TAR Venezia, sez. IV, sentenza 2023-12-06, n. 202301832

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. IV, sentenza 2023-12-06, n. 202301832
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202301832
Data del deposito : 6 dicembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/12/2023

N. 01832/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00237/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 237 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
T s.p.a. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato S Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Treviso, via Monterumici n. 8;

contro

Città Metropolitana di Venezia, in persona del Sindaco metropolitano pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G R C, R B e K M, , con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura dell’Ente, in Mestre – Venezia, via Forte Marghera 191;

nei confronti

Veritas s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Vincenzo Pellegrini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

A) per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- della determinazione della Città Metropolitana di Venezia – Settore Ambiente, n. 3092/2020 dell’11 dicembre 2020, recante “ Autorizzazione all'impresa T s.p.a. all'esercizio di un impianto di recupero rifiuti in via Meucci 15, in Comune di Noale – Rinnovo ”, limitatamente ai punti di prescrizione n. 22 e 26.

B) per quanto riguarda i motivi aggiunti:

- della determinazione della Città Metropolitana di Venezia – Settore Ambiente, n. 2575/2021 prot. 58253 del 26 ottobre 2021, recante “ Autorizzazione all’impresa T s.p.a. all’esercizio di un impianto di recupero rifiuti in via Meucci 15, in Comune di Noale – Modifica ”, limitatamente al punto di prescrizione n. 27.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Venezia e di Veritas s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2023 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori Zoccarato, Brusegan e Pellegrini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

L’odierna ricorrente, società T s.p.a. (d’ora in poi T), espone di gestire un impianto di recupero rifiuti nel territorio del Comune di Noale, in base ad un’autorizzazione da ultimo rinnovata dalla Città Metropolitana di Venezia, con determinazione dirigenziale n. 3092, prot. n. 64576, dell’11 dicembre 2020.

Secondo la ricorrente tale provvedimento, adottato ai sensi dell’art. 208 del D.lgs. n. 152 del 2006, ai punti 22 e 26 del dispositivo, contiene delle prescrizioni illegittime relativamente ai rifiuti in ingresso.

Con il ricorso introduttivo, tali prescrizioni sono impugnate con due motivi.

Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità del punto 22, per violazione dell’art. 8, comma 4, del D.M. 4 febbraio 1998, e dell’art. 184, comma 5, del D.lgs. n. 152 del 2006.

Il punto 22 prevede che “ La responsabilità dell’omologa e della verifica di conformità all’omologa dei rifiuti conferiti è in capo al tecnico responsabile. Preliminarmente ad ogni nuovo conferimento, il tecnico responsabile dovrà valutare se il rifiuto sarà trattabile nell’impianto e con quali modalità tecniche e gestionali. Inoltre all’atto di ogni conferimento di rifiuti è tenuto alla verifica della sussistenza di quanto valutato in sede di omologa del rifiuto ”.

Con tale prescrizione, secondo la ricorrente, la Città Metropolitana in sostanza avrebbe disposto che il tecnico responsabile non solo risponda dell’accettazione dei rifiuti nell’impianto a seguito della verifica di conformità degli stessi all’omologazione effettuata dal produttore, ma debba rispondere anche dell’omologa stessa.

La Società T premette che il punto 21 del dispositivo della determinazione impugnata, prescrive:

- che i rifiuti in ingresso all’impianto possano essere ricevuti solo se accompagnati da una specifica caratterizzazione di base del rifiuto, che deve consentire di individuarne con precisione le caratteristiche chimiche, fisiche e merceologiche;

- che detta caratterizzazione debba essere riferita ad ogni lotto di produzione dei rifiuti, ad eccezione di quelli conferiti direttamente dal produttore originario e provenienti continuativamente da un ciclo tecnologico ben definito e conosciuto;

- che in quest’ultimo caso, avente ad oggetto l’ipotesi di conferimenti ripetuti, la verifica debba avere una cadenza almeno annuale, e comunque ripetuta ogni qualvolta il ciclo di produzione del rifiuto subisca variazioni significative.

Secondo la ricorrente la previsione del punto 22 è illegittima perché in tal modo una non corretta o non veritiera caratterizzazione del rifiuto relativo a conferimenti ripetuti (definito come omologa perché ha una validità estensibile a tutti i conferimenti ai quali si riferisce), finirebbe per comportare conseguenza in capo al tecnico responsabile, nonostante costituisca una dichiarazione imputabile al solo produttore di rifiuti.

L’omologa attesta infatti l’origine del rifiuto o del processo produttivo che lo ha prodotto, ovvero dati non direttamente verificabili dal tecnico responsabile, e dall’art. 8, comma 4, del D.M. 5 febbraio 1998, è possibile ricavare il principio secondo cui il tecnico responsabile ha l’onere di verificare solamente la corrispondenza di quanto dichiarato dal produttore nell’omologa, con le specifiche e concrete caratteristiche del rifiuto conferito, ma non i presupposti di fatto dell’omologa stessa.

Con il secondo motivo, la ricorrente, con riguardo alla prescrizione n. 26, lamenta la violazione degli articoli 198, comma 1, e 217, comma 1, del D.lgs. n. 152 del 2006.

Il punto 26, prevede che “ Non potranno essere ricevuti rifiuti urbani provenienti da utenze domestiche, se non conferiti da soggetto munito di tutte le abilitazioni previste dalla vigente normativa, nell’ambito dell’affidamento del servizio di raccolta, trasporto, avvio a smaltimento e recupero ai sensi dell’art. 25, comma 4, del D.L. 24 gennaio 2012, n.1, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, e in Regione Veneto ai sensi dell’art. 3 comma 6 della L.R. 52/2012, lettera b), c ) e g) ”.

Con tale prescrizione la Città Metropolitana avrebbe inteso precludere all’impresa di raccogliere direttamente dai privati rifiuti urbani, sul presupposto che, dal punto di vista normativo, il recupero di rifiuti urbani costituisce un’attività soggetta a privativa in favore del gestore del servizio.

Secondo la ricorrente si tratta di una prescrizione illegittima, in quanto i Comuni che esercitano direttamente o tramite l’Autorità d’ambito il servizio pubblico della raccolta dei rifiuti urbani attraverso forme di affidamento, possiedono la privativa solo per quanto concerne i rifiuti urbani destinati allo smaltimento, ma non anche per l’attività di raccolta e gestione dei rifiuti urbani destinata al recupero, che invece deve intendersi come attività libera.

In questo senso, secondo la ricorrente, milita la disposizione di cui all’art. 198, comma 1, del D.lgs. n. 152 del 2006 la quale specifica che “ i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui all'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 ”, con espresso riferimento alla privativa riferita al solo smaltimento.

In definitiva, secondo la ricorrente, la prescrizione che obbliga ad accogliere rifiuti urbani provenienti da utenze domestiche solo tramite il gestore del servizio di raccolta urbana individuato nell’ambito dell’Ambito Territoriale di riferimento, è illegittima perché contrasta con il principio di liberalizzazione della gestione dei rifiuti urbani avviati al recupero anziché allo smaltimento, e conseguentemente deve ritenersi erroneo il divieto impostogli di ricevere rifiuti non destinati allo smaltimento provenienti da utenze domestiche.

Si sono costituite in giudizio la Città Metropolitana di Venezia e Veritas s.p.a. (d’ora in poi Veritas), multiutility a capitale pubblico che gestisce la raccolta dei rifiuti in molti dei Comuni della Provincia di Venezia, replicando alle censure proposte e chiedendo la reiezione del ricorso.

Con ordinanza n. 155 del 26 marzo 2021, è stata respinta la domanda cautelare, facendo riferimento agli orientamenti interpretativi fatti propri dal Tribunale in precedenti sentenze aventi ad oggetto questioni analoghe.

In particolare, con riguardo alla prescrizione n. 22, è stata richiamata la sentenza T.A.R. Veneto, Sez. II, 22 ottobre 2020, n. 235, mentre con riguardo alla prescrizione n. 26, è stata richiamata la sentenza T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 giugno 2019, n. 1012.

Successivamente per la Società ricorrente è sorta la necessità di modificare l’autorizzazione dell’impianto, in quanto è sopravvenuto, nel settore di attività in cui opera, il D.M. 20 settembre 2020, n. 188, concernente il “ Regolamento recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto da carta e cartone ai sensi dell’art. 184 ter comma 2 del D.Lgs. 152/2006 ”.

La Città Metropolitana di Venezia ha adottato una nuova autorizzazione, sostitutiva della precedente, con determinazione dirigenziale n. 2575, prot. n. 58253, del 26 ottobre 2021.

Nel nuovo provvedimento quella che originariamente era la prescrizione n. 22, è divenuta la prescrizione n. 23, mentre quella che era originariamente la prescrizione n. 26, è divenuta la n. 27.

La ricorrente riferisce di aver ricevuto dei chiarimenti dall’Amministrazione circa la prassi operativa da seguire in relazione all’attività di omologa dei rifiuti, e di non aver pertanto più interesse ad impugnare la prescrizione n. 23.

Con motivi aggiunti impugna invece la prescrizione n. 27, per le medesime censure già proposte con il ricorso introduttivo avverso l’originaria prescrizione n. 26.

Alla pubblica udienza del 9 novembre 2023, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la causa è stata trattenuta in decisione.

Preliminarmente deve essere dichiarata l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del ricorso introduttivo, in quanto il provvedimento originariamente impugnato è stato sostituito con quello oggetto di impugnazione con i motivi aggiunti, e la parte ricorrente non potrebbe ricavare alcuna utilità da un suo eventuale annullamento.

Nel merito il ricorso per motivi aggiunti deve essere accolto e conseguentemente deve essere annullata la prescrizione n. 27 dell’autorizzazione di cui alla determinazione dirigenziale n. 2575, prot. n. 58253 del 26 ottobre 2021.

Oggetto della controversia è una questione interpretativa, riferibile a delle disposizioni frammentate e non coordinate tra loro, che non consentono di ricavare in modo certo ed univoco se, dal momento in cui il legislatore ha previsto la possibilità di affidare la gestione operativa della gestione dei rifiuti nelle forme dell’affidamento pubblico tramite gara o in house providing , abbia riservato al soggetto affidatario in via esclusiva non solo l’attività di raccolta per l’avvio a smaltimento, ma anche il servizio di raccolta per l’avvio a recupero, dei rifiuti urbani.

Per completezza espositiva, va dato atto che nel corso dell’ampia trattazione orale che si è svolta all’udienza pubblica del 9 novembre 2023, i difensori dell’Amministrazione resistente e di Veritas, hanno inteso evidenziare che, secondo le loro prospettazioni, solo se la raccolta dei rifiuti da avviare a recupero è di esclusiva pertinenza del soggetto affidatario, è possibile assicurare una razionale organizzazione e pianificazione del servizio integrato di gestione dei rifiuti urbani e di svolgere previsioni attendibili - nell’ottica della sostenibilità economico finanziaria - dei costi e dei ricavi, e solo in questo caso diviene possibile assicurare in via immediata la tracciabilità dei rifiuti, oltre che il controllo diretto del raggiungimento o meno degli obiettivi di raccolta e di recupero.

In caso contrario, ove venga ritenuta liberalizzata l’attività di raccolta dei rifiuti urbani da avviare a recupero, secondo i difensori della Città Metropolitana di Venezia e di Veritas, potrebbero manifestarsi delle rilevanti difficoltà nel raggiungimento di tali obiettivi, perché tale attività verrebbe svolta da soggetti privati autorizzati alla gestione dei rifiuti, secondo le richieste dell’utenza e la loro capacità di competere sul mercato, al di fuori della possibilità di una programmazione e di un controllo diretto da parte dei soggetti pubblici da esercitare tramite gli affidatari del servizio.

In passato questo Tribunale con la sopra citata sentenza T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 giugno 2019, n. 1012, dando atto di un quadro normativo non chiaro, ha ritenuto di attribuire in via interpretativa, alla disposizione di cui all’art. 198, comma 1, del D.lgs. n. 152 del 2006, letta congiuntamente alle disposizioni di cui all’art. 25, comma 4, del decreto legge n. 1 del 2012, convertito in legge n. 27 del 2012, e di cui all’art. 3, comma 6, della legge n. 52 del 2012, il significato di una norma ad effetti esauriti, perché volta a disporre che il previgente regime previsto dall’art. 21, comma 7, Dlgs. n. 22 del 1997, in cui i Comuni non esercitavano la privativa sull’attività di avvio al recupero dei rifiuti, valga solo fino al subentro dei nuovi gestori, la cui attività è invece disciplinata dalla normativa nazionale e regionale sopravvenuta che menziona espressamente tale attività tra quelle oggetto dell’affidamento e, quindi, implicitamente, tra quelle oggetto di esclusiva e sottrazione al libero mercato.

Il Collegio, re melius perpensa , ritiene di dover mutare orientamento, tenendo conto di quanto recentemente statuito dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 maggio 2023, n. 5257, la quale ha riformato proprio la sentenza di questo Tribunale Sez. II, 13 giugno 2019, n. 1012, facendo riferimento, per dirimere le incertezze interpretative derivanti da un impianto normativo frammentato e non coordinato, a dei principi applicabili anche alla fattispecie in esame, del tutto analoga a quella definita in appello.

Sul punto, per maggiore chiarezza, si riportano i passaggi più significativi della pronuncia del Consiglio di Stato, la quale ha osservato che “ 18.1 In primo luogo, e già in termini di puro principio, si ritiene che nel nostro ordinamento, in cui ai sensi dell’art. 117 Cost., vige il principio di concorrenza previsto negli artt. 101-109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Ne consegue che un regime di privativa e dunque di ‘riserva di attività’, per essere ammesso nel sistema, deve essere sia previsto da una esplicita norma di legge senza che possa essere ricavato o esteso in via interpretativa, sia giustificato alla luce del principio di concorrenza.

18.2 Sotto questo profilo, si osserva allora che dalle norme sulla gestione integrata del servizio citate dal Giudice di I grado, ovvero attualmente dall’art. 2 comma 186 bis l. 191/2009 che prevede la competenza regionale e dall’art. 25 comma 4 del d.l. 1/2012 non si desume in modo espresso l’esistenza di alcuna privativa e tantomeno di una privativa estesa al recupero. Le uniche norme di legge che richiamano espressamente la ‘privativa’ sono allora quelle dell’art. 21 del d. lgs. 22/1997 e quelle dell’art. 198 d. lgs. 152/2006 che nel primo caso ne eccettuano espressamente il recupero e nel secondo non ne parlano affatto.

18.3 Sotto altro profilo, come si è detto, il Collegio condivide poi la ricostruzione del sistema operata dalla citata sentenza C.G.A. 410/2022.

18.4 Occorre partire dalla direttiva europea “Rifiuti” 2008/98/CE, che anzitutto nel considerando 6 indica come obiettivo principale di qualunque politica in materia quello di “ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente” e all’art. 15 prescrive agli Stati membri di adottare “le misure necessarie per garantire che ogni produttore iniziale o altro detentore di rifiuti provveda personalmente al loro trattamento oppure li consegni ad un commerciante o ad un ente o a un’impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti o ad un soggetto addetto alla raccolta dei rifiuti pubblico o privato”, prefigurando così, come affermato nella sentenza 410/2022, un ‘sistema complesso nel quale agiscono vari soggetti, pubblici e privati’.

18.5 Queste indicazioni sono recepite dalla normativa nazionale e, in particolare, dall’art. 177 del d. lgs. 152/2006, secondo il quale i soggetti pubblici possono esercitare le loro competenze anche ‘avvalendosi, ove opportuno, mediante accordi, contratti di programma o protocolli d'intesa anche sperimentali, di soggetti pubblici o privati’.

19. Sotto altro profilo, la direttiva indica, all’art. 23, lo strumento a disposizione degli Stati membri per raggiungere gli obiettivi indicati, là dove prevede che essi ‘impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente’. Questo regime autorizzatorio non è però universale, dato che ai sensi del successivo art. 24 gli stessi Stati membri possono escludere la necessità dell’autorizzazione in due casi, uno dei quali è proprio l’attività di recupero.

20. Sempre condividendo quanto afferma la sentenza 410/2022, il Collegio osserva allora che la scelta di un regime autorizzatorio, per di più derogabile, è di per sé contraria alla previsione di una privativa in materia, sia di carattere generale, sia nel caso particolare del recupero, che come si è visto potrebbe svolgersi anche senza autorizzazione e ciò, si aggiunge, anche sulla base dei principi europei di proporzionalità e adeguatezza così come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, a partire dalla nota sentenza 22 febbraio 2002 C 390/99 Canal Satelite.

21. La logica della disciplina europea, e della conforme disciplina nazionale, è allora quella per cui l’attività in esame può esser svolta da più soggetti, purché nel rispetto degli interessi pubblici coinvolti, mentre non vi è spazio per ricavare l’esistenza di una privativa, là dove non espressamente prevista. Ciò è tanto più vero, si osserva, proprio nel caso dell’attività di recupero, che la direttiva all’art. 10 incentiva in modo particolare.

22. La sentenza 410/2022, pur non citandola direttamente, si fa carico di affrontare anche le criticità considerate dalla risposta a interpello 8 marzo 2022, con soluzioni che pure il Collegio condivide. Alla preoccupazione per cui l’attività di un operatore il quale raccolga e avvii al recupero determinati rifiuti direttamente dai privati potrebbe influire in negativo sul calcolo delle percentuali di raccolta differenziata da raggiungere, si risponde infatti che la tematica può essere disciplinata dal Comune con apposite convenzioni, sulla base del principio di leale collaborazione fra soggetti pubblici e privati.

25. In conclusione, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di I grado e di conseguenza l’atto impugnato va annullato limitatamente alla prescrizione che proibisce alla ricorrente appellante di ricevere rifiuti da avviare al recupero da soggetti diversi da quelli abilitati al conferimento dalla vigente normativa, il tutto come in dispositivo ”.

In definitiva, applicando questi principi alla fattispecie in esame, la prescrizione n. 27 del provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, si rivela illegittima e deve essere annullata, perché ha ricavato in via interpretativa ed in modo implicito l’esistenza di un regime di privativa il quale, costituendo una deroga al principio di concorrenza, deve invece essere necessariamente previsto da una norma espressa.

Le peculiarità della controversia e la mancanza di univocità degli orientamenti giurisprudenziali, giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

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