ammesso il solo intervento adesivo dipendente e, quindi, del tutto collegato e subalterno alla posizione giuridica di chi ha proposto il ricorso introduttivo, sicché deve essere considerato inammissibile l’intervento da parte di soggetti che, di per sé, versano nella condizione di fare valere un interesse personale all’impugnazione dei provvedimenti oggetto di gravame (cfr., ex multis , C.d.S., Sez. V, 1 aprile 2019, n. 2123;Cons. Giust. Amm. Sicilia, 1 aprile 2019, n. 301;TAR Umbria, Sez. I, 3 aprile 2019, n. 176). Ciò con l’ulteriore specificazione che l’asserita – e per le ragioni esplicitate nei successivi capi della presente pronuncia, insussistente – novità delle questioni prospettate, non si valuta circostanza idonea a fondare l’ammissibilità del beneficio della rimessione in termini (richiesta, questa, prospettata nel corso della discussione orale in udienza da taluni dei difensori delle sopra indicate parti), il quale, per univoca giurisprudenza, presupposte, ex art. 37 c.p.a., la scusabilità dell’errore e, determinando una deroga alla fondamentale regola di perentorietà dei termini d'impugnazione, costituisce istituto di carattere eccezionale, tanto più tenuto conto delle peculiarità del rito che viene in rilievo, oltre che della constatazione che i Sig.ri C, A e F non hanno proceduto ad alcuna notificazione dei rispettivi atti, essendosi costituiti sulla base della ricezione del ricorso introduttivo (anche nei loro confronti notificato), insuscettibile di esplicare una efficacia “sanante”, con elusione del termine decadenziale per procedere all’impugnativa. Per completezza, inoltre, il Collegio ritiene anche di sottolineare, relativamente alla Sig.ra E F, che la medesima neppure figura tra i candidati che, secondo quanto prospettato nel ricorso introduttivo, segnatamente nel relativo petitum, verrebbe ad essere assegnataria di uno dei tre seggi c.d. suppletivi, con conseguente inammissibile ampliamento del thema decidendum.
Fermo il carattere dirimente delle considerazioni sopra svolte, che determinano, in conformità alle coordinate tracciate dall’A.P. nella sentenza n. 5 del 2015, l’assorbimento delle residue eccezioni sollevate dai controinteressati, il Collegio ritiene anche di rilevare l’infondatezza del ricorso, sia tenuto conto della cruciale rilevanza della disciplina elettorale che viene in rilievo sia ai fini di un più ponderato apprezzamento quanto alle statuizioni concernenti la regolazione delle spese di lite.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 239 del 2018 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21, primo comma, numeri 1-bis) e 2), e dell’art. 22 della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia), nel testo risultante a seguito delle modifiche operate dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2009, n. 10, ampiamente argomentando in ordine alla piena legittimità costituzionale della introduzione delle c.d. soglie di sbarramento.
E’ significativo evidenziare che, in detta pronuncia, sebbene la Corte abbia escluso ai fini della decisione il carattere pregiudiziale della questione della compatibilità con i trattati del sistema delle soglie “facoltative, variabili e nazionali”, non ha mancato con chiarezza di rilevare che: « Occorre ricordare comunque che, con riferimento alla medesima questione della conformità dell’atto elettorale europeo ai trattati, questa Corte, già nella sentenza n. 110 del 2015, ha affermato che «[n]on vi è […] alcuna questione pregiudiziale [da] rivolgere alla Corte di giustizia, non sussistendo dubbi di sorta sull’esatto significato dell’evocata previsione del diritto dell’Unione europea (…) ». Se è vero, inoltre, che la decisione 2018/994/UE, Euratom del 13 luglio 2018, che modifica l'atto relativo all'elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto, allegato alla decisione 76/787/CECA, CEE, Euratom del Consiglio del 20 settembre 1976, con la quale, nello specifico, è stato previsto l’obbligo (e non più la facoltà) di prevedere una soglia minima (per le circoscrizioni elettorali che comprendono più di 35 seggi) per gli Stati in cui sia utilizza lo scrutinio di lista, non è ancora entrata i vigore, in quanto soggetta all’approvazione degli Stati membri secondo le rispettive norme costituzionali, non può che convenirsi con la difesa erariale quanto alla valutazione da parte degli stessi organi dell’Unione della piena legittimità della introduzione di una soglia minima per l’attribuzione dei seggi, resa evidente dalla previsione di un obbligo per gli Stati membri con un maggior numero di rappresentanti (tra i quali l’Italia) di introdurre detta soglia.
Nella medesima pronuncia, inoltre, la Corte Costituzionale ha sottolineato che la “ modifica operata dal Trattato di Lisbona secondo cui «[i]l Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei cittadini dell’Unione» (art. 14, paragrafo 2, TUE), e non più «di rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità», invero, non ha fatto venir meno la dimensione nazionale della rappresentanzae in questa logica si spiega il riconoscimento di un numero minimo di seggi (sei) anche agli Stati con minore popolazione (Malta, Lussemburgo, Cipro ed Estonia) ”. E proprio con riguardo alla ragionevolezza della previsione di soglie di sbarramento, la Corte ha osservato: « anche all’interno del Parlamento europeo si pongono infatti esigenze di efficienza dei meccanismi decisionali, alle quali la previsione di una soglia di sbarramento innegabilmente risponde, riducendo la frammentazione politico-partitica nel suo ambito. Si tratta di un’esigenza non meno meritevole di tutela della prima, stante che il buon funzionamento dell’assemblea parlamentare costituisce di per sé un valore di rilievo primario in considerazione delle funzioni decisorie dell’assemblea stessa e dei rischi connessi a una paralisi della sua attività conseguente all’impossibilità o all’eccessiva difficoltà di formare le necessarie maggioranze. Già da questo primo punto di vista, dunque, la previsione di una soglia di sbarramento non può essere considerata irragionevole, apparendo essa invece funzionale all’obiettivo di razionalizzare l’organizzazione dell’assemblea, obiettivo che si pone per il Parlamento europeo in maniera non diversa da come si pone per i Parlamenti nazionali. Le conseguenze della mancata previsione di una soglia di sbarramento non si esauriscono infatti in una generica difficoltà di decisione ma comportano un concreto pregiudizio per la funzionalità dell’organo rappresentativo ». Ciò non senza rimarcare, immediatamente dopo, che: « A quanto appena osservato sulle esigenze di efficiente funzionamento interno dell’assemblea in vista del migliore svolgimento dei suoi processi decisionali, si deve nondimeno aggiungere il dato della indubbia trasformazione in senso parlamentare della forma di governo dell’Unione europea, quale ha preso a realizzarsi negli ultimi anni anche grazie alle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 e entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Indizi significativi di questa tendenza sono sicuramente il rafforzamento delle funzioni legislativa, di bilancio, controllo politico e consultiva del Parlamento europeo (art. 14, paragrafo 1, TUE e artt. 289 e 294 TFUE), fra cui spiccano la competenza di quest’ultimo a eleggere il Presidente della Commissione e la possibilità di approvare una mozione di censura alla stessa Commissione (art. 17, paragrafo 8, TUE). In questa potenziata relazione dialettica fra Parlamento europeo e Commissione, cui consegue l’esigenza di favorire il formarsi di una maggioranza politica nell’assemblea, la clausola di sbarramento persegue l’autonoma e specifica funzione di evitare che un’eccessiva frammentazione dei partiti in essa rappresentati ne renda particolarmente complessa la formazione, mettendo così a rischio l’interesse alla stabilità dell’organo politico di governo. In conclusione, la previsione di un meccanismo di selezione delle liste ammesse alla ripartizione dei seggi in ragione della percentuale di voti ottenuta risponde a esigenze reali e meritevoli di tutela, di buon funzionamento dell’assemblea parlamentare europea, sia nei suoi rapporti con la Commissione, sia nello svolgimento della sua più generale attività ».
La compatibilità delle soglie di sbarramento con l’assetto derivante dalle modifiche di cui al Trattato di Lisbona è stata, quindi, già delibata, nei sopra riportati termini, in senso positivo, venendo così meno la novità della questione, posta dai ricorrenti e dagli stessi interventori quale giustificazione e fondamento dell’azione.
Invero, i ricorrenti trascurano di considerare la dimensione nazionale della rappresentanza nel Parlamento europeo, incidente sulle “distorsioni” illustrate in ricorso, giacché la rappresentanza dei cittadini dell’Unione passa attraverso l’assegnazione di un dato numero di seggi ai singoli Stati. Il numero dei rappresentanti al Parlamento europeo eletti in ciascun Stato membro è stato, relativamente alle ultime consultazioni, stabilito dalla decisione (UE) 2018/937 del 28 giugno 2018, in applicazione delle previsioni del TUE ed in conformità a tale decisione con d.P.R. 22 marzo 2019 si è provveduto alla ripartizione tra le cinque circoscrizioni territoriali dei 76 seggi spettanti all’Italia con convocazione dei comizi elettorali.
Peraltro, la dimensione nazionale delle elezioni al Parlamento Europeo è dimostrata dal fatto che le circoscrizioni sono riferite ai singoli Stati, e non all’intera Unione Europea, e che la proporzionalità non è parametrata all’intero corpo elettorale dell’Unione, ma a quello dei singoli Stati, secondo il criterio della proporzionalità degressiva.
Né emerge una vulnerazione del principio di uguaglianza del voto che, come chiarito anche dall’univoca giurisprudenza costituzionale (il che esime da citazioni specifiche) non si estende al risultato concreto della manifestazione di volontà dell’elettore, con l’ulteriore specificazione che i correttivi al sistema proporzionale non incidono sulla parità di condizioni dei cittadini e sull’eguaglianza del voto.
Come chiarito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 271 del 2010) anche con riferimento alla disciplina legislativa nazionale dal 1984 in poi sono individuabili due esigenze: da un lato, l’assegnazione dei seggi nel collegio unico nazionale in proporzione ai voti validamente espressi, quale riflesso del criterio della proporzionalità politica;dall’altro, la distribuzione dei seggi fra le circoscrizioni in proporzione alla popolazione, che è espressione del criterio di rappresentanza c.d. territoriale.
Giova precisare, peraltro, al riguardo, che la conformità al criterio proporzionale, alla luce anche della normativa eurounitaria, è stata già positivamente valutata dal giudice d’appello con considerazioni integralmente condivise dal Collegio, nella consapevolezza che l’ordinamento dell’Unione ha selezionato un sistema di rappresentanza che, pur conservando un carattere sostanzialmente proporzionale, opera su distinti livelli, assicurandone il bilanciamento, sicché la scelta di dare rilievo anche al profilo territoriale si pone in linea con il diritto dell’Unione e, anzi, “ l’evidente chiarezza delle disposizioni del diritto dell’Unione, che possono essere certamente interpretate nel senso di consentire allo Stato membro una soluzione quale quella adottata dall’Italia, attesa la discrezionalità politica di cui godono i singoli Stati nazionali, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, non impone, anzi, induce ad evitare di sollevare la questione interpretativa alla Corte di Giustizia UE ” (cfr. Cons. St., sez. V, n. 236 del 2016). Da ciò consegue il rigetto della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, giacché tale rimessione non può essere disposta nei casi, come quello in esame, in cui “ la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con chiarezza, univocità ed evidenza tali da non dare adito a nessun ragionevole dubbio interpretativo sulla soluzione da dare alla questione ” (cfr., ex multis , Cons. St., sez. VI, 15.06.2011 n. 3655).
In conclusione, per le ragioni sopra esposte, sia il ricorso introduttivo sia gli atti di intervento ad adiuvandum vanno dichiarati inammissibili, con assorbimento delle ulteriori eccezioni sollevate dalle difese delle controparti.
Le spese di lite, compensate nei rapporti con i Sig.ri C C, M A ed E F, tenuto conto delle circostanze alla base della loro costituzione in giudizio e, segnatamente, della notificazione, nei loro confronti, del ricorso introduttivo, seguono relativamente alle altri parti la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo.