TAR Palermo, sez. I, sentenza 2023-06-21, n. 202302057

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. I, sentenza 2023-06-21, n. 202302057
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202302057
Data del deposito : 21 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/06/2023

N. 02057/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00990/2016 REG.RIC

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 990 del 2016, proposto da
Stabile Arturo Impresa Individuale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati F C e P P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e con domicilio fisico eletto in Palermo, via Torquato Tasso n. 4 presso lo studio dell’avv. A S;

contro

l’INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati T N, G M e F G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e con domicilio fisico eletto in Palermo, via Maggiore Toselli n. 5;

nei confronti

di Vita Ciaravino, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

- della nota dell'INPS di Trapani del 29.01.2016, trasmessa a mezzo posta, con la quale si è data comunicazione che la Commissione Provinciale per la Cassa Integrazione Guadagni della Provincia di Trapani, istituita presso l'INPS, ha effettuato un controllo sulle domande CIGO presentate dalla ditta ricorrente nel periodo ottobre 2010 - ottobre 2015 ed ha riscontrato in alcuni casi il superamento del limite delle 52 settimane nel biennio mobile previsto dalla circolare INPS n°58 del 29.04.2009, ed ha conseguentemente deliberato di annullare i provvedimenti emessi in violazione del suddetto limite e confermato quelli rientranti entro i parametri di legge con conseguente invito alla restituzione della somma di € 13.362,40, oltre € 3.328,25, per sanzioni ed interessi di mora;

- del verbale della seduta della predetta Commissione Provinciale per la Cassa Integrazione Guadagni della Provincia di Trapani nella quale è stata deliberata la precedente decisione, non notificato alla ricorrente;

- di ogni altro atto presupposto e successivo.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione dell’INPS, e vista la documentazione depositata;

Vista la memoria depositata dalla parte ricorrente;

Vista la memoria di costituzione di un nuovo procuratore per l’Istituto;

Vista l’istanza di passaggio in decisione depositata da parte ricorrente;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, co. 4 bis , cod. proc. amm.;

Relatore il consigliere M C nell’udienza del giorno 8 giugno 2023 di smaltimento dell’arretrato ex art. 87, co. 4 bis , cod. proc. amm., e udito il difensore del resistente Istituto, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

A. – Con il ricorso in esame, notificato il 30 marzo 2016 e depositato il 14 aprile 2016, la parte ricorrente ha chiesto l’annullamento del provvedimento emesso dall’I.N.P.S. sede di Trapani del 29 gennaio 2016, con il quale l’Amministrazione, agendo in autotutela, ha annullato i precedenti provvedimenti di riconoscimento dell’ammissione del personale alla Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria per il periodo ottobre 2010 – ottobre 2015, emessi in violazione del superamento del limite delle 52 settimane nel biennio mobile previsto dalla circolare INPS n. 58/2009, confermando, invece, quelli rientranti entro i parametri di legge.

In particolare, parte ricorrente ha esposto che l’annullamento d’ufficio disposto dall’INPS ha interessato i provvedimenti autorizzativi relativi al periodo dal 15 agosto 2011 al 29 settembre 2012 per i quali sono state annullate 3.509,25 ore lavorative e confermate solo 580 ore.

Deduce avverso tali atti le censure di:

1) Violazione art. 21 octies L. 241/1990 ;

2) Violazione art. 21 nonies L. 241/1990 ;

3) Violazione art. 21 nonies L. 241/1990, sotto ulteriore profilo – violazione art. 3 L. 241/1990 – difetto di motivazione ;

4) Violazione art. 7 e 10 L. 241/1990 – mancata comunicazione avvio del procedimento di annullamento ;

5) Eccesso di potere per difetto dei presupposti .

Parte ricorrente ha anche chiesto il risarcimento dei danni quantificati in € 16.890,65, posto che se l’INPS non avesse autorizzato la CIGO, la predetta avrebbe potuto accedere al diverso istituto della cassa integrazione salariale disposta dalla L. n. 203/2008;
inoltre, non avendo ricevuto direttamente dall’INPS le somme relative alla CIGO, in quanto a detta dell’INPS oltre le 52 settimane del biennio mobile, dovrebbe chiederne la restituzione nei confronti dei lavoratori previa costituzione di un valido titolo giuridico.

B – Si è costituito in giudizio l’INPS, depositando una memoria con la quale ha chiesto, in via preliminare, di dichiarare il ricorso nullo, in quanto parte ricorrente ha indicato erroneamente il valore della causa;
nel merito, ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.

C – In vista dell’udienza di smaltimento parte ricorrente ha depositato una memoria difensiva insistendo nei motivi di ricorso;
e l’INPS si è costituito con un nuovo difensore.

Quindi, all’udienza straordinaria di smaltimento del giorno 8 giugno 2023 – in vista della quale la difesa di parte ricorrente ha chiesto il passaggio in decisione – presente il difensore della resistente Amministrazione come da verbale, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

A. – La controversia ha ad oggetto il provvedimento emesso dall’I.N.P.S. di Trapani con il quale l’Amministrazione ha annullato i precedenti provvedimenti di riconoscimento dell’ammissione del personale della società ricorrente alla Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria per il periodo 2010-2015.

B – In via preliminare, il Collegio ritiene di dover prioritariamente esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità dello stesso per indicazione erronea del valore della causa.

L’eccezione è infondata, in quanto l’indicazione del valore della causa riportata in ricorso ai fini della determinazione del contributo unificato dovuto per legge ha finalità esclusivamente fiscale, non producendo alcun effetto sul valore della controversia, così come la sua omissione, costituendo una irregolarità fiscale, non determina l’improcedibilità o la nullità della domanda giudiziale. (Cassazione civile, Sez. VI, ordinanza 22 settembre 2015, n. 18732).

C – Nel merito, il ricorso è infondato.

C1. – Il primo motivo non è fondato.

Sostiene la ricorrente che l’Amministrazione avrebbe adottato il provvedimento di annullamento in autotutela sulla base della sola circolare INPS n. 58 del 29 aprile 2009, la quale non avrebbe alcun carattere normativo, trattandosi, al contrario, di uno strumento atto a fornire solamente indicazioni in via generale ed astratta sulle modalità di azione dell’Amministrazione.

La prospettazione non può essere accolta.

Come si evince dalla documentazione versata in atti dall’Istituto – e, in particolare, dalla circolare n. 58/2009 - l’I.N.P.S. di Trapani, in applicazione dell’art. 6, co. 4, della l. n. 164/1975 espressamente richiamato dalla citata circolare, ha effettuato il controllo sulle domande di CIGO presentate dalla società ricorrente valutando il periodo intercorrente da ottobre 2010 ad ottobre 2015, riscontrando il superamento del limite delle 52 settimane nel biennio mobile;
superamento di tale limite, il quale peraltro, non è stato contestato da parte ricorrente in nessun punto del ricorso introduttivo.

C2. – Il secondo motivo non è fondato.

Sostiene la ricorrente che il provvedimento di annullamento sarebbe stato adottato oltre il termine di diciotto mesi previsto dall’art. 21 nonies della l. n. 241/1990;
quindi, con la memoria conclusiva, ha contestato che l’annullamento sia stato disposto entro un “termine ragionevole”.

Sul punto, deve intanto richiamarsi la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato la quale “ per i provvedimenti di autotutela anteriori alla nota riforma del 2015, recante l'introduzione del predetto termine , (…) ha chiarito che, in assenza di un'indicazione normativa precisa quale quella successivamente introdotta dalla l. 7 agosto 2015 n. 124, è incontestabile che la decorrenza del tempo, quale che essa sia, non elide il potere di annullamento ex art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990. Ciò non significa affatto neutralizzare il relativo fattore, esponendo il privato ad un tempus poenitendi sostanzialmente illimitato. Al contrario, impone una valutazione di congruità rimessa (anche) al vaglio del giudice, nella cui disamina la motivazione non può che assurgere ad elemento determinante. La "ragionevolezza" del tempo di intervento costituisce, infatti, comunque un imprescindibile elemento di valutazione della correttezza dell'operato della pubblica Amministrazione, tant'è che se ne impone la coniugazione con la esigibilità della "correzione" stessa, ragione per cui è del tutto congruo che il termine per l'annullamento d'ufficio (nella sua dimensione 'ragionevole') decorre soltanto dal momento in cui l'Amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell'atto. Ne consegue che un'immotivata e protratta inerzia, seguita da un improvviso e ingiustificato revirement connota di sicura negatività la valutazione del tempo trascorso, a maggior ragione ove davvero considerevole. (…) In proposito, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio il termine di diciotto mesi, nei procedimenti di annullamento d'ufficio ex art. 21-nonies L. 241/90, è applicabile solo per i provvedimenti adottati successivamente alla entrata in vigore della l. 124/2015 (avutasi in data 28 agosto 2015) in considerazione della natura innovativa (e non interpretativa) della disposizione. Infatti, si tratta di un termine che non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all'entrata in vigore della novella legislativa, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi) finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l'esercizio del potere di autotutela amministrativa. È fatta comunque salva l'operatività del "termine ragionevole", secondo la formulazione del testo previsto dall'originaria versione del citato art. 21-nonies, aggiungendo che - per quanto i diciotto mesi non possano considerarsi ancora decorsi - è anche vero che la novella non può non valere come prezioso indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell'osservanza della regola di condotta in questione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 settembre 2020, n. 5410). In termini di completezza, va altresì ricordato che per i procedimenti a cavallo del 2015 la decorrenza del termine introdotto ex novo avviene con riferimento alla data di entrata in vigore della legge di riforma della 241 (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 20 marzo 2020, n. 1987) …” (cfr. Consiglio di Stato Sez. VI, 9 marzo 2022, n.1704;
in senso conforme, Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 febbraio 2023, n. 1706;
Sez. V, 31gennaio 2023, n. 1074).

Nel caso di specie, viene in rilievo un procedimento di autotutela avviato e concluso nel gennaio 2016;
ma, trattandosi di un procedimento a cavallo del 2015 – atteso che i provvedimenti con il quale l’INPS ha autorizzato la Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria sono tutti risalenti al periodo ante riforma della l. n. 241/1990 – in base al consolidato orientamento su riportato, la decorrenza del termine introdotto ex novo deve avvenire con riferimento alla data di entrata in vigore della legge di riforma (l. n. 124/2015), ossia il 28 agosto 2015: conseguentemente, rispetto a tale dies a quo , l’annullamento in autotutela è stato adottato, per tutti gli atti annullati, entro tale termine di legge.

Osserva peraltro il Collegio che, anche non tenendo conto, quale dies a quo , della su citata data del 28 agosto 2015, in generale il lasso temporale utilizzato deve anche ritenersi complessivamente ragionevole, considerato che:

- la ragionevolezza del termine, da vagliare nel suo complesso in relazione anche alla tipologia di procedura, va coniugato con la “esigibilità” della stessa correzione nell’esercizio dello ius poenitendi , dal momento che il termine non può che decorrere dal momento in cui l’amministrazione viene a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto;

- la ricorrente ha presentato diverse domande di riconoscimento della CIGO, che hanno determinato una complessa attività di verifica istruttoria svolta dall’Amministrazione;

- l’annullamento in autotutela ha posto rimedio ad una indebita erogazione di denaro a carico delle finanze pubbliche, per il riscontrato, e non contestato, superamento del limite delle 52 settimane nel biennio mobile;
con minore incidenza del lasso di tempo trascorso sul piano della “ragionevolezza (v. Consiglio di Stato, Sez. V, 16 gennaio 2023, n. 523;
CG.A., 24 luglio 2020, n. 669).

C3. – Anche la terza censura non è fondata.

Innanzitutto, è infondato il profilo di doglianza nella parte in cui lamenta un difetto di motivazione del provvedimento gravato avendo, per contro, l’amministrazione chiarito sinteticamente le ragioni del diniego, che riposano peraltro su disposizioni di legge non differentemente interpretabili.

Inoltre, il suddetto provvedimento di ritiro è stato motivato dall’Istituto sulla base di accertamenti eseguiti ex post tenendo conto delle domande di CIGO industria presentate dall’istante nel quinquennio 2010-2015, riscontrandone il superamento del limite delle 52 settimane nel biennio mobile, previsto dalla circolare I.N.P.S. n. 58 del 29 aprile 2009 (in atti).

Per quanto attiene, poi, al profilo relativo alla valutazione degli interessi dei destinatari e all’interesse pubblico sotteso all’annullamento in autotutela, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ritiene che l'interesse pubblico sia in re ipsa in caso di mancanza dei requisiti per la percezione di contributi pubblici.

L’annullamento del provvedimento di erogazione di un contributo pubblico o di qualsiasi altra erogazione di denaro pubblico costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti all’Erario per effetto di un’indebita erogazione di contributi pubblici quando è emerso che il beneficio era stato accordato in assenza dei presupposti di legge, sicché l’interesse pubblico è in re ipsa quando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato (cfr. Consiglio di Stato n. 523/2023 cit.;
Sez. III, 13 maggio 2015, n. 2381;
Sez. V, 22 giugno 2012 n. 3688;).

Applicando tali principi al caso di specie, deve rilevarsi che l’Amministrazione non avrebbe dovuto esternare alcuna ulteriore motivazione sull’interesse pubblico, oltre a quella costituita dalla sussistenza di una situazione di irregolarità dovuta al superamento di un limite derivante dalle richiamate disposizioni di legge.

C4. – La quarta censura è parimenti infondata.

Parte ricorrente contesta che l’INPS abbia adottato il provvedimento impugnato senza comunicare all’istante preliminarmente l’avvio del relativo procedimento.

Com’è noto, l’art. 7, co. 1, della l. n. 241/1990 prevede, per quanto qui di specifico interesse, che “ Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi .”.

Si tratta di un principio generale dell’azione amministrativa, che trova applicazione anche nel caso di esercizio del potere di autotutela, in quanto occorre dare adeguatamente conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto o alla cessazione dei suoi effetti.

Tuttavia, ai sensi dell’art. 21 octies co. 2, seconda parte, della l. n. 241/1990 – nella versione vigente ratione temporis “Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ”.

Si tratta di una previsione che è stata interpretata dalla giurisprudenza maggioritaria nel senso che spetta a colui che deduce tale vizio indicare gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto in sede procedimentale, e che sarebbero stati idonei ad incidere sulla determinazione dell’Amministrazione;
solo dopo, quest’ultima sarà gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato (v. Consiglio di Stato, Sez. V, 20 ottobre 2020, n. 6333).

Ciò posto, con specifico riferimento al caso di specie, il Collegio osserva che la ricorrente non ha assolto al proprio onere probatorio, essendosi limitata a richiamare genericamente la disposizione di legge che prevede la comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo e lamentandosi solamente della mancata comunicazione del suddetto avviso;
e senza contestare il riscontrato superamento del limite delle 52 settimane nel biennio mobile.

Per contro, la difesa dell’Istituto ha evidenziato le ragioni per le quali il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso.

C5. – Con l’ultimo motivo sostiene la ricorrente che l’Amministrazione avrebbe dovuto chiedere la restituzione delle somme, superanti le 52 settimane nel biennio mobile, direttamente ai lavoratori, beneficiari effettivi della prestazione economica, e non alla ricorrente, atteso che quest’ultima non avrebbe percepito concretamente dall’INPS alcuna somma.

La censura è infondata.

Come fondatamente evidenziato dalla difesa dell’INPS, le vicende relative all’obbligazione retributiva tra datore di lavoro e lavoratori risultano estranee all’oggetto del presente giudizio.

Va, al riguardo, rammentato che “… nel campo previdenziale, vige il regime del conguaglio, per il quale il datore di lavoro obbligato, quale adiectus solutionis causa, ad effettuare anticipazioni ai lavoratori nell'interesse dell'istituto previdenziale, detrae tali somme dai contributi dovuti al medesimo Istituto …” (Cass. civ., Sez. lavoro, 25 giugno 2007, n. 14711).

C6. – Per quanto attiene alla domanda risarcitoria proposta dalla società ricorrente in via subordinata rispetto alla principale azione impugnatoria, deve rilevarsi che:

- dalla ritenuta legittimità del provvedimento impugnato consegue, de plano , la reiezione di tale domanda;

- la stessa è comunque sfornita del minimo corredo probatorio.

D. – Conclusivamente, per tutto quanto esposto e rilevato, il ricorso in quanto infondato deve essere rigettato, con salvezza del provvedimento impugnato.

E. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in favore dell’INPS;
mentre, nulla deve statuirsi con riguardo alla parte privata non costituita.

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