TAR Palermo, sez. III, sentenza 2023-11-16, n. 202303370
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Pubblicato il 16/11/2023
N. 03370/2023 REG.PROV.COLL.
N. 02272/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2272 del 2018, proposto da
Polisportiva Eightyniners, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G I, G I e G N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio G I in Palermo, viale Libertà n. 171;
contro
Comune di Palermo, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato C G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
- del provvedimento prot. n. 1014323 del 25.7.2018 di annullamento in autotutela della concessione rep. n. 2 del 26.1.2012 relativa all'impianto sportivo costituito da n.2 campi da tennis e n. 1 campo da calcetto, ubicato ai margini del Parco della Favorita – foglio di mappa 23 p.lla 240;
- nonché degli atti tutti presupposti, connessi e consequenziali;
per la condanna del Comune di Palermo al risarcimento del danno.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Palermo;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 14 settembre 2023 la dott.ssa Mariagiovanna Amorizzo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società Polisportiva Eightyniners s.n.c. ha ottenuto in concessione (atto del 26/01/2012) dal Comune di Palermo, un’area di circa 5.300 mq, sita all’interno del Parco della Favorita, alle spalle degli impianti sportivi denominati “Bowling ”, “Circolo del Tennis ”, “ Piscina Comunale ” e “Ippodromo ” per la durata di vent’anni, per realizzarvi impianti per lo sport.
Con nota prot. n.1778884 del 21.10.2016 veniva comunicato l’avvio del procedimento di annullamento in autotutela, di decadenza e risoluzione della concessione rep. n. 2 del 26.1.2012.
In accoglimento delle argomentazioni formulate dalla società il Comune concludeva il procedimento in data 12.4.2017, risolvendosi a non dar corso all’esercizio dell’autotutela ritenendo spirato il termine previsto dal comma 1 dell’art. 21- nonies L. 241/90 ( “non si può che dare atto del dettato normativo introdotto dall’art. 6 L. n. 124/2015 (cd. Riforma Madia) che ha modificato l’art. 21 nonies L. n. 241/90 in materia di annullamento d’ufficio, innovazione meglio esplicitata nella sentenza n. 47/2016 del TAR Puglia. A maggior precisazione, in virtù dei superiori provvedimenti, è indubbio che il termine ragionevole, quantificato dalle nuove disposizioni in 18 mesi – decorrenti, come si evince dalla sentenza di cui sopra, dalla data di adozione degli atti di concessione, avendo la novella legislativa natura meramente interpretativa – risulti ormai superato e pertanto non si ravvisano i presupposti giuridici per la prosecuzione dell’iter finalizzato all’annullamento degli atti. Alla luce di quanto sopra, la scrivente definisce il presente procedimento con il mantenimento dell’atto di concessione rep. n. 2 del 26.10.2012” ).
A distanza di circa otto mesi, con nota prot. n. 1911135 del 28.12.2017 il Comune di Palermo avviava un nuovo procedimento volto all’esercizio dell’autotutela sulla concessione Rep. n. 1 del 26.1.2012.
Seguivano, anche questa volta, le osservazioni di parte ricorrente.
Il procedimento si concludeva, tuttavia, con il provvedimento oggi impugnato mediante il quale il Comune ha “annullato in autotutela il contratto rep. n. 2 sottoscritto in data 26/01/2012”.
La ricorrente ha impugnato il provvedimento per i seguenti motivi:
1. violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21- nonies L. n. 241/90, dell’art. 3 L.R. n. 10/91 e dell’art. 97 Cost., eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza dei presupposti, illogicità e sviamento della causa tipica, eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti provvedimenti della stessa amministrazione.
Il provvedimento contrasta con il comma 1 dell’art. 21- nonies L. 241/90, essendo stato adottato quando erano già decorsi più di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della novella introdotta dalla legge n. 124/2015 (28 agosto 2015).
In ogni caso, ove s’intendesse valutare la fattispecie alla luce del limite della ragionevolezza del termine, esso avrebbe imposto un onere motivazionale particolarmente intenso, essendo decorsi sei anni dall’adozione dell’atto annullato e sulle ragioni di interesse pubblico che sottendono alla scelta.
2. violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21- nonies L. n. 241/90, dell’art. 3 L.R. n. 10/91 e dell’art. 97 Cost., eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza dei presupposti, illogicità e sviamento della causa tipica. eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti provvedimenti della stessa amministrazione
I presupposti su cui si fonda il provvedimento sono frutto di erronea valutazione. L’annullamento si fonda sull’inadempimento all’ordine di rimessa in pristino contenuta nella nota della Soprintendenza (prot n. 4455 del 15.07.2017). L’ordine, tuttavia, è nullo poiché l’immobile oggetto della concessione è stato sottoposto a sequestro da parte dell’Autorità Giudiziaria e, pertanto, la ricorrente non può ottemperare al comando. Le opere delle quali si chiede la demolizione rientrano fra quelle assentite al momento del rilascio della concessione, regolarmente autorizzate dal SUAP, pertanto l’amministrazione non può ritenere responsabile la ricorrente della relativa realizzazione.
Oltre all’annullamento del provvedimento, la ricorrente ha proposto, in via subordinata, domanda di risarcimento del danno subito per aver confidato nella concessione illegittimamente rilasciata e successivamente annullata. Ha chiesto, dunque, la condanna del Comune al risarcimento del “danno emergente ”, quantificato nell’ammontare delle spese sostenute per l’allestimento ed il funzionamento del centro sportivo, nonché dei canoni di concessione versati oltre alle somme necessarie per il ripristino dello stato dei luoghi, per un totale di € 134.310,96.
Il Comune di Palermo si è costituito, chiedendo il rigetto del ricorso, evidenziando, mediante il rinvio alla relazione istruttoria dell’Ufficio del 24 gennaio 2019, come l’originaria convenzione sia stata sottoscritta in forza di circostanze di fatto taciute dalla ricorrente (un asserito collegamento sostanziale tra la società Futsal e la Polisportiva Eightyniners) che avrebbero indotto in errore l’ente e che, ove note, in base al regolamento comunale di gestione e alienazione dei beni immobili di proprietà comunale, avrebbero condotto al rigetto dell’istanza, essendo necessario affidare la concessione dell’area a mezzo di procedura ad evidenza pubblica, in ragione del valore del canone riscuotibile in forza della complessiva estensione dell’area su cui realizzare gli impianti sportivi,. Evidenzia, inoltre, il Comune che le spese per l’allestimento dell’area sono state tutte realizzate nel 2016 allorquando l’autorizzazione S.U.A.P. del 22.10.2012 era già da tempo decaduta per decorso del termine annuale previsto per l’avvio dei lavori.
Il ricorrente nulla ha replicato sulle deduzioni del Comune.
All’udienza di smaltimento dell’arretrato del 14 settembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La domanda di annullamento non è fondata. Essa poggia interamente sull’assunto che il provvedimento adottato dal Comune costituisca esercizio del potere di autotutela amministrativa. Ad un’attenta lettura del provvedimento impugnato, tale assunto – come preannunciato dal Collegio nell’udienza di discussione – non appare,tuttavia, fondato.
La natura del provvedimento va, infatti, individuata in base al suo specifico contenuto e risalendo al potere concretamente esercitato, indipendentemente dalla qualificazione giuridica datane dall’Amministrazione ( “Il nomen iuris attribuito dalle parti ad un provvedimento non vincola il giudice cui spetta la effettiva qualificazione giuridica del provvedimento stesso, tenendo conto del suo effettivo contenuto. Si tratta di un principio generale applicabile anche in ambito amministrativo, essendo stato precisato che, ai fini della corretta qualificazione della sua natura, l'atto amministrativo va interpretato non solo in base al tenore letterale, ma soprattutto in base al suo specifico contenuto e risalendo al potere concretamente esercitato dall'Amministrazione, senza che possa avere un valore dirimente il solo nomen iuris che gli è stato assegnato .” Consiglio di Stato sez. VI, 11/01/2023, n.336), che nella specie, peraltro, è ambigua. Il Comune, infatti, ha annullato “in autotutela” il “contratto di concessione ”, che, com’è noto, compendia in sé elementi di natura privatistica e pubblicistica. Per tale ragione l’utilizzo del termine “autotutela ” non è sufficiente a dar conto della tipologia di potere esercitato, essendo riconducibili a tale locuzione sia l’autotutela amministrativa che quella contrattuale. (Consiglio di Stato sez. VI, 11/01/2023, n.336).
Occorre, dunque, aver riguardo – per indagare sulla natura dell’atto impugnato - alle motivazioni del provvedimento impugnato.
Giova, a tal proposito, riportarne il contenuto, che di seguito si trascrive:
VISTO il contratto di concessione Rep. n. 2 del 26/01/2012 con il quale il Servizio Sport ed Impianti Sportivi ha affidato in concessione alla Polisportiva Eightyniners rappresentata dalla Sig.ra F B, l'impianto sportivo consistente in un campo di calcio ubicato ai margini del parco della Favorita, fg. di mappa 23, porzione della particella 240.
CONSIDERATO che con nota prot. n. 1989812 del 19/12/2016 il Servizio SUAP "annullava l'Autorizzazione Edilizia n. 12235 del 22/10/2012 rilasciata in favore della Polisportiva Eightyniners poiché la stessa è stata emessa in assenza degli obbligatori pareri preventivi da parte della Soprintendenza Regionale ai BB.CC.AA. ai sensi del D.Lvo 42/2004 art. 57/bis, 21, 22 e 146".
VISTA la nota prot. n. 2868 del 15/05/2017 con cui la Soprintendenza BB.CC.AA. ha ordinato "alle ditte Futsal s. n. e. e Polisportiva Eightyniners, quali società esecutrici delle opere abusivamente eseguite, ai sensi dell'art. 167 del D. Lvo e ss. mm. ii. la rimessa imi pristino mediante demolizione di quanto realizzato in assenza dell'autorizzazione paesaggistica prevista dall'art. 146 del D.Lvo n. 42/04".
VISTA la nota prot. n. 875192 del 13/07/2017 con la quale lo scrivente invitava l'Ufficio Città Storica a provvedere alla vigilanza e all'accertamento del ripristino delle opere realizzate dalla Ditta Futsal s.n.c. e dalla Polisportiva Eightyniners in assenza di preventiva autorizzazione, ad oggi priva di riscontro.
VISTA la nota prot. n. 4455 del 17/07/2017 con cui la Soprintendenza BB.CC.AA., ha rappresentato che: "la valutazione di eventuali concessioni in favore di terzi dell'area in oggetto è subordinata all'esecuzione della rimessa in pristino ordinata con nota prot. n. 2868 del 15/05/2017;è inoltre subordinata alla redazione da parte di codesto Comune di specifico progetto generale di utilizzo dell'area interessata, che contenga le misure necessarie ad assicurare la conservazione, la -valorizzazione da conseguire e le modalità di fruizione pubblica... ..... e pertanto non ha ritenuto in atto esperibile il rilascio dell'autorizzazione al mantenimento della concessione dell'area in argomento.
CONSIDERATO che il rilascio del Nulla Osta da parte della sopra citata Soprintendenza è condizione essenziale al mantenimento della concessione.
VISTO che con nota prot. n. 1911135 del 28/12/2017 lo scrivente comunicava l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela finalizzato alla risoluzione del contratto rep. n. 2 del 26/01/2012 sottoscritto in favore di codesta Polisportiva, qualora trascorso il termine prescritto la stessa non avesse riscontrato l'invito a comunicare l'avvenuto ripristino dei luoghi o l'intendimento a procedere alla demolizione delle opere realizzate.
VISTE le deduzioni trasmesse da codesta società in ordine al suddetto procedimento, con PEC del 02/02/2018 assunta al protocollo di questo Settore al n. 120432 del 09/02/2018, non condivisibili da questa Amministrazione.
VISTA la L. 241/90 e ss.mm.ii.
ANNULLA IN AUTOTUTELA
per le motivazioni sopra esposte, il contratto rep. n. 2 sottoscritto in data 26/01/2012 in favore di codesta Polisportiva Eightyniners con sede in Palermo via Notarbartolo n° 41, rappresentata dalla Sig.ra F B nata a Palermo il 24/08/1940.”.
Le ragioni poste a fondamento dell’“ annullamento in autotutela del contratto di concessione ” enunciate nelle premesse del provvedimento impugnato rimontano all’assenza del nulla osta della Soprintendenza al “mantenimento della concessione ”, che la suddetta autorità ha subordinato al ripristino delle opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica ed alla presentazione da parte del Comune di uno “specifico progetto generale di utilizzo dell'area interessata, che contenga le misure necessarie ad assicurare la conservazione, la valorizzazione da conseguire e le modalità di fruizione pubblica”.
Il nulla-osta in questione, come emerge dalle note della Soprintendenza beni Culturali ed Ambientali di Palermo prot. nn. 2686/S15.3 del 15/5/2017 e prot. 4455/S15.3 del 17/7/2017, è quello previsto dall’art. 57- bis D.Lgs. 42/2004, che estende alle concessioni in uso, le disposizioni vigenti per la vendita di beni culturali, assoggettandole ad apposita autorizzazione (art. 55: “1. Le disposizioni di cui agli articoli 54, 55 e 56 si applicano ad ogni procedura di dismissione o di valorizzazione e utilizzazione, anche a fini economici, di beni immobili pubblici di interesse culturale, prevista dalla normativa vigente e attuata, rispettivamente, mediante l'alienazione ovvero la concessione in uso o la locazione degli immobili medesimi.” ).
Il Parco Monumentale “Real Favorita ”, infatti, come emerge dagli atti sopra richiamati, è sottoposto a vincolo d’interesse culturale (oltre che a ricadere in area sottoposta a vincolo paesaggistico), giusta R.D. 1795 del 4.10.1926, pertanto, ad esso si applicano le norme di tutela della parte II del D.Lgs. 42/2004 (oltre a quelle della parte III).
L’art. 164 D.Lgs. 42/2004, ( “Violazioni in atti giuridici ”) sanziona con la nullità i contratti e gli atti giuridici che siano stati compiuti in violazione dei divieti previsti dalle disposizioni del Titolo I della Parte II e, dunque, anche le convenzioni di concessione in uso di beni culturali stipulate in assenza di autorizzazione dell’autorità tutoria (art. 164: “1. Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Parte seconda, o senza l'osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte, sono nulli .”).
Per tale ragione, l’annullamento della convenzione sottoscritta in assenza di autorizzazione - che la Soprintendenza non ha ritenuto di poter rilasciare in via postuma, stante la mancata rimozione delle opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica e l’assenza di un progetto generale di utilizzo dell’area - costituisce un atto ricognitivo dell’insussistenza di un presupposto di validità della concessione-contratto.
Si tratta, quindi, di un atto che non ha i connotati tipici dell’autotutela, poiché non è frutto dell’esercizio di un potere amministrativo discrezionale, limitandosi a dichiarare l’effetto che, in base ad una chiara disposizione normativa, l’assenza dell’autorizzazione ministeriale produce sull’atto di gestione del bene culturale.
L’art. 21- nonies L. 241/90 ed i limiti all’autotutela amministrativa non sono, dunque, applicabili alla fattispecie.
Ne discende l’infondatezza del primo motivo sia nella parte in cui è dedotta la violazione del termine previsto dall’art. 21- nonies , comma 1, L. 241/90, sia nella parte in cui si lamenta l’omessa ponderazione degli interessi privati e la violazione del termine ragionevole.
2. Il secondo motivo, con il quale sono aggredite altre ragioni sottese al provvedimento, è inammissibile per carenza di interesse. Il provvedimento impugnato si fonda sull’assorbente motivazione relativa alla carenza del nulla osta soprintendentizio che, per quanto sopra specificato, rileva indipendentemente dall’imputabilità della mancata rimessione in pristino dell’area. In ogni caso, le censure articolate nel secondo motivo sarebbero anche infondate. Benchè si riscontrino, in giurisprudenza, orientamenti in parte divergenti quanto all’idoneità del sequestro del bene abusivo a rendere inefficace temporaneamente l’ordine di demolizione (ai fini del decorso del termine di 90 giorni per l’esecuzione spontanea dell’ordinanza e l’operatività della susseguente sanzione ablatoria prevista dall’art. 31, comma 4- bis , D.P.R. 380/2001), gli orientamenti convergono nel ritenere che il sequestro gravante sul bene abusivo non infici la legittimità dell’ordine di demolizione (così Consiglio di Stato sez. VII, 20/02/2023, n.1721: “l'autonomia degli accertamenti sottesi alle vicende amministrative e a quelle penali in tema di abusivismo edilizio (nonché la non totale coincidenza e sovrapposizione fra i relativi presupposti) non impedisce all'autorità amministrativa di adottare provvedimenti di carattere repressivo e ripristinatorio nelle more dell'accertamento dell'eventuale responsabilità anche penale dell'autore dell'edificazione abusiva. Il sequestro penale dell'immobile non influenza la legittimità dell'ordinanza di rimessione in pristino e resta all'autonoma iniziativa della difesa ovvero della magistratura inquirente attivare gli strumenti che possono condurre dissequestro .”) e che, in ogni caso, è onere del privato attivare gli strumenti che possono condurre al dissequestro, circostanza di cui il ricorrente non ha dato prova.
Infondato è il motivo anche quanto al profilo concernente la asserita non abusività delle opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica, in quanto costruite in forza di autorizzazioni edilizie rilasciate dal S.U.A.P. L’art. 146, comma 4, D.Lgs. 42/2004 qualifica l’autorizzazione paesaggistica alla stregua di atto “autonomo e presupposto ” rispetto ai titoli edilizi legittimanti l’intervento (art. 146 D.Lgs. 42/2004 “4. L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio ”.). L’autorizzazione edilizia a realizzare le opere sull’area in concessione, non era, dunque, sufficiente a decretarne la compatibilità con i valori tutelati dal vincolo paesaggistico gravante sull’area.
3. La domanda di annullamento, in conclusione, è infondata.
4. Infondata è anche la domanda risarcitoria, anche a prescindere dai contenuti della relazione depositata in giudizio dal Comune (che, pur non essendo contestati dalla ricorrente, non sono richiamati nel provvedimento impugnato).
La ricorrente chiede il risarcimento dei danni che avrebbe subito per aver confidato nella legittimità dell’atto annullato, quantificati in un importo corrispondente alle spese sostenute per la sistemazione dell’area e per la demolizione delle opere realizzate.
Per consolidato insegnamento - di recente richiamato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nelle sentenze nn. 19 e 20 del 29/11/2021 – " la responsabilità dell'amministrazione per lesione dell'affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell'impugnazione contro lo stesso provvedimento". (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 29/11/2021, n.19).
Il Consiglio di Stato ha, in proposito osservato che “l'affidamento tutelabile in via risarcitoria deve essere ragionevole, id est incolpevole. Esso deve quindi fondarsi su una situazione di apparenza costituita dall'amministrazione con il provvedimento, o con il suo comportamento correlato al pubblico potere e in cui il privato abbia senza colpa confidato. Nel caso di provvedimento poi annullato, il soggetto beneficiario deve dunque vantare una fondata aspettativa alla conservazione del bene della vita ottenuto con il provvedimento stesso, la frustrazione della quale può quindi essere considerata meritevole di tutela per equivalente in base all'ordinamento giuridico. La tutela risarcitoria non interviene quindi a compensare il bene della vita perso a causa dell'annullamento del provvedimento favorevole, che comunque si è accertato non spettante nel giudizio di annullamento, ma a ristorare il convincimento ragionevole che esso spettasse.” (ibidem).
“18. Nella descritta prospettiva, il grado della colpa dell'amministrazione - e dunque la misura in cui l'operato di questa è rimproverabile - va correlato al profilo della riconoscibilità dei vizi di legittimità da cui potrebbe essere affetto il provvedimento. Al riguardo va ricordato che nel giudizio di annullamento la colpa dell'amministrazione è elemento costitutivo della responsabilità dell'amministrazione nei confronti del ricorrente che agisce contro il provvedimento a sé sfavorevole, sebbene essa sia presuntivamente correlata all'illegittimità del provvedimento, per cui spetta all'amministrazione dare la prova contraria dell'errore scusabile. Trattasi pertanto di una colpa valutata in senso oggettivo, pur sempre nell'ambito di una fattispecie di responsabilità a base colposa. Sulla base di questa presunzione, per il danno da lesione dell'affidamento da provvedimento favorevole, poi annullato, la manifesta l'illegittimità del provvedimento favorevole al suo destinatario, che consenta di ritenere che egli ne potesse pertanto essere consapevole è un elemento che incide, per escluderla o attenuarla, la colpa dell'amministrazione.
19. Come infatti esposto in precedenza, la tutela dell'affidamento si fonda sui principi di correttezza e buona fede che regolano l'esercizio del pubblico potere ma anche la posizione del privato, con la conseguenza che tale tutela postula che l'aspettativa sul risultato utile o sulla conservazione dell'utilità ottenuta sia sorretta da circostanze che obiettivamente la giustifichino.
Un affidamento incolpevole non è predicabile innanzitutto nel caso estremo ipotizzato nell'ordinanza di rimessione, in cui sia il privato ad avere indotto dolosamente l'amministrazione ad emanare il provvedimento. Altrettanto è a dirsi se l'illegittimità del provvedimento era evidente e avrebbe pertanto potuto essere facilmente accertata dal suo beneficiario, in conformità a una regola di carattere generale, espressamente richiamata in ambito civilistico (art. 1147, comma 2, cod. civ.), secondo cui la buona fede "non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave" (così Consiglio di Stato, Ad. Plen., 29/11/2021, n.20).
Quanto alla natura della responsabilità da legittimo affidamento, ed alla correlata tematica del danno risarcibile, si è, inoltre, affermato che: “Tale responsabilità è configurabile come responsabilità precontrattuale ed il danno risarcibile è perciò limitato al cd. interesse negativo, essendo ammesso il ristoro della perdita di chance per le sole occasioni di guadagno alternative cui il privato avrebbe potuto attingere in assenza del contegno dannoso dell'amministrazione, ma non invece il ristoro del danno per il mancato conseguimento della concessione mai rilasciata ed al conseguente utilizzo dell'area.” (Consiglio di Stato sez. VII, 10/05/2022, n.3661).
Sulla scorta dei richiamati principi, la pretesa risarcitoria non può dirsi fondata, non essendo stata dimostrata l’incolpevolezza dell’affidamento riposto nell’atto impugnato ed essendo, altresì, mancata una prova sufficiente dei danni lamentati e della loro riconducibilità causale rispetto all’affidamento nella validità della convenzione.
4.1 Sotto il primo profilo, nel caso di specie è ravvisabile un’ipotesi di invalidità patente della concessione-contratto, poichè stipulata in assenza dell’autorizzazione della Soprintendenza prevista dall’art. 57- bis D.Lgs. 42/2004.
Trattasi di disposizione di chiaro tenore, assistita dalla sanzione della nullità, la cui applicazione è correlata alla dichiarazione di interesse culturale di un bene immobile, agevolmente ricavabile da atti soggetti a forme di pubblicità legale che, pertanto, nessuna delle parti poteva misconoscere senza risultare in colpa: non certo l’Amministrazione, per le funzioni proprie ad essa assegnate, ma neppure il privato che, operando professionalmente quale imprenditore del settore sportivo, era anch’egli onerato, secondo diligenza, di verificare preventivamente la condizione giuridica del bene pubblico al cui uso esclusivo aspirava.
Nella specie, il bene pubblico in questione è oggetto di un vincolo culturale, condizione che implica, rispetto al suo uso, valutazioni di tipo discrezionale di un’autorità amministrativa diversa da quella che ha rilasciato la concessione, sull’operato della quale – salvo che non ricorressero specifiche circostanze non evidenziate, tuttavia, nel ricorso - il privato non poteva far esclusivo affidamento. Dunque, nel caso di specie, la colpa in cui versava l’amministrazione comunale, non è sufficiente a sopravanzare la violazione del dovere di diligenza professionale del privato, poiché il contegno tenuto dalla prima non era idoneo a sorreggere un ragionevole convincimento sulla validità della convenzione, stante la necessità di acquisire il nulla osta di una diversa autorità, il cui necessario intervento era immediatamente riconducibile alla natura del bene in questione. Il caso in esame, dunque, si differenzia dalle ipotesi in cui l’amministrazione abbia, con il proprio agere illegittimo, ingenerato l’affidamento, ad esempio, in un’interpretazione delle norme urbanistiche vigenti, esercitando una funzione ad essa sola riconosciuta, poiché nel caso di specie la legittimità della concessione presupponeva l’intervento di un nulla osta di altra autorità che non risulta mai acquisito.
Sulla scorta dei principi compendiati nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, dunque, nel caso di specie, non è configurabile- e comunque non è provata - l’incolpevolezza dell’affidamento riposto dal privato nell’ agere del Comune, essendo l’invalidità dell’originaria convenzione agevolmente percepibile dallo stesso ricorrente, ove si fosse affidato ai canoni della diligenza professionale ( “per il danno da lesione dell'affidamento da provvedimento favorevole, poi annullato, la manifesta l'illegittimità del provvedimento favorevole al suo destinatario, che consenta di ritenere che egli ne potesse pertanto essere consapevole è un elemento che incide, per escluderla o attenuarla, la colpa dell'amministrazione” cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen. nn. 19 e 20 del 2021).
4.2 In ogni caso la pretesa risarcitoria, nelle singole voci in cui è articolata, non è accoglibile.
4.2.1. Anzitutto, il danno lamentato difetta di sufficiente prova, perché, pur avendo la ricorrente depositato in atti una relazione tecnica in merito al calcolo del danno subito, non risultano depositate le fatture, né gli altri documenti contabili che attestino gli esborsi di cui si chiede il ristoro e l’epoca della loro realizzazione.
4.2.2. Le opere per l’allestimento del centro sportivo sono state realizzate, in assenza di autorizzazione paesaggistica e, per tale ragione, sono state oggetto di ordine di ripristino, non impugnato. L’omessa richiesta di autorizzazione paesaggistica prima e l’omessa impugnazione dell’ordine di ripristino poi costituiscono cause autonome del prodursi della voce di danno relativa ai costi di allestimento e demolizione delle opere, non imputabile all’Amministrazione, poiché frutto di attività illecita riconducibile ad una scelta autonoma della ricorrente. La richiesta di autorizzazione paesaggistica per l’esecuzione delle opere necessarie all’allestimento dell’impianto sportivo costituiva onere che la stessa concessione poneva a carico del concessionario (cfr. art. 2 “resta a carico del concessionario l’onere di richiedere tutte le autorizzazioni necessarie per lo svolgimento dell’attività ”), in coerenza, peraltro, con la previsione di cui all’art. 146 D.Lgs. 42/2004, che individua i “proprietari, possessori o detentori di immobili ed aree sottoposte a vincolo paesaggistico” quali destinatari dell’obbligo di chiedere l’autorizzazione paesaggistica per realizzare opere in aree sottoposte a vincolo e dell’obbligo di astenersi dall’avviare i lavori fin quando essa non venga rilasciata ( “1. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell'articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione.
2. I soggetti di cui al comma 1 hanno l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione ”).
La mancata richiesta dell’autorizzazione paesaggistica per le attrezzature e gli impianti è, dunque, imputabile esclusivamente alla ricorrente, trattandosi di un obbligo di legge, che il concessionario non poteva ignorare e che la convenzione poneva espressamente a suo carico.
Né il danno derivante dagli oneri sostenuti per l’allestimento dell’area e dal ripristino delle stesse può ricondursi all’affidamento riposto nell’autorizzazione edilizia rilasciata dal S.U.A.P., poiché il titolo paesaggistico è autonomo e presupposto rispetto ai titoli edilizi e il mancato rilascio del primo non condiziona la legittimità del secondo, ma soltanto la sua efficacia (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato sez. IV, 11/04/2023, n.3638: “La mancata preventiva acquisizione della autorizzazione paesaggistica, di cui all'art. 146, D.Lgs. n. 42 del 2004, non incide sulla legittimità del titolo edilizio ma sulla sua efficacia ”) inibendo l’avvio dei lavori fino a quando non intervenga il nulla osta in questione. Ciò implica che, in ogni caso, la voce di danno reclamata non è causalmente riconducibile alla condotta comunale, essendo intervenuta una causa autonoma produttrice del pregiudizio, imputabile in via esclusiva alla ricorrente.
Peraltro, anche sotto il profilo edilizio non v’è prova che le opere realizzate fossero legittime. Quanto affermato dal Comune circa l’avvio dei lavori solo nel 2016, quando l’autorizzazione del S.U.A.P. nel 2012, era già da tempo decaduta (per scadenza del termine annuale previsto per l’inizio dei lavori), non contestato dal ricorrente, trova riscontro nel provvedimento di annullamento della stessa autorizzazione del 19.12.2016, non impugnato, nonché nella relazione tecnica depositata in atti dalla ricorrente in cui si afferma espressamente che talune voci di spesa sono state realizzate appunto nel 2016. Dunque neanche sotto tale profilo le opere realizzate potevano ritenersi legittime e dunque meritevoli di ristoro.
4.2.3. Parimenti infondata è la pretesa alla restituzione dei canoni di concessione corrisposti - anche a prescindere dall’inconfigurabilità di un legittimo affidamento - poiché se è pur vero che, in mancanza della concessione, non vi sarebbe stato alcun esborso a tal titolo, è altresì vero che il ricorrente, negli anni dal 2012 al 2018 ha avuto la disponibilità dell’area (sulla base della concessione poi annullata) e, dunque, l’importo dei canoni vale a compensare l’occupazione della medesima.
5. In conclusione, il ricorso è infondato.
6. Considerata la complessità delle questioni esaminate, le spese di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti.