TAR Venezia, sez. III, sentenza 2022-01-21, n. 202200153
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Pubblicato il 21/01/2022
N. 00153/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00354/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 354 del 2016, proposto da
Moda Center s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G F, A C e D C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Venezia, San Marco, 63;
per l'annullamento
- del provvedimento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Revoca app. 51376 datato 24 dicembre 2015, avente a oggetto l’annullamento del Decreto Direttoriale n. 82501 del 20 giugno 2014, con il quale era stato approvato il programma di riorganizzazione aziendale presentato dalla ricorrente per il periodo dal 2 settembre 2013, al 31 agosto 2015, nonché concesso il trattamento straordinario di integrazione salariale per il periodo dal 2 settembre 2013 al 1 marzo 2014;
- del provvedimento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Reiez. 51377 datato 7 gennaio 2016, avente a oggetto la non autorizzazione alla corresponsione del trattamento CIGS per il secondo anno del programma di riorganizzazione aziendale presentato;
- di ogni altro atto presupposto, susseguente o comunque connesso con quello impugnato e, in particolare, delle Relazioni Ispettive della Direzione Territoriale del Lavoro di Treviso datate 12 maggio 2015 e 20 ottobre 2015 e della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, datata 3 settembre 2015.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2022 la dott.ssa M B e udito il procuratore di parte ricorrente come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente - operante con i suoi sessantun dipendenti nell’area del commercio di abbigliamento e accessori di grandi firme, nonché, in via complementare, della vendita di arredamenti per interni mediante l’utilizzo di sistemi di progettazione e di soluzioni tecnologiche all’avanguardia - avviata per diversificare l’attività aziendale a fronte del progressivo diminuire del fatturato dovuto alla crisi del settore della moda - ha ritenuto indifferibile una complessa riorganizzazione interna e riconversione aziendale. Ciò al fine di mantenere inalterati i livelli occupazionali e salvaguardare le professionalità acquisite, pur a fronte della contrazione del mercato, che ha condotto a una riduzione del fatturato, attraverso l’investimento nella formazione e nell’individuazione di nuove aree merceologiche di vendita e nuovi servizi da fornire all’utenza, diversificando le professionalità e riqualificando l’azienda.
Essa ha, quindi, elaborato un programma di riorganizzazione aziendale, sulla scorta del quale ha chiesto l’ammissione all’integrazione salariale straordinaria per il periodo dal 2 settembre 2013, al 31 agosto 2015.
Nell’apposito piano di riorganizzazione essa ha, quindi, previsto la sospensione a zero ore e/o a orario ridotto per un totale di 55 dipendenti per un periodo di 24 mesi, per consentire il loro coinvolgimento in attività di formazione: tale proposta è stata condivisa con i sindacati.
La sospensione ha, in concreto, interessato, secondo quanto sostenuto dall’odierna ricorrente, 49 dipendenti nel primo anno e 46 nel secondo.
Di diverso avviso è l’Amministrazione che ha provveduto a verificare la situazione solo tardivamente e cioè quando l’intervento programmato stava ormai per volgere al termine.
La prima relazione della DTL di Treviso, infatti, è datata 12 maggio 2015 e cioè pochi mesi prima della scadenza del termine del biennio di cassa integrazione previsto (fissato al 31 agosto 2015).
In essa si è sostenuto che l’attività lavorativa non sarebbe mai stata effettivamente sospesa e ciò ha determinato l’avvio del procedimento di revoca dell’accoglimento dell’istanza di approvazione del programma di riorganizzazione e della conseguente ammissione alla cassa integrazione salariale, nonché il diniego dell’ulteriore periodo di CIGS non ancora liquidato.
Nonostante le osservazioni presentate, il procedimento si è concluso con l’annunciato esito e conseguentemente, la società Moda Center ha impugnato i provvedimenti lesivi della sua posizione deducendo:
1. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90 ed omessa considerazione delle osservazioni presentate;
2. violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 223 del 1991 e del DM. n. 31444 del 2002, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, mancanza dei presupposti per procedere alla revoca, illogicità manifesta, contraddittorietà e travisamento dei fatti;
3. eccesso di potere per disparità di trattamento.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione, depositando, tra gli altri documenti, una relazione del Ministero.
In vista dell’udienza pubblica solo parte ricorrente ha depositato, oltre a copiosa documentazione, una memoria, nella quale ha ribadito la fondatezza di quanto dedotto.
Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2022, la controversia è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso, articolato come rappresentato nella parte in fatto, non può trovare positivo apprezzamento.
Invero, dall’esame della relazione della DTL di Treviso datata 12 maggio 2015 si desume il rispetto del programma di riorganizzazione approvato per quanto riguarda l’acquisto di impianti ed attrezzature (arredamento, impianto di illuminazione a led per il risparmio energetico e adeguamento della videosorveglianza), marketing e pubblicità, ricerca e sviluppo, mentre rispetto all’informatizzazione non solo l’investimento risulta essere inferiore al preventivato, ma pare riguardare soprattutto la manutenzione degli apparati hardware e software.
Ma il capitolo di investimento rispetto a cui è stato rilevato il più consistente discostamento dagli obiettivi perseguiti è quello della formazione e riqualificazione del personale. Nel primo semestre di CIGS, infatti, la spesa complessiva è stata ben superiore a quella preventivata per l’intervento formativo, ma risulta essere solo per un terzo riferita al costo di formatori esterni, operanti soprattutto nell’ambito informatico e per due terzi alla contabilizzazione del costo dei formatori interni. Non è, però, con riferimento alle somme investite (complessivamente addirittura superiori al preventivato se si considera l’intero periodo), né alla percentuale di personale coinvolto (che è risultata conforme a quanto previsto dalla normativa come condizione per l’ammissione alla CIGS, avendo interessato più del 30 % della forza lavoro), bensì alla coerenza del tipo di formazione effettuato con quanto programmato e il collegamento tra formazione e sospensioni, che sono state rilevate le criticità che hanno condotto agli avversati provvedimenti.
A tale proposito si deve rilevare come l’accordo sindacale prevedesse che l’attività di formazione si svolgesse direttamente sulla postazione lavorativa, in presenza di istruttori esperti appositamente dedicati e sino a compimento dell’orario contrattualmente previsto.
Quindi, una certa promiscuità tra ambiente di lavoro e sede della formazione era prevista sin dalla presentazione del progetto.
L’anomalia rilevata, però, riguarda, in primo luogo, quanto evidenziato a pag. 7 della relazione degli ispettori con riferimento alla formazione teorica e cioè il fatto che, con riferimento alle “annotazioni effettuate nelle corrispondenti mensilità di Libro Unico del Lavoro è stato accertato che tale tipologia di attività formativa veniva conteggiata come attività lavorativa, ricompresa nel normale orario e compensata con retribuzione dei lavoratori”.
Inoltre, anche in relazione alla formazione pratica “on the job”, la DTL - oltre a numerose irregolarità di registrazione (come la mancata indicazione del docente, che la DTL ha potuto individuare solo incrociando i dati con quelli riportati nel Libro unico del Lavoro rispetto ai docenti o la mancata registrazione degli argomenti trattati nel modulo “Abbigliamento” per due mesi, otto ore al giorno) – sono state rilevate soprattutto anomalie come il ripetersi dello stesso oggetto della formazione, genericamente indicato, per giorni. È così, ad esempio, in relazione al modulo “Magazzino Mobili Center”, in cui lo stesso argomento “organizzazione del magazzino” risulta essere stata trattato da ciascun dipendente tutti i giorni per due mesi per otto ore giornaliere.
Laddove, come con riferimento al modulo “Abbigliamento” gli argomenti trattati sono stati specificati dal docente nel corso di apposita audizione, nessuno dei formati sentiti sul punto è stato in grado di confermare l’attività formativa.
L’attività di formazione affidata al personale interno, infine, risulta essere stata svolta nel corso del normale orario di lavoro, percependo l’ordinario stipendio, senza alcuna integrazione o riconoscimento aggiuntivo.
E, ancora, alcuni dei dipendenti “Contract mobili center”, pur risultando inseriti nell’attività formativa, hanno percepito somme a titolo di indennità di trasferta che l’azienda non ha saputo giustificare.
Altri hanno essi stessi dichiarato la promiscuità tra attività lavorativa e formativa e comunque l’attività lavorativa non è stata mai sospesa, ma solo rallentata, essendo essa svolta sia dai formatori che dai lavoratori formalmente assegnati alla formazione, ma materialmente non coinvolti nella stessa.
Conclusivamente la DTL ha ravvisato una inammissibile commistione tra attività lavorativa e concreto svolgimento del percorso formativo, che risulterebbe confermata dalla contenuta riduzione del fatturato di cui si dirà nel prosieguo.
Tutto ciò premesso, analizzando i singoli motivi di ricorso, non può essere positivamente apprezzato il primo, in quanto non può essere ravvisata alcuna violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90.
A differenza di quanto sostenuto da parte ricorrente, il Ministero, richiamando non solo le risultanze della relazione della DTL di Treviso datata 12 maggio 2015, ma anche l’esito degli ulteriori accertamenti svolti dalla DTL a seguito della trasmissione delle osservazioni contenuto nella nota del 27 ottobre 2015, ha corredato di adeguata motivazione il provvedimento negativo impugnato. Infatti, in tali atti sono state rappresentate le ragioni per le quali si è ritenuto che non fossero state rispettate le condizioni per l’accesso ai benefici di legge imposti all’atto dell’approvazione del programma di riorganizzazione aziendale relativamente al periodo dal 02/09/2013 al 31/08/2015 e che sono state ritenute non superate anche alla luce di quanto affermato nelle osservazioni stesse.
Pertanto, sebbene il provvedimento finale riporti solo alcuni passaggi salienti, l’uso della motivazione
per relationem , con rinvio al contenuto di atti presupposti o relativi, come nel caso di specie, all’attività istruttoria, appare del tutto conforme alla norma ed assolve in modo adeguato all’onere imposto dall’art. 3 della legge n. 241/90.
Quanto all’inidoneità di quanto dedotto al fine di confutare le conclusioni dell’Amministrazione, va dato atto di come sia sostenuto, nel ricorso, che il rispetto del programma di riorganizzazione (che prevedeva investimenti in impianti ed attrezzature in misura pari alla formazione del personale, nonché in marketing e pubblicità per raggiungere nuova clientela, nella ricerca e sviluppo e nella informatizzazione) sarebbe stato dimostrato dalla contrazione del fatturato dai 6.700.000 euro del 2012, ai 4.600.000 euro del 2013, ai 4.100.000 nell’anno 2014, ai 3.500.000 euro nell’anno 2015. Invero tale dato parrebbe confermare il trend negativo che aveva indotto l’azienda allo studio -, nel 2014 e, quindi, dopo che la più pesante contrazione del volume delle vendite era già avvenuta - di un piano di riorganizzazione, ma non anche una sospensione del lavoro di 49 o 46 dipendenti su 63 totali.
Appare, infatti, irrazionale e illogico che a fronte della sospensione del lavoro di oltre il 70% della forza lavoro sia stato possibile realizzare un fatturato superiore al 70 % di quello riferito all’anno precedente. Parimenti anche la riduzione del consumo elettrico da 214.000 euro a 180.000 non pare essere significativa. Ciò per due diversi ordini di ragioni. In primo luogo perché, come correttamente indicato nella relazione della DTL prodotta in esito alle osservazioni presentate, la comparazione dei costi, a differenza di quella dei consumi operata dalla stessa (e che, in esito agli accertamenti, è risultato sostanzialmente invariato), risulta influenzata da dinamiche estranee ai volumi produttivi dell’azienda, quali la variazione del costo di produzione dell’energia consumata. In ogni caso appare ragionevole ritenere che la differenza rilevata sia riconducibile più che altro gli effetti dell’efficientamento perseguito mediante la realizzazione di nuovi impianti. La stessa produttività pro capite, passata da 145.000 a 98.000 euro, può testimoniare una crisi aziendale, ma non la sospensione quasi totale dell’attività conseguente alla sospensione del lavoro del personale suddetto. Il dato, peraltro, è del tutto inconsistente e incoerente, nonché privo di significato. Posto che nel periodo di riferimento la sospensione del lavoro di 49 dipendenti per il primo anno di lavoro (per un totale di 82.694 ore) e di 46 pari a 53.686 ore di lavoro nel secondo anno, la produttività avrebbe dovuto essere “spalmata” sul ridottissimo numero di dipendenti rimasti in servizi, peraltro in buona parte addetti alla formazione, originando un dato del tutto insostenibile. Deve, pertanto, concludersi che, dato il fatturato maturato, la conclusione cui è addivenuta l’amministrazione e cioè che il personale non sia stato effettivamente sospeso dal lavoro sia logica, razionale.
Non risulta dimostrata, infatti, l’irrazionalità delle conclusioni cui è addivenuto il Ministero a fronte dell’ampia e articolata esposizione di quanto rilevato nelle due relazioni appositamente redatte, anche a seguito delle osservazioni prodotte dall’azienda.
Anche l’ulteriore onere che impone la motivazione del rigetto delle osservazioni formulate risulta essere stato assolto grazie al rinvio alle ulteriori considerazioni espresse dalla DTL nella seconda relazione, predisposta a seguito della trasmissione delle osservazioni della società Moda Center, il cui richiamo appare sufficiente a sostenere un giudizio di inidoneità di quanto dedotto dalla società interessata al fine di superare le contestazioni di cui al preavviso di adozione del provvedimento negativo.
Così rigettata la prima censura, miglior sorte non può essere riservata alla seconda, nella quale parte ricorrente si duole del travisamento dei presupposti conseguente alla mancata considerazione del fatto che l’azienda avrebbe chiaramente intrapreso un’attività di formazione del proprio personale con sospensione dall’attività lavorativa ordinaria, al fine di adeguarne le conoscenze e le competenze. Ciononostante il Ministero avrebbe contraddittoriamente ritenuto non idonei a giustificare il ricorso al trattamento di integrazione salariale quegli stessi elementi che sono stati precedentemente ritenuti idonei a giustificare la sospensione dal lavoro e il ricorso alla CIGS: ciò, si ipotizza nel ricorso, anche in ragione della distorta valutazione conseguente al fatto che la verifica è stata effettuata tardivamente.
Tutto quanto dedotto, però, non risulta essere idoneo a superare le palesi difficoltà evidenziate dalla DTL di Treviso nel ricondurre l’effettiva esigenza delle sospensioni dal lavoro alle singole voci di investimento del programma di riorganizzazione aziendale, anche in ragione della mancanza di coerenza tra il programma di riorganizzazione aziendale e la formazione effettuata e dell’evidente commistione tra l’ordinaria attività lavorativa ed il concreto svolgimento del percorso formativo.
In particolare, il primo comma dell’art. 1 del D.M. 31444/2002 prevede, alla lettera c): “ le sospensioni dal lavoro devono essere motivatamente ricollegabili, nell’entità e nei tempi, al processo di riorganizzazione da realizzare. Il rapporto tra i lavoratori coinvolti nei processi formativi e quelli sospesi non può essere inferiore al 30%. Per i programmi superiori a dodici mesi, deve essere esplicitato il piano di gestione delle sospensioni e degli esuberi, avendo riguardo alle verifiche previste, per i semestri successivi al primo anno di intervento, dall’articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 10 giugno 2000, n. 218 ;”.
Gli accertamenti effettuati dalla DTL hanno evidenziato il mancato rispetto di tale condizione indicata come espressamente necessaria per l’accesso (e dunque anche per il mantenimento) al beneficio dell’ammissione a un programma di riorganizzazione con conseguente ammissione del personale alla CIGS.
Dunque, non di rivalutazione degli elementi che hanno condotto all’autorizzazione del programma di riorganizzazione, si tratta, ma del mancato rispetto di quanto ivi previsto al fine del recupero di produttività dell’azienda. E, più propriamente, della difficoltà di “ricondurre l’effettiva esigenza delle sospensioni dal lavoro con partecipazione alla formazione pratica sul luogo di lavoro, alle singole voci di investimento del programma intrapreso”.
Tale “difficoltà” rilevata dalla DTL è stata indicata da parte ricorrente come un limite degli ispettori, che, in quanto tale, non avrebbe potuto comportare l’adozione degli atti avversati, ma anche nel ricorso non è stato fornito alcun elemento utile a chiarire il suddetto rapporto e, quindi, a superare le difficoltà di comprensione degli ispettori, evidenziando, in concreto, il collegamento tra gli investimenti effettuati, la formazione e la conseguente sospensione dal lavoro, che risulta solo asserito, ma non dimostrato.
Chiarimenti che ben avrebbero potuto essere forniti e risultare utili anche in considerazione del tempo trascorso tra la sospensione del lavoro e la verifica ispettiva, avvenuta oltre un anno dopo, ma che non può, per ciò stesso, essere ritenuta erronea o inefficace. La completezza delle verbalizzazioni e il riscontro nei dati oggettivi, infatti, ben avrebbe potuto consentire di superare la discrasia temporale tra svolgimento della formazione e verifica.
Così come la lamentata carenza istruttoria avrebbe potuto essere superata (anche attraverso l’auspicato approfondimento) se parte ricorrente si fosse fatta carico dell’onere che oggi vorrebbe far gravare sull’Amministrazione e cioè di procedere ad approfondimenti ulteriori, dopo la contestazione degli elementi ostativi e la conseguente produzione di osservazioni. Osservazioni presentando le quali la ricorrente avrebbe ben potuto assolvere all’onere gravante sulla stessa di dimostrare l’infondatezza di quanto sostenuto dalla DTL e il puntuale rispetto del programma di organizzazione. Non può, quindi, esservi spazio per il tentativo di inversione dell’onere della prova operato a pag. 22 del ricorso.
Del tutto irrilevante risulta essere la documentazione prodotta il 29 novembre 2021 e, in particolare, le schede relative ai moduli di formazione. In primo luogo esse non contengono alcun riferimento temporale, quindi non è dato sapere quando sono state redatte, ma, soprattutto, il periodo di tempo dedicato ad ogni obiettivo formativo è palesemente sproporzionato.
Conseguentemente, la censurata attività del Ministero risulta rispondere alle prescrizioni di legge, essendo immune dal vizio dedotto.
Infine, parte ricorrente ha dedotto disparità di trattamento rispetto ad altri casi analoghi. Anche tale censura risulta essere priva di pregio, atteso che parte ricorrente non ha fornito alcuna prova dell’effettiva identità dei casi qualificati come analoghi. In ogni caso, è principio consolidato quello secondo cui l’eventualità illegittimità in cui sia incorsa l’Amministrazione nel concedere un determinato beneficio non può giustificare la reiterazione della violazione.
Ne consegue il rigetto sia della domanda caducatoria, che di quella risarcitoria, non potendosi, conseguentemente, ravvisare la condotta lesiva presupposto necessario per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno.
Così respinto il ricorso, le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la particolarità della controversia.