TAR Catania, sez. IV, sentenza 2019-05-20, n. 201901193
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 20/05/2019
N. 01193/2019 REG.PROV.COLL.
N. 01137/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1137 del 2017, proposto da -O-, rappresentato e difeso dall’avvocato M C, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via Dalmazia n. 57;
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso cui è domiciliato in Catania, via Vecchia Ognina n. 149;
per l’annullamento
della nota prot. n. 93069/2016 D.D.A./Area 1^ Ter del 18 gennaio 2017, notificata il 3 maggio 2017 del prefetto della Provincia di Catania con la quale “ si fa divieto nei confronti del Sig. -O-, sopra generalizzato, di detenere tutte le armi e munizioni di cui è comunque proprietario. Lo stesso dovrà provvedere alla vendita o cessione delle armi e delle munizioni delle quali fosse in possesso a persona non convivente legittimata ad acquistarle ed a detenerle, entro il termine di 150 giorni dalla data di notifica del presente decreto. Trascorso tale termine di procederà ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 6 l. 22/5/1975 n. 152 sulla tutela dell’ordine pubblico ”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e di Ufficio Territoriale del Governo Catania e di Questura Catania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 aprile 2019 il dott. Giovanni Iannini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con sentenza n. 255/2008 del 4 dicembre 2008 il Tribunale di -O-, Sezione distaccata di -O-, ha condannato il dott. -O-, all’epoca -O-, alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, per i seguenti reati: art. 479 (falso ideologico) anche in relazione all’art. 476 (falso materiale), secondo comma, c.p.;art. 479 (falso ideologico) anche in relazione all’art. 476 (falso materiale), secondo comma, c.p.;art. 606 (arresto illegale) c.p.;art. 368 (calunnia), 61, n. 9, c.p., commessi in data 16 dicembre 2006 in Bagnacavallo.
La sentenza è stata confermata dalla Corte d’Appello di Bologna. Il ricorso per cassazione è stato rigettato.
Il dott. -O-, con provvedimento del 4 marzo 2015, è stato sospeso dalla qualifica.
Con provvedimento del 30 dicembre 2015 il Capo della Polizia ha disposto l’applicazione della sanzione della sospensione dal servizio per mesi due.
Con provvedimento del 18 gennaio 2017, preceduto da comunicazione di avvio del procedimento, il Prefetto della Provincia di Catania ha imposto al dott. -O- il divieto di detenere tutte le armi e munizioni di cui è comunque proprietario, prevedendo l’obbligo dello stesso di vendere o cedere le armi e le munizioni delle quali sia in possesso a persona non convivente legittimata ad acquistarle ed a detenerle.
Avverso tale atto ha proposto ricorso il dott. -O-, deducendo:
1) Violazione e falsa interpretazione dell’art. 73 del R.D. n. 635 del 1940 in relazione agli articoli 11, 39 e 43 del r. d. n. 773 del 1931;eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti e contraddittorietà con precedente provvedimento.
Il divieto sarebbe contrario alle norme indicate, oltre che illogico e incongruo, in considerazione del fatto che il dott. -O-, in possesso della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, autorizzato a portare armi senza licenza, sarebbe stato reintegrato in servizio il 5 settembre 2018.
2) Violazione degli artt. 11, 39 e 43 del T.U. n. 773 del 1931, in relazione agli artt. 3 e 21 quinquies della l. 241/1990: difetto di motivazione;eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti, contraddittorietà con precedente provvedimento.
Non ricorrerebbero i presupposti previsti dalle norme di cui agli artt. 11, 39 e 43 del T.U. n. 773 del 1931 ai fini dell’imposizione del divieto di detenzione di armi e munizioni. Il provvedimento sarebbe privo di congrua motivazione.
3) Violazione degli artt. 7 e ss. della legge n. 241/1990 e del principio del giusto procedimento.
Il rispetto delle norme in materia di partecipazione procedimentale sarebbe stato solo formale, considerato il fatto che il dott. -O- è stato messo nelle condizioni di formulare le proprie osservazioni solo dopo che è stato consentito l’accesso agli atti, in data successiva alla formalizzazione del provvedimento interdittivo.
Il ricorrente dott. -O- ha concluso richiedendo che sia disposto l’annullamento del provvedimento, con vittoria di spese.
Si è costituito il Ministero dell’Interno, resistendo al ricorso.
Il ricorrente ha rinunciato ma una prima istanza cautelare.
Con ordinanza collegiale n. 1085 del 25 maggio 2018, emessa in sede di trattazione di nuova istanza cautelare, è stata disposta l’acquisizione dalla Questura di Catania di documentata relazione riguardo alle circostanze evidenziate dal ricorrente, cui sarebbe stata consegnata l’arma di ordinanza ma non quella di sua proprietà, che sarebbe ancora sottoposta a sequestro.
La Questura ha inviato quanto richiesto.
Il ricorrente ha rinunciato alla nuova istanza cautelare.
Con memoria prodotta in data 9 marzo 2019 il ricorrente ha rilevato che il Prefetto della Provincia di Catania, con provvedimento notificato al ricorrente il 25 giugno 2018, ha disposto la revoca del provvedimento di divieto di detenzione armi e munizione, a seguito della comunicazione dell’intervenuta riammissione in servizio del dott. -O- a decorrere dall’1 maggio 2018 e della richiesta della Questura di rivalutazione della posizione dello stesso ai fini della restituzione dell’arma marca -O-.
In considerazione di ciò, il ricorrente ha chiesto che sia disposta la cessazione della materia del contendere e ha chiesto la condanna del Ministero alla rifusione della spese del giudizio, anche in considerazione del fatto che il provvedimento che dispone la restituzione dell’arma evidenzierebbe l’illegittimità del provvedimento originariamente impugnato, che aveva disposto la cessione di armi e munizioni e la demolizione da parte dell’amministrazione per l’omessa cessione da parte del proprietario odierno ricorrente.
Alla pubblica udienza del 18 aprile 2019 la causa è stata assegnata in decisione.
Il Collegio rileva che non ricorrono gli estremi per la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, che, a norma dell’art. 34, quinto comma, c.p.a., può essere pronunciata solo allorché la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta.
Nel caso di specie non risulta tale piena soddisfazione, in quanto il provvedimento di revoca è stato emesso unicamente in considerazione di un fatto sopravvenuto, quale la riammissione in servizio del ricorrente e, quindi, del venire meno dei presupposti per il mantenimento del divieto, avuto riguardo alla qualità di ufficiale di polizia giudiziaria del ricorrente.
Non essendo stato indicato un interesse ai fini risarcitori (art. 34, terzo comma, c.p.a.), l’emissione del provvedimento determina, invece, l’improcedibilità del ricorso per carenza di interesse alla decisione, atteso che il ricorrente non potrebbe trarre alcun vantaggio concreto da un’eventuale decisione di accoglimento del ricorso.
In considerazione di quanto sopra evidenziato, riguardo al fatto che la revoca è stata disposta per un fatto sopravvenuto, le spese del giudizio devono essere compensate fra le parti.