TAR Firenze, sez. III, sentenza 2019-09-18, n. 201901247

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. III, sentenza 2019-09-18, n. 201901247
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201901247
Data del deposito : 18 settembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/09/2019

N. 01247/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01205/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1205 del 2018, proposto da
D A, S A, rappresentati e difesi dagli avvocati Edward W.W. Cheyne e M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Fiesole, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e per le Province di Pistoia e Prato, in persona del Soprintendente pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la cui sede è domiciliata per legge in Firenze, via degli Arazzieri 4;

per l'annullamento

- della “Comunicazione di diniego all'accoglimento dell'istanza di accertamento di conformità in sanatoria, ai sensi dell'art. 209 della l.r. 65/2014 e di compatibilità paesaggistica ai sensi dell'art. 167, comma 4, del D.lgs. 42/2004, presentata in data 4/01/2018, prot. n. 234”, ricevuta via pec il 7 giugno 2018;

- dell'ordinanza di demolizione e rimessa in pristino, ai sensi dell'art. 167, d.lgs. n. 42/04, e ai sensi degli artt. 196 e 200, comma 3, L.R. n. 65/2014, n. 137 del 2 agosto 2018 (prot. n. 0018628/2018), adottata dal Responsabile del Dipartimento Urbanistica del Comune di Fiesole, successivamente comunicata ai ricorrenti;

- per quanto occorrer possa, della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di accertamento di conformità in sanatoria e di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ancorché allo stato non conosciuto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Fiesole e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e per le Province di Pistoia e Prato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2019 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La controversia ha per oggetto il diniego dell’accertamento di conformità in sanatoria e di compatibilità paesaggistica richiesto al Comune di Fiesole dai signori Daniela e S A relativamente a una serie di opere, interne ed esterne, realizzate presso il complesso immobiliare di loro proprietà, ubicato alla via Baccano 4 e denominato “Casale Giuncarelli degli Anceschi”. Il casale è suddiviso in diverse unità abitative e adibito all’attività ricettiva di “case e appartamenti per vacanze”.

Il diniego è impugnato dai ricorrenti, che ne chiedono l’annullamento unitamente all’ordine di demolizione consequenzialmente adottato dall’amministrazione procedente.

1.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Fiesole, che resiste al gravame.

1.2. Nella camera di consiglio del 13 novembre 2018, il collegio ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati, al dichiarato scopo di mantenere integra la res litigiosa.

1.3. La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 19 giugno 2019, preceduta dallo scambio di memorie difensive e repliche ai sensi dell’art. 73 c.p.a..

2. In via pregiudiziale, il Comune resistente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnativa degli atti presupposti e, segnatamente, del verbale di accertamento degli abusi edilizi commessi presso la proprietà dei ricorrenti e della susseguente comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, ambedue risalenti all’anno 2015.

In contrario sia sufficiente rilevare che, secondo il consolidato orientamento della Sezione, dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, la presentazione di un’istanza di sanatoria di abusi edilizi produce un automatico effetto caducante sull’attività eventualmente già posta in essere dall’amministrazione per sanzionare gli abusi medesimi (fra le molte, da ultimo cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 2 agosto 2018, n. 1130;
id., 21 maggio 2018, n. 691). Deve perciò escludersi che sugli odierni ricorrenti gravasse l’onere di impugnare gli atti e provvedimenti adottati nei loro confronti anteriormente alla richiesta dell’accertamento di conformità presentata il 4 gennaio 2018 (ivi compreso l’ordine di demolizione e rimessa in pristino del 2 ottobre 2017).

3. Venendo al merito della vicenda, la trattazione avrà inizio dai motivi rubricati sub A) e diretti nei confronti del diniego di sanatoria.

La motivazione del diniego è articolata in sei punti, che possono essere così sintetizzati:

- non accoglibilità dell’istanza per la parte subordinata all’esecuzione di ulteriori interventi di demolizione, ovvero di “adattamento” delle opere abusive (capanno prefabbricato e pensiline in ferro e vetro;
servizio igienico dell’unità immobiliare “Farnia”);

- insanabilità del frazionamento del fabbricato principale in sette unità immobiliari, dalle tre esistenti, perché in contrasto con l’art. 19 co. 5 lett. a) delle norme di attuazione del regolamento urbanistico comunale;

- presenza di opere comportanti ampliamenti di superficie utile e di volume, tali da precludere il riconoscimento della compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 co. 4 d.lgs. n. 42/2004, con particolare riferimento alla nuova edificazione di un manufatto in zona agricola e all’ampliamento di una delle unità immobiliari interne al complesso;

- non sanabilità del locale tecnico a servizio della piscina, perché eccedente le dimensioni massime prescritte dall’art. 77 delle n.t.a. del R.U.;

- esistenza di opere (modifiche a muri di sostegno e a rampe oggetto di sanatoria) di non trascurabile importanza a tutela della pubblica incolumità e necessitanti, come tali, di istanza di sanatoria ai fini sismici ex art. 182 co. 1 l.r. toscana n. 652014;

- indicazione solo generica della data di realizzazione degli abusi (“anteriore al 2010”), tale da non consentire la puntuale verifica della c.d. doppia conformità.

3.1. Il primo motivo investe il difetto di motivazione, nel quale il Comune sarebbe incorso omettendo di prendere posizione sulla maggior parte delle opere descritte nella relazione tecnica di asseverazione allegata all’istanza di sanatoria, e concretamente pronunciandosi solo su cinque degli oltre venticinque interventi ivi menzionati, ovvero estendendo alla totalità degli interventi – compresi quelli non esaminati – gli effetti pregiudizievoli del diniego. Ne risulterebbero lesi tanto il principio di imparzialità dell’azione amministrativa, quanto il diritto inviolabile dei ricorrenti alla tutela giurisdizionale, essendo stata agli stessi radicalmente preclusa la possibilità di censurare compiutamente davanti al giudice amministrativo non solo i vizi propri della motivazione dell’atto qui contestato, ma anche l’eventuale errata interpretazione delle norme sottese al giudizio di non conformità, con riferimento a tutte le opere oggetto della richiesta di sanatoria.

Il motivo è infondato.

In linea di principio, il concetto di costruzione deve essere inteso in senso unitario e non in relazione a singole parti autonomamente considerate, vale a dire che la costruzione non può essere scissa nei vari elementi che la compongono ai fini della sanatoria di singole porzioni di essa. Va esclusa, pertanto la possibilità di una sanatoria parziale ed è legittimo il rigetto integrale dell’istanza, senza che l’amministrazione debba interrogarsi su quale sarebbe l’esito se quest’ultima fosse stata confezionata diversamente (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 luglio 2018, n. 4033).

Tanto premesso, i capi motivazionali del quale l’atto impugnato si compone esprime le ragioni dell’inaccoglibilità dell’istanza con riguardo a ciascuno degli organismi edilizi che formano il complesso di proprietà della ricorrente, per come individuati dal Comune, vale a dire il capanno prefabbricato in legno (punti 1 e 3 del provvedimento), l’edificio principale (punti 2 e 3 del provvedimento), la piscina (punto 4 del provvedimento) e le sistemazioni esterne (punto 5 del provvedimento);
e ognuna di tali ragioni, alla stregua della ricordata inscindibilità della costruzione, è da ritenersi ostativa alla sanatoria dell’intero organismo di volta in volta considerato.

Si aggiunga che, da un lato, i rilievi contrari alla sanatoria della piscina non sono neppure contestati dai ricorrenti (si veda anche infra, par. 4.2.);
e, dall’altro, che la mancata indicazione della data di commissione degli abusi (punto 6 del provvedimento) affligge tutti gli interventi partitamente indicati dai ricorrenti.

3.2. Con il secondo motivo, si afferma che il Comune avrebbe equivocato il contenuto dell’istanza di sanatoria, la quale non avrebbe carattere condizionato, o parziale.

Quanto al primo gruppo di interventi (capanno prefabbricato e pensiline in ferro e vetro), la proprietà avrebbe già provveduto alla demolizione in ossequio alla pregressa ordinanza di ripristino dell’ottobre 2017, e la realtà dei fatti non potrebbe essere contraddetta dalle espressioni letterali adoperate nell’istanza di sanatoria.

Quanto al servizio igienico dell’unità immobiliare “Farnia”, la sua sanatoria non richiederebbe alcun adattamento e il corrispondente ampliamento volumetrico sarebbe suscettibile di legittimazione postuma ai sensi dell’art. 21 co. 1 lett. e) delle norme di attuazione del R.U..

La censura non può trovare accoglimento.

È noto che, per giurisprudenza assolutamente costante, non è ammissibile il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria subordinato all’esecuzione di ulteriori opere edilizie, ciò in quanto si verrebbe a creare un contrasto con gli elementi essenziali dell'accertamento di conformità, in base ai quali l'esecuzione delle opere deve essere già avvenuta e le stesse devono essere conformi alla disciplina urbanistica (da ultimo, per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2019, n. 325).

Nella specie, il capanno prefabbricato con veranda, destinato a ricovero attrezzi, e le pensiline in ferro e vetro sono descritti nella relazione tecnica allegata all’istanza di sanatoria come opere “da demolire”, e non “già demolite”;
e che si trattasse di opere esistenti, al momento della presentazione dell’istanza, è attestato dalle immagini a corredo della medesima relazione tecnica, mentre la volontà manifestata dai proprietari di procedere alla demolizione è una mera – e come tale irrilevante – dichiarazione di intenti.

Ne discende che al Comune non può imputarsi di aver tenuto conto dell’esistenza di quelle opere in sede di definizione del procedimento, a maggior ragione se si considera che non è noto se la rimozione dei manufatti, che pare attestata dalla documentazione fotografica in atti, abbia preceduto o seguito l’adozione del diniego impugnato.

Per altro verso, la necessità di un intervento di adeguamento sul servizio igienico di pertinenza dell’unità immobiliare “Farnia”, per riportarlo a dimensioni – altezza e superficie – assentibili, è attestata dalla stessa relazione di accompagnamento alla domanda di accertamento di conformità. L’elaborato grafico allegato alla domanda evidenzia come il progetto di adattamento prevedesse la realizzazione di una controparete addossata a quella di fondo e di un muretto addossato sulla parere esterna, oltre che di un controsoffitto chiuso.

Nell’uno e nell’altro caso, come si vede, si tratta di interventi necessari per ricondurre a legalità l’immobile e, perciò, inammissibili alla stregua dei principi richiamati inizialmente, atteso che il rilascio della sanatoria presuppone la già avvenuta esecuzione delle opere e la integrale conformità di queste ultime alla disciplina urbanistica.

3.3. Il terzo motivo di ricorso ricade sulla presunta insanabilità del frazionamento contestato dal Comune. I ricorrenti deducono che la peculiare conformazione del complesso edilizio avrebbe permesso loro di ricavare all’interno delle tre legittime “unità immobiliari” sette “unità abitative”, sei delle quali destinate all’attività ricettiva e una rimasta nella disponibilità della proprietà;
ciò senza eseguire alcuna opera muraria rilevante, ma solamente installando nei già esistenti locali quattro piccoli angoli cottura e sostituendo le “ordinarie” porte interne con dei portoncini da esterno. Secondo i ricorrenti, le nozioni di “unità immobiliare” e di “unità abitativa” non coinciderebbero, e illegittimamente il Comune di Fiesole avrebbe omesso di pronunciarsi su tale prospettazione. Peraltro, la diversa distribuzione funzionale interna delle unità immobiliari esistenti sarebbe stata rappresentata dalla ricorrente D A al S.U.A.P. del Comune fin dal 2012, allorquando presso il compendio edilizio è stata avviata l’attività turistico-ricettiva di “case e appartamenti per vacanze”.

Il motivo è infondato.

L’art. 57 della legge regionale toscana n. 86/2016 (“ Testo unico del sistema turistico regionale ”) disciplina, fra le “altre strutture ricettive”, le “case e appartamenti per vacanze”, identificate con le “ unità abitative composte da uno o più locali arredati e dotate di servizi igienici e di cucina autonoma, gestite unitariamente in forma imprenditoriale per il soggiorno dei turisti ” (analoga definizione era già contenuta all’art. 56 della l.r. n. 42/2000).

A ben vedere, la nozione di “unità abitativa” utilizzata dalla norma non è affatto contrapposta a quella di “unità immobiliare”, intesa come “ insieme di locali e spazi tra loro collegati, avente autonomo accesso e indipendenza funzionale, capace di soddisfare autonomamente specifiche esigenze di utilizzo, siano esse di tipo residenziale o di tipo diverso dalla residenza ” fatta propria dal legislatore regionale e cristallizzata nel regolamento approvato con d.P.G.R. 11 novembre 2013, n. 64/R attuativo dell’art. 144 l.r. n. 1/2005, e oggi confermata dall’art. 30 del regolamento approvato con d.P.G.R. 24 luglio 2018, n. 39/R. Alla luce del combinato disposto delle definizioni citate, che sono peraltro recepite dal regolamento edilizio del Comune di Fiesole, l’unità “abitativa” altro non è, infatti, se non l’unità “immobiliare” capace di soddisfare autonomamente esigenze di tipo residenziale, che, nell’ipotesi delle case per vacanze, riceve una specifica destinazione ricettiva per il soggiorno (residenza) dei turisti.

Conferma ne è che già l’art. 16 del regolamento regionale approvato con d.P.G.R. 23 aprile 2001, n. 18/R, definiva “ unità abitativa” l’insieme di uno o più locali preordinato come autonomo appartamento e destinato all’alloggio della clientela ”.

A fugare ogni possibile dubbio sovviene poi l’art. 54 della stessa legge n. 86/2016, in forza del quale le strutture ricettive extra alberghiere debbono possedere i requisiti delle case di civile abitazione, ovvero delle unità immobiliari a destinazione abitativa.

Di contro, la tesi dei ricorrenti finisce per confondere la nozione di “unità immobiliare” con quella di “edificio”, anch’essa codificata dai regolamenti regionali sopra menzionati per identificare le costruzioni stabili dotata di autonomia morfotipologica e funzionale, costituite da una o più unità immobiliari, indipendentemente dall’utilizzo abitativo o meno delle stesse, e da eventuali parti di uso comune.

Il frazionamento in sette unità abitative – rectius : unità immobiliari destinate a residenza – del fabbricato principale di proprietà Anceschi è dunque in contrasto con la disciplina dettata dal regolamento urbanistico comunale, che limita a tre il numero massimo di unità abitative ricavabili nell’edificio. E l’abuso non viene meno, evidentemente, in ragione della maggiore o minore entità delle opere edilizie occorrenti per fare luogo al frazionamento dei locali.

È appena il caso di osservare, infine, che nessun rilievo riveste, a fini urbanistico-edilizi, la S.C.I.A. presentata nel 2012 al S.U.A.P. per l’avvio dell’attività ricettiva.

3.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti sostengono che gli interventi da loro eseguiti non contrasterebbero con l’art. 167 d.lgs. n. 42/2004, contrariamente a quanto si afferma nel provvedimento impugnato. L’avvenuta demolizione del capanno prefabbricato renderebbe pretestuoso il riferimento del Comune all’esistenza di un nuovo manufatto in zona agricola;
e il servizio igienico dell’unità abitativa “Farnia” sarebbe stato ricavato all’interno di un sottoscala preesistente, senza alterazione di sagoma dell’edificio, il che implicherebbe l’irrilevanza paesaggistica dell’opera. Il Comune, inoltre, avrebbe omesso di acquisire il parere obbligatorio e vincolante della competente Soprintendenza.

Al riguardo, deve premettersi che effettivamente gli incrementi di volume aventi rilievo urbanistico possono, a determinate condizioni, non rilevare sul piano paesaggistico, laddove non alterino la sagoma dell’edificio (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 27 febbraio 2015, n. 338).

Nel caso in esame, tuttavia, si è già detto che l’esistenza di almeno un nuovo volume (il capanno prefabbricato) è attestata dalla domanda di sanatoria, al di là della manifestata intenzione di demolire. Essa è di per sé incompatibile sia con l’accertamento di conformità urbanistico-edilizia, sia con l’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 167 co. 4 d.lgs. n. 42/2004, cit.;
e tanto basta a escludere la sussistenza delle illegittimità denunciate, anche con riguardo alla mancata acquisizione del parere della Soprintendenza, non necessario laddove non si tratti di giudicare della compatibilità paesaggistica di un’opera, ma della sua stessa sussumibilità tra le fattispecie suscettibili di essere verificate a posteriori , tassativamente indicate dalla legge, la quale esclude, appunto, le ipotesi di lavori comportanti incrementi di volume o di superficie.

3.5. Con il quinto motivo, i ricorrenti espongono che la diversa configurazione dei muri di sostegno e delle rampe in area pertinenziale (interventi descritti al punto N5 della relazione allegata all’istanza di sanatoria) sarebbe stata evidenziata sin dal 2009 nella variante finale dei lavori di ristrutturazione eseguiti a suo tempo sul complesso immobiliare. Detti interventi sarebbero dunque da considerarsi legittimi e non bisognosi di sanatoria, erroneamente richiesta;
ed il Comune avrebbe a sua volta errato nel non verificare la corrispondenza fra lo stato attuale e quello legittimato.

L’assunto è smentito dalla stessa relazione tecnica di accompagnamento alla variante del 2009, relativa alle sistemazioni esterne del complesso in questione. La variante si riferisce infatti alla localizzazione dei parcheggi di pertinenza del complesso e non riguarda in alcun modo i muri di sostegno dei terrazzamenti e le rampe cui l’istanza di sanatoria (al punto N5) e il provvedimento impugnato (al punto 5) fanno riferimento, senza che a diverse conclusioni possa giungersi per il fatto che negli elaborati grafici a corredo della variante i muri e le rampe di cui qui si discute fossero state rappresentate nello stato modificato.

Che la diversa configurazione del preesistente muro di sostegno non sia dipesa da modifiche apportate dalla proprietà, ma dalla circostanza che la vegetazione presente al momento della progettazione aveva impedito il corretto rilievo dell’opera, è affermazione indimostrata e, in ogni caso, non toglie che l’intervento richiedesse di essere regolarizzato, essendo rimasto estraneo alla variante del 2009 ed avendo comportato – come attestato dall’istanza di sanatoria – non solo la conservazione e consolidamento del muro preesistente e la modifica della scala est, ma anche, per un tratto, la realizzazione di una controscarpata in terra e la modifica (rotazione) della scala ovest, opere che eccedono l’ambito della manutenzione ordinaria e della trascurabile importanza ai fini della pubblica incolumità (art. 12 d.P.G.R. 9 luglio 2009, n. 36/R).

3.6. Con il sesto motivo, i ricorrenti affermano che gli abusi sarebbero stati commessi tra il 2003 e il 2010, periodo durante il quale si sarebbero succeduti due regolamenti urbanistici comunali tra loro sovrapponibili. I dubbi sollevati dal Comune di Fiesole in punto di mancata dimostrazione del requisito della doppia conformità sarebbero perciò privi del benché minimo fondamento, potendosi agevolmente individuare la normativa di riferimento sia al momento della realizzazione delle opere sia al momento della presentazione dell’istanza.

Anche tale motivo è infondato.

Posto che l’indicazione della data di commissione degli abusi costituisce un dato essenziale per individuare la disciplina urbanistica della quale tenere conto ai fini della “doppia conformità”, manca la prova che i regolamenti urbanistici del 2001 e del 2009 riservassero al casale Anceschi senza soluzione di continuità un’identica disciplina specifica, al di là della disciplina generale delle categorie di intervento che viene riprodotta a titolo esemplificativo dai ricorrenti.

4. Può ora passarsi ai motivi rubricati sub B), avverso l’ordine di demolizione seguito al diniego di sanatoria.

4.1. Il primo motivo, diretto a far valere l’illegittimità derivata dell’ordine di demolizione, è da respingere stante l’accertata infondatezza delle censure rivolte nei confronti del diniego di sanatoria.

4.2. Con il secondo motivo, sono dedotti diversi profili di asserita illegittimità autonoma del provvedimento sanzionatorio.

Questo sarebbe, innanzitutto, equivoco nell’identificare le opere da demolire, con particolare riguardo alla recinzione in pali e rete e alle nicchie in muratura presenti nell’area del capanno esterno in legno, tutte opere insuscettibili di sanzione ai sensi dell’art. 196 l.r. n. 65/2014.

Anche nel caso delle opere individuate dal provvedimento sotto la dicitura “Edificio”, il generico richiamo alle “opere edilizie abusive descritte ai punti 2 e 3 del verbale” non consentirebbe di comprendere quali interventi siano effettivamente oggetto dell’ordine di rimessione in pristino. Laddove si dovesse ritenere che l’ordine demolitorio comprensivo di tutte le opere indicate nel verbale sotto la voce “Edificio”, le quali non sarebbero comunque riconducibili alla categoria degli “Interventi eseguiti in assenza di SCIA o in difformità da essa” e sanzionabili ai sensi dell’art. 200 della stessa l.r. n. 65/2014.

Analoghe considerazioni varrebbero per le opere individuate dal Comune sotto la dicitura “Piscina”.

L’atto impugnato sarebbe illegittimo, ancora, nella parte in cui ordina, genericamente, il ripristino della diversa configurazione del muro di sostegno, giacché il ripristino si risolverebbe di fatto in un’alterazione dello stato originario del manufatto.

Il Comune avrebbe omesso di verificare, infine, l’oggettiva impossibilità della demolizione delle opere, con conseguente necessaria applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 200 co. 6 l.r. n. 65/2014.

Le censure vanno respinte, con le precisazioni che seguono.

L’ordinanza del 2 agosto 2018, qui impugnata, ripartisce in tre gruppi gli interventi oggetto della rimessa in pristino, così come descritti nel verbale di accertamento degli abusi: 1) “Capanno esterno”;
2) “Edificio”;
3) “Piscina” (per inciso, la ripartizione è perfettamente coerente con quella sottesa al diniego di sanatoria, v. supra par. 3.1.).

Tutti gli interventi formavano oggetto dell’istanza di accertamento di conformità, respinta dal Comune, che ne ha consequenzialmente disposto la demolizione. Il trattamento sanzionatorio degli abusi appare del tutto congruente e proporzionato, nella misura in cui non accomuna in maniera indiscriminata tutte le opere, ma solo quelle riferibili ad un organismo edilizio idealmente suscettibile di autonoma considerazione all’interno del più ampio complesso di proprietà dei ricorrenti, a prescindere dal suo carattere principale o pertinenziale. Per ciascuno di tali organismi (appunto il capanno, l’edificio, la piscina), lo si è già osservato, la considerazione unitaria degli interventi è del tutto legittima, non essendo ammissibile una sanatoria parziale, come pure un artificioso frazionamento degli abusi.

Più nel dettaglio, la qualificazione del capanno in legno come nuova costruzione è incontestata. Correttamente risulta pertanto applicata la sanzione demolitoria prevista dall’art. 196 l.r. n. 65/2014, la quale peraltro – alla luce del complessivo tenore del provvedimento – non si estende alle recinzioni dell’area di sedime del manufatto e alle nicchie in muratura per l’alloggiamento dei contatori, privi di rilevanza edilizia e che il Comune non risulta aver inteso sanzionare per gli aspetti paesaggistici, a differenza delle opere elencate ai punti nn. 2 e 3 del provvedimento, delle quali è evidenziata la difformità dall’autorizzazione paesaggistica, ovvero l’assenza di quest’ultima.

Per il resto, il provvedimento è chiarissimo nel sottoporre alla sanzione ripristinatoria tutte le opere che hanno condotto all’abusivo frazionamento dell’edificio principale in sette unità abitative, le quali, unitariamente considerate alla stregua dei principi più volte richiamati, sono riconducibili alla previsione dell’art. 200 co. 3 l.r. n. 65/2014 (interventi eseguiti in assenza di S.C.I.A. o in difformità da essa e in violazione delle norme urbanistiche o delle prescrizioni degli strumenti della pianificazione urbanistica comunali o dei regolamenti edilizi) e vanno pertanto rimosse perché contrastanti con il regolamento urbanistico del Comune di Fiesole.

Quanto alla piscina, il mancato rilascio della sanatoria è dipeso dalla non contestata violazione dell’art. 77 delle n.t.a. di regolamento urbanistico, inerente le dimensioni massime dei vani tecnici, il cui rispetto costituisce condizione per la realizzazione (non del solo vano tecnico, ma) della piscina stessa. Ancora una volta, l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 200 co. 3 l.r. n. 65/2014 risulta pienamente giustificata.

Da ultimo, la disposta riconfigurazione del muro di sostegno e della rampa in area pertinenziale non potrà che essere eseguita mediate restituzione allo stato anteriore all’intervento, spettando ai ricorrenti dimostrare, in sede esecutiva, quale fosse l’assetto originario del muro.

Alla fase esecutiva è altresì rimessa, se del caso, la dimostrazione dell’impossibilità tecnica di eseguire la rimessione in pristino ai fini dell’applicazione della sanzione pecuniaria alternativa di cui all’art. 200 co. 6 l.r. n. 65/2014.

4.3. Con il terzo motivo sub B), pur riconoscendo il carattere vincolato dell’ordine di demolizione, i ricorrenti lamentano che la mancata comunicazione di avvio del procedimento avrebbe impedito all’amministrazione di avvedersi dell’inapplicabilità di buona parte delle sanzioni irrogate.

Sul punto, basti ricordare che, qualora l’ordine di demolizione di un’opera abusiva intervenga successivamente a un diniego di concessione edilizia in sanatoria, non occorre la preventiva comunicazione ai sensi dell’art. 7 l. n. 241/1990, trattandosi di un atto che si inserisce nell’ambito di un procedimento sanzionatorio sostanzialmente unitario (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2018, n. 5123).

5. In forza di tutte le considerazioni che precedono, l’impugnazione non può trovare accoglimento.

5.1. Le spese di lite seguono la soccombenza dei ricorrenti nei rapporti con il Comune di Fiesole.

Sussistono giusti motivi di compensazione nei rapporti fra i ricorrenti medesimi e la Soprintendenza fiorentina, la cui intimazione ha oltretutto il valore di mera denuntiatio litis .

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