TAR Roma, sez. II, sentenza 2012-06-28, n. 201205964

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2012-06-28, n. 201205964
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201205964
Data del deposito : 28 giugno 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04986/2005 REG.RIC.

N. 05964/2012 REG.PROV.COLL.

N. 04986/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4986 del 2005, proposto dalla società Fastweb s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G F, M L, e S F, con domicilio eletto in Roma, via G.B. De Rossi n. 30;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati D R e M M, dell’Avvocatura comunale, presso la cui sede è elettivamente domiciliato in Roma, Via del Tempio di Giove, n. 21;

per l'annullamento

del provvedimento del Comune di Roma, Municipio VI, in data 10 febbraio 2005, prot. n. 274 con il quale la società ricorrente è stata invitata a «pagare entro 30 giorni la somma complessiva di € 26.011,86, quale contributo per l’apertura degli cavi stradali», nonché di tutti gli atti comunque connessi, presupposti, o consequenziali ivi compresi: a) per quanto possa occorrere, Regolamento per scavi stradali e per la posa di canalizzazioni nel sottosuolo (c.d. “Regolamento Cavi”), approvato con la delibera del Consiglio Comunale del Comune di Roma 17 maggio 2002, n. 56,, e, in particolare l’art. 7, par. A1 e A2, ultimo comma;
b) le note del Dipartimento

XII

15 settembre 2004, prot. n. 49310, e 18 dicembre 2003, prot. n. 66886;
c) nota di contabilità in data 20 maggio 2004, prot. n. 20399, relativa al saldo anno 2003;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2012 il dott. C P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


CONSIDERATO che la società Fastweb, in punto di fatto, deduce quanto segue: A) in qualità di operatore di telecomunicazioni, installa e gestisce infrastrutture di telecomunicazioni (e, in particolare, cavi interrati in fibra ottica), offrendo i relativi servizi in alcune delle principali città italiane;
B) di recente Fastweb ha iniziato ad offrire tali servizi anche nel centro Italia e, in particolare, in alcune aree del Comune di Roma;
C) con il provvedimento impugnato, il Municipio VI - per conto del Comune di Roma - ha avanzato una richiesta di euro 26.011,86 a titolo di occupazione del suolo pubblico, sulla base delle previsioni del Regolamento adottato con deliberazione del Consiglio Comunale 17 maggio 2002, n. 56 comunale, (c.d. “Regolamento Cavi”);
D) a supporto di tale richiesta l’amministrazione comunale afferma, in particolare, che Fastweb «è debitrice nei confronti dell’Amministrazione del Comune di Roma, Municipio 6, a tutto l’anno 2003 della somma di € 26.011,86 per contributi di apertura Cavi in relazione alla somma forfettaria, di cui all’art. 14 del Regolamento Cavi del Comune di Roma, integrato degli interessi legali per l’anno 2004 (2,5%) pari a € 528,70 per complessive € 26.011,86 (comprensive di I.V.A. 20%) in base alle normative vigenti”;
E) l’Amministrazione comunale, in sostanza, ha chiesto a Fastweb la corresponsione di tutte le somme asseritamente dovute fino al 31 dicembre 2003, ossia per lavori autorizzati, dapprima, ai sensi del decreto legislativo n. 198/2002 e, successivamente, ai sensi del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003);
F) tali somme, tenuto conto dell’esplicito richiamo all’art. 14 del Regolamento Cavi del Comune di Roma, si riferiscono a presunti oneri di “collaudo” e “sorveglianza” di scavi effettuati da Fastweb per installare le proprie infrastrutture di telecomunicazioni, nonché ai corrispettivi per l’uso delle strutture esistenti;
G) l’Amministrazione comunale sembra intendere che, sebbene il decreto legislativo n. 198/2002 impedisse alle amministrazioni locali di imporre agli operatori oneri ulteriori rispetto a quelli previsti nei vari regolamenti comunali, l’avvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dello stesso, dichiarata con la sentenza n. 303/2003, ha determinato il venir meno del limite legislativo, quanto meno per il periodo anteriore all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 259/2003;
H) la predetta richiesta è priva di un adeguato fondamento normativo, perché presuppone che l’unico ostacolo all’imposizione dei contributi sia costituito dal decreto legislativo n. 259/2003, mentre l’imposizione degli oneri in questione in realtà contrasta con la normativa comunitaria e nazionale anche se ci si riferisce al periodo anteriore all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 259/2003;
I) inoltre la cifra richiesta dall’amministrazione comunale si riferisce esclusivamente ai lavori di scavo e posa dei cavi eseguiti fino all’anno 2003 ed è stata già contestata da Fastweb, con nota del 23 novembre 2004, perché non correttamente determinata;
L) infine la richiesta risulta comunque illegittima perché il Comune ha chiesto il pagamento di somme anche per lavori di scavo mai eseguiti, avendo Fastweb posato i propri cavi in infrastrutture già esistenti, utilizzando i pozzetti stradali, e quindi senza effettuare lavori “a cielo aperto”;

CONSIDERATO che avverso i provvedimenti impugnati la società Fastweb deduce le seguenti censure:

I) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 della legge n. 166/2002, dell’art. 14, capoverso 11, del Regolamento Cavi;
eccesso di potere per sviamento, carenza di presupposti, difetto di motivazione, ingiustizia manifesta e travisamento dei fatti;
illegittimità del provvedimento impugnato, nella parti in cui si prevede la determinazione forfetaria (€/metro lineare) di importi a titolo di oneri fissi di manutenzione, per violazione e falsa applicazione dell’art. 63 del decreto legislativo n. 446/1997, come modificato dall’art. 10 della legge n. 166/2002;
eccesso di potere per contraddittorietà estrinseca, disparità di trattamento, carenza di motivazione, difetto dei presupposti ed illogicità manifesta
. La società ricorrente deduce che il Comune di Roma, per motivare la impugnata richiesta di pagamento, fa riferimento agli oneri previsti dall’art. 7, lett. A1, del Regolamento Cavi (richiamato dall’art. 14 del medesimo Regolamento, espressamente citato nel provvedimento impugnato) e lascia intendere che tali oneri sarebbero dovuti per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale del decreto legislativo n. 198/2002. Tuttavia, così ragionando, l’Amministrazione comunale dimentica innanzi tutto che la disposizione dell’art. 10 decreto n. 198/2002 (recante “disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 21 dicembre 2001, n. 443”) - nella parte in cui prevede che “nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto ... in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al presente decreto, fatta salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ..., oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ...” - era sostanzialmente già contenuta nell’art. 10, comma 1, della legge n. 166/2002, tutt’ ora vigente, ove si prevede che “il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ... è determinato in modo da comprendere nel suo ammontare la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ..., nonché ogni altro onere imposto dalle province e dai comuni per le occupazioni connesse con la realizzazione di dette infrastrutture”, in modo da escludere che le amministrazioni locali possano introdurre oneri ulteriori a carico degli operatori. Inoltre la ricorrente lamenta che solo per le società che gestiscono servizi di telecomunicazione è stata introdotta, con l’art. 14 del Regolamento Cavi, una disciplina speciale, incentrata sulla previsione di una maggiorazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, che risulta illegittima e particolarmente gravosa. Infatti la tabella B allegata alla predetta delibera impone ai soli operatori delle telecomunicazioni, la corresponsione delle seguenti somme: “a) Euro 50 + I.V.A. (20%) per ogni metro lineare di scavo [a titolo di] somma forfetaria da versare all’Amministrazione per il ristoro del degrado stradale in caso di scavi e per gli oneri di sorveglianza e di verifica tecnica degli interventi effettuati;
b) Euro 100 + I.V.A. (20%) per ogni metro lineare di cavo posato [a titolo di] somma forfetaria da versare all’Amministrazione per la posa di cavi in polifore, tubazioni vuote comunali e S.S.P.”. Ebbene, tale maggiorazione (che complessivamente ammonta ad almeno Euro 150 + I.V.A. per ogni metro lineare) risulta palesemente illegittima, per disparità di trattamento, se si considera che è imposta ai soli operatori di telecomunicazioni, mentre gli operatori di altri settori (idrico, elettrico, gas, ecc.) non sono tenuti a pagarla, nonostante effettuino attività di scavo che spesso comportano un maggiore degrado delle aree ove sono realizzati. A ciò si aggiunge che la maggiorazione relativa agli oneri di manutenzione - essendo configurata come una quota “fissa” del canone, determinata in modo forfetario - contrasta con l’art. 63, comma 3, del decreto legislativo n. 446/1997 (come modificato dall’arto 10 della legge n. 166/2002), nella parte in cui dispone che “il canone ... può essere maggiorato di eventuali, effettivi e comprovati oneri di manutenzione in concreto derivanti dall’occupazione del suolo e del sottosuolo, che non siano, a qualsiasi titolo, già posti a carico delle aziende che eseguono i lavori”. Del resto, nel senso che la maggiorazione del canone riferita agli oneri di manutenzione è solo eventuale e deve essere effettiva e dimostrata (e quindi non può essere stabilita ex ante ed à forfait ) si sono espressi sia il Ministero delle Finanze, con la circolare del 28 febbraio 2000, n. 32 (recante “Chiarimenti in ordine alle disposizioni relative al canone (COSAP) ed alla tassa (TOSAP) per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche”), ove è stato affermato che “i soggetti tenuti al pagamento del canone devono essere esclusivamente individuati nelle aziende che effettuano in concreto le occupazioni in questione”;
sia la giurisprudenza (T.A.R. Lombardia Milano, sentenza n. 3029/2002), secondo la quale la maggiorazione forfetaria deve ritenersi applicabile solo in relazione ad una effettiva e concreta manutenzione del suolo pubblico interessato. Infine, secondo la ricorrente, impugnata delibera n. 56/2002 contrasta con l’art. 63 del decreto legislativo n. 446/1997 nella parte in cui stabilisce, come principio generale, che il Cosap è commisurato “al numero complessivo delle relative utenze” (comma 2, lett. f, n. 1). Infatti il provvedimento impugnato, in applicazione della predetta delibera, ha previsto un diverso (e illegittimo) criterio di determinazione del canone e delle maggiorazioni, commisurandoli alla lunghezza degli scavi effettuati e dei cavi posati (€/ metro lineare), senza alcun riferimento al numero di utenze attivate. In definitiva, secondo la ricorrente, il Comune di Roma, attraverso l’introduzione di una semplice maggiorazione del canone, avrebbe in realtà perseguito il diverso obiettivo di incrementare illegittimamente il canone base, modificandone anche il criterio di applicazione (metri lineari, anziché numero di utenti);
tuttavia, così operando, ha palesemente violato l’art. 63 del decreto legislativo n. 446/1997, la cui ratio consiste proprio nell’evitare di penalizzare gli operatori nuovi entranti che necessariamente, almeno in una fase iniziale di attivazione e commercializzazione dei servizi, non hanno un numero di utenze particolarmente elevato.

II) Violazione e falsa applicazione delle direttive comunitarie CE/1997/13, CE/2002/20 e CE /2002/21;
eccesso di potere per travisamento, contraddittorietà estrinseca, carenza di motivazione, difetto dei presupposti ed illogicità manifesta sotto ulteriori profili.
Secondo la società ricorrente i provvedimenti impugnati sono illegittimi anche perché contrastano sia con i principi costituzionali dell’ordinamento comunitario, sia con le regole specifiche che disciplinano le telecomunicazioni. In particolare la ricorrente rammenta che l’illegittima previsione di oneri fiscali aggiuntivi rispetto a quelli strettamente inerenti alle procedure di rilascio di autorizzazioni per le infrastrutture di telecomunicazioni e di occupazione di suolo pubblico è stata di recente affermata anche in ambito comunitario con particolare riferimento alla direttiva CE/1997/13 (recante la “disciplina comune in materia di autorizzazioni generali e di licenze individuali nel settore dei servizi di telecomunicazioni”). In tal senso si è espressa la Corte di Giustizia delle Comunità Europee con l’ordinanza 8 giugno 2004, di recente confermata nelle conclusioni presentate dall’Avvocato Generale in data 7 aprile 2005 nelle cause riunite nn. C-544-545/03 (doc. 9). In entrambe le circostanze la Corte ha affermato che gli Stati membri, quando decidono di imporre oneri fiscali a operatori di telefonia mobile titolari di un’autorizzazione o di una licenza individuale (ma il principio vale per tutti gli operatori di telecomunicazioni), sono tenuti a rispettare le disposizioni della direttiva 97/13. Tale direttiva, secondo la Corte di Giustizia, è di particolare rilievo in quanto potrebbe «condurre, da sola, a escludere l’applicazione dei regolamenti comunali controversi in materia di imposizione di oneri fiscali». Infatti, la direttiva in esame fa parte dei provvedimenti finalizzati alla completa liberalizzazione dei servizi e delle infrastrutture di telecomunicazione a partire dal 10 gennaio 1998. Per raggiungere tale obiettivo essa definisce una disciplina comune applicabile ai regimi delle autorizzazioni generali e delle licenze individuali rilasciate dagli Stati membri nel settore dei servizi di telecomunicazione. «Al fine di facilitare l’ingresso di nuovi operatori nel mercato - si legge nelle conclusioni dell’Avvocato Generale - [la direttiva] impone che tali regimi siano fondati su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionali. In questa prospettiva, la direttiva 97/13/CE introduce disposizioni fiscali che mirano a favorire la concorrenza e a limitare gli oneri pecuniari che gli Stati membri possono imporre alle imprese nel settore delle telecomunicazioni». Ne deriva - prosegue l’Avvocato Generale - che «l’elenco degli oneri pecuniari che gli Stati membri possono imporre alle imprese di telecomunicazione per le procedure di autorizzazione o per le autorizzazioni stesse ha carattere esaustivo: l’onere in causa è proibito se non rientra in una delle categorie previste dalla direttiva 97/13». Sulla base delle considerazioni sopra esposte, si riconosce che le disposizioni della direttiva 97/13/CE, e in particolare l’art. 11, «devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa comunale che istituisce un’imposta annuale sulle infrastrutture di comunicazioni mobili e personali, nel caso in cui il proprietario dell’infrastruttura sia titolare di una licenza ai sensi di tali disposizioni». Tale orientamento, peraltro, è stato pacificamente recepito anche dai giudici amministrativi (T.A.R. Lazio, Sez. II, 4 gennaio 2005, n. 52;
Cons. Stato, Sez. VI, 24 febbraio 2004, n. 5010), i quali hanno affermato che «la direttiva 97/13 prevede non solo regole concernenti le procedure di rilascio delle autorizzazioni ed il contenuto delle stesse, ma anche la natura e l’entità degli oneri pecuniari, collegati a tali procedure, che gli Stati membri possono imporre alle imprese nel settore dei servizi di telecomunicazione;
b) tali oneri devono essere fondati su criteri oggettivi, non discriminatori e trasparenti e devono essere tali da non ostacolare l’obiettivo della totale liberalizzazione del mercato, il quale comporta l’apertura di quest’ultimo alla concorrenza». Stante quanto precede, secondo la ricorrente, le maggiorazioni introdotte nel Regolamento Cavi del Comune di Roma e, di conseguenza, gli oneri richiesti, nella fattispecie in esame, dal Municipio VI, costituendo un’imposta annuale suppletiva, rispetto alle licenze per l’apertura dei singoli Cavi e al Cosap, che la ricorrente già corrisponde all’Amministrazione comunale - lungi dal “favorire la concorrenza”, dall’essere “non discriminatorie e proporzionali” e dal “tener particolare conto della necessità di incoraggiare lo sviluppo di servizi innovativi e la concorrenza” (art. 11, della direttiva CE/1997/13) - costringerebbero la ricorrente ad applicare tariffe per i servizi offerti assolutamente anticompetitive e fuori mercato;

III) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 23 e 119 Cost., dell’art. 218, comma 3, del decreto legislativo n. 259/2003;
violazione della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali;
eccesso di potere per travisamento e illogicità manifesta
. La società ricorrente deduce che i contributi richiesti dall’Amministrazione violano anche la riserva di legge sancita dall’art. 23 Cost.. Infatti, sebbene la dottrina e la giurisprudenza concordino nell’affermare che si tratta di una riserva di tipo relativo, sicché non è preclusa l’emanazione di precetti di tipo integrativo da parte di successivi atti generali, tuttavia occorre che la legge stabilisca la prestazione con sufficiente determinatezza indicando, in modo sufficiente, i criteri direttivi di base che limitino la discrezionalità delle fonte secondarie. Inoltre la riserva di legge riguarda non solo le tasse e le imposte, ma anche le tariffe per i servizi pubblici e varie specie di contributi, tra cui i canoni. Ne discende l’illegittimità dell’art. 7 del Regolamento Cavi, perché l’art. 218, comma 3, del decreto legislativo n. 259/2003 ha abrogato l’art. 4 della legge n. 249/1997, sulla quale si basa il predetto Regolamento;

CONSIDERATO che Roma Capitale con memoria depositata in data 3 maggio 2012: A) in via preliminare ha eccepito il difetto di giurisdizione di questo Tribunale, evidenziando che la presente controversia non rientra tra quelle indicate dall’art 133 cod. proc. amm. e che non può essere ricondotta neppure nell’alveo della generale giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo perché «non v’è dubbio che la situazione giuridica rivestita dal privato in relazione al pagamento di corrispettivi è quella di diritto soggettivo»;
B) in via subordinata ha evidenziato che la società ricorrente nel richiedere l’autorizzazione per la posa dei cavi ha espressamente accettato l’applicazione delle disposizioni del Regolamento Cavi, ivi compresa quella dell’art. 7, ed ha eccepito l’infondatezza delle suesposte censure ponendo in rilievo che le somme richieste con il provvedimento impugnato riguardano «diritti d’istruttoria» ed «hanno natura e funzione di indennizzo dell’amministrazione per la concreta perdita patrimoniale subita e ripagano i costi effettivi che la medesima si trova a sostenere per il recupero delle strade entro un arco temporale inferiore a quello che sarebbe necessario (c.d. piano delle manutenzioni) in assenza degli interventi degli enti operatori»;

CONSIDERATO che la società ricorrente con memoria depositata in data 4 maggio 2012: A) in via preliminare, ha posto in rilievo che, in relazione ad una controversia del tutto analoga a quella il esame, il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza la 6 ottobre 2010, n. 7323, confermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 12 ottobre 2011, n. 20393) ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo;
B) nel merito, ha insistito per l’accoglimento del ricorso, evidenziando, tra l’altro, che la tesi fatta propria dal Ministero delle Finanze, con la già ricordata circolare del 28 febbraio 2000, n. 32, è stata da ultimo ribadita con la circolare 20 gennaio 2009, n. 1/DF, ove è stato chiaramente evidenziato (anche sulla scorta del sentenza del T.A.R. Lombardia n. 3029/2002, ivi espressamente richiamata) come la formulazione dell’art. 63, comma 3, del decreto legislativo n. 446/1997 «comporta il superamento di tutte le questioni sorte in ordine all’applicazione indiscriminata di maggiorazioni per oneri di manutenzione che venivano richiesti anche quando i lavori di manutenzione erano già posti a carico dell’azienda», e che il Consiglio di Stato, con la suddetta sentenza n. 7323/2010 ha annullato un provvedimento del Comune di Roma, di contenuto identico a quello oggetto del presente ricorso, evidenziando che l’Amministrazione comunale si era limitata a richiamare in motivazione il Regolamento Cavi, senza tuttavia specificare (per giustificare la richiesta di pagamento) quale attività di sorveglianza, verifica tecnica o ripristino in concreto avesse svolto;

CONSIDERATO che Roma Capitale con memoria depositata in data 15 maggio 2012 ha confermato le eccezioni sollevate con la precedente memoria;

CONSIDERATO che la società ricorrente con memoria depositata in data 16 maggio 2012 ha confermato quanto già evidenziato nella precedente memoria;

CONSIDERATO, in via preliminare, che l’eccezione di inammissibilità del presente ricorso, sollevata dalla difesa di Roma Capitale non può essere accolta perché: A) come puntualmente evidenziato dalla difesa della società ricorrente, con riferimento ad una fattispecie analoga a quella in esame il Consiglio di Stato (Sez. V, 6 ottobre 2010, n. 7323) ha affermato la giurisdizione di questo Tribunale, in quanto «non si discute dell’applicazione di un tributo, ma del provvedimento autoritativo del Comune di Roma, il quale sulla base del fatto ... di aver sopportato oneri per il ripristino della sede stradale sotto la quale Fastweb ha inserito fibre ottiche, ha richiesto il pagamento di un ulteriore contributo, distinto dal canone di concessione per l’uso del suolo pubblico. Si tratta, pertanto, di atto autoritativo emanato dal Comune di Roma e non concernente tributi o contribuzioni ricadenti nell’ambito dei diritti soggettivi»;
B) La Corte di Cassazione (Sez. Un. 12 ottobre 2011, n. 20939) ha respinto il ricorso proposto avverso la predetta pronuncia del Consiglio di Stato evidenziando in motivazione che «nel caso di specie, la contestazione sollevata dalla Fastweb a fronte della richiesta di pagamento, in aggiunta al canone di occupazione di suolo pubblico, di un’ulteriore somma, quantificata forfettariamente a norma di una precedente disposizione regolamentare emanata dal comune, è sì rivolta, in primo luogo, contro lo specifico provvedimento col quale quella somma è stata determinata (e contro i successivi conseguenti atti di riscossione), ma implica la messa in discussione del modo stesso in cui è stato esercitato dalla pubblica amministrazione il potere regolamentare dal quale trae origine la pretesa dell’amministrazione. E ciò in quanto, secondo la Fastweb, non avrebbe potuto legittimamente il comune porre un siffatto onere economico a carico del privato autorizzato ad installare cavi nel sottosuolo della strada pubblica, così determinando un corrispettivo aggiuntivo, ma avrebbe solo potuto eventualmente prevedere il ristoro ex post delle spese sostenute dall’amministrazione per attività rese necessarie da tale installazione. La controversia derivante da tale contestazione investe, quindi, non tanto l’attuazione di diritti ed obblighi nascenti dal rapporto in forza del quale il privato ha occupato il suolo pubblico e vi ha disposto le suindicate installazioni, bensì il modo in cui la pubblica amministrazione, nell’esercizio del suo potere regolamentare, ha inteso disciplinare un aspetto di tale rapporto. Né vale obiettare che la Fastweb avrebbe dovuto allora impugnare tempestivamente ed in via principale il summenzionato regolamento, che invece è stato posto in discussione solo a seguito della concreta attuazione datane con la “determinazione dirigenziale” contenente la richiesta di pagamento poi posta in esecuzione. Le questioni concernenti la tempestività dell’impugnazione del regolamento ed il momento in cui è sorto l’interesse della parte ad impugnarlo concernono il merito della vertenza ed esulano perciò dall’ambito del presente giudizio di legittimità, che è limitato al tema della giurisdizione. A questo fine, anche a prescindere dall’individuazione dei singoli atti formalmente impugnati dal privato dinanzi al giudice amministrativo, quel che importa è il contenuto effettivo della domanda, la quale, come già s’è detto, necessariamente investe la legittimità dell’atto regolamentare, poiché mette in discussione la possibilità stessa per l’amministrazione comunale di fissare ex ante a carico del concessionario un onere del genere di quello previsto nel caso di specie;
C) nella fattispecie sottoposta all’esame di questo Tribunale le censure di parte ricorrente investono direttamente il criterio utilizzato dall’Amministrazione comunale per determinare le somme dovute a titolo di maggiorazione del Cosap in caso di lavori finalizzati alla posa di cavi in fibra ottica nel sottosuolo;

CONSIDERATO, sempre in via preliminare, che nessuna rilevanza può assumere l’ulteriore circostanza evidenziata dalla difesa di Roma Capitale, secondo la quale la società ricorrente nel richiedere l’autorizzazione per la posa dei cavi avrebbe espressamente accettato l’applicazione delle disposizioni del Regolamento Cavi. Infatti la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. VI, 17 settembre 2009, n. 5583) ha chiarito che non può ipotizzarsi alcuna acquiescenza o rinuncia preventiva alla tutela giurisdizionale dell’interesse legittimo, quando lo strumento di tutela non è ancora azionabile per mancanza dell’attualità della lesione;

CONSIDERATO, nel merito, che le censure dedotte con il primo motivo di ricorso - con il quale la società ricorrente censura gli articoli 7 e 14 del regolamento comunale approvato con la delibera del Consiglio Comunale di Roma 17 maggio 2002, n. 56 (di seguito denominato “Regolamento Cavi”), nella parte in cui prevedono, a carico delle società che gestiscono servizi di telecomunicazioni, il pagamento delle somme indicate al punto 1 della Tabella B, allegata al predetto regolamento - risultano in parte fondate, alla luce delle seguenti considerazioni:

– risulta innanzi tutto infondata la censura con cui la ricorrente lamenta che solo per le società che gestiscono servizi di telecomunicazioni sia stata introdotta una disciplina speciale, incentrata sulla previsione di una maggiorazione del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche;
infatti dalla rubrica dell’art. 14 del Regolamento Cavi - che recita: “Norme speciali per le Società che gestiscono pp.ss. e di telecomunicazioni” - si desume che il medesimo art. 14 trova applicazione non solo nei confronti dei soggetti che gestiscono servizi di telecomunicazioni, ma anche nei confronti dei soggetti “che gestiscono pp.ss.”, ossia nei confronti dei gestori di pubblici servizi quali acqua, luce e gas;

– diverse considerazioni valgono invece per la censura relativa alla maggiorazione “forfetaria da versare all’Amministrazione per il ristoro del degrado stradale, in caso di scavi e per gli oneri di sorveglianza e di verifica tecnica degli intereventi effettuati”. Infatti, premesso che anche nella fattispecie in esame (analogamente a quanto accaduto nella vicenda oggetto della sentenza del Consiglio di Stato n. 7323/2010) il provvedimento comunale si limita a richiamare il Regolamento Cavi, senza specificare in alcun modo quale sia stata l’attività concretamente esercitata dal Comune, così risultando illegittimo per difetto di motivazione, questo Tribunale osserva altresì che la predetta maggiorazione - essendo configurata come una quota “fissa” del canone, determinata in modo forfetario (euro 50 + I.V.A. per ogni metro lineare di scavo) - contrasta con l’art. 63, comma 3, del decreto legislativo n. 446/1997 (come modificato dall’art. 10 della legge n. 166/2002), nella parte in cui dispone che il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche “può essere maggiorato di eventuali, effettivi e comprovati oneri di manutenzione in concreto derivanti dall’occupazione del suolo e del sottosuolo, che non siano, a qualsiasi titolo, già posti a carico delle aziende che eseguono i lavori”. Infatti, come correttamente evidenziato dalla società ricorrente, nel senso che la maggiorazione del canone riferita agli oneri di manutenzione è solo “eventuale” e deve essere “effettiva e comprovata” si sono espressi sia la giurisprudenza (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. I, 28 giugno 2002, n. 3029), sia il Ministero delle Finanze, con le circolari 28 febbraio 2000, n. 32 (recante “Chiarimenti in ordine alle disposizioni relative al canone (COSAP) ed alla tassa (TOSAP) per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche”), e 20 gennaio 2009, n. 1/DF (recante “chiarimenti in ordine all’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) e del canone (COSAP) per le occupazioni effettuate con cavi, condutture e impianti da aziende di erogazione di pubblici servizi. Artt. 46 e 47 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e art. 63, comma 2, lettera f) del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446”). Né potrebbe giovare all’Amministrazione comunale la circostanza che la Corte Costituzionale (con la sentenza 25 settembre - 1° ottobre 2003, n. 303) abbia dichiarato incostituzionale (per eccesso di delega) il decreto legislativo n. 198/2002 e, in particolare, la disposizione dell’art. 10, nella parte in cui prevede che “nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto, in base all’articolo 4 della legge 31 luglio 1997, n. 249, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al presente decreto, fatta salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni ed integrazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettera e), del medesimo articolo, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui all’articolo 47, comma 4, del predetto decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507”. Infatti, come correttamente evidenziato dalla società ricorrente, la disposizione dell’art. 10 del decreto legislativo n. 198/2002 (che oggi si trova riprodotta nell’art. 93, comma 2, del decreto legislativo n. 259/2003) era già contenuta nell’art. 10, comma 1, della legge n. 166/2002, tuttora vigente, secondo il quale “il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, applicato alle occupazioni permanenti e temporanee per la realizzazione di infrastrutture pubbliche e private di preminente interesse nazionale destinate all’erogazione di servizi di pubblica utilità, è determinato in modo da comprendere nel suo ammontare la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, nonché ogni altro onere imposto dalle province e dai comuni per le occupazioni connesse con la realizzazione di dette infrastrutture”. Deve, quindi, conclusivamente ritenersi che la disposizione regolamentare in esame è illegittima perché contrasta con l’art. 63, comma 3, del decreto legislativo n. 446/1997 e con l’art. 10, comma 1, della legge n. 166/2002;

– parimenti fondata risulta l’ulteriore censura, relativa alla maggiorazione “forfetaria da versare all’Amministrazione per la posa di cavi in polifore, tubazioni vuote comunali e S.S.P.”. Infatti l’art. 63, comma 2, lett. f, n. 1, del decreto legislativo n. 446/1997 stabilisce, come principio generale, che il regolamento comunale con il quale viene disciplinato il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche deve prevedere “per le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi, di un canone determinato forfetariamente” e “commisurato al numero complessivo delle relative utenze”. Ne consegue che l’impugnato Regolamento Cavi risulta illegittimo perché prevede un diverso criterio di determinazione della maggiorazione del predetto canone, commisurandola alla lunghezza degli scavi effettuati e dei cavi posati, senza alcun riferimento al numero di utenze attivate. Infatti, come correttamente evidenziato dalla società ricorrente, tale criterio risulta in contrasto, oltre che con la lettera dell’art. 63 del decreto legislativo n. 446/1997, anche con la ratio di tale disposizione, che consiste nell’evitare di penalizzare gli operatori nuovi entranti che necessariamente, almeno in una fase iniziale di attivazione e commercializzazione dei servizi, non hanno un numero di utenze particolarmente elevato;

CONSIDERATO che, stante quanto precede, il presente ricorso deve essere accolto e, per l’effetto si deve disporre l’annullamento dei provvedimenti impugnati - ivi compreso il regolamento approvato con la delibera del Consiglio Comunale di Roma 17 maggio 2002, n. 56, limitatamente agli articoli 7 e 14 - nella parte in cui prevedono, a carico delle società che gestiscono servizi pubblici e servizi di telecomunicazioni (come la ricorrente), il pagamento delle somme indicate al punto 1, lettere a) e b), della Tabella B, allegata al predetto regolamento;

CONSIDERATO che, in applicazione della regola della soccombenza, le spese relative al presente giudizio, quantificate nella misura indicata nel dispositivo, devono essere poste a carico dell’Amministrazione resistente;

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