TAR Salerno, sez. II, sentenza 2016-07-08, n. 201601629

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2016-07-08, n. 201601629
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201601629
Data del deposito : 8 luglio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01281/2015 REG.RIC.

N. 01629/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01281/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1281 del 2015, proposto da:
Inerti Adinolfi S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. M F, con domicilio eletto presso M F in Salerno, Via Ss. Martiri Salernitani,31;

contro

Regione Campania, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Maria Imparato, con domicilio eletto presso Maria Imparato in Salerno, Via Abella Salernitana,3;

per l'annullamento

del decreto n. 138/741 con il quale il dirigente della UOD Genio Civile di Salerno ha respinto l'istanza depositata dalla ricorrente ai fini della delocalizzazione dell'attività estrattiva;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Campania in Persona del Presidente P.T.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2016 il dott. M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso tempestivamente notificato all’amministrazione resistente e regolarmente depositato nella Segreteria del Tar, la società ricorrente, proprietaria di una cava di materiali calacarei ubicata in località Castelluccia nel Comune di Battipaglia, ha impugnato il decreto n. 138/741 con il quale il dirigente della UOD Genio Civile di Salerno ha respinto l'istanza depositata dalla società ricorrente ai fini della delocalizzazione dell'attività estrattiva, contestandone la legittimità e chiedendone l’annullamento. In particolare, la società ricorrente ha dedotto la violazione delle norme di attuazione del piano regionale delle attività estrattive della Regione Campania, che consentirebbero la delocalizzazione dell’attività, l’eccesso di potere e il difetto di motivazione.

La Regione Campania si è costituita regolarmente in giudizio, contestando l’avverso ricorso e chiedendone il rigetto.

Alla pubblica udienza del 16 marzo 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

Tanto premesso in punto di fatto, il ricorso è infondato.

Con un primo motivo di ricorso la società ricorrente sostiene di aver titolo per la delocalizzazione dell’attività;
sul punto, l’amministrazione resistente replica che non può essere delocalizzato ciò che è abusivo.

L’eccezione dell’amministrazione è fondata.

E’ emerso nel corso del giudizio che l’unica parte di cava autorizzata è quella relativa alla particella n. 32 per 10.000,00 mq. La restante parte non è stata autorizzata e risulta, dunque, abusiva.

Ne deriva, quindi, che non è possibile procedere alla delocalizzazione in assenza del presupposto fondante costituito da idoneo titolo autorizzatorio alla coltivazione di cava. Non occorre spendere eccessive parole per dimostrare che la delocalizzazione può essere chiesta solo in relazione ad una cava già precedentemente autorizzata, perché, in caso contrario, la delocalizzazione si tradurrebbe nel rilascio larvato dell’autorizzazione di una cava. Né può essere seguita la ricostruzione fornita dalla società ricorrente riportata al motivo due del ricorso che, per quanto suggestiva, non è corretta. Invero i decreti n. 145/2009 e 118/2010 hanno chiaramente ritenuto la cava abusiva e per tale motivo hanno comminato la relativa sanzione, autorizzando solo il recupero ambientale della stessa, con il chiaro ed indicativo divieto di commercializzare il materiale estratto.

Non può essere poi condiviso il ragionamento della società ricorrente, contenuto nelle memorie del 15 marzo 2016, secondo cui rientrerebbe nella delocalizzazione anche il caso di cava autorizzata per il solo recupero ambientale. Secondo la società ricorrente si potrebbe chiedere la delocalizzazione di una cava autorizzata solo per il recupero ambientale. Tale assunto è infondato, in quanto il recupero ambientale si pone come una mera attività accessoria a quella di estrazione di cava di cui si chiede la delocalizzazione. La circostanza che l’art. 28 delle N.T.A. del P.R.A.E., prevede che il “programma di dismissione può prevedere interventi di riqualificazione ambientale” non vuol certo significare che sia possibile la delocalizzazione di una cava autorizzata al solo recupero ambientale, anche perché il recupero ambientale è strettamente legato alla zona di cava già interessata dalle escavazioni ed è spesso legata proprio all’attività estrattiva in precedenza svolta;
non avrebbe senso, quindi, chiedere la delocalizzazione della cava autorizzata solo al recupero ambientale. La norma citata vuol più semplicemente evidenziare che nella delocalizzazione della cava autorizzata per finalità estrattiva non sono incompatibili interventi di riqualificazione ambientale che, quindi, rappresentano interventi di natura accessoria e complementare a quelli di estrazione

Parimenti infondata è la richiesta di delocalizzare la cava in relazione almeno all’area di 10.000,00 mq come riconosciuto dal Consiglio di Stato. Sul punto va chiarito che con il decreto 1005/343 dell’1/4/2003 veniva autorizzata l’attività estrattiva, esercitata ai sensi dell’art. 36 L.R. 54/1985 sull’area in argomento facente parte della particella 32 del foglio di mappa n. 2 del Comune di Battipaglia.

Sul punto, è emerso in maniera incontestata che la predetta area è stata già recuperata con la messa a dimora di piante di ulivo come emerge dalla nota del 19.2.2007 (prot. n. 0165042/2007), con cui la stessa società ricorrente dichiarava che l’area è in parte interessata da un uliveto in quanto già recuperata, in parte interessata dalla viabilità di accesso all’area di cava ed in parte costituisce area di manovra al margine dell’impianto di chiarificazione delle acque di lavaggio. Del resto, la società ricorrente non ha replicato sul punto.

Ne deriva, pertanto, che il provvedimento impugnato è correttamente motivato ed è immune dalle censure mosse dalla società ricorrente.

La complessità della presente questione, unitamente alle ragioni che hanno condotto alla presente decisione giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti.

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