TAR Latina, sez. I, sentenza 2015-11-24, n. 201500765

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Latina, sez. I, sentenza 2015-11-24, n. 201500765
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Latina
Numero : 201500765
Data del deposito : 24 novembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00533/2009 REG.RIC.

N. 00765/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00533/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 533 del 2009, proposto da M L C, rappresentata e difesa dagli avvocati P L C e A C, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato G P in Latina, viale dello Statuto n. 41;

contro

il comune d Frosinone, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A B e M G, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato S S, in Latina, viale dello Statuto n. 24;

per l’annullamento

della determinazione prot. n. 18225 del 6 giugno 2009 del Dirigente dell’ufficio speciale condono edilizio del comune di Frosinone e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Frosinone in Persona del Sindaco P.T.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2015 il dott. D S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il provvedimento impugnato il competente Dirigente del comune di Frosinone ha respinto l’istanza di permesso di costruire a sanatoria proposta in data 7 dicembre 2004 ex articolo 32 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 dalla ricorrente e relativa a un immobile sito in via Variante Casilina.

Il diniego si fonda sulla circostanza che il manufatto della ricorrente ricade in area soggetta a vincolo paesaggistico (in concreto rientra nella fascia di rispetto di un corso d’acqua, il “Fosso Capo Barile”) e non risulta conforme alla normativa urbanistico-edilizia. In sostanza il comune ha ritenuto che ricorresse la condizione di non condonabilità prevista dall’articolo 3 della legge regionale 8 novembre 2004, n. 12 che esclude la sanatoria delle opere “realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali”.

Contro il provvedimento di diniego descritto è stato quindi proposto il ricorso all’esame con cui la ricorrente denuncia che: 1) sulla sua istanza si è formato il silenzio assenso essendo – alla data di adozione del diniego - decorsi ampiamente trentasei mesi dal pagamento dell’ultima rata degli oneri concessori e prevedendo l’articolo 6, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2004 che “la presentazione della domanda e della relativa documentazione, il pagamento degli oneri concessori e dell'oblazione, la presentazione delle denunce di cui all' articolo 32, comma 37, del D.L. n. 269/2003 e successive modifiche, con le modalità e nei termini previsti dalla normativa vigente, nonché la mancata adozione di un provvedimento negativo del comune entro i trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori prevista dall'articolo 7, comma 2, lettera b), numero 2), equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria”. Puntualizza la ricorrente che, una volta formatosi il silenzio assenso, l’amministrazione potrebbe intervenire soltanto attraverso un procedimento di secondo grado per annullare il titolo formatosi a seguito della sua inerzia, ma nella fattispecie l’atto impugnato non è qualificabile nei termini di un atto di annullamento e – se anche lo si volesse considerar tale – esso risulterebbe illegittimo per la palese violazione delle garanzie procedimentali e sostanziali previste dagli articoli 7 e 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241;
2) anche se si ritenesse sussistente il vincolo ambientale, si tratterebbe comunque di un vincolo apposto successivamente all’abuso e quindi non preclusivo ex sè della sanatoria;
la ricorrente – che avanza dubbi sulla stessa esistenza del vincolo affermando che nella zona sono state assentite sanatorie a favore di altri soggetti - puntualizza che l’articolo 3 della legge regionale non potrebbe che essere interpretato – allorchè venga in rilievo il cd. vincolo relativo – nel senso che il vincolo stesso non costituisce fatto preclusivo assoluto della sanatoria ma obbliga il comune a richiedere il n.o. all’autorità competente;
ciò sarebbe altresì imposto sulla base di una lettura “costituzionalmente orientata” della disposizione che, se intesa in senso letterale, si porrebbe in contrasto con l’articolo 3 C.;
la ricorrente aggiunge inoltre che lo stesso comune di Frosinone, nell’ambito del procedimento di approvazione del P.T.P.R. in itinere, avrebbe proposto una osservazione tendente al “riconoscimento di ulteriori aree urbanizzate esistenti ed individuate nelle fasce di rispetto dei corsi delle acque pubbliche vincolate …”, aree urbanizzate in cui sarebbe inclusa anche l’area di titolarità della ricorrente.

Il comune di Frosinone resiste al ricorso.

Il ricorso è infondato.

Va premesso che la ricorrente non ha fornito alcun concreto elemento a sostegno dei suoi dubbi in ordine alla esistenza del vincolo paesaggistico che costituisce il fatto ostativo della sanatoria cui aspira. Al ricorso è stato infatti allegato esclusivamente il provvedimento impugnato e, dopo il deposito dello stesso, non è stata svolta alcuna attività difensiva (a parte la presentazione dell’istanza di fissazione a seguito di avviso della segreteria ex articolo 82 c.p.a.). Può quindi ritenersi che effettivamente l’immobile della ricorrente insista nella fascia di rispetto di “un’acqua pubblica”.

Ciò premesso l’esistenza del vincolo paesaggistico e la contrarietà dell’edificazione alla normativa urbanistico-edilizia (che non è stata contestata) effettivamente costituiscono fatto ostativo della sanatoria.

Anzitutto deve escludersi che nella fattispecie possa ritenersi formato il silenzio assenso;
la sanatoria degli abusi edilizi nelle aree soggette a vincolo è infatti subordinata al n.o. favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, sicchè il termine per la formazione del silenzio assenso non può decorrere sinchè il n.o. non sia in concreto intervenuto (si veda l’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nel testo introdotto dall’articolo 32, comma 43, del d.l. n. 269 citato). Nella fattispecie il n.o. non solo non è intervenuto ma neppure è stato richiesto dato che il comune ha ritenuto che la contrarietà dell’opera eseguita in ambito vincolato alla normativa urbanistico-edilizia implicasse automaticamente la non condonabilità risultando pertanto superfluo richiedere il n.o..

L’operato del comune è conforme alla legge e, in particolare, all’articolo 3 della legge regionale n. 12 del 2004 che esplicitamente nega il condono per opere realizzate in ambito vincolato e non conformi alla normativa urbanistico-edilizia.

La tesi della ricorrente secondo cui questa disposizione non potrebbe applicarsi al caso in cui il vincolo sia successivo all’edificazione non può essere accolta dato che – a parte che in ricorso non è indicata né l’epoca di edificazione né quella di imposizione del vincolo - essa si pone contro il dettato letterale della norma regionale che prevede l’incondonabilità anche nel caso di vincolo imposto successivamente all’abuso;
né può ritenersi che tale disposizione si ponga in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza dato che nella fattispecie viene in rilievo un condono edilizio, cioè una sanatoria che per sua natura ha carattere eccezionale, nel senso che può essere consentita nei soli limiti in cui la legge l’ammette, dato che comporta una deroga alle ordinarie norme disciplinanti le trasformazioni edilizie del territorio. Non è inutile ricordare a questo riguardo che la Corte Costituzionale, nel disciplinare il riparto della competenza in materia tra Stato e regioni, ha chiarito che spetta allo Stato di determinare la “portata massima” entro cui è consentito il condono essendo vietato alle regioni di estendere tale portata massima ed essendo quindi alle stesse consentito di ridurla, come di fatto avvenuto nella regione Lazio che ha con la legge regionale n. 12 del 2004 ammesso il condono in limiti più ristretti, in particolare estendendo l’incondonabilità prevista dal comma 27 dell’articolo 32 del d.l. n. 269 per opere non conformi alla normativa urbanistica realizzate in ambito soggetto a vincolo imposto anteriormente all’abuso anche al caso di vincolo imposto successivamente all’edificazione abusiva.

Irrilevante è infine la circostanza – comunque priva di ogni supporto probatorio - che il comune di Frosinone avrebbe presentato un’osservazione volta a riconoscere ulteriori aree urbanizzate all’interno delle fasce di rispetto dei corsi d’acqua pubblici, dato che il piano paesistico ancora non s’è perfezionato e non è stato in alcun modo provato che tra le aree cui si riferisce l’osservazione rientri anche quella in cui è sito l’immobile della ricorrente.

Conclusivamente il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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