TAR Roma, sez. III, sentenza 2017-10-09, n. 201710129

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2017-10-09, n. 201710129
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201710129
Data del deposito : 9 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/10/2017

N. 10129/2017 REG.PROV.COLL.

N. 14861/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14861 del 2016, proposto dai signori:
E P, F G e P B, rappresentati e difesi dagli avvocati E F, S F e F L, con domicilio eletto presso lo studio Studio Legale Leone - Fell &
Associati in Roma, via Lungotevere Marzio 3;

contro

Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, Universita' degli Studi di Verona, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Cineca non costituito in giudizio;
Universita' degli Studi di Padova, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Marika Sala, Roberto Toniolo e Sabrina Visentin e domiciliata ex art. 25 cpa presso la Segreteria della III sezione del Tar del Lazio in Roma, via Flaminia, 189;

nei confronti di

Monica Miruna Ur non costituita in giudizio;

per l'annullamento

del diniego ammissione ai corsi di laurea in medicina e chirurgia e odontoiatria e protesi dentaria per l'a.a 2016/2017 - risarcimento danni;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, nonché degli Atenei di Padova e di Verona;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2017 la dott.ssa Gabriella De Michele e uditi, per le parti ricorrenti, l'Avv. E. Fabbris, per il MIUR e l'Università degli Studi di Verona l’Avvocato dello Stato Orsola Biagini nella chiamata preliminare e l'Avvocato dello Stato Di Leo nella discussione;
per l'Università degli Studi di Padova l’avv. M. Sala.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con ricorso, notificato alle diverse parti intimate fra il 29 novembre e il primo dicembre 2016, i signori E P, F G e P B – partecipanti alle prove selettive per l’accesso alla facoltà di Medicina, Chirurgia, Odontoiatria e protesi dentaria per l’anno accademico 2016/2017 – hanno contestato l’intera procedura espletata ed il relativo esito (per i medesimi negativo), in base alle ragioni difensive di seguito sintetizzate:

1) Violazione o falsa applicazione dell’art. 2 del d.m. 30 giugno 2016, n. 546 e dei principi di legge e regolamento in materia di svolgimento di prove concorsuali e di selezione dei concorrenti;
eccesso di potere per disparità di trattamento e ingiustizia manifesta, nonché per violazione dei canoni di congruità, adeguatezza, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa, in quanto alcuni dei sessanta quesiti, sottoposti ai candidati nelle prove di cui trattasi, sono risultati “ identici – non solo nella struttura logico/formale, ma talora pure nella formulazione testuale – a quelli contenuti in alcuni eserciziari, precedentemente editi da enti privati, che organizzano appunto corsi di preparazione ai test di accesso ai corsi universitari a numero chiuso ”. Qualora gli attuali ricorrenti non avessero subito tale ingiusta discriminazione, rispetto ai partecipanti ai corsi a pagamento in questione, il loro punteggio sarebbe stato presumibilmente più alto, con conseguente richiesta di annullamento in parte qua della graduatoria;

2) Violazione sotto altro profilo degli articoli 3, 33, 34 e 37 della Costituzione;
violazione o falsa applicazione della direttiva 93/16/CEE;
violazione o falsa applicazione della legge n. 264 del 1999 e del d.m. n. 546 del 2016;
eccesso di potere per illogicità manifesta, violazione delle regole del giusto procedimento, nonché dei principi costituzionali di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione;
eccesso di potere per disparità di trattamento e illogicità manifesta, per l’erronea formulazione di molte domande o per erronea individuazione delle soluzioni esatte dei quesiti, con conseguente alterazione dell’intera graduatoria, anche per la situazione di incertezza che ne avrebbe rallentato l’espletamento. Si segnalavano in particolare, sotto tale profilo, i quesiti nn. 33 e 49, con relazioni tecniche di analisi al riguardo,

3) Ancora violazione delle norme costituzionali, della legge e del d.m. sopra indicati ed eccesso di potere sotto vari profili, non essendo stato reso noto l’iter seguito dalla Commissione di esperti per la validazione dei quesiti, con riserva di ulteriori contestazioni, una volta ottenuto l’accesso alla relativa documentazione;

4) Violazione o falsa applicazione degli articoli 1 della legge n. 910 del 1969 e 4 della legge n. 264 del 1999, nonché degli articoli 3, 4, 9 e 34 della Costituzione e dell’art. 53 della legge n. 234 del 2012, oltre che dell’art. 6, quarto comma, lettera d) della legge n. 88 del 2009, in materia di adesione dell’Italia alla normativa e alle politiche dell’Unione Europea;
violazione dei principi comunitari di proporzionalità, non discriminazione, libertà di circolazione delle persone e libertà di stabilimento dei professionisti, con richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte Costituzionale o alla Corte di Giustizia, non potendo essere precluso l’accesso ad un percorso universitario, o quanto meno non potendo essere adottata una troppo rigida programmazione numerica. Il contenuto delle prove di ammissione non avrebbe riguardato inoltre – come prescritto dall’art. 4 della legge n. 268 del 1999 – elementi di “ cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore e di accertamento della predisposizione per le discipline, oggetto dei cors i”, essendo state predisposte solo due domande di cultura generale e ben 58 quesiti inerenti problemi di logica, nonché di matematica, chimica, fisica e biologia ad alta complessità, con particolare penalizzazione degli studenti provenienti dal liceo classico (più portati, ad esempio, a comprendere le radici semantiche del linguaggio scientifico, basate sul greco sul latino). La disciplina nazionale sull’accesso alla facoltà di Medicina, inoltre, sarebbe in contrasto con i ricordati principi comunitari, tenuto conto della spendibilità del titolo di medico all’interno dell’Unione Europea e della discriminazione riconducibile alla possibilità per gli studenti più facoltosi di compiere i propri studi (in tutto o in parte) in altri Paesi dell’Unione, peraltro con arricchimento di questi ultimi;

5) Ancora violazione delle norme e dei principi costituzionali in precedenza indicati ed eccesso di potere sotto vari profili, in quanto i quesiti proposti sarebbero stati attinenti ai programmi degli studi universitari e quindi su conoscenze da acquisire durante il corso di laurea e non nel percorso formativo già compiuto, senza alcuna indicazione dei testi sui quali basare la preparazione;

6) Violazione delle medesime norme costituzionali, di legge e comunitarie sotto altro profilo, nonché dell’art. 6 ter del d.lgs. n. 502 del 1992;
violazione di norme e principi in materia di rilevazione del fabbisogno di professionalità (Tavolo Tecnico per la definizione dei posti disponibili – Accordo formale Conferenza per i rapporti tra Stato, Regioni e Province Autonome), eccesso di potere, contraddittorietà e illogicità;
violazione della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006, relativa al mercato interno dei servizi (direttiva Bolkestein), essendo stato previsto un numero di posti inferiore, rispetto all’effettiva capacità formativa degli Atenei, per erroneità dell’attività istruttoria espletata;
uguale erroneità, inoltre, inficerebbe l’individuazione del fabbisogno delle professionalità in questione, anche perché non commisurato al più ampio contesto comunitario, potendo l’attività essere svolta in qualsiasi Paese dell’Unione;

7) Violazione di legge ed eccesso di potere, con riferimento a disposizioni e principi già in precedenza sottolineati, con particolare riferimento al quesito n. 16, sottoposto ai concorrenti e successivamente neutralizzato (con attribuzione di uguale punteggio a tutti), in quanto si sarebbe rivelata erronea la risposta “A”, originariamente individuata come corretta, mentre unica soluzione possibile sarebbe stata quella sub “D”, con conseguente alterazione della graduatoria finale, che dovrebbe essere riformulata in base a tale – in ipotesi – sicura individuazione della risposta realmente corretta;

8) Ancora violazione di norme, sia costituzionali che di legge, nonché del d.m. n. 546 del 2016 ed eccesso di potere sotto vari profili per violazione del principio di anonimato, in quanto il modulo delle risposte riportava prestampati, sotto l’intitolazione e in calce, il codice a barre e il codice alfanumerico del plico da cui erano stati estratti, quest’ultimo (codice alfanumerico) “ facilmente annotabile dal candidato o dal commissario”.

Si sono costituiti il Ministero dell’Istruzione e – quale sede di prima scelta dei ricorrenti – l’Università degli Studi di Padova, quest’ultima chiedendo la propria estromissione dal giudizio, essendo stata espletata l’intera procedura, finalizzata alla formazione di una graduatoria unica nazionale, dall’Amministrazione centrale, con meri atti esecutivi posti in essere dall’Ateneo. Il citato Ministero – Dipartimento per la Formazione Superiore e per la Ricerca ha successivamente depositato, anche in ottemperanza ad ordinanza collegiale istruttoria n. 946/17 del 22 febbraio 2017 – emessa in sede cautelare – puntuale documentazione sui fatti contestati. Sulla base di tale documentazione, con ordinanza cautelare n. 2304/17 in data 11 maggio 2017 l’istanza di ammissione con riserva dei ricorrenti al corso di laurea è stata respinta, con ordine di integrazione del contraddittorio e fissazione dell’udienza pubblica per la trattazione del merito alla data odierna.

Detta integrazione è stata effettuata nei modi e nei termini previsti.

Con ulteriori memorie, infine, l’Amministrazione ha eccepito l’inammissibilità del gravame, in quanto il ricorrente P B avrebbe rinunciato all’immatricolazione per mancata conferma di interesse ad eventuali futuri scorrimenti, mentre i ricorrenti E P e F G – con un punteggio pari, rispettivamente, a 60,6 e 60,2 – non si sarebbero trovati in posizione tale da superare la prova di resistenza, consistente nella documentata possibilità di essere collocati, a seguito delle censure prospettate, in posizione utile per l’immatricolazione. Quest’ultima infatti, nel mese di febbraio 2017, risultava corrispondente al posto n. 11.752 nella graduatoria nazionale, mentre i medesimi ricorrenti occupavano, nell’ordine, le posizioni nn. 12.344 e 12.758 nella medesima graduatoria. Detti ricorrenti, a loro volta, replicavano ribadendo le proprie argomentazioni difensive, aggiungendo, sul sesto motivo di censura, non solo la possibilità di un incremento dei posti disponibili, ma anche la necessità che detto incremento fosse effettuato tramite utilizzazione dei posti riservati agli studenti extracomunitari, rimasti scoperti per l’anno accademico 2016/2017.

DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio investe l’effettuazione delle prove selettive, previste dalla legge 2 agosto 1999, n. 264 (Norme in materia di accesso ai corsi universitari ) per l’immatricolazione alle Facoltà di Medicina, Chirurgia, Odontoiatria e Protesi dentaria, nonché dal d.m. 30 giugno 2016, n. 546 (Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato nazionale a.a. 2016/2017 ).

Nell’impugnativa sono contenute contestazioni, riferite sia alla previsione stessa del cosiddetto “ numero chiuso ” per l’accesso all’Università, sia censure specificamente indirizzate ad invalidare dette prove, come effettuate per l’accesso alle Facoltà in questione nell’anno accademico 2016/2017.

A tale riguardo, non mancano anomalie nella graduazione delle censure da parte dei ricorrenti, potendo in effetti questi ultimi – in applicazione del principio dispositivo, che informa il processo avverso gli atti dell’Amministrazione – anteporre le ragioni finalizzate ad un aumento di punteggio, utile per il proprio inserimento in graduatoria, alle censure demolitorie dell’intera procedura, finalizzate a generalizzata ammissione di tutti gli aspiranti, o quanto meno alla reiterazione delle prove, dopo l’annullamento di quelle, che si ritenessero illegittimamente espletate. Nel caso di specie, tuttavia, sia le questioni pregiudiziali (implicanti rinvio alla Corte Costituzionale o alla Corte di Giustizia U.E.), sia quelle invalidanti dell’intera procedura (violazione del principio di anonimato, test non originali o non pertinenti, che avrebbero penalizzato in modo particolare i concorrenti provenienti dal liceo classico) risultano – contraddittoriamente – finalizzate all’immatricolazione con riserva dei medesimi ricorrenti, anche in soprannumero, con utile inserimento in una graduatoria, di cui si postula l’annullamento. Non si chiede l’anticipata trattazione, invece, delle censure (nn. 2 e 7) implicanti integrale rimodulazione, ma non anche annullamento della graduatoria stessa. Nel caso di specie, comunque, l’istanza cautelare è stata respinta, senza ulteriore pronuncia al riguardo del giudice di appello e non debbono, quindi, essere approfonditi i profili di abuso del processo, riscontrabili nella richiesta di un beneficio maggiore (immatricolazione) rispetto a quello conseguente all’accoglimento del ricorso nel merito (annullamento dell’intera procedura, nonchè relativa reiterazione, fatta salva l’ipotesi di totale soppressione del numero chiuso), non potendo non ravvisarsi anche in questo caso, come in altri esaminati dalla giurisprudenza, un esercizio improprio del potere discrezionale della parte di scegliere le più convenienti strategie di difesa, sul piano sia funzionale che modale (cfr. al riguardo, per il principio, Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2015, n. 4432;
Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 2012, n. 1209 e 21 dicembre 2016, n. 5403).

Il Collegio non ignora che alcune richieste sono rapportate a pronunce del giudice amministrativo, che, dopo l’ammissione con riserva di numerosi ricorrenti al corso di laurea di cui trattasi, ha talvolta ritenuto sufficiente il superamento dei primi esami per dichiarare l’improcedibilità dell’impugnativa, o addirittura la cessazione della materia del contendere, con sostanziale vanificazione delle disposizioni legislative di riferimento (se è vero, come in numerosi scritti difensivi attestato, che negli scorsi anni si è arrivati ad un numero di ammissioni con riserva superiore a 7.000 unità, su poco più di 9.000 posti disponibili complessivi, anche a seguito di ricorsi collettivi di soggetti, con punteggi non dichiarati o ben lontani dal consentire il superamento della prova di resistenza).

Il Collegio non condivide tale orientamento, riconducibile non certo a indirizzi giurisprudenziali consolidati, ma al tentativo di risolvere di volta in volta situazioni contingenti, legate alla discrasia temporale fra giudizio cautelare e giudizio di merito. Premesso quanto sopra – e ritenuto dunque necessario attenersi al rito processuale, che impone integrità del contraddittorio in presenza di censure invalidanti dell’intera procedura, in presenza di soggetti utilmente collocati nella graduatoria di merito di cui si chiede l’annullamento (e, pertanto, formalmente controinteressati) – il Collegio, dopo avere disposto la chiamata in giudizio di questi ultimi, ritiene di dover procedere all’esame dei motivi di gravame prospettati in ordine logico, anteponendo le questioni di rito e pregiudiziali a quelle di merito, con successiva disamina delle censure demolitorie dell’intera procedura (implicanti il relativo azzeramento, nonché la successiva reiterazione), con finale disamina di quelle – di cui non è stata richiesta dagli interessati l’anticipata trattazione – finalizzate al riconoscimento di un miglior punteggio, a fini di utile inserimento nella graduatoria di merito (cfr. in tal senso Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 358 e 10 febbraio 2015, n. 713;
Cons. Stato, Ad. Plen. 7 aprile 2011, n. 4).

In via preliminare, quindi, deve essere dichiarata l’improcedibilità dell’impugnativa per quanto riguarda il ricorrente P B – poiché depennato dalla graduatoria per omessa conferma di interesse al relativo scorrimento (e ormai immatricolato all’esito di ulteriori prove, come comunicato dalla difesa dello stesso nell’udienza in data odierna) – mentre non sembra al Collegio di poter accogliere l’istanza di estromissione dell’Università di Padova, quale sede in cui si sono svolte le prove di esame contestate, con funzioni non irrilevanti della medesima Università per la regolarità della procedura di cui trattasi, benché in mera attuazione di disposizioni ministeriali (sorveglianza e controllo nello svolgimento delle prove stesse, predisposizione dei plichi sigillati contenenti i moduli delle risposte e conservazione del materiale non trasmesso al CINECA: schede anagrafiche, fogli contenenti i quesiti e foglio di controllo del plico, con successiva ricomposizione e conservazione dello stesso per cinque anni).

Sotto il profilo pregiudiziale inoltre (costituzionalità e conformità al diritto comunitario), il medesimo Collegio non può non rilevare che la questione sollevata è già stata oggetto di pronunce della Corte Costituzionale, della Corte di Giustizia U.E. e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi (cfr. Corte Cost., 11 dicembre 2013, n. 302 in tema di graduatoria unica nazionale, ormai sussistente;
ordinanza 20 luglio 2007, n. 307, nonchè sentenze 27 novembre 1998, n. 383 sulla previgente legge n. 341 del 1990, come modificata con legge n. 127 del 1997, ma sulla base di principi speculari a quelli, deducibili in rapporto alla legge n. 264 del 1999;
Corte di Giustizia, III sezione, 12 giugno 1986 – B c. Regione Lazio, ricorsi nn. 98, 162 e 258/85 e 13 aprile 2010, causa C – 73/08;
CEDU, 2 aprile 2013 – ricorsi 25851/09, 29284/09, 64090/09 – T e altri c. Italia).

Sul piano della costituzionalità, in primo luogo, la questione proposta appare manifestamente infondata, in quanto il diritto allo studio, alla formazione culturale e alla libertà delle scelte professionali, tutelati dagli articoli 2, 4, 33 e 34 della Costituzione, non escludono limiti – necessariamente di rango legislativo – all’autonomia universitaria, in funzione dell’esigenza, riconosciuta anche in ambito comunitario, di standard di formazione minimi, a garanzia del possesso effettivo delle conoscenze necessarie per l’esercizio di determinate attività professionali, come quelle in ambito sanitario di cui si discute. Non può, dunque, non riconoscersi la necessità di conformare l’accesso alle Facoltà di Medicina alla congruità del rapporto fra numero di studenti e idoneità delle strutture, sotto il profilo non solo della didattica, ma anche della disponibilità di laboratori e della possibilità di avviare adeguate esperienze cliniche, nonché di accedere alle specializzazioni. Non ultima infine (ferma restando la priorità delle esigenze sopra indicate) è la finalità di assicurare – anche in considerazione della libera circolazione di professionisti in ambito U.E. – la possibilità di adeguati sbocchi lavorativi, da commisurare al fabbisogno nazionale, sul presupposto che vi sia un potenziale bilanciamento fra medici formati in altri Paesi dell’Unione, operanti in Italia e medici italiani trasferiti in ambito comunitario. Anche la Corte di Giustizia – pur escludendo la sussistenza di un obbligo, a livello comunitario, di limitare il numero di studenti ammessi alle facoltà di Medicina – ha riconosciuto la facoltà dei singoli Stati di adottare le misure più opportune, per garantire i predetti, adeguati livelli di formazione, al fine di tutelare lo standard qualitativo della sanità pubblica. Parimenti, la CEDU ha affermato che “ in linea di principio, la limitazione dell’accesso agli studi universitari non è incompatibile con l’art. 2 del Protocollo n. 1, tenendo presenti le risorse disponibili e il fine di ottenere alti livelli di professionalità…..Pertanto, l’applicazione del numero chiuso non può violare la citata norma se è ragionevole e nell’interesse generale della società. La materia ricade nell’ampio margine di apprezzamento dello Stato ”. (cfr. sentenze sopra citate, nonché TAR Lazio, Roma, sez. III, 21 ottobre 2005, n. 9269).

Nella parte in cui sollevano in via generale questioni di costituzionalità e di pregiudiziale comunitaria – e fatto salvo il più analitico esame, di seguito affrontato, dei singoli argomenti spesi, quali censure invalidanti della specifica procedura posta in essere nel caso di specie – sono dunque da respingere il secondo, il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo di gravame.

Quanto al primo motivo, deve essere invece affrontata una questione diversa, emersa nella sessione d’esame per l’immatricolazione nell’anno accademico 2016/2017, ovvero la presenza nel test somministrato di quesiti, identici a quelli contenuti in alcuni testi comunemente in commercio, per la preparazione agli esami di cui trattasi. Come già ritenuto dalla sezione in molte pronunce, emesse in sede cautelare, tale argomentazione, benché in effetti documentata, non appare invalidante dell’intera procedura, anche se potrebbe essere considerata dall’Amministrazione come inadempienza del CINECA, in rapporto agli obblighi assunti: obblighi che si riferivano, appunto, alla elaborazione di quesiti di volta in volta nuovi, non recepiti dai manuali di cui trattasi (questi ultimi forse redatti, a loro volta, con riferimento a prove somministrate negli anni precedenti).

Non è comunque possibile determinare quali candidati siano stati avvantaggiati dalla circostanza sopra indicata, né quanto l’avere avuto accesso ai manuali in questione abbia facilitato la prova, fermo restando che non possono considerarsi vizianti la ricerca di canali di preparazione, a disposizione di qualunque soggetto interessato, né lo studio approfondito dei testi disponibili, tutti più o meno noti agli aspiranti studenti di medicina. Quanto sopra non esclude che, in una prospettiva di maggiore trasparenza, la stessa Amministrazione potrebbe suggerire testi di preparazione, ma, allo stato degli atti, la censura prospettata appare priva di fondatezza.

Il secondo motivo di gravame appare, invece, inammissibile, nella parte in cui prospetta genericamente “ l’inconferenza dell’oggetto e del contenuto di molte domande della prova….e al fatto che il Ministero ha individuato erroneamente le soluzioni” . A fronte della presenza di una qualificata Commissione di esperti, incaricati della validazione dei quesiti, non appaiono condivisibili contestazioni dal contenuto del tutto indeterminato, in ordine a valutazioni che debbono ritenersi espressione di discrezionalità tecnica, insindacabile nel merito, salvo oggettiva erroneità in fatto o palese incongruità. Di vera e propria erroneità, in effetti, si parla solo per i quesiti nn. 33 e 49, sulla base di relazioni tecniche allegate: solo in rapporto a queste ultime, pertanto, potrebbe in astratto configurarsi un ulteriore accertamento, circa il carattere realmente oggettivo e non opinabile di erroneità della risposta, ritenuta corretta dall’Amministrazione. Nel caso di specie, tuttavia, la censura resta inammissibile, non essendo stata nemmeno affrontata la questione della prova di resistenza, circa la risposta effettiva fornita dai ricorrenti, che potrebbero trovarsi, sul punto, anche in conflitto di interessi fra loro.

Ugualmente inammissibile risulta il terzo ordine di censure, nella parte in cui si prospetta che il Ministero debba dare “ documentato conto ” delle scelte operate e validate dalla Commissione di esperti, i cui criteri di apprezzamento – evidentemente legati alle professionalità specifiche possedute – non dovevano essere portate necessariamente a conoscenza dei candidati, fatta salva la valutazione di pertinenza dei singoli quesiti e di esattezza delle risposte, su cui ogni interessato poteva richiedere un oggettivo riscontro, se decisivo per la propria collocazione in graduatoria in posizione utile. Quanto sopra, in conformità a quella che si definisce “ prova di resistenza ”, quale diretta espressione dell’interesse a ricorrere, in vista dell’utilità concreta perseguita.

La non congruità dei quesiti proposti, in effetti, risulta oggetto della quarta e della quinta censura, in cui partimenti si contesta l’estraneità dei quesiti stessi ai programmi della scuola superiore, con particolare penalizzazione degli studenti, provenienti dal liceo classico;
emergerebbe, inoltre, un’eccessiva difficoltà dei quesiti proposti, poiché riferiti a nozioni di livello universitario e a carattere spiccatamente scientifico. L’art. 4, comma 1, della legge n. 264 del 1999 prevede in effetti, in via molto generale, il “ superamento di apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore e di accertamento della predisposizione per le discipline, oggetto dei corsi ”;
l’art. 2 del d.m. n. 546 del 2016, a sua volta, in attuazione della legge dispone che la prova di ammissione consista nella “ soluzione di sessanta quesiti che presentano cinque opzioni di risposta, fra cui il candidato deve individuarne una soltanto, scartando le conclusioni errate, arbitrarie o meno probabili, su argomenti di cultura generale e ragionamento logico, biologia, chimica, fisica e matematica ”, con precisazione delle rispettive percentuali e con riferimento alla “ preparazione promossa dalle istituzioni scolastiche che organizzano attività educative e didattiche coerenti con i programmi ministeriali …”. Su tale base non appare prescritto che le conoscenze richieste fossero oggetto specifico di apprendimento nei programmi dei vari corsi liceali, risultando sufficiente la riconducibilità delle stesse al livello di formazione, che detti corsi debbono risultare idonei a garantire. La difficoltà dei quesiti, peraltro, non può non essere rapportata alla necessità di forte selezione, imposta dal divario fra il numero delle domande (sembra circa 70.000) e quello dei posti disponibili (poco più di 9.000), in conformità alla ratio del c.d. “ numero chiuso ” per l’accesso a Facoltà che – come appunto Medicina e Chirurgia, nei termini già in precedenza sottolineati – debbono garantire la maturazione di professionalità adeguate, da commisurare alle capacità formative degli Atenei ed alle esigenze della società, in cui i professionisti in questione saranno chiamati ad operare. Tutte le valutazioni, da effettuare al riguardo, possono essere criticate sul piano politico e programmatico, ma risultano innegabilmente connesse ad un apprezzamento discrezionale, la cui logica non appare intaccabile sotto i profili dedotti. In particolare, per quanto qui interessa, si deve ricordare che il punteggio minimo – pari a 20 – richiesto per l’idoneità, è stato raggiunto da un altissimo numero di candidati, che peraltro le Università non risultano in grado di assorbire, tanto che i punteggi minimi per l’immatricolazione superano, nella maggior parte dei casi, la quota di 60 punti. Mentre dunque, da una parte, molte considerazioni potrebbero essere condivise, per il miglioramento di un sistema necessitato, ma non certo ottimale (con valutazione della percentuale di abbandono dei corsi dopo l’immatricolazione, del fabbisogno di medici a livello più ampio, della bassa percentuale di laureati a livello nazionale, in parallelo all’esigenza di assicurare la massima possibile tutela del diritto allo studio, attraverso il rafforzamento delle strutture universitarie), in sede di giudizio di legittimità – e per quanto qui interessa – non possono ravvisarsi deviazioni, rispetto alla normativa di riferimento, né palese incongruità delle scelte, discrezionalmente effettuate dall’Amministrazione in base alle risorse attualmente disponibili, anche per quanto riguarda il grado di difficoltà della selezione posta in essere. Apodittica e indimostrata, infine, risulta l’affermata penalizzazione degli studenti, provenienti dal liceo classico, né comunque può ritenersi incongruo l’approfondimento di temi di natura scientifica, certamente più attinenti al corso di studi prescelto.

Anche la quarta e la quinta censura, pertanto, debbono essere respinte.

In parte inammissibile per genericità e in parte da respingere risulta poi il sesto motivo di gravame, riferito all’istruttoria compiuta dall’Amministrazione per l’individuazione dei posti disponibili. Tale istruttoria – complessa e articolata, con costituzione di un apposito tavolo tecnico e in accordo con la Conferenza per i rapporti fra Stato, Regioni e Province autonome – rientra infatti in un’attività di programmazione, in rapporto alla quale sono attribuiti all’Amministrazione ampi poteri discrezionali, non sindacabili per mera e indimostrata affermazione di presunta maggiore capacità formativa degli Atenei, che emergerebbe anche a seguito delle migliaia di immatricolazioni con riserva, ottenute in via giudiziale in anni precedenti. Quanto sopra, in assenza di qualsiasi reale riscontro, in merito alle difficoltà organizzative affrontate, in tale contesto, dagli Atenei e ai livelli di formazione conseguenti. E’ già stato in precedenza illustrato, inoltre, il carattere secondario e comunque non illegittimo del criterio, rapportato alla capacità di assorbimento nel mercato del lavoro, a livello nazionale, delle professionalità in questione (cfr. anche, al riguardo, la citata sentenza CEDU del 2 aprile 2013).

Con l’ottavo motivo di gravame – che si esamina prima del settimo perché, a differenza di questo, invalidante dell’intera procedura (e non inammissibile come il secondo) – si prospetta violazione del principio di anonimato. A tale riguardo, l’Amministrazione ha fornito descrizione delle operazioni, attraverso cui l’Università di riferimento e il CINECA (incaricato di attribuire i punteggi ai moduli di risposta, mentre schede anagrafiche, moduli di domanda e fogli di controllo dei plichi restavano in possesso dell’Ateneo) hanno svolto le operazioni di chiusura e riapertura dei plichi sigillati, con adeguata pubblicità delle singole fasi. Sui moduli di risposta, tuttavia, compaiono due codici alfanumerici: uno sottostante a quello a barre, era contenuto nell’etichetta, applicata dagli stessi candidati al foglio risposte e alla scheda anagrafica dopo l’espletamento della prova, al momento della consegna;
l’altro – già presente sulla scheda – risultava destinato a consentire la riformazione del plico, da attribuire ai singoli concorrenti dopo l’abbinamento con la scheda anagrafica. Entrambi detti codici – o in particolare il primo, connesso alla scheda anagrafica identificativa del concorrente – potendo essere trascritti o memorizzati avrebbero sostanzialmente vanificato, secondo le parti ricorrenti, il carattere apparentemente anonimo dei moduli di risposta. Quanto sopra, in corrispondenza dell’astratta possibilità di comunicazione del codice stesso, da parte del concorrente interessato, ad uno o più addetti alle fasi di raccolta e controllo dei moduli in questione, e/o di verifica di esattezza delle risposte fornite. Tale non preclusa possibilità, secondo i medesimi ricorrenti, vizierebbe di per sé l’intera procedura. Il Collegio ha valutato attentamente le argomentazioni, al riguardo spese, anche nella pubblica udienza in data odierna, tenuto conto di alcune carenze documentali che permangono, nonostante l’accoglimento di svariate istanze di accesso, con ulteriore emanazione di ordinanze istruttorie di questo Tribunale, cui sono state fornite risposte non del tutto esaustive. Pur risultando auspicabile, nell’interesse pubblico, una maggiore collaborazione della parte resistente, tuttavia, il Collegio non ravvisa adeguati presupposti per l’annullamento dell’intera procedura sotto il profilo in esame. Non solo, infatti, manca qualsiasi principio di prova su intervenute manipolazioni, che avrebbero rilevanza anche penale, ma le garanzie procedurali previste sembrano escluderne la reale possibilità, nei limiti delle verifiche affidate a questo giudice, in tema di legittimità delle procedure amministrative. Non può essere trascurata infatti, in primo luogo, la differente configurazione del principio di anonimato nelle prove scritte di un concorso, richiedente la stesura di elaborati originali e nella verifica di prove a quiz con risposte predeterminate, potendo il favoritismo, nei confronti di un candidato noto, esprimersi nel primo caso con un giudizio discrezionale insindacabile nel merito (con accresciuta necessità di escludere “ a priori ” ogni possibile riconoscimento), mentre nel secondo l’esito – oggettivamente verificabile anche “ ex post ” – potrebbe essere alterato solo attraverso vere e proprie falsificazioni, di cui non si ha alcun riscontro nel caso di specie. Per la tipologia di prove concorsuali di cui si discute, pertanto, la mera, “ astratta configurabilità ” di violazione del principio di anonimato potrebbe ritenersi invalidante (cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. Plen., 20 novembre 2013, nn. 26, 27 e 28), con riferimento, però, non solo alla teorica possibilità di attribuire singole schede ai relativi compilatori, ma anche alla concorrente, oggettiva possibilità di manipolazione delle schede stesse, nel corso della procedura prevista, non potendo il principio di anonimato – benché rispondente ad un’astratta “ illegittimità da pericolo ” – restare avulso dalle finalità (tutela dell’imparzialità del giudizio e della par condicio dei concorrenti), cui lo stesso è preordinato e, dunque, dalla concreta fattibilità di interventi manipolativi dei risultati.

La stessa giurisprudenza sopra richiamata esclude che si debba dimostrare l’effettiva violazione del principio di imparzialità nel caso concreto, ma riconosce che il vizio di procedura è ravvisabile solo in presenza di violazione “ non irrilevante ” del principio di cui trattasi: appare innegabile, d’altra parte, che la rilevanza in questione debba rapportarsi anche alle concrete modalità procedurali previste (ben diverse da quelle attuali, all’epoca delle pronunce sopra citate). Nella situazione in esame dette modalità – implicanti raccolta e successiva correzione, attraverso lettore ottico, di migliaia di moduli (per i quali il codice alfanumerico, affiancato al codice a barre, costituisce presumibilmente misura di sicurezza, in vista del successivo abbinamento con le schede anagrafiche) – sono state predisposte, ad avviso del Collegio, con il massimo delle possibili garanzie dal d.m. n. 546 del 2016: schede anagrafiche e moduli di risposta dovevano essere depositati infatti – al termine delle prove e in presenza dei commissari di esame – in appositi contenitori, che successivamente sono stati separatamente chiusi, sigillati e controfirmati (anche da concorrenti estratti a sorte);
i plichi contenenti i moduli di risposta poi – previa verifica della relativa integrità – sono stati consegnati al CINECA, che ne ha effettuato la correzione in modo automatico, tramite lettore ottico, in base alle risposte prestabilite da ritenere esatte, alla presenza del responsabile del procedimento o di un delegato dello stesso per ciascuna Università (all. 1, punto 12). Non si vede in che modo, risultando le schede disponibili, materialmente, solo in fasi procedurali pubbliche, singoli soggetti avrebbero potuto effettuare la ricerca, la sottrazione e l’alterazione o sostituzione di alcune di esse. In tale contesto, il Collegio ritiene di poter respingere il motivo di gravame in questione, senza ulteriori integrazioni istruttorie, risultando comunque non configurabile una generalizzata, grave penalizzazione di tutti i concorrenti, solo in corrispondenza di verbalizzazioni non puntualmente analitiche (ma comunque sussistenti) per ogni singola fase, di cui si attesta la conformità alle direttive ministeriali.

Resta da esaminare la settima censura, riferita – sotto il profilo sia della violazione di legge che dell’eccesso di potere – all’intervenuta neutralizzazione del quesito n. 16, che prevedeva originariamente come risposta esatta, nel modulo di riferimento dell’Amministrazione (a cui si rapportavano le schede predisposte dai singoli Atenei, anche con diverso posizionamento delle possibili risposte) quella contrassegnata con la lettera “A”. Successivamente, tuttavia, tale risposta suscitava contestazioni, ritenute fondate dalla medesima Amministrazione: quest’ultima disponeva quindi la neutralizzazione del quesito, assegnando per lo stesso uguale punteggio di 1,5 a tutti i concorrenti e senza individuare alcuna diversa opzione, da ritenere corretta. Tale scelta sarebbe stata erronea, in presenza di altra risposta – contrassegnata con la lettera “D” – resa esatta dalla riconosciuta erroneità di quella originariamente indicata, in quanto espressa nei seguenti termini: ” Nessuna delle altre alternative è corretta ”.

Nella logica – apparentemente ineccepibile – di tali considerazioni, l’intera graduatoria dovrebbe essere modificata, lasciando il punteggio di + 1,5 solo a chi avesse contrassegnato l’opzione “D”, nonché assegnando 0 punti per ogni risposta non data e punteggio negativo (- 0,4) per chi avesse scelto le risposte sub “A”, “B”, “C” ed “E”.

Il Collegio non ignora che tale orientamento è stato più volte espresso per altri ricorsi, in sede di appello, nella fase cautelare, ma si tratta di posizione che il Collegio ritiene suscettibile di rimeditazione, alla luce delle informazioni successivamente acquisite in via istruttoria, anche attraverso specifico parere tecnico, espresso in data 19 aprile 2017 dal gruppo di esperti appartenenti al tavolo di validazione.

La domanda in questione, infatti, era riferita ad un determinato accrescimento del peso corporeo della popolazione italiana negli ultimi 20 anni, con precisazione della percentuale di accrescimento fra Centro-Nord e Meridione: accrescimento che, nel Centro-Nord, risultava percentualmente doppio. La deduzione originariamente ritenuta corretta – e poi posta in dubbio – era espressa nei seguenti termini: “ I cittadini del Centro-Nord sono più numerosi dei cittadini del Meridione ”. Tale risposta – ove richiedente l’esatta determinazione della frazione di popolazione italiana, residente nel Centro-Nord (con puntuale rilevazione del relativo carattere maggioritario) – non sarebbe stata possibile, per mancata precisazione, nella domanda, del rapporto tra il peso medio della popolazione del Centro-Nord e quello degli abitanti nel Meridione. Come rilevato dagli esperti, tuttavia, alla mancata possibilità di un esatto riscontro logico-matematico, si contrapponeva un altro dato, a sua volta percepibile sul piano logico: ad un accrescimento percentuale doppio della popolazione del Centro Nord, infatti, non poteva che corrispondere, nel medesimo periodo, o una più numerosa presenza di cittadini in tale area (risposta sub “A”), o un peso medio originario degli abitanti del Meridione, pari alla metà di quello degli abitanti del

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