TAR Torino, sez. II, sentenza 2024-06-13, n. 202400689

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. II, sentenza 2024-06-13, n. 202400689
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202400689
Data del deposito : 13 giugno 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/06/2024

N. 00689/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01087/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1087 del 2021, proposto dall’Azienda Agricola Massimo Cambiano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati P B ed E C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Agea - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura e Ader - Agenzia delle Entrate - Riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, domiciliataria ex lege in Torino, via dell'Arsenale, 21;

per l'annullamento:

a) della cartella di pagamento n. 110 2021 00360323 69 000 dell'importo di euro 124.158,16 avente ad oggetto “prelievo latte sulle consegne” per i periodi 2006/2007, inviata al ricorrente a mezzo pec in data successiva al 19.9.2021;

b) del presupposto ruolo ordinario n. 2021/007061 reso esecutivo in data 23.6.2021;

c) di ogni ulteriore atto antecedente, presupposto, conseguente o comunque connesso al procedimento.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agea - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura e di Ader - Agenzia delle Entrate - Riscossione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il dott. Andrea Maisano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso notificato il 16.11.2021 e depositato il 3.12.2021, l’azienda agricola esponente, ha impugnato, invocandone l’annullamento, la cartella di pagamento n. 110 2021 00360323 69 000 dell’importo di euro 124.158,16 avente ad oggetto “ Prelievo latte sulle consegne ” per il periodo 2006/2007, inviata a mezzo pec il 20.9.2021 (doc. 1 di parte ricorrente e ricevuta di consegna depositata dalla parte resistente) nonché il presupposto ruolo ordinario n. 2021/007061 reso esecutivo in data 23.6.2021.

2. Il gravame è affidato a sette motivi di diritto, così rubricati:

I. Il contrasto tra normativa interna e quella comunitaria in relazione all’intero meccanismo di determinazione del prelievo supplementare

II. Eccesso di potere per carenza di istruttoria. Eccesso di potere come conseguenza della violazione della legge penale con riferimento agli artt. 479 e 323 c.p.. Violazione dell’art. 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU. Il contrasto con gli esiti dell’istruttoria svolta in sede penale.

III. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione sotto molteplici profili. Violazione di legge in relazione agli artt.

8-ter e 8-quinquies del decreto legge 10.2.2009 n. 5, convertito in legge 9.4.2009 n. 33 ed ai principi di buon andamento e trasparenza della P.A. di cui all’art. 97 Cost. Violazione di legge in relazione agli artt. 3 e 10 della legge 7.8.1990 n. 241.

IV. Violazione dell’art. 7 della legge 27.7.2000, n. 212 e dell’art. 3 della legge 7.8.1990 n. 241. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione.

V. Prescrizione del credito. Non contesta in modo esplicito l’omessa notifica dell’atto presupposto

VI. Violazione dell’art. 25 del d.p.r. 29.9.1973 n. 602. Intervenuta decadenza del preteso diritto di Agea di attivare la procedura di riscossione coattiva. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, travisamento dei presupposti, illogicità, erroneità ed ingiustizia manifesta

VII. Violazione di legge in relazione agli artt. art.

3-bis, 6, 6-ter del d.lgs.

7.3.2005 n. 82;
all’art. 16-ter del d.l. 18.10.2012 n. 179 ed all’art.

3-bis della legge 21.1.1994 n. 53: nullità della cartella impugnata per inesistenza ovvero nullità insanabile della notifica.

3. La ricorrente ha chiesto, inoltre, disporsi, in via istruttoria, verificazione o consulenza tecnica d’ufficio per valutare il criterio di liquidazione delle somme pretese.

4. Si sono costituite in giudizio l’Agenzia delle Erogazioni in Agricoltura - AGEA e l’Agenzia delle Entrate Riscossione - ADER, chiedendo il rigetto del ricorso. L’agente della riscossione ha altresì eccepito, in via pregiudiziale, il proprio difetto di legittimazione passiva.

5. Con ordinanza n. 148 del 27.1.202 questo TAR ha disposto incombenti istruttori, anche al fine di far emergere eventuali fatti interruttivi della prescrizione, e con successiva ordinanza n. 939 del 13.10.2022 ha accolto l’istanza cautelare, fissando l’udienza per la trattazione nel merito della causa.

6. All’udienza del 21 marzo 2024, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

A.1) In via preliminare, deve essere respinta l’istanza di verificazione e consulenza tecnica d’ufficio proposta da parte ricorrente, essendo sufficienti, ai fini della decisione, le informazioni e i documenti versati in atti.

A.2) Parimenti in limine dev’essere disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione passiva opposta dall’Agenzia delle Entrate Riscossione giacché nel ricorso si allegano sia vizi della pretesa creditoria sia vizi propri della fase esecutiva (T.A.R. Piemonte, Sez. II, 20.12.2023, n. 1031).

Per indirizzo di questa Sezione, “l’agente della riscossione è titolare esclusivo dell’azione esecutiva per la riscossione dei crediti esattoriali, cui sono assimilabili i crediti dedotti nella presente causa, per i quali, come è noto, la legge prevede un’eccezionale scissione tra titolarità del credito e titolarità dell’azione esecutiva. Secondo consolidata giurisprudenza esso è perciò da ritenersi necessariamente legittimato passivo nelle opposizioni avverso gli atti della fase esecutiva dell’esazione” (così Tar Piemonte, sez. II, 20.12.2023 n. 1029 che, a sua volta, richiama Id. 21.06.2022 n. 662).

Avuto riguardo al petitum formale e sostanziale del ricorso sono stati, dunque, correttamente evocati nel presente giudizio sia l’ente impositore sia l’agente per la riscossione.

Nel merito si rileva quanto segue.

B) Con il primo motivo parte ricorrente censura la violazione del sovraordinato diritto unionale e dei principi fissati dalla Corte di Giustizia UE sulle compensazioni nazionali, che imporrebbero la disapplicazione del diritto interno confliggente;
con conseguente nullità degli atti gravati.

L’assunto è infondato.

Dai documenti acquisiti in sede istruttoria si evince che, con ricorso R.G. n. 7008/2009, l’azienda agricola esponente ha impugnato (nel contesto di un ricorso collettivo) innanzi al T.A.R. Lazio la nota AGEA del 19.6.2009, comunicata alla ricorrente il 21.7.2009 (doc. 4 di parte resistente, con allegato avviso di ricevimento), avente ad oggetto “Regime quote latte - versamento del prelievo esigibile” e recante l’intimazione, ex art. 8 quinquies Legge 33/2009, di corrispondere le somme esigibili (anche) per il periodo 2006/2007 (cfr. tabelle 1 e 3 del doc. 4 cit.). L’impugnativa è stata dichiarata inammissibile con sentenza n. 3182/2010 (doc. 6 di parte resistente). La pronuncia, che non risulta essere stata appellata dalla ricorrente, ha acquisito autorità di giudicato.

Dai medesimi documenti si ricava ancora che, con ricorso R.G. n. 6227/2010, l’azienda esponente ha altresì gravato d’impugnazione (ancora con ricorso collettivo) il provvedimento prot. n. CSLU/2010.351 del 7.6.2010, con cui il Commissario Straordinario ha accolto l’istanza di rateizzazione del debito (cfr. doc.

5.1 di parte resistente), e il presupposto Decreto Ministeriale 10 marzo 2010 sulla “Rateizzazione dei debiti relativi alle quote latte”. Il T.A.R. Lazio ha respinto il ricorso con sentenza n. 9245/2017 (doc.

6.2 di parte resistente). Poiché non risulta che neppure tale decisione sia stata appellata, deve ad essa del pari riconoscersi efficacia di giudicato.

Merita anche osservare che, per la campagna 2006/2007 per cui è causa, non è stata provata l’impugnazione dell’iniziale imputazione di prelievo. Un elemento presuntivo di segno contrario può, anzi, desumersi dalle tabelle allegate all’intimazione del 19.6.2009 (doc. 4 di parte resistente, pagg. 5 e 6 del pdf), atteso che l’atto d’imputazione per il periodo 2006/2007 -indicato nella prima tabella con n. rif.

3- non figura nel catalogo delle imputazioni impugnate esposto nella seconda tabella.

Tanto premesso, la definitività del presupposto atto impositivo per il periodo in esame -quale conseguenza dell’omessa impugnazione dell’atto d’imputazione e del giudicato formatosi sui ricorsi avverso l’intimazione di prelievo e il provvedimento di rateizzazione- preclude al ricorrente la facoltà di avvalersi degli arresti della Corte di Giustizia, i quali trovano un limite nell’inoppugnabilità dell’atto (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, 27.2.2024 n. 204 e la giurisprudenza ivi richiamata).

Né può valere la disapplicazione, in quanto l’incompatibilità comunitaria affermata dalla Corte di Giustizia (27.6.2019 –causa C-348/2018;
13.1.2022 –causa C 377/2019) non ha riguardato norme nazionali attributive del potere, bensì norme nazionali indicanti i criteri da seguire per l’esercizio del potere (provvedimenti sulla compensazione nazionale e sull’imputazione del prelievo).

La giurisprudenza amministrativa che si è occupata di fattispecie analoghe ha, infatti, anche di recente ribadito che: “La violazione del diritto comunitario implica soltanto un vizio di legittimità con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo, in quanto l'art. 21 septies l. 241/90 ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento, senza includervi la violazione del diritto comunitario, salva l’ipotesi in cui ad essere in contrasto con il precetto del diritto dell'unione europea sia la norma attributiva del potere, e non - come nel caso in esame - le modalità di applicazione di essa. Va soggiunto che pacifici principi in merito all'efficacia oggettivamente e soggettivamente limitata del giudicato, ex art. 2909 c.c., impediscono di dare ingresso alla tesi dell’estensione alla presente res litigiosa degli effetti di statuizioni relativi ad annate o soggetti diversi (Cons. Stato, sez. III, n. 1603/2022) e che la definitività dell'imputazione del prelievo preclude la possibilità per il ricorrente di avvalersi degli effetti degli arresti della Corte di Giustizia, i quali trovano un limite non valicabile nella formazione della inoppugnabilità dell'atto. Note e plurime sono, infatti, le prese di posizione del giudice comunitario volte a ribadire la necessità che - nell'ottica di una stabilità del diritto e dei rapporti giuridici - le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili, o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi, non possano più essere rimesse in discussione (Corte giustizia UE sez. X, 6 novembre 2014, n. 42;
Corte giustizia UE sez. VI, 16 luglio 2020, n. 424) e lo stesso principio riguarda i rapporti esauriti per conseguita inoppugnabilità di un provvedimento autoritativo. Altrettanto chiara è l'affermazione contenuta in tali pronunce secondo cui il diritto dell'Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto. Le modalità di attuazione del principio dell'autorità di cosa giudicata rientrano, infatti, nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell'autonomia procedurale di questi ultimi (Cons. Stato, sez. III, n. 3910/2022). In ordine al regime dei provvedimenti amministrativi nazionali assunti in violazione del diritto europeo, la giurisprudenza ampiamente prevalente ha evidenziato che il contrasto di un atto amministrativo con il diritto europeo costituisce sempre e solo motivo di annullabilità e non di nullità. In altri termini, fermo restando che il contrasto tra un provvedimento amministrativo nazionale e il diritto dell'Unione europea debba generare qualche forma d'invalidità dell'atto in questione, il Consiglio di Stato, almeno a far tempo dalla sentenza del 31 marzo 2011, n. 1983, ha affermato che l'atto amministrativo che viola il diritto dell'Unione europea è affetto da annullabilità per vizio di illegittimità sotto forma di violazione di legge e non da nullità, atteso che l'art. 21-septies della legge n. 241/1990 ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo e tra queste ipotesi non rientra il contrasto con il diritto dell'Unione europea. Ne consegue che la nullità è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento amministrativo nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere incompatibile con il diritto europeo e quindi disapplicabile, la cui ipotesi non ricorre nella fattispecie in esame. La violazione del diritto europeo, quindi, implica un vizio d'illegittimità con conseguente annullabilità dell'atto amministrativo con esso contrastante e da ciò discende un duplice ordine di conseguenze: sul piano processuale l'onere dell'impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto europeo davanti al giudice amministrativo entro il termine di decadenza di sessanta giorni, pena l'inoppugnabilità del provvedimento stesso;
sul piano sostanziale, l'obbligo per l'amministrazione di dar corso all'applicazione dell'atto, fatto salvo l'esercizio del potere di autotutela. La natura autoritativa di un provvedimento amministrativo, infatti, non viene meno se la disposizione attributiva di potere è poi dichiarata incostituzionale o si manifesta in contrasto con il diritto europeo (Cons. Stato, sez. III, 29 settembre 2022, n. 8380;
id., sez. II, 7 aprile 2022, n. 2580;
25 marzo 2022, n. 2194;
16 marzo 2022, n. 1920), a maggior ragione quando, come nel caso di specie in materia di quote latte, il contrasto con il diritto europeo non ha riguardato la disposizione attributiva del potere, ma una regola sui criteri da seguire per il legittimo esercizio del potere (Cons. Stato, sez. III, 20 luglio 2022, n. 6333). Più nel dettaglio, le due sentenze della Corte di giustizia sopra richiamate hanno accertato l'incompatibilità della normativa interna concernente (non già il prelievo supplementare a monte, ma) i criteri di riassegnazione dei quantitativi inutilizzati ovvero i (criteri relativi ai) rimborsi delle eccedenze dei prelievi supplementari. La giurisprudenza europea, nell'esercizio della sua funzione nomofilattica, ha posto ugualmente in rilievo che la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario, sicché il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza dei termini ragionevoli di ricorso in seguito all'esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza e da ciò deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo" (cfr. sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, C-453/00, Kühne &
Heitz, ECLI:EU:C:2004:17). Nello stesso senso, la giurisprudenza europea successiva ha evidenziato come, nel rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, il principio della certezza nei rapporti giuridici non determina che gli stessi, una volta esauriti, debbano essere messi nuovamente e continuamente in discussione per effetto di una sentenza della Corte di Giustizia che sancisca la sostanziale incompatibilità di un determinato atto con la normativa europea;
le stesse recenti sentenze della CGUE C-497/20, Randstad Italia, del 21 dicembre 2021 (ECLI:EU:C:2021:1037) e C-261/21, Hoffmann-La Roche del 7 luglio 2022 (ECLI:EU:C:2022:534), nel riaffermare i principi di autonomia procedurale degli Stati membri e la necessità del rispetto dei principi di effettività ed equivalenza, non pongono in discussione che un atto amministrativo, come considerato da una sentenza del giudice nazionale passata in giudicato che sia poi accertata da una sentenza della Corte di Giustizia come violativa del diritto europeo, continui a spiegare i propri effetti” (Cons. Stato, VI, 15.11.2023, n. 9772).

C) Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’erronea quantificazione della produzione nazionale (da cui deriva il sistema delle compensazioni) poiché basata su dati falsati, come comprovato -in tesi- dalle indagini svolte dalla Procura di Repubblica di Roma e dall’ordinanza del GIP dott.ssa Paola Di Nicola del 5.06.2019.

La censura è inammissibile in quanto rivolta avverso l’atto impositivo, ormai inoppugnabile per le considerazioni svolte al superiore paragrafo B). L’assunto è, peraltro, privo di pregio alla stregua del consolidato e condiviso indirizzo per cui, in assenza di prove certe e dell’individuazione dei soggetti che hanno reso false dichiarazioni o dei pubblici ufficiali che hanno alterato i dati sul patrimonio bovino per farli “quadrare” con quelli stimati della produzione lattiera, non è possibile annullare le operazioni di stima e gli accertamenti consecutivi svolti (Cons. Stato, Sez. III, 8.7.2014 n. 3474 e 1.3.2016 n. 870);
cosicché “le indagini, finanche governative, scaturite dai dubbi di legittimità del meccanismo (riguardanti l’attendibilità dei dati utilizzati nel tempo dall’AIMA e poi dall’AGEA) non sono in grado di scardinare l’intero sistema nazionale delle c.d. quote latte, né sono sufficienti per far ritenere assolto in capo ai produttori (e quindi agli appellanti) l’onere probatorio al punto da spostare sull’amministrazione l’obbligo di provare la bontà e la stessa veridicità dei dati utilizzati (cfr. al riguardo ex plurimis Cons. Stato, Sez. III, 20 maggio 2019, n. 3202)” (Cons. Stato sez. VI, 2.1.2024 n. 64).

Ciò appare a fortiori condivisibile nel caso di specie in assenza di un principio di prova in ordine al concreto impatto delle ridette indagini sull’attribuzione delle quote e sulla conseguente determinazione del prelievo supplementare dovuto, nello specifico, dalla società ricorrente.

D) Non suscettibile di positivo scrutinio è anche la terza ragione di doglianza con cui l’azienda agricola contesta l’operato delle amministrazioni resistenti per aver omesso di verificare gli importi richiesti con l’intimazione di pagamento, come, invece, sarebbe stato necessario sia alla stregua delle deduzioni svolte nei primi due motivi di ricorso, sia perché l’azienda aveva già subito la compensazione con i contributi comunitari (PAC).

Come reiteratamente affermato da questa Sezione, al cospetto di analoghe censure, è vero che, all’interno della disciplina in materia di aiuti PAC opera un meccanismo di compensazione impropria tra i debiti del produttore a titolo di prelievo supplementare e i crediti di tale produttore a titolo di aiuti agricoli, in quanto poste di dare e avere appartenenti al medesimo rapporto giuridico disciplinato dal diritto dell’Unione europea (art. 8 ter d.l. 5/2009). Tuttavia, il sol fatto che, nel corso degli anni, gli organismi pagatori nazionali abbiano operato delle trattenute sugli aiuti comunitari spettanti al produttore non dimostra che siffatte trattenute abbiano permesso di recuperare, in tutto o in parte, il prelievo supplementare oggi portato in riscossione. Infatti, stante la molteplicità delle poste reciproche di dare e avere emergenti nell’ambito di un rapporto giuridico pluriennale, le trattenute sugli aiuti agricoli potrebbero essere state effettuate per compensare altri debiti del produttore. Poiché, mediante consultazione del registro nazionale dei debiti di cui all'art. 8 ter d.l. 5/2009, il produttore ha piena contezza della propria posizione debitoria verso l’Unione, questi è onerato di dimostrare che le trattenute subite sugli aiuti agricoli (poste di credito) si riferiscano al prelievo supplementare oggetto di giudizio e lo abbiano estinto, in tutto o in parte, attraverso il suddetto meccanismo di compensazione impropria (

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