TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2023-01-10, n. 202300352

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3S, sentenza 2023-01-10, n. 202300352
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202300352
Data del deposito : 10 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/01/2023

N. 00352/2023 REG.PROV.COLL.

N. 08406/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8406 del 2017, proposto da A C, A G, G O, N N, I S, V P, M M, L C, M P, Enzo D'Artibale, T M, V B, F M, F B, L B, C P, P T, G T, L L, M M, M S, C R, M Q, V F, F D C, L F, Carmine Dell'Osa, R L, rappresentati e difesi dagli avvocati M V S, A P, L A, con domicilio eletto presso lo studio L A in 00183, via Etruria 65;

contro

Ente Strumentale Croce Rossa Italiana, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministero per la Pubblica Amministrazione e La Semplificazione, Ministero per Lo Sviluppo Economico, Ministero degli Affari Esteri, Croce Rossa Italiana, non costituiti in giudizio;
Ministero della Salute, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero della Difesa, Ministero dell'Interno, Cri - Croce Rossa Italiana, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per la Pubblica Amministrazione e La Semplificaz, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'accertamento del diritto ad ottenere ATTRIBUZIONE DEL TRATTAMENTO ECONOMICO EX D.P.R. N. 1124 DEL 30.06.1965 NONCHÉ QUELLO PREVISTO DAL COMBINATO DISPOSTO DAL D.P.C.M. 30.04.2010 E DEL D.P.R. N. 185 DEL 01.10.2010.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Salute e di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero della Difesa e di Ministero dell'Interno e di Cri - Croce Rossa Italiana e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per la Pubblica Amministrazione e La Semplificaz e di Ministero dello Sviluppo Economico e di Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 25 novembre 2022 il dott. Giovanni Caputi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe si richiede: “ Piaccia all’Ecc.mo Tar adito accogliere il ricorso e per l’effetto: 1) preliminarmente, rilevata la violazione dei principi e delle norme della legge delega art. 2 legge 183/2010, in riferimento al decr leg.vo 28/9/2012 n 178, ai sensi degli artt. 76, 77 e 87 cost., dichiarata rilevante la questione e la non manifesta infondatezza a livello costituzionale delle suddette norme, ai sensi della legge 11/3/1953 n 87: disporre la sospensione del presente giudizio, ordinare la remissione degli atti alla Cancelleria della Corte Costituzionale, con comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché ai Presidenti dei 2 rami del Parlamento;

2) in subordine, ove l’Ecc.mo Collegio adito non rilevi la necessità della preventiva dichiarazione di incostituzionalità, riconoscere a tutti gli odierni ricorrenti il diritto alle c.d. “scivolo dell’anzianità contributiva” pari a un anno ogni 5 di effettivo servizio svolto (nel limite massimo del quinquennio legislativamente riconosciuto) nonché il diritto alle differenze sugli emolumenti stipendiali di cui al DPR 1 ottobre 2010 n.185 (nonchè del precedente D.P.C.M. 30 aprile 2010), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come di legge;

3) con vittoria di onorari, spese di giudizio da distrarsi in favore degli scriventi domiciliatari .”.

2. In particolare i ricorrenti chiedono l’accertamento del diritto al c.d. “scivolo dell’anzianità contributiva” pari a un anno ogni 5 di effettivo servizio svolto (nel limite massimo del quinquennio legislativamente riconosciuto) nonché il diritto alle differenze sugli emolumenti stipendiali di cui al DPR 1 ottobre 2010 n.185 (nonché del precedente D.P.C.M. 30 aprile 2010), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come di legge.

3. Sempre parte (collettiva) ricorrente asserisce che questo scivolo gli sia stato negato a causa del decr. leg.vo 28/9/2012 n 178, di cui si chiede il rinvio in Corte Costituzionale sulla base di una serie di censure indicate in ricorso.

4. In particolare, dopo i primi tre paragrafi attinenti a questioni di rito, nell’atto introduttivo del giudizio viene contestata “ 4) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 76, 77 E 87 COST. IN RELAZIONE AL PARERE DELLA COMMISSIONE IV (DIFESA)

DELLA CAMERA DEI DEPUTATI DEL

19/09/2012
.”;
5) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 76, 77 E 87 COST. IN RELAZIONE AL PARERE DELLA COMMISSIONE V (BILANCIO)

DELLA CAMERA DEI DEPUTATI DEL

19/09/2012
.”;
“6 ) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 76, 77 E 87 COST. IN

RELAZIONE AL PARERE DELLA COMMISSIONE

12 (IGIENE E SANITA’) DEL

SENATO DELLA REPUBBLICA DEL

25/09/2012
.”;
7) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 76, 77 E 87 COST. IN RELAZIONE AL PARERE DELLA CONFERENZA UNIFICATA STATO – ENTI LOCALI DI CUI ALL’

ARTICOLO

8 DEL

DECRETO LEGISLATIVO

28 MARZ0 1997, N 281 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI,

RESO NELLA SEDUTA DEL

25

LUGLIO

2012
.”;
8) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 76, 77, 87 COST. IN RELAZIONE ALLA PREVENTIVA AUDIZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI. ”;
“9 ) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 76, 77 E 87 COST. IN RELAZIONE AL PARERE DEL RAGIONIERE GENERALE DELLO STATO ATTO MINISTERO ECONOMIA E FINANZE-DIPART.

RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO DEL

31/5/2012 –

PROT N

48090
.”;
10) VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 76, 77 E 87 COST. IN RELAZIONE AL DIVIETO DI MAGGIORI ONERI FINANZIARI ESPRESSAMENTE PREVISTO ANCHE DALL’ART. 9 DEL

DECRETO LEGISLATIVO

178.”;
“11) IN CONCLUSIONE RISULTA LA PALESE VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 76, 77 E 87 COST. PER ECCESSO DI DELEGA (…)
”.

Segue la specificazione della “ PRETESA ECONOMICA IN QUESTA SEDE DOMANDATA ”, oltre alla denunzia di “ 13) ILLEGITTIMITA’ PER MANCATA APPLICAZIONE DEL D.P.C.M. 30/04/2010 E DEL D.P.R. 01/10/2010 N 185 ”.

5. L’amministrazione si è costituita solo formalmente.

6. All’udienza in epigrafe, a seguito del deposito di memoria da parte dei ricorrenti, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

7. Il ricorso è infondato.

8. Preliminarmente deve il Collegio rilevare che tutto il ricorso è basato sulla circostanza per cui un atto di rango legislativo, ossia il decreto legislativo 28/11/2012 n 178, “ Riorganizzazione dell’Associazione Italiana della Croce Rossa (C.R.I) a norma dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010 n 183 (pubbl su Gazz Uff. n. 245 del 19/10/2012) ”, ostacolerebbe il riconoscimento del diritto dei ricorrenti così come sopra (sinteticamente) ricordato.

9. I motivi di doglianza, e comunque i motivi di diritto su cui si basa la pretesa ricorsuale, sono configurati alla stregua di contestazioni del predetto decreto legislativo e non vi si riscontrano deduzioni che prescindano dalla presupposta necessaria dichiarazione di incostituzionalità sopra menzionata.

10. Non si tratta solo di censure di rilievo costituzionale quanto alla ragione della contestazione, ma si tratta piuttosto di censure di un atto normativo primario il cui vaglio è però demandato alla Corte Costituzionale.

11. Al fine di valutare la necessità o meno di rinvio alla Consulta il giudice a quo deve tuttavia valutare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale nel frattempo intervenuta.

12. Nel caso di specie appare che sussista una pronunzia del Giudice delle leggi, in particolare la n. 79/2019 che ha respinto, almeno per i termini essenziali, le lamentele ricorsuali.

13. In particolare in detta pronunzia la Consulta ha affermato: “ 8.1. – Le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.

Non v’è dubbio che la Costituzione, all’art. 76, ponga una duplice direttiva normativa nei confronti di Parlamento e Governo, protagonisti del procedimento bifasico ivi disciplinato.

8.1.1.– Per un verso, il Parlamento è tenuto a circoscrivere i margini di azione dell’esecutivo;
come questa Corte ha già affermato, l’individuazione dei principi e criteri direttivi, la delimitazione dell’oggetto e la fissazione del termine mirano a «circoscrivere il campo della delega» al fine di «evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle finalità che l’hanno determinata» (sentenza n. 198 del 1998;
nello stesso senso, sentenza n. 3 del 1957). La limitazione rigorosa dei poteri del legislatore delegato e la conseguente inammissibilità di “deleghe in bianco” si giustificano alla luce dell’assetto generale delle attribuzioni disegnato dalla Costituzione, la quale assegna la funzione legislativa alle Camere (art. 70 Cost.). Il ruolo centrale del Parlamento, nei processi di produzione normativa, impone allo stesso di non delegare l’esercizio della funzione legislativa se non con limiti precisi (sentenza n. 106 del 1962), che non si riducano a clausole di stile prive di adeguata efficacia precettiva.

8.1.2.– Per altro verso, le condizioni fissate dal delegante, ai sensi dell’art. 76 Cost., rappresentano un confine invalicabile per il Governo, che proprio nel contenuto della delega trova la misura della propria azione. Non a caso, questa Corte ha più volte sancito che, soprattutto nel caso di deleghe destinate al riordino normativo, «al legislatore delegato spetta un limitato margine di discrezionalità per l’introduzione di soluzioni innovative, le quali devono attenersi strettamente ai principi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante» (sentenza n. 250 del 2016;
nello stesso senso, sentenze n. 94, n. 73, n. 50 e n. 5 del 2014, n. 162 e n. 80 del 2012).

In queste ipotesi, si impone una verifica rigorosa sui contenuti della decretazione legislativa, richiesta dall’essere la legislazione su delega una legislazione vincolata dai principi e criteri direttivi posti dal Parlamento.

8.2.– Questa Corte è tuttavia consapevole che il procedimento delineato dall’art. 76 Cost. attiene pur sempre alla produzione di atti legislativi. Per tale ragione, il delegante non è onerato di fornire una descrizione tassativa delle norme suscettibile di guidare il delegato, risultando anzi consentito «il ricorso a clausole generali, ferma la necessità che queste siano accompagnate dall’indicazione di precisi principi» (sentenza n. 250 del 2016;
nello stesso senso, sentenza n. 159 del 2001);
né il Governo è tenuto a una attività di mera esecuzione o automatico riempimento dei disposti cristallizzati nella delega. Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, i confini del potere legislativo delegato risultano complessivamente dalla determinazione dell’oggetto e dei principi e criteri direttivi, unitariamente considerati.

Entro questa cornice – emergente da un’interpretazione anche sistematica e teleologica della delega – «deve essere inquadrata la discrezionalità del legislatore delegato, il quale è chiamato a sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge di delega» (sentenza n. 104 del 2017). Se, dunque, la «legge delega, fondamento e limite del potere legislativo delegato, non deve contenere enunciazioni troppo generali o comunque inidonee a indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato», essa può essere «abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalità, e un corrispondente spazio, entro il quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria attività di “riempimento” normativo, la quale è pur sempre esercizio delegato di una funzione “legislativa”» (sentenze n. 198 del 2018 e n. 104 del 2017).

9.– Tenute presenti tali coordinate ermeneutiche, possono risolversi le questioni poste dal rimettente. In particolare, si tratta di verificare se, alla luce di una interpretazione sistematica e teleologica dell’art. 2 della legge n. 183 del 2010, il Parlamento abbia conferito al Governo un mero compito di riordino normativo e se, di conseguenza, il delegato abbia oltrepassato i limiti imposti dalla delega.

9.1.– Questa Corte ritiene di dare risposta negativa a tale quesito.

L’art. 2 della legge n. 183 del 2010 identifica l’oggetto della delega nella «riorganizzazione degli enti, istituti e società vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute nonché alla ridefinizione del rapporto di vigilanza dei predetti Ministeri sugli stessi enti, istituti e società rispettivamente vigilati». Posto che è espressamente menzionata la Croce Rossa italiana nel comma 2 di detto articolo, dai lavori preparatori si trae ulteriore conferma dell’intenzione di intervenire sull’ente pubblico attraverso una complessiva revisione della sua struttura organizzativa. Infatti, l’originario disegno di legge (art. 24 del d.d.l. Atto Camera 1441, poi stralciato nel d.d.l. Atto Camera 1441-quater, XVI Legislatura) indicava la Croce Rossa tra gli organismi da riorganizzare, e, solo durante l’esame al Senato, la 1ª e la 11ª Commissione riunite allargarono l’oggetto della delega, al fine di estendere il processo di riforma a tutti gli enti o società vigilati dal Ministero del lavoro fra cui l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) e la società Italia lavoro spa.

9.2.– Non è fondata la censura di eccesso di delega se si guarda ai principi e criteri direttivi della stessa. Le lettere a) e b) dell’art. 2, comma 1, della legge n. 183 del 2010 fanno riferimento alle esigenze di «semplificazione e snellimento dell’organizzazione della struttura amministrativa degli enti […]», e alla «razionalizzazione e ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, previa riorganizzazione dei relativi centri di spesa». Attraverso tali direttive, il delegante ha lasciato aperta una pluralità di soluzioni, tutte egualmente rimesse alla discrezionalità del Governo nell’attuazione della legge di delega, secondo un disegno procedurale coerente con l’art. 76 Cost.

Può ritenersi, dunque, che il legislatore delegato, attraverso la riorganizzazione della CRI, non abbia valicato l’oggetto, gli obiettivi e le finalità posti dalla legge delega, in quanto, muovendosi all’interno della pluralità di opzioni consentitegli, ha inteso perseguire il fine della «semplificazione e snellimento […] della struttura degli enti» indicato dal delegante. In tal senso, il complessivo intervento di riforma, lungi dal realizzare una mera soppressione della CRI, come pure adombrato dal rimettente, interviene sulla sua struttura confermando le rilevanti attività, di interesse pubblico, che essa ha storicamente svolto nel contesto interno e internazionale (art. 1, commi 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 178 del 2012), disponendo il subentro della nuova Associazione in tutte le convenzioni stipulate dalla CRI (art. 3, comma 4), assicurando la prevalenza di finanziamenti pubblici per il suo sostentamento e riconoscendo l’Associazione della CRI quale «unica Società nazionale di Croce Rossa» autorizzata a far parte della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (art. 1, comma 2). In tal senso, il mutamento della natura giuridica dell’organismo altro non è se non lo strumento individuato dal delegato per raggiungere e soddisfare la finalità indicata dal delegante.

9.2.1.– La scelta del Governo di tornare alla originaria struttura associativa della Croce Rossa non può, quindi, dirsi estranea agli obiettivi di riorganizzazione perseguiti dalla delega.

Rinsaldano questa conclusione, sia l’indagine circa l’intenzione originaria del Parlamento nel procedimento che ha portato all’approvazione della legge delega, sia l’iter parlamentare che ha accompagnato il varo del decreto legislativo censurato e, in particolare, il parere espresso dalle competenti commissioni parlamentari. Nella stessa direzione si muovono la complessa evoluzione normativa della Croce Rossa dalla fondazione alla legge di riforma sanitaria e i vincoli internazionali in favore di una struttura “non governativa” delle Croci rosse e delle Mezzelune rosse. Del resto, come più volte affermato da questa Corte, il contenuto di una delega legislativa deve essere identificato tenendo conto, oltre che del dato testuale, della lettura sistematica delle disposizioni che la prevedono, anche alla luce del contesto normativo nel quale essa si inserisce, nonché della ratio e delle finalità che la ispirano (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2017;
nello stesso senso, sentenze n. 250 del 2016, n. 210 del 2015 e n. 229 del 2014).

Già in passato il Parlamento aveva indicato la strada della ristrutturazione della CRI «in conformità del principio volontaristico della Associazione stessa», come sancito dal criterio direttivo di cui all’art. 70, terzo comma, della legge n. 833 del 1978, cui fece seguito il d.P.R. n. 613 del 1980, la cui applicazione si arenò – come prima sottolineato – per la mancata adozione dello statuto della costituenda associazione. Ed è in questa medesima direzione che si colloca la volontà del legislatore delegante espressa nel 2010 con la legge n. 183, come confermato dalle commissioni parlamentari permanenti chiamate a rendere parere sullo schema di decreto legislativo, le quali hanno avallato la scelta della persona giuridica di diritto privato compiuta dal Governo.

9.2.2.– A tale riguardo, meritano di essere segnalati i pareri resi dalla 12ª Commissione (Igiene e sanità) del Senato della Repubblica, la quale, di fronte a un primo schema di decreto legislativo (XVI Legislatura, atto del Governo, n. 424) che qualificava la Croce Rossa «ente pubblico non economico su base associativa» e confermava gran parte della precedente struttura dell’ente, aveva espresso parere contrario, ritenendo che lo schema non risolvesse i problemi e non rispondesse alle esigenze emersi durante la menzionata indagine conoscitiva precedentemente disposta dalla medesima Commissione. Essa invitava perciò il Governo a presentare un nuovo progetto di riforma che recepisse le linee d’intervento indicate nel documento conclusivo della citata indagine (XVI Legislatura, parere della Commissione Igiene e sanità del Senato della Repubblica sull’atto del Governo n. 424).

9.2.3.– A seguito del nuovo schema di decreto legislativo (XVI Legislatura, atto del Governo n. 491) che ha previsto la natura associativa dell’Ente, la Commissione Igiene e sanità del Senato della Repubblica ha espresso parere favorevole, seppur enunciando una serie di osservazioni. Eguale parere favorevole è stato espresso dalle altre commissioni permanenti della Camera e del Senato (Difesa, Bilancio, Affari costituzionali, Affari sociali), a testimonianza del fatto che il processo di riforma, realizzato dal Governo, è stato complessivamente condiviso dagli organi parlamentari.

10.– Il rimettente indica, nel prosieguo argomentativo dell’ordinanza, un profilo di illegittimità costituzionale relativo alla presunta sub-delega che il delegato avrebbe attuato con riguardo alle modalità di finanziamento della Associazione della Croce Rossa italiana.

In particolare, l’art. 2, comma 5, del censurato d.lgs. n. 178 del 2012, nell’assegnare le risorse finanziarie secondo criteri rimessi alla determinazione dei Ministri della salute, dell’economia e delle finanze e della difesa, avrebbe «demandato a scelte ministeriali aspetti essenziali della nuova disciplina».

L’art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, prevedendo che «[l] e risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato […] sono attribuite […] con decreti del Ministro della salute, del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro della difesa, ciascuno in relazione alle proprie competenze, senza determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica […]», evidentemente si limita a disciplinare le modalità di erogazione, affidando all’atto fonte secondario solo il compito esecutivo di assegnazione materiale delle risorse.

La censura non è fondata.

La soluzione adottata nell’art. 2 non si pone in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, la quale consente al decreto delegato il conferimento agli organi dell’esecutivo della funzione «di emanare normative di tipo regolamentare (sentenza n. 79 del 1966), disposizioni di carattere tecnico (sentenza n. 106 del 1967) o atti amministrativi di esecuzione (ordinanza n. 176 del 1998;
per ulteriori esemplificazioni, sentenze n. 66 del 1965 e n. 103 del 1957)» (sentenza n. 104 del 2017).

11.– Alla luce delle considerazioni che precedono, anche le censure rivolte agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012 devono essere dichiarate non fondate.

11.1.– Gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012 si collocano, come visto, all’interno della riorganizzazione del Corpo militare della CRI. Non è manifestamente incoerente con la finalità complessiva della riforma, in un’ottica di razionalizzazione delle spese, stabilire un diverso inquadramento del personale ausiliario, a maggior ragione laddove, come nel caso di specie, il delegato opti, quale strumento di attuazione del compito affidatogli dal delegante, per la trasformazione dell’ente pubblico in persona giuridica di diritto privato. D’altronde, è la stessa legge di delega ad aver indicato al Governo la necessità di garantire la razionalizzazione e l’ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, obiettivi coerentemente perseguiti dal legislatore delegato tramite il trasferimento del personale militare ausiliario al ruolo civile.

Il giudice a quo deduce l’eccesso di delega delle norme sul personale ausiliario anche per contrasto «con i principi e criteri direttivi, di cui all’art. 2, comma 1, lettera a) della legge delega», che lascerebbe ferme «le specifiche disposizioni vigenti per il [...] personale, in servizio alla data di entrata in vigore della [medesima] legge».

Il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente è palesemente errato, non trovando riscontro nel tenore letterale della richiamata disposizione. La necessità di mantenere «le specifiche disposizioni vigenti per il relativo personale in servizio alla data di entrata in vigore della […] legge» n. 183 del 2010 è, infatti, espressamente riferita al processo di riordino dell’ISFOL e della società Italia Lavoro spa e ai rapporti di impiego instaurati con detti istituti e non riguarda, invece, la CRI.

12.– Il rimettente lamenta, altresì, che il d.lgs. n. 178 del 2012 violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost perché, avendo operato «una integrale rinnovazione strutturale per quanto riguarda la Croce Rossa Italiana», con soppressione e liquidazione dell’ente pubblico e istituzione di una persona giuridica di diritto privato, avrebbe contestualmente determinato una notevole riduzione di risorse, che impedirebbe all’Ente strumentale (e, poi, all’Associazione), di svolgere le «delicate ed importanti funzioni di interesse pubblico», elencate dall’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 178 del 2012.

12.1.– Dette questioni di legittimità dell’«intero decreto» legislativo (ad eccezione dell’art. 7), promosse con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., non sono fondate.

L’attribuzione della personalità giuridica di diritto privato è senz’altro coerente con la vocazione solidaristica della neoistituita Associazione della Croce Rossa italiana, associazione di volontariato chiamata a svolgere rilevanti funzioni di interesse generale, a livello nazionale e internazionale. Il decreto legislativo censurato trova anzi una diretta copertura costituzionale nell’art. 118, quarto comma, Cost., che in una ottica di sussidiarietà orizzontale impegna la Repubblica a favorire «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale».

12.2.– Peraltro è da tenere presente, come sottolineato dall’Avvocatura dello Stato in udienza pubblica, che il nuovo modulo organizzativo della Croce Rossa italiana allinea il nostro ordinamento ad altre esperienze, in particolare (ma non solo) europee, le quali disegnano le rispettive società nazionali di Croce Rossa quali associazioni di diritto privato di interesse pubblico, formate da volontari e da personale civile in regime di impiego privatistico;
osservazione non priva di significato per una organizzazione destinata ad aderire ad una federazione transnazionale di «società non governative» (come recita il preambolo dello statuto della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna rossa).

Tale constatazione vale non solo per il Regno Unito (la British Red Cross, ricevuto il riconoscimento regio nel 1908, è una voluntary aid society, ausiliaria rispetto alle autorità pubbliche), ma anche per i sistemi giuridici continentali. Si pensi alla Croix-Rouge française, associazione senza scopo di lucro, riconosciuta di utilità pubblica;
al Bundesverband des Roten Kreuzes tedesco, associazione registrata ai sensi degli artt. 21 e seguenti del codice civile tedesco;
alla Cruz Roja spagnola, associazione civile di rilievo pubblico composta solo da volontari civili (e non più, come in passato, anche da militari di carriera).

12.3.– Infine, quanto alle risorse messe a disposizione dell’Associazione della Croce Rossa italiana, l’ordinanza si limita ad affermarne solo genericamente la strutturale inadeguatezza, rendendo per quest’aspetto la censura inammissibile.

12.4.– Il giudice a quo solleva specifiche questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012, sempre in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.

Ad avviso del rimettente, il trasferimento al ruolo civile del personale militare, previsto da detti articoli, sarebbe causa di illegittimità costituzionale per l’assenza di «progressione economica commisurata al grado rivestito», e di «garanzie di conservazione delle funzioni in precedenza attribuite». Inoltre, sarebbe costituzionalmente illegittima la scelta di ricorrere alle procedure di mobilità e la destinazione ad altra amministrazione «senza alcun richiamo a comparti o settori dell’amministrazione stessa, in cui si svolgano attività comparabili con quelle del personale di cui trattasi, in possesso di specifica professionalità per situazioni di emergenza».

12.4.1.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei termini sopra prospettati non sono fondate.

Il d.lgs. n. 178 del 2012, agli artt. 5 e 6, non realizza la soppressione del Corpo militare ausiliare, ma ne revisiona la struttura in coerenza con la generale riorganizzazione della CRI e con la rinnovata struttura associativa della stessa.

Il decreto delegato ha infatti disposto la sopravvivenza degli appartenenti al citato organismo quale categoria in congedo che presta servizio volontariamente e gratuitamente (non diversamente da quanto accade, oltre che per il Corpo delle infermiere volontarie, per la prima citata Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare Ordine di Malta, disciplinata dagli artt. 1761 e seguenti del cod. ordinamento militare). Peraltro, come sottolineato dalla difesa statale, il pregresso Corpo militare già da tempo utilizzava personale con tali caratteristiche come bacino da cui la CRI poteva attingere per i richiami temporanei in servizio (artt. 1668 e 1669 cod. ordinamento militare).

Del resto, anche il personale trasferito in altre amministrazioni, pur perdendo la qualifica di militare in servizio attivo, mantiene la qualifica di militare in congedo e, ai sensi dell’art. 1668 cod. ordinamento militare, potrebbe sempre essere richiamato in servizio, conservando il grado rivestito all’atto del collocamento in congedo.

In tale quadro, il trasferimento al ruolo civile del personale del Corpo militare della CRI non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.

Il trasferimento al ruolo civile del personale militare risulta anzi coerente con la trasformazione del regime giuridico della CRI, posto che il nuovo inquadramento nel rapporto di impiego accede alla diversa configurazione del datore di lavoro, che da soggetto pubblico muta in associazione di diritto privato regolata dal Libro I, Titolo II, Capo II, del codice civile.

Tali scelte di fondo comportano inevitabilmente modifiche delle modalità di sviluppo delle carriere, che perciò stesso si sottraggono alle dedotte censure.

12.4.2.– Quanto alle procedure di mobilità, adottate nell’ambito dei processi di riforma che hanno interessato le amministrazioni provinciali, ma che, come detto, trovano applicazione nella vicenda oggetto dell’attuale giudizio, si è recentemente pronunciata questa Corte, sottolineando come esse consentano di garantire un equilibrato contemperamento di due esigenze costituzionalmente rilevanti: per un verso, il mantenimento dei rapporti di lavoro, rendendo così «effettivo il diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost.» (sentenze n. 202 del 2016 e n. 388 del 2004);
per un altro, la discrezionalità legislativa connessa al processo di riordino dello Stato e degli enti pubblici. In contesti simili, è sicuramente auspicabile che ad un «rilevante riassetto organizzativo-funzionale segua un’adeguata riqualificazione del personale» (sentenza n. 159 del 2016). Non può essere escluso che in sede di applicazione di detta normativa possano verificarsi vizi nei conseguenti atti amministrativi, che spetterà eventualmente sindacare solo agli organi giurisdizionali competenti.

Di qui la non fondatezza, anche sotto tali profili, delle questioni prospettate .”

14. Deriva da quanto sopra che non sussistono i presupposti per il rinvio della questione alla Corte Costituzionale e, in conseguenza, nemmeno per l’accoglimento del ricorso.

15. Vale aggiungere che non ha pregio la pretesa della parte ricorrente di ottenere il riconoscimento del diritto a prescindere dall’accertamento della incostituzionalità del decreto legislativo 28/11/2012 n 178.

16. Infatti, tale pretesa non è argomentata in diritto, se non con il generico riferimento alla giurisprudenza della Corte dei conti in sede di giudizio pensionistico, che però riguarda altro aspetto ed altri profili della posizione giuridica dei ricorrenti, ai quali nulla impedisce di ricorrere a detto plesso giurisdizionale per le questioni pensionistiche, ovviamente non oggetto della presente causa.

17. Occorre altresì precisare che il reale oggetto della domanda giudiziale, alla luce delle doglianze in diritto, ad avviso del Collegio, non attiene al trattamento pensionistico che dunque non riguarda la presente controversia, e che comunque pertiene ad altra giurisdizione, ma unicamente la questione stipendiale afferente alle differenze sugli emolumenti stipendiali di cui al DPR 1 ottobre 2010 n.185.

18. A tale ultimo riguardo il ricorso, oltre a incontrare la barriera normativa indicata nello stesso atto introduttivo del giudizio consistente nelle disposizioni di cui al decreto legislativo 28/11/2012 n 178, è sprovvisto di prova, in quanto i ricorrenti non hanno dimostrato di essere stati dipendenti militari della Croce Rossa Italiana, di essere stati ivi in servizio sia all’interno del Corpo Militare sia all’interno delle altre strutture della suddetta C.R.I., ma con il suddetto status .

Nemmeno è stato dimostrato tramite specifiche allegazioni che tutti i summenzionati ricorrenti, a seguito dell’attuazione del ripetuto decreto legislativo, sono stati smilitarizzati e trasferiti ad altre amministrazioni dello Stato.

Neppure è presente in atti prova della mancata applicazione a tutti i ricorrenti dei benefici di cui al DPR 1 ottobre 2010 n.185 e della loro assimilabilità a quelli pensionistici esaminati nelle pronunzie della Corte dei conti depositate in giudizio.

19. Parimenti non risulta impugnato, neppure in via incidentale, impregiudicata ogni valutazione in ordine alla possibile tardività di detta eventuale impugnazione, il DPR 1 ottobre 2010 n. 185, il quale testualmente si applica solo al personale delle Forze armate (Esercito, Marina compreso il Corpo delle Capitanerie di Porto ed Aeronautica), e quindi non semplicemente al “comparto difesa”, concetto che invece appare rilevare ai fini pensionistici.

20. Infine, non risulta negli atti di causa alcuna argomentazione in ordine alle motivazioni che dovrebbero spingere a detta equiparazione (in disparte come detto la disciplina pensionistica) tra ex personale C.R.I. e Forze Armate.

Piuttosto, nella rammentata sentenza della Corte Costituzionale si nota che “ questa Corte, sotto la vigenza del d.P.R. n. 613 del 1980, adita nell’ambito di un procedimento attivato da alcuni sottoufficiali dell’ente per ottenere la «perfetta equiparazione giuridica ed economica» al personale delle Forze armate, ha affermato che «il personale militare della Croce rossa italiana non appartiene alle Forze armate o alle Forze di polizia dello Stato […], essendo […] personale non dello Stato, ma di un ente» (ordinanza n. 273 del 1999). Infatti, il «corpo militare della CRI, corpo speciale volontario, ausiliario delle Forze armate, […] non facente parte integrante delle stesse Forze armate ancorché sottoposto alle norme del regolamento di disciplina militare ed a quelle sostanziali del codice penale militare ed obbligato al giuramento, ha mantenuto – in forza del disposto degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 613 del 1980 – la sua […] collocazione», confermata dalla «dipendenza dell’autorità di vertice del corpo direttamente dal presidente nazionale dell’Associazione, salvo che nei periodi di mobilitazione» (ordinanza n. 273 del 1999)” (punto 7.2.1 ultimo capoverso).

21. In definitiva il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.

22. Le spese di lite possono essere compensate in ragione della natura della controversia e della assenza, al momento della proposizione del ricorso, di pronunciamenti costituzionali.

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