TAR Potenza, sez. I, sentenza 2013-06-04, n. 201300308

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Potenza, sez. I, sentenza 2013-06-04, n. 201300308
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Potenza
Numero : 201300308
Data del deposito : 4 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00601/1996 REG.RIC.

N. 00308/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00601/1996 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 601 del 1996, proposto da:
P D, rappresentato e difeso dall'avv. R D B, con domicilio eletto presso il suo studio, in Potenza, via Livorno, 131;

contro

Azienda Sanitaria Locale N.2 di Potenza, in persona del legale rappresentante rappresentato e difeso dall'avv. M. G D F, con domicilio eletto presso Ufficio Legale U.S.L. N.2 in Potenza;

per l'annullamento della delibera del Direttore Generale della Azienda Sanitaria USL n. 2 di Potenza n.1209 del 17/5/96 di reiezione di istanza di concessione equo indennizzo in relazione al defunto marito;

nonchè

per la declaratoria del diritto della ricorrente alla percezione del detto equo indennizzo


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Locale N.2 di Potenza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2013 il dott. Fabrizio D'Alessandri e udito l’Avv. Roberto Digirolamo, su delega dell'Avv. M. G D F, per l'Aministrazione intimata.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il Sig. Picerni Francesco Saverio, già dipendente presso l’Azienda Sanitaria USL n. 2 di Potenza, in qualità di Ufficiale Sanitario, decedeva il 6.7.1984 a causa di complicazione sopravvenuta alla “cirrosi epatica ed ipertensione portale”.

Parte ricorrente, vedova del suddetto Picerni, presentava nel 1984 istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della predetta patologia che aveva portato al decesso il coniuge.

La Commissione Medica Ospedaliera (di seguito anche “C.M.O.”) riconosceva, con p.v. n. 5 del 2.1.1986, la dipendenza da causa di servizio della patologia.

La USL n. 2 di Potenza, con delibera n. 2147 dell’11.4.1986, prendeva atto degli esiti delle risultanze della visita della C.M.O. in ordine alla dipendenza da causa di servizio dell’infermità “cirrosi epatica con ipertensione portale, arresto cardiaco e morte”.

Il Comitato delle Pensioni Privilegiate Ordinarie (di seguito anche “C.P.P.O.”), al contrario, nella seduta del 7.4.1987, esprimeva parere negativo, giudicando l’infermità come non dipendente da causa di servizio.

L’Azienda Sanitaria USL n. 2, sulla scorta di quest’ultimo parere, rigettava, con deliberazione n. 1746 del 19/9/87, l’istanza di concessione di equo indennizzo.

Parte ricorrente impugnava quest’ultimo provvedimento dinanzi a questo T.A.R. che, con sentenza n. 315 del 28.4.1993, annullava il provvedimento in questione, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

In particolare, l’indicata sentenza n. 315 del 28.4.1993 annullava il provvedimento di diniego in quanto “il riconoscimento della dipendenza dalla causa di servizio delle infermità di un dipendente è vincolante in sede di concessione di equo indennizzo anche se sia stato eventualmente emesso senza la previa acquisizione del parere del C.P.P.O. (in violazione dell’art. 177 del T.U. n. 1092/73), salvo che l’Amministrazione non lo abbia annullato in sede di autotutela con idoneo provvedimento che, sulla base del parere espresso dal C.P.P.O. in occasione della domanda di concessione di equo indennizzo, riprenda in considerazione questioni già definite, esplicitamente o meno, col provvedimento di riconoscimento della dipendenza. Nel caso di specie la U.S.L. – diversamente da quanto dalla stessa sostenuto nella memoria del 17.4.1993 – ha, con la delibera impugnata, in sede di procedura di equo indennizzo ….disatteso completamente la precedente delibera di riconoscimento, ancorchè esecutiva e, sulla base della presa d’atto del verbale del C.P.P.O., ha negato il riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio al di fuori della necessaria, previa espressa e motivata rimozione del precedente provvedimento”.

Successivamente, la Azienda Sanitaria Locale N.2 di Potenza, succeduta alla U.S.L. n. 2, con determina Direttore Generale n.1209 del 17/5/96, dando atto dell’intervenuta sentenza del T.A.R., riprendeva in esame la vicenda e confermava il dispositivo del provvedimento n. 2147 dell’11.4.1986 in merito al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità del Picerni Francesco;
confermava nel contempo il provvedimento n. 1746 del 19.9.1987 circa il parere negativo espresso dalla C.P.P.O. sull’attribuzione dell’equo indennizzo, rigettando l’istanza.

Parte ricorrente impugnava quest’ultimo provvedimento chiedendo l’annullamento e il riconoscimento della declaratoria del diritto a percepire l’equo indennizzo.

Formulava i seguenti motivi:

I) Violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del T.A.R. Basilicata n. 315 del 28.4.1993;

II) Ulteriore violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del T.A.R. Basilicata n. 315 del 28.4.1993;

III) Eccesso di potere per disapplicazione di atto amministrativo valido ed efficace. Violazione del giusto procedimento di legge. Sviamento di potere;

IV) Eccesso di potere per contraddittorietà, irrazionalità, perplessità, illogicità;

V) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/90. Violazione dell’art. 9, comma 2, del D.P.R. 20.4.1994, n. 349.

VI) Violazione e falsa applicazione dell’art. 68 del D.P.R. n. 3/1957 e dell’art. 36 D.P.R. n. 686/1957;

VII) Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 D.P.R. n. 686/1957. Eccesso di potere. Vizio del procedimento e di istruttoria.

VIII) Eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità, illogicità. Difetto di istruttoria. Errore nei presupposti di fatto e diritto. Violazione dei principi di logica e correttezza.

Con memoria depositata l’8.3.2013, il difensore dell’Azienda Sanitaria USL n. 2 faceva presente che quest’ultima Azienda era stata soppressa ai sensi della L.R. n. 12/2008.

In forza dell’art. 2, comma 4 e 5 e dell’art. 6 di quest’ultima legge, difatti, all’Azienda in questione erano subentrate l’Azienda Sanitaria Locale di Potenza (ASP) e la Gestione liquidatoria ex ASL n. 2 di Potenza.

Chiedeva quindi che il processo venisse dichiarato interrotto a causa dell’intervenuta estinzione della persona giuridica resistente.

La causa veniva discussa all’udienza pubblica dell’11.4.2013 e trattenuta in decisione.

DIRITTO

1) In via preliminare il Collegio deve scrutinare l’eccepita questione dell’intervenuta estinzione dell’Azienda Sanitaria USL n. 2, con il subentro nelle funzioni dell’Azienda Sanitaria Locale di Potenza, con conseguente possibile causa di estinzione del processo.

In proposito, difatti, la L.R. 1 luglio 2008 n. 12, riorganizzando il Servizio Sanitario Regionale, ha previsto, all’art. 2, la soppressione delle Aziende UU.SS.LL., istituite con L.R. 24 dicembre 1994, n. 50 (tra cui quella resistente in questa sede), e la successione alle stesse dal 1° gennaio 2009 dell'Azienda Sanitaria locale di Potenza e dell'Azienda Sanitaria locale di Matera, con il subentro nei procedimenti amministrativi in corso, nella titolarità delle strutture, nei rapporti di lavoro in essere ed in tutti i contratti e gli altri rapporti giuridici attivi e passivi esistenti alla data di entrata in funzione delle nuove Aziende e facenti capo alle Aziende preesistenti.

Ora il Collegio ben conosce che l’entrata in vigore della disciplina dettata dal codice del processo amministrativo comporta la necessità di ribaltare quel consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la disciplina dell’interruzione del processo trovava applicazione solo per le parti private e non per quelle pubbliche, con la conseguenza che, segnatamente in caso di soppressione o di trasformazione in privato di un ente pubblico o, infine, di successione di un ente pubblico ad un altro, il processo non si interrompesse.

Infatti, precedentemente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, l’interruzione del giudizio era disciplinata dall’art. 24 della legge 6.12.1971 n. 1034, ai sensi del quale “La morte o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti private o del suo rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza produce l'interruzione del processo secondo le norme degli articoli 299 e seguenti del codice di procedura civile, in quanto applicabili. Se la parte è costituita a mezzo di un procuratore o avvocato, il processo è interrotto dal giorno della morte, radiazione o sospensione del procuratore o dell'avvocato stesso”, e dall’art. 92 del R.D. 17.8.1907 n. 642, secondo il quale “La morte o il cangiamento di stato di una delle parti non sospende la procedura”.

Coerentemente la giurisprudenza amministrativa aveva pressoché unanimemente evidenziato che l'art. 24, comma 1, L. n. 1034/1971, che disciplina l'istituto dell'interruzione del processo dinanzi al TAR, si riferisce esclusivamente alle parti private e non alle parti pubbliche, per cui la fattispecie della successione tra enti pubblici risulta disciplinata dall'art. 92 R.D. n. 642/1907;
ne consegue che la soppressione od estinzione dell'ente pubblico e la connessa vicenda successoria non determinano l'interruzione del processo che continua regolarmente nei confronti dell'ente successore (ex multis T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 8 marzo 2010, n. 480;
Consiglio Stato, sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4553;
T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 2 ottobre 2009, n. 9554;
T.A.R. Basilicata, sez. I, 24 gennaio 2009, n. 7;
Consiglio Stato, sez. IV, 25 settembre 2002, n. 4894;
Consiglio di Stato, sez. VI, 19 dicembre 1997, n. 1857).

Si riteneva, difatti, che la soppressione di un ente pubblico in pendenza di un giudizio amministrativo, con trasferimento a un altro ente di rapporti giuridici che facevano capo al medesimo, determinasse soltanto un fenomeno di successione nel rapporto processuale, non comportando l'interruzione del processo (T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 29 luglio 2009 , n. 1407) bensì il subentro del nuovo ente nel giudizio pendente (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 25 febbraio 2009 , n. 222).

Nel codice del processo amministrativo, invece, l’interruzione del giudizio è regolata dal comma 2 dell’art. 79 che si limita a disporre che “L'interruzione del processo è disciplinata dalle disposizioni del codice di procedura civile”, richiamando in pieno la disciplina processualcivilistica.

Il codice di procedura civile disciplina l’interruzione del processo nell’art. 299 e seguenti dettando una disciplina che, a differenza dell’ormai abrogato art. 24, comma 1, legge n. 1034/1971, non distingue la parte pubblica da quella privata quanto agli effetti della morte o perdita di capacità delle parti.

Inoltre, com’è noto, con l‘entrata in vigore del codice del processo amministrativo è stato abrogato, oltre all’appena richiamato art. 24 della legge n. 1034/1971, anche l'art. 92 R.D. n. 642/1907.

La disciplina da applicare per l’ipotesi di interruzione del processo è unicamente quella prevista dal codice di procedura civile.

A tale riguardo, nell’ambito del processo civile, la soppressione ex lege di un ente pubblico con la successione allo stesso di un altro ente da luogo ad un fenomeno equiparabile alla morte o alla perdita della capacità di stare in giudizio della persona fisica (Cass., sez. I, 30 agosto 2007, n. 18306;
Cass. 3 ottobre 1998, n. 9822;
Cass. 7 ottobre 1998, n. 9911;
Cass. 25 marzo 1999, n. 2846;
Cass. 8 giugno 1999, n. 5629;
Cass. 6 novembre 2005, n. 21378).

Si applica pertanto l’art. 300 del codice di procedura civile, ai sensi del quale nelle ipotesi di morte o perdita della capacità della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, il processo si interrompe se e dal momento in cui il procuratore della parte interessata dall'evento medesimo lo dichiari in udienza o lo notifichi alle altre parti (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, ord. n. 767 del 14.2.2012;
Cons. Stato, Sez. VI, 19.4.2011, n. 2406).

A questa regola però, secondo un autorevole e consolidato indirizzo giurisprudenziale, fanno eccezione le ipotesi in cui la norma di soppressione dell’Ente preveda una vera e propria fase liquidatoria per i rapporti che facevano capo all’ente soppresso, circostanza quest’ultima che osta all’interruzione del processo non facendo venir meno automaticamente la soggettività dell’ente soppresso "ope legis" che, invece, si prolungherebbe anche per il periodo successivo alla entrata in vigore della disposizione soppressiva (Cass. Civ., Sez. Lav., sent. n. 6940 del 7.5.2003).

Tale principio è stato affermato proprio con riferimento alla vicenda della soppressione delle U.S.L. ad opera del D.Lgs. n. 502 del 1992, che ha istituito le Aziende unità sanitarie locali e per effetto della L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 1, e L. n. 549 del 1995, art. 2, comma 14, che aveva realizzato una fattispecie di successione ex lege delle Regioni in tutti i rapporti obbligatori facenti capo alle ormai estinte U.S.L..

In queste ipotesi la previsione di una procedura di liquidazione affidata ad una apposita gestione stralcio, individuata nell'ufficio responsabile della medesima USL a cui si riferivamo i debiti e i crediti inerenti le gestioni pregresse, rappresentata dal Direttore Generale della nuova azienda sanitaria locale nella veste di Commissario liquidatore, ha comportato che il processo istaurato da (o nei confronti di) una USL prima della sua soppressione proseguisse tra le parti originarie, con le relative conseguenze in ordine alla legittimazione attiva e passiva di detto organo di rappresentanza della gestione stralcio (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 25 febbraio 2011, n. 4688, Cass. 10 maggio 2000 n. 6022, 21 agosto 2003 n. 12302 e 18 agosto 2004 n. 16069,).

La presenza di una gestione liquidatoria, difatti, impedisce l'interruzione del processo a norma e alle condizioni di cui all'art. 300 c.p.c., usufruendo la gestione liquidatoria medesima della soggettività dell'ente soppresso, per la durata della relativa fase (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 25 febbraio 2011, n. 4688;
Cass. 4 agosto 2009, n. 17913 e Cass. 20 aprile 2010, n. 9315).

Nel caso di specie, l’art. 6 della L.R. 1 luglio 2008 n. 12, ha stabilito che i crediti e i debiti delle Aziende Sanitarie UU.SS.LL. preesistenti alla data di entrata in funzione delle nuove Aziende restano in capo alla Regione e ha previsto una gestione liquidatoria dei rapporti pregressi nelle persone dei rispettivi Direttori Generali o Commissari in carica, per un periodo iniziale, e, successivamente, in capo ai Direttori Generali delle nuove Aziende.

In forza della previsione di una gestione liquidatoria dei rapporti pregressi non ricorrono, quindi, le condizioni per la dichiarazione di interruzione del processo.

2) Nel merito il ricorso si palesa infondato.

2.1) Nei primi due motivi di ricorso parte ricorrente ha dedotto la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza di questo T.A.R. n. 315 del 28.4.1993.

Ha lamentato, in primo luogo, che l’Amministrazione avrebbe confermato un atto amministrativo ormai già annullato.

La censura si rivela priva di pregio.

La sentenza in questione aveva annullato il precedente atto di diniego facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione che avrebbe dovuto ripronunciarsi sulla vicenda.

Il Collegio evidenzia al riguardo come il provvedimento gravato in questa sede, dopo aver doverosamente riesaminato la vicenda alla luce della normativa vigente, si sia limitato a confermare non l’intero provvedimento ma la sola parte dispositiva per quanto riguarda l’equo indennizzo.

In tal senso, pertanto, l’Amministrazione si è limitata a confermare l’esito finale di diniego non l’intero provvedimento e, peraltro, per la sola parte relativa all’equo indennizzo, riconoscendo per il resto la dipendenza della causa di servizio.

Ciò non costituisce violazione del giudicato ben potendo in generale l’Amministrazione nell’ambito del riesame di una vicenda già oggetto di una precedente sentenza di annullamento riconfermare l’esito negativo del provvedimento motivandolo con differenti ragioni, ovverosia adottando una motivazione su cui non si sia già espresso il giudice in sede di annullamento.

In secondo luogo, parte ricorrente ha dedotto che l’Amministrazione non avrebbe tento conto della parte in cui la sentenza in questione si sarebbe espressa nel senso che l’effettuato riconoscimento della dipendenza di causa di servizio (in base al parere del C.M.O.) sarebbe vincolante in sede di concessione di equo indennizzo anche in assenza dell’acquisizione del parere del C.P.P.O., salvo che detto riconoscimento non venga annullato in via di autotutela con provvedimento idoneamente motivato.

In sostanza, secondo parte ricorrente, l’Amministrazione avrebbe adottato il secondo provvedimento di diniego in contrasto con il cosiddetto effetto conformativo della suindicata sentenza, ovverosia non tenendo conto delle motivazioni espresse in sede di annullamento.

Il Collegio rileva in proposito come il riesame dell’Amministrazione si sia svolto, e non poteva svolgersi diversamente, sulla base dello jus superveniens, in base al noto principio che l’Amministrazione nel riesaminare le vicende in seguito ad annullamento deve tener conto del diritto sopravvento sino al momento del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento.

La sentenza in esame ha fatto giustamente riferimento alla normativa esistente al momento dell’adozione del provvedimento negativo poi annullato.

Ora, successivamente all’adozione del provvedimento di diniego è entrato in vigore l’art. 5 bis del D.L. 21-9-1987 n. 387, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, primo comma, L. 20 novembre 1987, n. 472 che, innovando la disciplina esistente al momento della domanda e presa in esame dalla sentenza in questione, ha sancito che i giudizi collegiali adottati dalle commissioni mediche ospedaliere sono da considerarsi definitivi ai fini del riconoscimento delle infermità per la dipendenza da causa di servizio, facendo salvo il parere del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie per quanto riguarda la liquidazione della pensione privilegiata e dell'equo indennizzo.

Il comma 3 del medesimo articolo ha sancito inoltre l’applicabilità della nuova disciplina anche ai procedimenti in corso.

Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, difatti, a seguito della novella introdotta dall'art. 5 bis del D.L. 21 settembre 1987 n. 387, convertito dalla legge 20 novembre 1987 n. 472, i giudizi espressi dalle Commissioni mediche ospedaliere in sede di accertamento della dipendenza della infermità da causa di servizio ed i conseguenti provvedimenti adottati dall'Amministrazione non pregiudicano né condizionano il giudizio del Comitato per le Pensioni Privilegiate nei procedimenti rivolti all'attribuzione del beneficio dell'equo indennizzo o della pensione privilegiata. In questi procedimenti il Comitato interviene quale organo di sintesi, con pieni ed autonomi poteri valutativi, che possono investire tutte le questioni concernenti l'insorgenza della patologia e le condizioni in cui è stata resa la prestazione lavorativa, con la conseguenza che il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio già operato dall'Amministrazione per altri effetti (spese di cura;
misure degli assegni durante il periodo di aspettativa) può essere rimesso in discussione a seguito della acquisizione del parere negativo del Comitato stesso nell'ambito dei procedimenti di concessione dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata, caratterizzati da più incisive cautele in relazione a particolari oneri che da essi possono derivare a carico dell'erario, senza che l'eventuale difformità di valutazione tra questo parere rispetto a quello espresso da altri organi tecnici possa essere elevato a vizio di contraddittorietà del provvedimento finale perché l'Amministrazione non resta vincolata dal precedente atto di riconoscimento della dipendenza dell'infermità dal servizio né è tenuta a rimuoverlo agendo un via di autotutela, stante l'autonomia del procedimento di concessione dell'equo indennizzo rispetto a quello del riconoscimento della dipendenza della malattia da causa di servizio. (T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, 14-07-2009, n. 6964;
Cons. Stato, Sez. VI , 13 giungo 2008, n. 2932;
Cons. Stato, Sez. VI , 16 settembre 1999, n. 1463).

La disciplina introdotta dall'art. 5, bis L. 20 novembre 1987, n. 472 in materia di equo indennizzo consente espressamente di riesaminare il nesso di dipendenza da causa di servizio dell'infermità già dichiarato nell' autonomo procedimento relativo al riconoscimento stesso, con la conseguenza che l'amministrazione può negare l' equo indennizzo , senza dover prima annullare, ove l'avesse adottato, il precedente provvedimento con il quale aveva riconosciuto la dipendenza da causa di servizio (T. A.R. Lazio Latina Sez. I Sent., 12-12-2007, n. 1570).

Inoltre, sempre prima del passaggio in giudicato della suindicata sentenza del T.A.R. - pubblicata il 20.8.1993 senza che risulti essere stata notificata all’Amministrazione ai fini del decorso del termine breve per l’appello - è entrato in vigore, dopo una vacatio di 180 giorni, il D.P.R. 20-4-1994 n. 349, che ha ribadito l’autonomia del giudizio relativo alla concessione dell’equo indennizzo.

In tal senso quindi, a seguito della normativa sopravvenuta, il parere del C.P.P.O. ha assunto valenza autonoma per quanto riguarda la liquidazione dell'equo indennizzo ed è venuto meno l’affermata l’effetto vincolante ai fini della concessione dell’equo indennizzo dell’intervenuto riconoscimento della dipendenza di causa di servizio effettuato in base al parere della C.M.O.

In sede di riesame della vicenda in seguito alla sentenza di annullamento l’Amministrazione ha correttamente applicato la normativa sopravvenuta, che dà valenza autonoma al giudizio della C.P.P.O. nel giudizio di concessione dell’equo indennizzo, comportando la possibilità di una diversa valutazione in ordine alla riconducibilità di una patologia a causa di servizio ai fini dell’equo indennizzo ed esclude la necessità che venga previamente annullato in via di autotutela il riconoscimento effettuato sulla base del parere della C.M.O..

L’effetto conformativo del giudicato, in ordine al vincolo posto dal riconoscimento della causa di servizio da parte del C.M.O. in sede di concessione dell’equo indennizzo è quindi venuto meno a seguito dello ius superveniens costituito dalla disciplina dettata dall’art. 5 bis del D.L. 21-9-1987, n. 387, e dal D.P.R. 20-4-1994 n. 349.

Le censure vanno pertanto rigettate.

3) Nel terzo e quarto motivo di ricorso parte ricorrente ha lamentato che una volta intervenuto il riconoscimento della causa di servizio, con un provvedimento mai annullato in sede di autotutela, l’Amministrazione sarebbe stata vincolata alla concessione dell’equo indennizzo.

Nel quinto, sesto, settimo e ottavo motivo di ricorso, parte ricorrente ha dedotto la sussistenza di tutti i requisiti per la concessione dell’equo indennizzo, il difetto di motivazione e di istruttoria.

Al riguardo il Collegio ritiene utile richiamare i principi affermati dalla giurisprudenza prevalente in materia di equo indennizzo.

Si richiamano innanzitutto i principi di autonomia del giudizio sull’equo indennizzo - già illustrati nel precedente punto 2 - che non viene condizionato in modo vincolate dal parere del C.M.O. e da conseguenti atti di riconoscimento della causa di servizio, e nell’ambito del quale assume preminenza il parere del C.P.P.O. quale organo di sintesi, con pieni ed autonomi poteri valutativi.

La dipendenza o meno della causa di servizio di infermità contratte può essere riesaminata in sede di liquidazione dell'equo indennizzo, anche quando il relativo accertamento sia stato effettuato dalla C.M.O. (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 11 dicembre 1997, n. 1388), ben potendo il Comitato effettuare un'autonoma valutazione in tal senso rispetto a quella già operata in seno alla C.M.O. (cfr. TAR Cagliari, Sez. II, 8 luglio 2005, n. 1634;
T.A.R. Puglia Lecce Sez. II Sent., 04/06/2009, n. 1363).

Il Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie esprime un giudizio conclusivo, che rappresenta il momento di sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi precedentemente intervenuti, quale la Commissione medica ospedaliera, e costituisce un parere di carattere più articolato e complesso, sia per la sua composizione, nella quale sono presenti sia professionalità mediche che giuridiche ed amministrative, sia per la più completa istruttoria esperita, non limitata soltanto agli aspetti medico-legali (T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I Sent., 02/07/2009, n. 703;
T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I Sent., 25/08/2009, n. 936).

In tal senso in materia di equo indennizzo, l'ordinamento non mette a disposizione dell'Amministrazione una serie di pareri pariordinati resi da organi consultivi diversi e dotati di identica competenza, sui quali orientarsi, ma affida al Comitato il compito di esprimere un giudizio conclusivo (Cons. Stato Sez. IV Sent., 24/05/2007, n. 2773;
Cons. Stato Sez. IV Sent., 12/05/2008, n. 2198;
T.A.R. Puglia Lecce Sez. II Sent., 26/11/2008, n. 3523;
T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter Sent., 19/11/2008, n. 10412;
T.A.R. Lazio Roma Sez. I Sent., 08/05/2009, n. 5012)

Pertanto, in quanto momento di sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi precedentemente intervenuti, il parere del Comitato s'impone all'Amministrazione, la quale è tenuta solo a verificare se tale organo, nell'esprimere le proprie valutazioni, abbia tenuto conto delle considerazioni svolte dagli altri organi e, in caso di disaccordo, se le abbia confutate, con la conseguenza che un obbligo di motivazione è ipotizzabile solo per l'ipotesi in cui la P.A., per gli elementi di cui dispone e che non sono stati vagliati dal Comitato, ritenga di non poter aderire al suo parere, che è obbligatorio ma non vincolante (T.A.R. Lazio Roma Sez. I Sent., 08/05/2009, n. 5012;
T.A.R. Lazio Roma Sent., 07/12/2007, n. 12732;
T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis Sent., 13/05/2008, n. 3962).

Anzi proprio in forza del carattere di momento di sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi precedentemente intervenuti rivestito dal parere del C.P.P.O., all'Amministrazione non è tenuta a specificare in sede motivazionale le ragioni della preferenza accordata a tale parere, sempre che lo stesso abbia espresso un giudizio congruo sul versante istruttorio e motivazionale (Cons. Stato Sez. VI Sent., 09/09/2008, n. 4297).

Infine le valutazioni formulate dal C.P.P.O. risultano essere di ordine squisitamente tecnico che, proprio in quanto tali, sfuggono al sindacato del giudice della legittimità se non nei limiti dell’eccesso di potere solo in caso di assenza di motivazione, illogicità o manifesta irragionevolezza sulla valutazione dei fatti.

Legittimamente dunque l'Amministrazione può motivare il diniego rinviando per relationem al parere negativo espresso dal C.P.P.O., con la conseguenza che è con riferimento a detto parere che occorre verificare la sufficienza della motivazione (T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, 20-12-2011, n. 9885).

Nello specifico, quindi l’Amministrazione ben ha operato dando preminenza al parere espresso dalla C.P.P.O. e non era tenuta a motivare la scelta di tale preferenza né ad effettuare altre specifiche valutazioni con proprie strutture tecniche.

Non può dirsi, inoltre, che il parere della C.P.P.O. fosse affetto da carenza di motivazione in quanto ha reso specificamente conto delle ragioni per cui non ha riconosciuto la causa di servizio anche dando atto nelle premesse di aver considerato il parere della C.M.O., né la motivazione espressa nel parere della C.P.P.O. appare affetta da profili di illogicità o manifesta irragionevolezza.

In particolare, il C.P.P.O. ha escluso la dipendenza da causa di servizio dell’infermità “in quanto, risultando che l’interessato abbia contratto durante il servizio una forma di epatite, tale affezione letale è imputabile alla cirrosi epatica affezione questa a carattere degenerativo, dovuta ad alterazioni dei sistemi istiocitario o emopoietico o immunitario, sull’insorgenza e decorso della quale non possono aver nocivamente influito gli eventi del servizio, neppure sotto il profilo concausale sufficiente ".

Si tratta, con tutta evidenza, di una motivazione che spiega in modo esaustivo le ragioni della determinazione adottata e che comunque, come indicato, costituendo espressione di discrezionalità tecnica, è sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo dell'assoluta carenza istruttoria o della palese irragionevolezza, situazioni che nel caso in esame non ricorrono affatto (T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, 20-12-2011, n. 9885;
Cons. Stato, IV Sez., 13 gennaio 2010 n. 35).

2.1) Infine il Collegio evidenza come, per consolidata giurisprudenza, nella nozione di concausa efficiente e determinante di servizio possono farsi rientrare soltanto i fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, gravosi per intensità e durata, che vanno necessariamente documentati, con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa (Cons. Stato, 11 maggio 2007, n. 2274;
T.A.R. Lazio, sez. I, 23 giugno 2003 n. 5513 e 3 aprile 2008, n. 2828;
Tribunale di Rimini, 2 ottobre 2004;
TAR Toscana, 17 dicembre 2001, n. 1986;
Corte dei Conti Sardegna, sez. giurisdizionale, 9 febbraio 1995, n. 63).

In proposito, parte ricorrente non ha allegato e documentato specifici fatti di servizio, particolarmente gravosi per intensità e durata - tali da andare al di là delle inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa - ed in grado pertanto di assurgere a concausa efficiente e determinante della patologia accertata e diagnosticata.

3) Quanto al lamentato profilo di possibile illegittimità costituzionale, il Collegio rileva come i termini della valenza del parere del C.P.P.O. e del rapporto tra i pareri della C.M.O. e del C.P.P.O indicati da parte ricorrente non siano corretti e che ogni questione di incostituzionalità sul punto sia manifestamente infondata.

Deve infatti escludersi che nel procedimento finalizzato alla liquidazione dell'equo indennizzo l'Amministrazione disponga, ope legis, di due pareri (della C.M.O. e del C.P.P.O.) da valutare agli effetti della determinazione da assumere. Si tratta invece di due pareri resi nel corso di due distinti procedimenti, il primo finalizzato al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un'infermità, il secondo alla liquidazione dell'equo indennizzo per l'invalidità permanente che da essa è derivata. In quest'ultimo, quindi, la C.M.O. non ha alcun titolo ad intervenire, con la conseguenza che il parere da essa reso nel primo procedimento costituisce solo un elemento di conoscenza di cui il C.P.P.O. deve tener conto, unitamente agli altri elementi forniti dallo stesso dipendente e dall'Amministrazione, nell'esprimere il giudizio conclusivo di sua esclusiva competenza (T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, 20 dicembe 2011, n. 9885;
Cons. Stato, VI Sez., 28 gennaio 2009, n. 481;
13 novembre 2001 n.5808;
29 gennaio 2001 n.286;
22 gennaio 2001 n.183;
T.A.R. Lazio, II Sez., 2 dicembre 2010 n. 35030;
T.A.R. Basilicata 6 marzo 2003 n. 191;
T.A.R. Bari, I Sez., 20 luglio 1999 n. 931). In effetti ad analoga conclusione è pervenuta la Corte costituzionale (21 giugno 1996 n.209), la quale ha chiarito che "il provvedimento dell'Amministrazione (reso sull'istanza di liquidazione dell'equo indennizzo) ha alla sua base una valutazione più complessa di quella necessaria per l'accertamento della causa di servizio agli altri effetti per i quali tale accertamento rileva, non dovendosi soltanto appurare se l'infermità trovi origine nella causa di servizio, ma anche se e in quale misura essa abbia dato luogo ad un effetto invalidante;
valutazione che appare necessaria anche alla luce delle rilevanti conseguenze di queste decisioni sulla spesa pubblica. A ciò sovviene il comitato (C.P.P.O,), con pareri non vincolanti per l'Amministrazione, ma tali da obbligarla a motivare le ragioni per le quali ritenga eventualmente di discostarsene. Trattasi di un organo la cui imparzialità è garantita dalla sua stessa composizione, poiché ne fanno parte membri provenienti dalle tre magistrature, ordinaria, amministrativa e contabile, dalla dirigenza del Ministero del tesoro e dagli ufficiali generali e superiori medici, e che svolge una funzione consultiva di natura medico legale, volta a verificare, nel merito, l'operato delle singole commissioni mediche ospedaliere, onde garantire la tutela dell'interesse del singolo e, nel contempo, quella non meno importante dell'Erario".

4) Per le ragioni indicate il ricorso va rigettato.

In considerazione della natura e della risalenza della controversia sussistono eccezionali motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

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