TAR Palermo, sez. II, sentenza 2014-04-09, n. 201400977

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. II, sentenza 2014-04-09, n. 201400977
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 201400977
Data del deposito : 9 aprile 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02194/2008 REG.RIC.

N. 00977/2014 REG.PROV.COLL.

N. 02194/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2194 del 2008, proposto da F S, rappresentato e difeso dall'avv. N M, con domicilio eletto in Palermo, Via F.sco Scaduto n.10/B, presso lo studio del predetto difensore ;

contro

- il Comune di Alcamo, non costituito in giudizio;

per l'annullamento,

previa sospensione

- dell’ordinanza n. 0192 del 26 giugno 2008, notificata il 19 luglio 2008, d’ingiunzione della demolizione delle opere realizzate in difformità rispetto alla concessione edilizia n. 138 del 27 luglio 1999;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Vista l’ordinanza collegiale n.1304 del giorno 11 novembre 2008, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare dell’esecuzione del provvedimento impugnato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Primo Referendario Anna Pignataro;

Udito, nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2014, il difensore di parte ricorrente, così come specificato nel verbale d’udienza;


CONSIDERATO che

- con il ricorso in epigrafe, notificato il 7 ottobre 2008 e depositato il giorno 23 seguente, il sig. Stefano Furco ha impugnato il provvedimento dirigenziale n. 192 del 26 giugno 2008, notificato il 19 luglio 2008, con il quale il Comune di Alcamo gli ha ingiunto di demolire le opere consistenti nella edificazione di un piano terra e un primo piano, in c.da Foggia, lotto n. 7, all’interno del piano di lottizzazione denominato “Verde mare”, in catasto al foglio 3, p.lla 1570, in quanto sarebbero state realizzate in difformità dalla concessione edilizia n. 138 del 27 luglio 1999;
ne chiede l’annullamento previa sospensione cautelare dell’esecuzione, deducendone l’illegittimità sotto svariati profili di violazione di legge ed eccesso di potere.

Lamenta il ricorrente, in generale, che nessuna istruttoria sulla reale natura e dimensioni delle opere asseritamente difformi dalla concessione edilizia sarebbe stata effettuata e che nessuna motivazione in ordine all’effettiva sussistenza di un concreto interesse pubblico urbanistico alla loro demolizione, diverso dal mero ripristino della legalità, sorreggerebbe l’atto impugnato, adottato, peraltro, dopo un lungo lasso di tempo dalla edificazione avvenuta nel 2005 e sulla cui legittimità si sarebbe ormai consolidato il suo affidamento;

Specificamente, il ricorrente sostiene che:

- i lavori di trasformazione del terreno in corrispondenza del piano cantinato del preesistente fabbricato e l’apertura, lungo il solo lato Nord, del predetto piano cantinato, non avrebbero alterato la superficie utile, la sagoma e la volumetria, così come progettate, né fatto venire meno la natura di piano interrato: per essi, dunque, non occorreva la concessione ma la semplice autorizzazione, la cui mancanza non è sanzionabile con la demolizione. La trasformazione a uso abitativo, peraltro, sarebbe consentita dall’art. 18 della l.r. 4/2003 con riguardo ai sottotetti, pertinenze, locali accessori e seminterrati, in deroga alle norme vigenti;

- la realizzazione di un porticato, lungo il lato Nord del piano cantinato, non avrebbe alterato l’altezza e la volumetria del fabbricato e, peraltro, trattandosi di corpo accessorio o pertinenza, per la sua edificazione non necessitava la concessione ma la semplice autorizzazione edilizia, la cui mancanza non è sanzionabile con la demolizione;

- le due verande realizzate al piano terra, non sarebbero soggette ad alcuna autorizzazione, avendo natura precaria e pertinenziale e come tali assoggettate al regime di cui all’art. 20 della l.r. 4 del 2003 e dell’art. 9 della l.r. 37 del 1985;

- la modifica della distribuzione interna sarebbe soggetta alla sola comunicazione di avvio dei lavori: ma se anche fosse qualificata come intervento di manutenzione straordinaria, resterebbe soggetta alla sola previa autorizzazione, la cui assenza non è sanzionabile con la demolizione ma con la sola sanzione pecuniaria;

- il locale tecnico interrato, sarebbe un corpo tecnico accessorio, non computabile ai fini della volumetria e, come tale, soggetto alla sola autorizzazione edilizia;

RITENUTO che il ricorso è infondato per le seguenti ragioni.

Innanzitutto, quanto al dedotto difetto d’istruttoria, va osservato che il provvedimento impugnato richiama espressamente nel corpo motivazionale gli accertamenti eseguiti (verbale di sopralluogo dei Carabinieri del 9 novembre 2007) e il parere tecnico dell’Ufficio comunale competente previamente acquisito.

In secondo luogo, con riferimento al dedotto vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, in adesione al consolidato indirizzo giurisprudenziale, condiviso anche nel caso di specie, si rileva che i provvedimenti che ordinano la demolizione di manufatti abusivi non abbisognano di congrua motivazione in ordine all’attualità dell'interesse pubblico alla rimozione dell’abuso che è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato (C.G.A. 5 dicembre 2002, n. 651;
T.A.R. Sicilia, sez. III, 26 ottobre 2005, n. 4105;
sez. II, 27 marzo 2007, n. 979). Pertanto, l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all'oggettivo riscontro dell'abusività delle opere e alla assoggettabilità di queste al regime concessorio. Tali provvedimenti, infatti, prescindono da qualsiasi valutazione discrezionale dei fatti e sono subordinati al solo verificarsi dei presupposti stabiliti dalla legge, così che, una volta accertata la consistenza dell'abuso, non vi è alcun margine di ponderazione per l'interesse pubblico eventualmente collegato. (Consiglio Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2529;
T.A.R. Sicilia, sez. II, 8 giugno 2007, n. 1653;
sez. III, n.504/2008).

Nè appare pertinente, nel caso di specie, il riferimento a quella giurisprudenza amministrativa che richiederebbe un maggior onere di motivazione allorquando l’ordinanza di demolizione sia adottata a distanza di tempo dalla data di realizzazione dell’abuso edilizio. Infatti è il ricorrente medesimo che afferma che le opere abusive sono state realizzate, in difformità dalla concessione edilizia, nel 2005, ossia soltanto tre anni prima dell’emanazione dell’ordine di demolizione impugnato .

Riguardo, poi, agli specifici vizi sostanziali dedotti, si accede al costante orientamento giurisprudenziale in tema di abusi edilizi secondo cui l’onere della prova grava sull’interessato che intende dimostrare la legittimità del proprio operato, e non sul Comune, il quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla secondo la previsione normativa.

Ora, nel caso di specie, il ricorrente non ha offerto alcun elemento probante al fine di far conoscere al decidente quale sia la reale consistenza delle opere edificate, essendosi limitato a mere asserzioni non idonee a confutare le circostanze affermate dall’Amministrazione nell’atto impugnato: non è stato prodotto alcun elaborato planimetrico, alcuna relazione tecnica, il progetto alla stregua del quale il Comune ha rilasciato la concessione edilizia, alcuna documentazione fotografica, neanche le dimensioni delle opere de quibus sono state riportate in seno al ricorso.

In altre parole, nessun elemento introdotto in giudizio consente di affermare che tali opere, quanto alla loro natura ed effettive dimensioni, non siano assoggettabili al rilascio della concessione edilizia, così come accertato dal Comune intimato.

Tale onere della prova, incombente sull’autore del presunto abuso, può ritenersi a sufficienza soddisfatto solo quando le prove addotte risultano obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrono la ragionevole certezza sulla natura manufatto.

Ne consegue che solo la deduzione da parte del ricorrente di siffatti elementi probanti avrebbe potuto trasferire l'onere indicato in capo all'Amministrazione comunale.

RITENUTO, perciò, che il ricorso va rigettato e che nulla va disposto in ordine alle spese di lite in ragione della mancata costituzione in giudizio del Comune intimato.

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