TAR Napoli, sez. I, sentenza 2010-06-09, n. 201013720

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. I, sentenza 2010-06-09, n. 201013720
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201013720
Data del deposito : 9 giugno 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00612/2010 REG.RIC.

N. 13720/2010 REG.SEN.

N. 00612/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso n. 612/2010 R.G., integrato da motivi aggiunti, proposto da:
A A A, F S, G S, A A, G G, M B, A R, F G, A C, M P, E M, N Z, A S, V S, R S, A A, F A, rappresentati e difesi dagli avvocati L L, F L e S R, con domicilio eletto presso Alfonso Capotorto in Napoli, Centro Direzionale Isola E/2 Scala A;

contro

Ministero dell'Interno, Presidenza del Consiglio dei Ministri, U.T.G. - Prefettura di Napoli, in persona del rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso cui domiciliano ex lege in Napoli, via Diaz, 11;
Comune di San Giuseppe Vesuviano, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;
Ciro Trotta, Paola Spena e Raffaele Barbato, componenti della Commissione Straordinaria del Comune di San Giuseppe Vesuviano, non costituiti in giudizio;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Nicola Menzione, Carlo Carillo, Giuseppe Boccia, Salvatore Cozzolino, rappresentati e difesi dall'avvocato Pasquale Di Fruscio, con domicilio eletto presso Mario Girardi in Napoli, via F.Lomonaco,3;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

del d.p.r. del 9.12.09 con il quale si è disposto lo scioglimento del Consiglio Comunale di San Giuseppe Vesuviano, per la durata di diciotto mesi, ai sensi dell’art. 143 T.U.EE.LL. e la nomina della Commissione Straordinaria per la gestione provvisoria per la durata di mesi 18;
e di ogni altro atto connesso e conseguente;.


Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Uditi nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2010 – data per letta la relazione del consigliere Paolo Corciulo - i difensori delle parti come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Previa delega ministeriale n. 17102/128/51del 23 gennaio 2009, il Prefetto di Napoli, con decreto n. 666/09/AREA II/EE.LL. del 28 gennaio 2009, ordinava il compimento di ogni opportuna indagine al fine di verificare la possibile sussistenza di influenze e condizionamenti da parte della criminalità organizzata nell’amministrazione del Comune di San Giuseppe Vesuviano, in tal senso disponendo l’accesso presso l’ente da parte di una commissione di verifica.

All’esito degli accertamenti la commissione, che aveva ricevuto una proroga dell’incarico in data 30 aprile 2009, redigeva la propria relazione ispettiva che veniva depositata il 30 luglio 2009.

Di conseguenza, il Prefetto di Napoli, sulla scorta degli elementi acquisiti, con nota n. 77872 del 25 novembre 2009, chiedeva al Ministro dell’Interno lo scioglimento degli organi di governo del Comune di San Giuseppe Vesuviano ai sensi dell’art. 143 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267.

Successivamente, su proposta del Ministro dell’Interno del 3 dicembre 2009, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri in pari data, con D.P.R. del 9 dicembre 2009, il Consiglio Comunale di San Giuseppe Vesuviano veniva sciolto per la durata di diciotto mesi, con affidamento della gestione ad una commissione straordinaria.

Avverso il decreto presidenziale di scioglimento e tutti gli atti a questo presupposti, proponevano ricorso a questo Tribunale Amministrativo Regionale i signori A A A, F S, G S, A A, G G, M B, A R, F G, A C, M P, E M, N Z, A S, V S, R S, A A e F A, tutti componenti della disciolta Amministrazione, chiedendone l’annullamento, previa concessione di idonee misure cautelari.

Si costituivano in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli per mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, concludendo per il rigetto del ricorso e della domanda cautelare.

Con ordinanza presidenziale n. 11 del 3 febbraio 2010 veniva disposta l’acquisizione della relazione della commissione di accesso e di tutti gli atti su cui si essa fondava, adempimento assolto dall’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli con deposito del 16 febbraio 2010.

Intervenivano in giudizio i signori Nicola Menzione, Salvatore Cozzolino, Carlo Carillo e Giuseppe Boccia, i primi due in qualità di assessori della disciolta amministrazione, il terzo ed il quarto come consiglieri comunali.

Alla camera di consiglio del 24 febbraio 2010 la causa veniva cancellata dal ruolo delle cautelari.

Successivamente, con atto notificato in data 17 marzo 2010 e depositato il 24 marzo 2010, i ricorrenti proponevano motivi aggiunti di impugnazione, alla luce della documentazione versata in giudizio dall’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, iniziativa a cui l’Avvocatura Distrettuale dello Stato resisteva mediante una memoria di replica ed ulteriore documentazione.

All’udienza di discussione del 12 maggio 2010, in vista della quale le parti depositavano memorie ed ulteriore documentazione, la causa veniva trattenuta per la decisione.

DIRITTO

I ricorrenti, tutti amministratori del Comune di San Giuseppe Vesuviano, hanno impugnato, congiuntamente a tutti gli atti del relativo procedimento indicati nell’epigrafe del ricorso, il decreto del Presidente della Repubblica del 9 dicembre 2009 con cui è stato disposto lo scioglimento del Consiglio Comunale di San Giuseppe Vesuviano per la durata di diciotto mesi ai sensi dell’art. 143 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 e nominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente.

Con motivi aggiunti, ad integrazione delle originarie deduzioni proposte, sono stati presentati ulteriori profili di doglianza, con specifico riferimento a fatti e circostanze contenute nella relazione dalla commissione di accesso del 30 luglio 2009.

Occorre innanzitutto procedere ad una ricognizione degli elementi contenuti nella relazione ministeriale del 3 dicembre 2009 che hanno determinato l’adozione del decreto di scioglimento, nonché delle risultanze della relazione della Prefettura di Napoli del 25 novembre 2009 a cui la proposta ministeriale fa espresso richiamo.

Innanzitutto, nella proposta del Ministro dell’Interno, oltre alla forte presenza sul territorio della malavita organizzata, si evidenziava la posizione del Sindaco A A A, in carica dal 1985, confermato nel 1990, rieletto nel 2002 e nuovamente confermato nel 2007, il quale, con la sua continua presenza, avrebbe condizionato la vita politica dell’ente, in tal senso cercando la collaborazione di alcuni camorristi per scopi elettorali;
a tal proposito, nella relazione si ponevano in evidenza cointeressenze tra il Sindaco, amministratori in carica e titolari di alcune imprese che si sono succedute nella gestione del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti;
inoltre, in occasione di un incontro avvenuto nel 2006 presso l’abitazione del responsabile dell’ufficio tecnico, un esponente della malavita locale, in cambio del proprio appoggio elettorale, avrebbe chiesto al Sindaco ed ottenuto pochi mesi dopo le elezioni l’assegnazione di un proprio cugino, già funzionario tecnico del Comune di San Giuseppe Vesuviano, all’incarico di responsabile della posizione organizzativa di lavori pubblici ed urbanistica. Ulteriore elemento indiziario era costituito dall’assunzione a tempo determinato al servizio civile della nipote del predetto camorrista;
il procedimento era stato caratterizzato dal parere favorevole della commissione comunale di assistenza e beneficienza presieduta dal Sindaco, in violazione del principio di separazione tra organi di governo e dirigenza;
la stessa era poi stata ritenuta idonea allo svolgimento di un altro periodo di servizio della durata di un anno all’esito di una procedura concorsuale su cui la commissione di accesso aveva espresso forti perplessità.

Altro fondamentale pilastro su cui si è fondata la motivazione dell’impugnato provvedimento di scioglimento ha riguardato gli elementi della proposta ministeriale relativi a collegamenti tra il Sindaco ed altro clan camorristico operante sul territorio;
in particolare, la permeabilità dell’amministrazione alle ingerenze di siffatta associazione criminale erano dimostrate dall’episodio di restituzione da parte di alcuni vigili urbani di un motorino sequestrato ad una donna, grazie all’interessamento di un potente boss locale;
nell’occasione si evidenziava la soppressione del verbale di sequestro del mezzo.

Terzo coacervo di elementi indiziari è costituito dalla gestione del servizio rifiuti;
al riguardo, nella proposta del Ministro dell’Interno, viene riferito che le due società che si sono succedute nell’affidamento erano riconducibili ad uno stesso gruppo imprenditoriale collegato ad un clan egemone sul territorio di San Giuseppe Vesuviano;
la prima società, benché colpita da informativa atipica, nel 2005, in violazione del protocollo di legalità non si era vista revocare il servizio, se non a seguito di una sentenza del Consiglio di Stato che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva ritenuto la legittimità dell’interdittiva prefettizia. Nel prosieguo il servizio era stato affidato senza gara - e anche prorogato - in favore di una cooperativa, pur in assenza dei presupposti per un affidamento diretto;
la cooperativa operava con uomini e mezzi di imprese risultate positive ai controlli antimafia. Ulteriore elemento di collegamento era la presenza del figlio di un amministratore di maggioranza nell’ambito delle società incaricate della gestione del servizio dei rifiuti.

Il quarto profilo indiziario concerneva l’attività di controllo e repressione dei fenomeni di abusivismo edilizio, rivelatasi scarsamente incisiva e volta a favorire specifici interessi della criminalità locale;
al riguardo, si rilevava che l’amministrazione non aveva proceduto all’acquisizione al patrimonio comunale, o, comunque, alla demolizione di manufatti abusivi, essendo rimasta inerte di fronte ad illeciti relativi a due ville ritenute appartenenti a persone vicine a consorterie criminali locali;
inoltre, anche la ritardata approvazione del Piano Urbanistico Comunale e l’illegittima approvazione di un Piano Urbanistico Attuativo sarebbero stati tali da favorire l’abusivismo edilizio e comunque gli interessi della criminalità organizzata. Infine, con riferimento al settore commercio, si rilevava il mancato recepimento del protocollo di legalità e il rilascio di autorizzazioni in favore di soggetti controindicati.

La relazione dell’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli del 25 novembre 2009, redatta a conclusione dei lavori della commissione di accesso depositata il 30 luglio 2009, confermava l’esistenza dei due clan contrapposti, il primo facente capo ad AC, il secondo riconducibile ad un precedente sodalizio al cui vertice vi era MF.

Nel rappresentare la presenza risalente nell’amministrazione locale di San Giuseppe Vesuviano di A A A, la relazione specificava i rapporti intercorsi tra il Sindaco e AC, tramite un nipote di questi, così come descritti nella sentenza n. 1153 del 30 settembre 2009 in cui il Tribunale di Nola, pur assolvendo dal reato di cui all’art. 416 bis c.p. tutti gli imputati per insussistenza del fatto, aveva evidenziato che il Sindaco, al fine di ottenere favori per la sua campagna elettorale, non aveva esitato a rivolgersi ad AC, comunque condannato a vent’anni di reclusione all’esito del giudizio di primo grado, perché ritenuto responsabile di più reati di estorsione con l’aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 203/91.

Quanto alla nomina del cugino di AC, a dirigente di tutta l’aera tecnica, in esecuzione di un accordo intercorso tra l’A ed AC nel giugno 2006, la relazione puntualizzava che, nel gennaio 2008, in corrispondenza dell’ostensione degli interrogatori di AC, il Sindaco aveva affidato ad altri funzionari la competenza in materia urbanistica e di igiene urbana, risolvendo anche il rapporto di consulenza esterna con l’ingegnere precedente responsabile dell’ufficio tecnico comunale;
si rappresentava che quest’ultimoil, ascoltato in sede di accesso, aveva dichiarato di essersi limitato a sottoscrivere atti e provvedimenti, dal momento che tutte le decisioni concretamente venivano assunte dal Sindaco e dal nuovo responsabile dell’UTC.

La relazione conteneva ulteriori approfondimenti in relazione ai rapporti tra amministratori ed esponenti del clan di MF, con particolare riferimento all’episodio della restituzione del motorino sequestrato a seguito dell’intervento di un boss locale. La vicenda, confermata dal titolare della rimessa ove era custodito il mezzo, attestava l’influenza esercitata dal citato boss sulla Polizia municipale, anche in considerazione dell’avvenuta soppressione del verbale di sequestro. Veniva poi evidenziato l’incontro avvenuto il 20 maggio 2007, alla vigilia delle elezioni del 27 e 28 maggio 2007, tra A A A ed un esponente del clan in questione, in cui si sarebbero state raggiunte delle intese elettorali, così come già avvenuto in passato.

Venivano anche richiamati episodi relativi ad altri amministratori, come il Vicesindaco, vittima di un’aggressione, un consigliere, nel 2005 presente al matrimonio del figlio di un boss locale ed altro Consigliere controllato il 24 giugno 2003 in Sala Consilina insieme a due presunti affiliati al clan Fabbrocino.

Specifica attenzione era successivamente rivolta dal Prefetto di Napoli all’affidamento del servizio di igiene urbana disposto in favore di una società, in un primo tempo mantenuto, nonostante l’impegno assunto dall’amministrazione comunale con il protocollo di legalità di risolvere i rapporti con imprese colpite anche da informativa atipica, come era avvenuto nel caso di specie;
inoltre, alla stessa società, benché interdetta, il servizio era stato prorogato per un altro mese, ossia fino al 4 aprile 2007, onde consentire il subentro della nuova affidataria senza soluzione di continuità, benché la nuova gara fosse stata indetta solo il giorno successivo alla proroga. La relazione prefettizia, evidenziava che proprio il 4 aprile 2007 il servizio era stato affidato senza gara ad una cooperativa , ma illegittimamente, non ricorrendo né i presupposti per un affidamento in house, né quelli di cui alla legge n. 381/91, nessuno dei lavoratori – che erano i medesimi della precedente società - appartenendo a categorie di soggetti svantaggiati;
infine, la cooperativa era stata destinataria di informativa antimafia, in seguito annullata dal TAR Campania, anche se soltanto nel 2009. Si ribadiva altresì la riconducibilità delle ditte avvicendatesi nella gestione del servizio ad alcuni imprenditori vicini al clan MF.

La relazione prefettizia si soffermava ancora su aspetti relativi agli affidamenti di lavori pubblici, settore ritenuto fortemente influenzato dalla presenza di centri decisionali tali da alterare il normale dispiegarsi della concorrenza, richiamando, quanto all’abusivismo edilizio, l’inerzia serbata su illeciti commessi in due ville, la prima di fatto utilizzata da un boss locale, relativamente alla quale esisteva una superficie non condonabile pari a 226,56 mq, la seconda appartenente alla consuocera di MF, i cui abusi risalivano al 2004. Quanto al settore commercio, oltre al mancato recepimento del protocollo di legalità, la relazione specificava che le autorizzazioni all’attività di bar e ristorante rilasciate nel gennaio 2009, oltre ad essere illegittime, riguardavano una società appartenente ad un soggetto la cui famiglia aveva collegamenti con quella di MF.

Rispetto al complesso di elementi addotti a sostegno dell’impugnato provvedimento di scioglimento i ricorrenti hanno proposto undici motivi di ricorso, integrati parzialmente dai motivi aggiunti, oltre a tre profili di doglianza di natura formale

Con il primo motivo di impugnazione, così come integrato dai motivi aggiunti, è stata dedotta l’erroneità del provvedimento di scioglimento nella parte in cui è stata asserita l’esistenza di una condizione di assoggettamento dell’amministrazione comunale di San Giuseppe Vesuviano ad una associazione camorristica locale facente capo ad AC.

L’assunto sarebbe infatti smentito da quanto ritenuto dal Tribunale di Nola nella sentenza penale del 30 settembre 2009 n. 1151/09, con cui il giudice penale ha escluso l’esistenza di un clan malavitoso, non solo di natura mafiosa, ma addirittura di tipo ordinario, operante a livello territoriale e capeggiato dal predetto AC;
né sarebbero emerse forme di collegamento o di cointeressenze tra presunti appartenenti a tale sodalizio ed esponenti dell’amministrazione comunale di San Giuseppe Vesuviano, in tal senso escludendosi ogni possibile condizionamento delle operazioni elettorali che avevano portato alla elezione del Sindaco A A A;
inoltre, la persona ritenuta in sede di istruttoria amministrativa elemento di collegamento tra malavita organizzata e politici locali, avrebbe in realtà agito secondo logiche e dinamiche proprie del periodo elettorale, al fine di procurare a sé, quale promotore finanziario, nuovi clienti tra i dipendenti comunali. Il giudice penale avrebbe poi qualificato come “mere illazioni” le dichiarazioni rese da AC in sede di interrogatorio circa l’esistenza di un rapporto di voto di scambio, in cui sarebbe stata inserita sia la promozione o l’assunzione presso il Comune di San Giuseppe Vesuviano di parenti del predetto AC.

A tal proposito, rilevavano i ricorrenti che, sebbene a tali circostanze non avrebbe potuto disconoscersi rilevanza indiziaria nel momento storico di svolgimento delle indagini preliminari, non avrebbe potuto l’istruttoria amministrativa prescindere dal successivo giudizio del Tribunale penale, quale giudice naturale del fatto. In questo senso, il provvedimento di scioglimento sarebbe illegittimo per illogicità ed arbitrarietà dell’istruttoria e della motivazione.

Con il secondo motivo, così come integrato dai motivi aggiunti, è stata contestata l’ipotesi di un presunto condizionamento dell’amministrazione comunale da parte di esponenti del clan camorristico MF.

Innanzitutto, sarebbe irrilevante ai fini indiziari l’intercettazione telefonica di un soggetto ritenuto appartenente al predetto sodalizio criminale che avrebbe fatto riferimento ad un’attività di sostegno da parte del clan per favorire l’elezione a Sindaco di A A A;
l’assunto, di cui è mancata ogni formale contestazione in sede penale, sarebbe smentito da un episodio in cui era stata manifestata da tale soggetto una netta avversione nei confronti del Sindaco, in occasione di un convegno a cui quest’ultimo aveva partecipato;
nemmeno risultava denunciato, come pur era da attendersi, un episodio di precedente aggressione da parte del medesimo ai danni dell’A, così come dedotto nell’intercettazione.

Veniva poi contestato l’altro elemento indiziario posto a fondamento del condizionamento dell’amministrazione comunale da parte di affiliati al clan MF, e cioè una vicenda in cui alcuni Vigili Urbani avrebbero restituito ad una donna un ciclomotore che le era stato sequestrato, grazie all’intervento di un importante personaggio appartenente al clan;
al riguardo, si rilevava che la soppressione del verbale di sequestro del mezzo, sebbene allegata, non risultava in alcun modo dimostrata, né il Pubblico Ministero aveva mai formulato un’ipotesi di reato nei confronti dei Vigili Urbani coinvolti nella vicenda;
anzi, la circostanza del mancato rinvenimento di un verbale di sequestro aveva riguardato un atto del 12 giugno 2007, successivamente rinvenuto, relativo ad un ciclomotore trovato abbandonato e privo di targa;
mancava ogni altro utile elemento volto ad avvalorare l’effettivo verificarsi dell’episodio, tra l’altro smentito dall’efficace attività di controllo e repressione delle violazioni al codice della strada posta in essere dal Corpo di Polizia Municipale, che aveva determinato, tra l’altro, l’elevazione di molte contravvenzioni proprio in danno di soggetti coinvolti nel processo penale relativo al clan MF, sanzioni tutte regolarmente pagate;
ulteriore elemento di impermeabilità alle istanze della criminalità organizzata era costituito dal fatto che al vertice del Corpo di P.M. era stato preposto un ex funzionario della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli.

Con il terzo motivo, così come integrato dai motivi aggiunti, si negava l’assunto istruttorio di una forte continuità di presenza del Sindaco A A A nell’ambito del Comune di San Giuseppe Vesuviano, dal momento che egli non ricopriva alcuna carica pubblica ormai dal 1992, epoca in cui anche questa volta nel ruolo di Sindaco era stato sfiduciato e sostituto da un’altra persona che era in carica al momento dello scioglimento per infiltrazioni mafiose risalente al 1993. Non risulterebbe poi fondato l’indizio costituto dal ruolo rivestito da un consigliere che, in cambio dell’assunzione dei due figli, avrebbe favorito le ditte che espletavano il servizio di raccolta dei rifiuti;
costui, infatti, dal 2002 al 2007 non aveva rivestito la carica di assessore all’ambiente ed inoltre un figlio sarebbe stato assunto quando Sindaco era una persona diversa da A A A;
comunque, l’affidamento del servizio alle ditte indicate era avvenuto del tutto legittimamente. Allo stesso modo, era irrilevante l’episodio di aggressione in danno del vice sindaco, fatto prontamente denunciato ai Carabinieri, nonché la presenza di un consigliere al matrimonio del figlio di un boss locale, risalente al 2005, epoca in cui costui non rivestiva alcuna carica pubblica;
nemmeno portata indiziaria poteva essere riconosciuta al controllo di polizia di altro consigliere insieme ad alcuni soggetti controindicati avvenuto in Sala Consilina, essendosi trattato di un incontro del tutto occasionale.

Con la quarta censura, così come integrata dai motivi aggiunti, si confutava in primo luogo l’elemento indiziario costituito dalla nomina a dirigente dell’U.T.C. di un parente di AC;
oltre a richiamare la sentenza del Tribunale penale circa l’inesistenza del clan, i ricorrenti evidenziavano che la nomina del nuovo responsabile UTC - il quale, tra l’altro, aveva per ben due volte denunciato il proprio cugino AC – era da ricondursi esclusivamente all’impossibilità per l’amministrazione di procedere a nuove assunzioni a causa della mancata osservanza del patto di stabilità del 2005, nonché al pensionamento del precedente responsabile ed alle dimissioni del funzionario di qualifica funzionale più elevata. Nemmeno supportato da riscontri era la supposta esistenza di un “comitato d’affari” tra Sindaco, dirigenti tecnici ed esponenti del clan AC, non essendo al riguardo stata assunta alcuna iniziativa da parte del Pubblico Ministero, sebbene doverosa ove fossero emersi concreti elementi indiziari in proposito.

Allo stesso modo, privo di pregnanza indiziaria era il conferimento di un incarico esterno al precedente responsabile UTC, anche in considerazione del fatto che nessun rilievo era stato formulato dalla Corte dei Conti cui pure era stata inviata idonea comunicazione;
la scelta compiuta era stata dettata dalla necessità che costui continuasse a seguire l’esecuzione di opere pubbliche ancora in corso al momento del suo pensionamento.

Infine, nemmeno rilevante si rilevava l’assunzione di una persona - che non è neanche parente di AC come invece asserito in sede istruttoria - trattandosi dell’incarico di svolgimento di un servizio civico modestamente retribuito, in ordine al quale la commissione presieduta dal Sindaco esprime solo un parere non vincolante, nel caso del Comune di San Giuseppe Vesuviano favorevole all’accoglimento di tutte le istanze presentate, a riprova dell’inesistenza di favoritismi di sorta;
nemmeno significativo era l’affidamento di un ulteriore incarico di servizio civile affidato alla medesima, sul quale la commissione di accesso aveva solo avanzato mere perplessità in merito alla supposta brevità dei colloqui.

Il quinto motivo, così come integrato dai motivi aggiunti, è volto a confutare l’ipotesi di condizionamento collegata a vicende di affidamento del servizio di igiene urbana. Innanzitutto, è stato rilevato che del tutto legittimamente il dirigente aveva ritenuto che la società non fosse controindicata a continuare il servizio, nonostante fosse stata colpita da interdittiva antimafia atipica, dal momento che il T.A.R. Campania aveva annullato altra interdittiva emessa nei confronti della ditta a cui la società si riteneva essere collegata per tramite del suo direttore tecnico. D’altronde, dopo che il Consiglio di Stato aveva riformato la sentenza di primo grado, l’amministrazione aveva prontamente rimosso il vincolo contrattuale con la citata società, assumendo un comportamento complessivo che lo stesso giudice d’appello aveva definito come ineccepibile. Allo stesso modo, il Comune di San Giuseppe Vesuviano aveva risolto il rapporto con la copperativa a cui aveva successivamente affidato in via provvisoria il servizio, poiché questa era stata colpita da interdittiva antimafia, provvedimento, tra l’altro, nel 2009 addirittura annullato dal T.A.R. Campania.

Con il sesto motivo, così come integrato dai motivi aggiunti, è stato contestato il profilo indiziario relativo all’inerzia degli organi di governo locali in ordine al controllo che andava esercitato sull’area tecnica, ritenuta responsabile di scarsa attenzione al monitoraggio ed alla repressione degli illeciti urbanistici;
al riguardo, i ricorrenti evidenziavano che il Sindaco nel corso del suo mandato aveva ristrutturato l’area tecnica dividendola in quattro servizi, proprio per assicurare maggior efficienza;
nel 2008, era stato nominato anche un nuovo comandante della Polizia Municipale, nella persona di un ex funzionario della D.I.A. di Napoli, il cui impegno si era trasfuso in una ampia e fattiva collaborazione sia con le FF.OO. che con la Procura della Repubblica di Nola, consentendo la segnalazione di numerosi episodi di abusivismo, in numero di gran lunga superiore alle denuncie effettuate dai Carabinieri e dal locale Commissariato di P.S. Del resto, anche la possibilità di procedere all’acquisizione al patrimonio comunale di immobili abusivi, così come anche la loro demolizione era stata limitata, non già da colpevole inerzia o connivenza, ma dalla presentazione di numerose istanze di condono edilizio. Riguardo a fenomeni di abusivismo che avrebbero interessato due ville di proprietà di persone ritenute vicine alla criminalità organizzata locale, i ricorrenti rilevano che, quanto alla prima, quella cioè prossima al Municipio, nessun abuso edilizio era stato compiuto dagli attuali proprietari – ritenuti essere i soggetti attenzionati – mentre relativamente alla seconda, non solo l’abuso principale era datato nel tempo, ma per lo stesso era stata anche presentata istanza di condono;
comunque, anche i modesti interventi abusivi del 2009 erano stati denunciati e l’immobile posto sotto sequestro da parte dei Carabinieri.

Si evidenziava poi che il Comune di San Giuseppe Vesuviano si era costituito parte civile in tutti i processi penali in materia edilizia, ottenendo provvisionali a favore per circa 36.000 euro, senza dimenticare che, in ogni caso, la diffusività del fenomeno dell’abusivismo edilizio sull’intero territorio regionale non costituisce, in quanto tale, un significativo elemento indiziario di specifico condizionamento dell’amministrazione comunale a logiche proprie della criminalità organizzata. Infine, infondati risultavano i rilievi circa ritardi nell’adozione del P.U.C. e, all’inverso, una determinata sollecitudine nell’approvazione del P.U.A., entrambi gli atti essendo stati contenuti nei tempi previsti dalla normativa regionale in materia.

Con il settimo motivo, così come integrato dai motivi aggiunti, venivano contestati i rilievi contenuti nella relazione della commissione di accesso a proposito di presunte ingerenze della criminalità organizzata locale del settore commercio. In particolare, i ricorrenti, nel rilevare che le licenze ritenute sospette erano soltanto tre rispetto al cospicuo numero complessivo di pratiche evase dall’ufficio, quanto alla prima evidenziavano che, contrariamente a quanto ritenuto in sede istruttoria, era stato acquisito il certificato camerale con dicitura antimafia, così come anche la dichiarazione di impegno di cui all’art. 2 del protocollo di legalità;
inoltre, non era vero che l’istanza non fosse stata sottoscritta, essendosi verificato unicamente un’ inversione in sede di collazione tra secondo e terzo foglio, quest’ultimo recante la firma del richiedente. Allo stesso modo, le altre due pratiche, relative ad esercizi di vicinato erano state corredate delle necessarie certificazioni camerali con dicitura antimafia.

L’ottavo motivo di impugnazione, così come integrato dai motivi aggiunti, è stato invece dedicato alla confutazione di rilievi indiziari evidenziati dal Prefetto di Napoli, ma non richiamati dalla relazione del Ministero dell’Interno. Quanto alla asserita esistenza di cordate di imprese volte a condizionare il mercato, si rilevava che quella esaminate dalla commissione di accesso erano procedure aperte a cui hanno partecipato imprese tutte concentrate nel medesimo territorio, senza che vi fossero stati significativi scostamenti rispetto alle medie percentuali di ribasso registrate presso altri enti locali;
comunque, mai la Prefettura di Napoli, sempre destinataria degli elenchi delle imprese partecipanti alle gare indette dal Comune di San Giuseppe Vesuviano, aveva mosso rilievi al riguardo. Inoltre, si rivelava generica l’affermazione circa un ricorso eccessivo - e quindi anomalo - a procedure informali e di urgenza, trattandosi di istituti previsti dal Codice degli appalti ed applicati in conformità allo stesso. Dopo avere contestato il rilievo del Prefetto di Napoli che aveva ritenuto sintomo di turbativa d’asta la previsione del previo sopralluogo nelle gare per l’esecuzione di lavori pubblici, in quanto potenzialmente lesivo del principio di segretezza delle offerte, i ricorrenti negavano la rilevanza indiziaria invece attribuita all’affidamento di alcuni lavori ad una ditta di Casal di Principe, in quanto l’interdittiva antimafia che l’aveva colpita era stata adottata in epoca successiva agli affidamenti in questione ed era comunque stata posta a fondamento della risoluzione contrattuale di lavori non ancora ultimati;
si evidenziava poi che la stessa interdittiva era stata annullata dal T.A.R. con una sentenza del 2009.

Con il nono motivo, così come integrato dai motivi aggiunti, veniva contestata la significatività indiziaria ai fini dello scioglimento di alcuni viaggi compiuto dal Sindaco in Cina ed in Togo;
nel rilevare l’assoluta inconferenza di tali elementi rispetto ad eventuali coinvolgimenti della criminalità organizzata, i ricorrenti evidenziavano che le spese di tali iniziative – alcune delle quali sopportate personalmente dal Sindaco - trovavano piena rispondenza, sia sotto il profilo amministrativo che contabile. Inoltre, pienamente conforme a criteri di efficienza ed efficacia si era rivelata l’attività del Collegio dei Revisori e del Nucleo di Valutazione, a torto ritenuti dal Prefetto di Napoli poco incisivi rispetto all’inattività degli uffici, tra l’altro solo genericamente denunciata.

Con il decimo e undicesimo motivo di impugnazione, veniva evidenziata in senso complessivo l’azione dell’amministrazione di adeguamento alle criticità sollevate in sede di controllo, oltre alle iniziative della Giunta che avevano condotto alla costituzione di parte civile dell’ente nei due processi a carico di esponenti dei clan camorristici, oltre che in tutti i giudizi penali in materia urbanistica ed ambientale.

Con il dodicesimo motivo di impugnazione erano dedotti profili di incompatibilità di alcuni funzionari dell’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli investiti di determinati compiti nell’ambito del procedimento che alla fine aveva condotto allo scioglimento degli organi di governo del Comune di San Giuseppe Vesuviano.

In primo luogo, è stata evidenziata la posizione di conflitto personale tra il Sindaco A A A e la funzionaria che si era occupata dell’istruttoria poi conclusasi con l’invio della commissione di accesso;
costei, nell’ambito della fase di ammissione delle liste elettorali per le elezioni del 2007, aveva contestato all’A un’inesistente causa di incandidabilità, fondata sulla base di una nota prefettizia del 24 maggio 2007, che, richiamando una comunicazione della Questura di Napoli, aveva rilevato l’esistenza di un pregiudizio penale a carico del medesimo. Ebbene, nonostante si fosse trattato di una sentenza di applicazione di pena su richiesta risalente al 1999, come tale non costituente ragione ostativa e sebbene tale circostanza fosse stata ripetutamente rappresentata, la citata funzionaria aveva comunque denunciato l’A per falso in dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà;
il conseguente processo penale si era concluso con l’assoluzione dello stesso A per insussistenza del fatto, con consequenziale proposizione da parte sua di un’azione risarcitoria nei confronti del Ministero dell’Interno, dell’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli e della Commissione Elettorale di Nola e Sottocommissione Elettorale di Ottaviano.

La seconda situazione di conflitto avrebbe riguardato un componente della commissione di accesso che, con un esposto del 5 giugno 2007, era stato denunciato dal Sindaco A per avere serbato una condotta omissiva in occasione di una manifestazione politica del 28 maggio 2007 in cui un cittadino era rimasto ferito dall’esplosione di un petardo;
inoltre, il medesimo funzionario, nell’ambito di una conferenza stampa del 2009, indetta a seguito dell’arresto di alcuni personaggi ritenuti vicini al clan MF, aveva riferito dell’esistenza di presunti intrecci tra tale sodalizio criminale ed esponenti di governo dell’amministrazione locale per fini elettorali, nonché di episodi di connivenza con la Polizia Municipale, nessuno dei quali aveva mai dato luogo ad iniziative, nemmeno di tipo investigativo, da parte del Pubblico Ministero.

Anche un terzo funzionario verserebbe in una condizione di incompatibilità per ragioni di conflitto personale con il Sindaco;
nel 2001, infatti, detto funzionario, all’epoca componente della commissione di accesso per il Comune di San Gennaro Vesuviano, aveva definito il Sindaco A come una persona affiliata al clan MF, omettendo di rilevare che la Procura della Repubblica su tale vicenda aveva già richiesto l’archiviazione;
dopo cinque anni, nel 2006, la stessa affermazione era stata ripetuta nell’ambito di una deposizione che il funzionario aveva eseguito innanzi al Tribunale penale di Nola in occasione di un processo relativo ai medesimi fatti che avevano determinato lo scioglimento degli organi di governo del Comune di San Gennaro Vesuviano. Infine, nel 1999, sempre il funzionario in questione aveva svolto un’attività di consulenza per la Procura della Repubblica di Nola, avente ad oggetto l’esame di documentazione amministrativa inerente la carriera di medico ospedaliero dell’A, nell’occasione esprimendo giudizi e considerazioni poi rivelatesi infondate.

Con il tredicesimo motivo di ricorso è stata lamentata la mancata indicazione nella proposta ministeriale di scioglimento dei nominativi degli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento, così come stabilito dal quinto comma dell’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267.

Infine, con il quattordicesimo motivo è stata dedotta la violazione del pur necessario contradditorio procedimentale.

Prima di procedere all’esame degli specifici motivi di impugnazione rileva il Collegio che la controversia ha ad oggetto l’applicazione agli organi di governo del Comune di San Giuseppe Vesuviano dell’istituto di cui all’art 143 del D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, che, al primo comma novellato, stabilisce che “fuori dai casi previsti dall'articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell'articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchè il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.”

L’istituto è stato interessato da numerosi interventi giurisprudenziali che ne hanno definito caratteristiche e limiti di applicazione, soprattutto riguardo alle finalità di tutela, all’individuazione della categoria degli “elementi di collegamento o condizionamento”, alla sua compatibilità costituzionale nella ricerca di un giusto equilibrio tra obiettivi di sicurezza pubblica e salvaguardia delle scelte del corpo elettorale, pervenendo così ad elaborare soluzioni volte a calibrare gli effetti e la portata di un intervento statale comunque fortemente invasivo e traumatico sulla vita sociale ed amministrativa delle comunità locali (T.A.R. Campania, Napoli I Sezione 6 febbraio 2006 n. 1621).

Al riguardo, si è specificato che lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali costituisce espressione di un potere straordinario cui è possibile far ricorso solo in evenienze altrettanto straordinarie (Corte Costituzionale 19 marzo 1993, n. 103, a proposito dell’art. 15 bis, L. n. 55/90), costituendo, al pari di altri strumenti di contrasto alla diffusione della criminalità organizzata in settori nevralgici della vita delle amministrazioni locali, un mezzo di intervento che garantisce la massima anticipazione della soglia di tutela, risultando svincolato sia da accertamenti in sede penale, sia dalla ricorrenza di misure di prevenzione o di sicurezza e ciò anche al fine specifico di disporre di un mezzo immediato di salvaguardia (Consiglio di Stato, IV Sez., 4 febbraio 2003, n. 562;
Consiglio di Stato, V Sez., 14 maggio 2003, n. 2590, 23 giugno 1999, n. 713, 22 marzo 1999, n. 319, 3 febbraio 2000, n. 585, 2 ottobre 2000, n. 5225;
Consiglio di Stato, sez. VI, 6 aprile 2005 n. 1573;
Consiglio di Stato, sez. V, 18 marzo 2004 n. 1425). Per quanto concerne l’onere probatorio relativo alla sussistenza degli elementi di contatto tra amministrazione ed ambiente del crimine organizzato, l’esercizio del potere di scioglimento è stato ritenuto legittimamente fondato sulla base di eventi anche di semplice pericolo, riconoscendosi decisiva rilevanza ad elementi di natura meramente indiziaria, disponendo l’autorità investigativa di un ampio margine di discrezionalità nella valutazione degli elementi acquisiti (Consiglio di Stato V Sezione 20.10.2005 n. 5878), anche prescindendo dagli esiti degli accertamenti penali aventi ad oggetto fatti e comportamenti degli amministratori (Consiglio di Stato VI Sezione 26.11.2007 n. 6040). Al riguardo, la significatività degli indizi addotti a sostegno dello scioglimento non deve collegarsi ad una finalità repressiva o sanzionatoria (Consiglio di Stato, sez. V, 3 febbraio 2000 n. 585;
Consiglio di Stato, sez. IV, 21/11/1994, n. 925) nei confronti del Sindaco o di uno specifico amministratore - non essendo in tal senso necessaria un’espressa situazione di collusione - dovendo piuttosto trattarsi di elementi che rendono verosimile la possibilità di una soggezione tout court o comunque di un sintomatico grado di permeabilità dell’ente alle logiche ed agli obiettivi del crimine organizzato (T.A.R. Campania, Napoli I Sezione 6 febbraio 2006 n. 1622), essendo quindi sufficiente, oltre alla notoria presenza sul territorio di quest’ultima, una situazione di diffuso cattivo funzionamento di alcuni settori dell’amministrazione locale sensibili agli interessi economici dei sodalizi criminali;
ulteriore condizione che legittima il ricorso alla misura dello scioglimento sussiste in presenza di sintomatiche disfunzioni nell'agire dell'amministrazione comunale, alle quali gli amministratori non hanno saputo porre argine o che non hanno avvertito adeguatamente, e dalle quali si può desumere che interessi economici privati di uomini e di imprese legati alla criminalità hanno saputo giovarsene, in via sistematica o in episodi ricorrenti (Consiglio di Stato V Sezione 23 agosto 2006 n. 4946).

Gli elementi, inoltre, devono essere intesi, non già in senso atomistico, ma valutati nel loro insieme, ossia come quadro indiziario sintomatico di un atteggiamento complessivo dell’amministrazione dell’ente locale che, per effetto di possibili contatti dall’esterno, non sia teso alla esclusiva cura degli interessi pubblici di cui lo stesso è attributario (Consiglio di Stato IV Sezione 15.6.2004 n. 4467);
per altro, il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere di scioglimento deve essere limitato alla verifica, oltre che di un idoneo e sufficiente supporto di istruttoria ed apparato motivazionale, anche di una sostanziale ragionevolezza delle valutazioni operate, diversamente potendo prospettarsi situazioni di erronea interpretazione di elementi di fatto ed allontanamento dalla funzione tipica del potere, la cui stringente applicazione rende omaggio alla salvaguardia delle libere scelte della comunità locale di riferimento.

Nel descritto panorama normativo e giurisprudenziale si deve ora collocare il nuovo dato normativo, conseguente alla novella di cui all’art. 2, comma 30 della legge 15 luglio 2009 n. 94, che, rispetto alla previgente formulazione, fa espresso riferimento all’esistenza di “concreti, univoci e rilevanti” elementi di collegamento o condizionamento con la criminalità organizzata.

Con tale specificazione il legislatore ha inteso conformare il potere istruttorio e valutativo dell’autorità statale in materia di scioglimento degli organi di governo degli enti locali, attraverso una più rigida perimetrazione degli ambiti del giudizio di apprezzamento, ora astretto dall’osservanza di canoni oggettivi di rilevanza degli elementi indiziari raccolti e ritenuti valutabili. Resta inteso che la precedente giurisprudenza citata non si pone affatto in contrasto con la nuova disposizione di cui all’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, essendo da sempre stata avvertita la necessità di delineare, sotto il profilo di una quanto più appropriata rilevazione degli elementi indiziari e della massima razionalità e proporzionalità della loro conseguente valutazione, i limiti interni dell’ampio potere in materia di scioglimento, e tanto proprio in ragione della sua particolare invasività rispetto a scelte di democrazia diretta compiute dalle collettività locali di riferimento.

Analizzando partitamente le tre caratteristiche introdotte dalla novella ed esclusa ogni possibile conformazione del potere valutativo in termini di necessaria dimensione quantitativa minima del coacervo di elementi sufficiente a sostenere validamente un giudizio di collegamento o condizionamento mafioso, ciascuna di esse esprime una qualità relazionale diretta con il bene-interesse tutelato dalla norma, così finendo per attenuare l’utile ricorso ad un ragionamento probatorio di tipo presuntivo che costituisce espressione consueta dell’esercizio del potere amministrativo di prevenzione e contrasto al fenomeno della criminalità organizzata.

In questo senso, il riferimento ad elementi “concreti” esprime la volontà del legislatore di limitare la rilevanza indiziaria ad elementi fattuali, da intendersi come vicende ed accadimenti storicamente verificatisi ed accertati, senza attribuire eccessiva rilevanza a mere congetture o ragionamento di tipo deduttivo.

La caratteristica di “univocità” fa invece riferimento ad una significatività tendenzialmente oggettiva dell’elemento indiziario, a cui deve accompagnarsi una coerenza d’insieme di tutti gli indizi raccolti, tra cui deve sussistere un rapporto di non contraddizione, armonia ed assenza di possibili interferenze interpretative.

Infine, la “rilevanza” attiene, più propriamente, al giudizio valutativo in sé ed impone al titolare del potere una particolare attenzione nel motivare la ragione dell’assunzione di un determinato elemento di fatto ad indizio di condizionamento o collegamento con la criminalità organizzata.

Passando al merito della controversia, il ricorso è fondato.

Ritiene il Collegio di esaminare i primi due gruppi di elementi indiziari considerati nella proposta ministeriale di scioglimento, in quanto gli stessi assumono un ruolo fondamentale nell’economia della decisione di procedere alla dissoluzione degli organi di governo del Comune di San Giuseppe Vesuviano.

Va premesso che la figura a cui viene riconosciuto sia in sede istruttoria prefettizia che di proposta ministeriale il ruolo di protagonista nei paventati rapporti tra amministrazione e criminalità organizzata è quella del Sindaco A A A, ritenuto un soggetto particolarmente intraprendente nel rivolgersi e mantenere contatti con personaggi di dubbia moralità, in particolare stringendo abilmente ogni sorta di alleanza per ottenere consensi ed agevolazioni elettorali, in cambio garantendo alla criminalità organizzata un certo livello di controllo e influenza decisionale in settori nevralgici dell’amministrazione comunale.

Orbene, tale assunto consente di ritenere collocati sullo sfondo vicende ed indizi interessanti altri componenti dell’amministrazione locale, che seppur richiamati nella relazione della commissione di accesso ed in quella del Prefetto di Napoli del 25 novembre 2009, restando comunque episodi isolati di portata individuale, utili, al più, a colorare un quadro indiziario fondato su ben alti sospetti di condizionamento, in aggiunta ad una notoria situazione di ampia diffusione del crimine organizzato a livello territoriale.

Il primo elemento indiziario, individuato nei rapporti tra il Sindaco ed esponenti di un clan malavitoso facente capo ad AC, appare smentito dalle conclusioni cui è pervenuto il Tribunale penale di Nola con la sentenza del 30 settembre 2009 n. 1151.

In quella decisione, il Giudice penale ha escluso l’esistenza di un’associazione camorristica – in verità, anche sotto forma di associazione a delinquere semplice – facente capo ad AC;
nel ricostruire gli elementi di fatto posti a fondamento di quella che rappresentava la principale tra le numerose imputazioni su cui era stato chiamato a pronunciarsi, il Tribunale ha ritenuto dimostrato che il progetto di tale personaggio - avente una lunga militanza nelle fila del crimine organizzato locale e che talvolta fruiva di permessi che gli consentivano di allontanarsi dal carcere per far rientro a San Giuseppe Vesuviano - di dare vita ad un’associazione di tipo camorristico era rimasto irrealizzato, essendosi costui limitato alla commissione di alcuni reati di estorsione in modo estemporaneo, avvalendosi della collaborazione di alcuni familiari e della propria condizione di ergastolano ed ex appartenente alla N.C.O.. Allo stesso modo, anche il suo parente , coimputato nel richiamato reato associativo, non è stato ritenuto affiliato ad un qualche clan camorristico, trovando i suoi rapporti con l’amministrazione comunale di San Giuseppe Vesuviano - segnatamente l’appoggio elettorale offerto al Sindaco A A A - la propria ragion d’essere in obiettivi di natura personale – in particolare, quella di essere riassunto dall’amministrazione e rifarsi di chi, a suo avviso, l’aveva mandato via, oltre che procacciarsi clienti per la sua attività di assicuratore - e non anche in un ruolo di tramite con il crimine organizzato, non essendo, del resto, il medesimo AC mai stato coinvolto in simili vicende.

Si legge poi nella sentenza che l’attività criminale posta in essere da AC si è sostanzialmente risolta in alcuni reati di estorsione di cui uno ritenuto particolarmente grave, venendo lo stesso condannato alla pena di anni venti di reclusione, anche a seguito del riconoscimento della contestata aggravante di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, conv. in l. 12 luglio 1991 n. 203, per essersi avvalso della sua condizione di ergastolano ed ex cutoliano.

Questa sentenza, emessa in epoca anteriore alla proposta di scioglimento, non è stata ritenuta ostativa alla rilevanza indiziaria del presunto collegamento tra il Sindaco e la criminalità organizzata;
anzi, nella relazione prefettizia e nella proposta ministeriale, viene colto l’unico aspetto emergente dalla decisione penale che parrebbe rafforzativo dell’idea di un possibile condizionamento mafioso, allorquando si evidenza che era stato il Sindaco A A A a cercare la collaborazione del citato parente di AC e non viceversa.

In realtà, la rilevanza della sentenza penale nell’ambito della complessiva valutazione amministrativa oggetto del presente giudizio, sottende due questioni principali;
innanzitutto, la configurabilità di una possibile efficacia vincolante di determinazioni del giudice penale precedenti o comunque già conosciute o conoscibili dall’autorità di pubblica sicurezza e quindi la necessaria dimostrazione – anche a livello indiziario – dell’esistenza di una associazione mafiosa o similare ai sensi dell’art. 416 bis c.p. come indefettibile presupposto di fatto del condizionamento.

La prima questione impone di considerare che, sebbene non esista alcun formale rapporto di pregiudizialità necessaria tra gli accertamenti compiuti in sede penale e le verifiche amministrative in materia di prevenzione antimafia, tuttavia le interferenze tra tali funzioni sono pressoché costanti, risolvendosi quasi in una prassi amministrativa delle autorità competenti in materia di pubblica sicurezza;
d’altronde, a ben vedere, sebbene con finalità diverse, il primo per la tutela anticipata dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione pubblica, il secondo con obiettivi di repressione di gravi condotte criminali, entrambi gli strumenti sono destinati, con tempi ed intensità diversi, a perseguire il medesimo fine di contrasto e lotta al crimine organizzato.

In secondo luogo, a prescindere dall’espresso rinvio operato a provvedimenti dell’autorità giudiziaria penale, non può non riconoscersi a questa un ruolo di primazia nell’accertamento del fatto, proprio perché giudice naturale dello stesso;
ne discende che, in ogni caso, ove giunta a conoscenza di un giudizio espresso dal giudice penale, l’amministrazione non può comunque prescinderne, costituendo espresso corollario del principio di imparzialità la formazione di un convincimento che nulla trascuri in vista del massimo contemperamento tra sacrificio imponibile al privato e massimizzazione dell’interesse pubblico, soprattutto in ambiti, come quello di specie dello scioglimento degli organi di governo degli enti locale, in cui forte è il conflitto tra tutela esterna del buon funzionamento della macchina amministrativa e conservazione dei risultati elettorali come espressione dello Stato democratico.

Venendo al caso di specie, rispetto alla sentenza del Tribunale di Nola – che, come visto, ha escluso in fatto l’esistenza di un clan facente capo a Cutolo Antonio, nell’istruttoria amministrativa, non vi è traccia né di ulteriori ed autonome indagini circa la possibile esistenza del predetto sodalizio, né di un diverso convincimento in ordine a tale elemento che muova dall’ovvio e presupposto motivato discostamento dalle conclusioni a cui è pervenuto il Giudice penale.

Ritiene il Collegio di esaminare anche la seconda questione, avente a oggetto la presupposta esistenza di un sodalizio criminale, con le caratteristiche strutturali e funzionali di cui all’art. 416 bis c.p., quale elemento costitutivo necessario del rapporto di condizionamento o collegamento mafioso giustificativo dello scioglimento di cui all’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267.

L’esame della questione si rileva opportuno, avendo la difesa erariale – ma non anche il provvedimento impugnato – proposto una lettura della norma tale da far rientrare nell’ipotesi di collegamento o condizionamento anche l’esistenza di un rapporto con soggetti non appartenenti ad alcun sodalizio, ma comunque in possesso di una notevole forza di intimidazione criminale.

E’ appunto il caso di AC, che sebbene ritenuto non colpevole del reato associativo contestato, comunque era stato giudicato in sede penale responsabile di plurime estorsioni, aggravate dalla circostanza di cui all’art. 7 all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, conv. in l. 12 luglio 1991 n. 203, per essersi avvalso della sua condizione di ergastolano ed ex cutoliano.

Ritiene il Collegio che la soluzione interpretativa offerta dall’Avvocatura di Stato non sia convincente.

Innanzitutto, è lo stesso primo comma dell’art. 143 che nel riferirsi a “collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare”, con tale espressione mostra di superare la rilevanza a fini dissolutori di un possibile condizionamento ascrivibile all’iniziativa del singolo o di gruppi associativi semplici, che, per quanto intensa, non può mai giungere ad assumere sul piano dimensionale la forza intimidatrice propria di un’associazione territoriale di stampo mafioso;
ne discende che solo in presenza di una situazione di grave interferenza tra amministrazione locale ed associazione mafiosa, il legislatore ritiene che si possa utilmente rinunciare alla conservazione del risultato elettorale, ritenendosi eccezionalmente prevalenti esigenze di sicurezza pubblica rispetto all’autodeterminazione politica della collettività locale.

Inoltre, ed a completamento di quanto testè rilevato, esigenze di simmetria del sistema impongono di accedere ad un’interpretazione dell’art. 143 che si riveli aderente alla natura speciale del reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p., anche in ragione del noto significato storico-giuridico che a tale norma si è soliti ascrivere. Invero, l’associazione di tipo mafioso, di cui all’art. 416 bis terzo comma c.p. – così come quelle similari a questa assimilate, ai sensi dell’art. 416 bis, ultimo comma c.p., come la camorra campana – presenta, come fenomeno criminale associativo in sè, un’autonoma e presupposta capacità di intimidazione, volta tra l’altro ad acquisire la gestione ed il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici;
ed è pertanto (solo) al pericolo costituito da tale fenomeno che la norma di cui all’art. 143 intende porre rimedio, diversamente rischiandosi di eccedere nella portata applicativa di un istituto che manifestamente si vuole porre come mezzo di contrasto al crimine organizzato, inteso come formula associativa che proprio per tale sua natura sodalitaria richiede un più severo controllo e maggiore intensità di repressione, anche a costo di sacrificare diritti di rilevanza costituzionale, come quello di elettorato.

Pertanto, pur risultando che AC ha commesso i delitti di estorsione per i quali è stato condannato avvalendosi della sua qualità di ex cutoliano ed ergastolano e quindi con l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, conv. in l. 12 luglio 1991 n. 203, ciononostante la sua condotta, così come, di conseguenza, tutti gli elementi indiziari allo stesso ricondotti come manifestazioni di un’influenza criminale sull’apparato dell’amministrazione locale – pur rivelandosi come evidenti sintomi di una politica di governo dell’ente locale e di una gestione amministrativa di certo non ispirata a criteri di efficienza e trasparenza - non si rivelano comunque idonei a sostenere la grave ipotesi di assoggettamento o condizionamento di cui all’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267.

Il secondo elemento posto a fondamento dello scioglimento è stato identificato nell’esistenza di una condizione di sensibilità di alcuni settori dell’amministrazione rispetto ad esponenti della criminalità organizzata appartenenti al clan MF, rivale storico dei cutoliani e dei loro seguaci.

Al riguardo, due sono stati gli episodi ritenuti in sede istruttoria e di proposta ministeriale idonea fonte indiziaria di siffatto collegamento, specificamente l’episodio della restituzione da parte di alcuni vigili urbani di un motorino sequestrato ad una donna che per riottenerlo si era rivolta ad un boss locale, esponente di spicco del clan, nonchè una intercettazione telefonica in cui, alla vigilia delle elezioni del 2007, un affiliato al predetto clan faceva riferimento ad una sua partecipazione ad una riunione politica in cui il Sindaco gli avrebbe fatto una “mezza promessa”, a riprova dell’esistenza di una intesa preelettorale, così come in passato ve ne erano già state.

Relativamente al primo episodio, pur volendo assumerne per certo il concreto verificarsi, così come anche intendendo superare i pur prospettati dubbi e le incertezze probatorie connesse all’avvenuta soppressione del verbale di sequestro, l’evento in sé considerato, alla luce della novella legislativa, non presenta quel necessario carattere di univocità che ora si pretende per poterlo legittimamente assumere nel coacervo degli elementi indiziari idonei a sostenere un’ipotesi di condizionamento mafioso. Invero, pur nella sua indubbia oggettiva gravità, la mancanza di univocità si ascrive all’impossibilità di superare la dimensione personale ed episodica dell’evento, non potendo lo stesso costituire dimostrazione di un diffuso e non occasionale atteggiamento di generalizzata connivenza o metus del Corpo di Polizia Municipale rispetto ad esponenti della locale criminalità organizzata. Al riguardo, la disposizione di cui all’art. 143, primo comma del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 fa riferimento anche ad una condizione di assoggettamento o condizionamento tale da compromettere il regolare funzionamento dei servizi – tra cui ovviamente figurano i compiti di sicurezza e controllo della circolazione affidati alla Polizia Municipale – ma deve trattarsi pur sempre di una generale condizione di cattiva gestione, comunque se non sistematica, almeno fortemente ricorrente in presenza di specifiche interferenze con la criminalità organizzata. Ebbene, di tanto non vi è traccia, avendo invece i ricorrenti utilmente comprovato che molti presunti affiliati al medesimo clan sono stati destinatari di verbali di infrazione al codice della strada, tutti regolarmente pagati.

Analoghe considerazioni devono essere espresse riguardo alla intercettazione telefonica del 20 maggio 2007 tra un esponente del clan ed il genero del capoclan. La conversazione faceva riferimento ad una “riunione politica” da tenersi nella villa di un boss locale a cui avrebbe dovuto partecipare A A A, che aveva fatto “una mezza promessa”.

Ebbene, nemmeno tale circostanza presenta le caratteristiche di concretezza ed univocità attualmente richieste dalla nuova formulazione dell’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267;
innanzitutto, nella relazione della commissione di accesso (pag. 45) la descrizione della conversazione non conferma della presenza dell’A alla suddetta riunione;
per quanto riguarda la “mezza promessa”, questa si risolve in un’espressione sfumata, la cui attendibilità intrinseca è anche contraddetta dalle perplessità espresse in quella stessa conversazione e dalla prospettazione della necessità di picchiare nuovamente l’A. Altra ragione di non univocità è poi da individuarsi nell’atteggiamento assunto dal citato camorrista che a pochi giorni delle elezioni, in un bar ove l’A avrebbe dovuto tenere un comizio, aveva strappato un suo manifesto, esprimendogli manifesta avversione.

Rispetto a tale quadro, l’episodio, in sé considerato, non assume significatività tale da comprovare l’esistenza di un’intesa tra organizzazione mafiosa e Sindaco, in vista delle elezioni;
d’altronde, la stessa Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, pur ricorrendone l’obbligo in considerazione della formulazione della norma di cui all’art. 416 bis c.p. - che comprende nel novero delle condotte associative l’impedimento e l’ostacolo al libero esercizio del diritto di voto, nonché il procacciamento di consensi per sé e per altri - non risulta avere assunto iniziative investigative al riguardo.

Passando al coacervo di elementi relativi all’affidamento della gestione del servizio di igiene urbana, rileva innanzitutto il Collegio che le vicende dell’affidamento alla del servizio, ritenute sintomatiche di contiguità tra criminalità organizzata, imprenditori collusi ed esponenti della locale amministrazione, non presentano il necessario carattere di concretezza, da intendersi come illegittimo esercizio del potere di gestione.

Invero, la conservazione dell’affidamento del servizio di igiene urbana, nonostante la ditta affidataria fosse stata colpita da informativa atipica, è stata giustificata dall’amministrazione locale dal pregresso annullamento da parte del giudice amministrativo di primo grado di altro provvedimento interdittivo, quest’ultimo tipico, che aveva colpito il precedente gestore del servizio di cui la nuova affidataria era stata ritenuta sostanziale prosecuzione;
d’altronde, è noto che in giurisprudenza la discrezionalità connotante il segmento di valutazione autonoma della stazione appaltante, soltanto compulsata dall’Ufficio Territoriale del Governo ad attivarsi in ordine a soggetti sospettati di connivenze mafiose, impone un giudizio di disvalore morale che nella fattispecie non avrebbe potuto essere negativamente espresso se non ponendosi in contraddizione logica e giuridica con le vincolanti statuizioni del Tribunale Amministrativo riguardo.

Allo stesso modo, la gestione temporanea del servizio affidata in epoca successiva alla revoca dell’affidamento principale del 30 novembre 2006, risulta fondata su provvedimenti cautelari di questo Tribunale (ordinanza collegiale n. 3584/2006, emessa nel giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di revoca e di quello di affidamento provvisorio fino al 15 dicembre 2006, ricorso respinto con sentenza in forma semplificata di questa Sezione 28 febbraio 2007 n. 1272), nonché giustificati sull’incertezza oggettiva della situazione, come ritenuto dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella decisione n. 6902 del 31 dicembre 2007 pronunciata all’esito dell’appello interposto dalla Servizi Ambientali Italia s.r.l. nei confronti della sentenza di primo grado di questa Sezione n. 1272 del 28 febbraio 2007;
nella citata decisione è infatti testualmente rilevato che: “6.4.1. Il comportamento del responsabile del procedimento è da ascrivere alla alterne vicende che hanno caratterizzato il verbale 12 luglio 2001 del G.I.A. presso l’U.T.G. di Napoli: in un primo tempo annullato dal Tar della Campania poi confermato da questo Consiglio. Vicende, rispetto alle quali il comportamento del responsabile del procedimento è stato consequenziale e pertanto ineccepibile. L’ammissione alla gara e l’aggiudicazione del servizio sono infatti avvenute nel periodo in cui l’informativa non spiegava alcun effetto”.

Per quanto concerne, invece, l’affidamento diretto del servizio dal 4 aprile 2007 ad una Cooperativa, va rilevato che con sentenza di questa Sezione del 3 luglio 2009 n. 3719 – avverso la quale non risulta, tra l’altro, interposto appello – l’informativa interdittiva tipica emessa nei confronti di questa società è stata annullata per profili di carenza di istruttoria e di motivazione, pure con riferimento alla circostanza – anche qui rilevata - della sospetta provenienza dei mezzi strumentali;
dell’intera vicenda, resta, pertanto, la sola illegittimità dell’affidamento diretto, scelta che costituisce senz’altro riprova di una gestione amministrativa inefficiente, senza che si possa ritenere anche raggiunto un sufficiente quadro indiziario circa l’esistenza di una strategia criminale di controllo sul servizio di igiene urbana.

Venendo al quarto gruppo di elementi relativo alla scarsa attività di contrasto dell’amministrazione di San Giuseppe Vesuviano al fenomeno dell’abusivismo edilizio, rileva il Collegio che, ai fini dello scioglimento degli organi di governo ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, non possono assumere rilevanza indizi e comportamenti che, siccome non ancorati al soddisfacimento di specifici e dimostrati interessi di locali consorterie criminali, si risolvono soltanto in una cattiva gestione della funzione. Ne discende che resta generico e quindi privo di sufficiente significatività indiziaria l’assunto, contenuto sia nella proposta ministeriale che nella relazione prefettizia, relativo alla scarsa attenzione serbata dagli organi di gestione in ordine al controllo del territorio ed alla conseguente doverosa repressione degli illeciti urbanistici;
allo stesso modo, apodittica risulta la suggestione di ritardi ed irregolarità imputabili agli organi di governo dell’ente nell’adozione del PUC e del PUA, in quanto volta a favorire interessi della criminalità organizzata locale;
in entrambi i casi, infatti, la mancata allegazione di concreti elementi indiziari a riscontro del supposto favoritismo, impone al Collegio di ritenere tali comportamenti dell’amministrazione locale solo alla stregua di fatti generatori di responsabilità per cattiva gestione del potere pubblico.

Indiscutibile significatività indiziaria è da riconoscere invece all’atteggiamento assunto dall’amministrazione locale in relazione ai due immobili – riconducibili a familiari di esponenti di rilievo del clan MF - interessati da fenomeni di abusivismo rilevati dalla commissione di accesso;
allo stesso modo, desta sospetto, con riferimento al settore commercio, la vicenda del rilascio di autorizzazioni all’attività di bar e ristorante in favore di una società il cui titolare è nipote di un imprenditore ritenuto affiliato al clan MF, provvedimenti adottati in assenza del requisito di sorvegliabilità dei locali da accertarsi a cura della P.S. e successivamente ritirati, per poi essere di nuovo rilasciati in conformità alle procedure previste.

Tuttavia, rispetto al coacervo di elementi indiziari richiamati nella relazione del Prefetto di Napoli ed ancor più nella proposta ministeriale, siffatti indizi non appaiono di per sé sufficienti alla conservazione dell’impugnato decreto di scioglimento;
ciò, anche perchè la loro rilevanza indiziaria appare fondarsi, più che sulla concreta dimostrazione di un’effettiva azione di personaggi contigui alla malavita organizzata locale per evitare controlli e sanzioni, su una generale situazione di metus riconducibile agli stessi, conseguenza di quella forza intimidatrice presupposta che connota la struttura associativa di cui all’art. 416 bis c.p.;
in questi casi, finisce per operare un meccanismo probatorio di tipo presuntivo che, lungi dal legittimarsi come criterio autonomo e determinante della decisione amministrativa finale, si rivela, al più, idoneo a rafforzare un complesso di elementi indiziari, fondato sui caratteri di concretezza, univocità e rilevanza di cui alla nuova formulazione dell’istituto di cui all’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267.

Del resto, essendo la determinazione finale di scioglimento espressione di una valutazione globale avente ad oggetto un complesso articolato di elementi indiziari, ciascuno recante uno specifico contributo alla scelta finale, il giudizio di permanenza di validità da parte del giudice in caso di caducazione di alcuni di essi, pena un’inammissibile funzione sostitutiva, non può spingersi oltre i noti confini di ragionevolezza e proporzionalità, propri del sindacato di legalità sostanziale.

Dalle considerazioni espresse discende l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dei provvedimenti impugnati, con assorbimento di ogni ulteriore censura.

In ragione della complessità delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali.

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