TAR Bari, sez. I, sentenza 2020-11-26, n. 202001510

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. I, sentenza 2020-11-26, n. 202001510
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 202001510
Data del deposito : 26 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/11/2020

N. 01510/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00464/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 464 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato T D G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Salvatore Stella in Bari, via Crisanzio, n.48;

contro

Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca;
Ufficio Scolastico Territoriale per la provincia di Bari - Ufficio III, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale di Bari, domiciliataria ex lege in Bari, via Melo, 97;

Usr - Ufficio Scolastico Regionale per Puglia non costituito in giudizio;

per l'ottemperanza

alla sentenza del Tribunale di Bari, Sez. Lav., -OMISSIS-del 14.6.2018, passata in giudicato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca e dell’Ufficio Scolastico Territoriale per la provincia di Bari - Ufficio III;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente proposto l’odierna ricorrente ha adito questo Tribunale per ottenere l’ottemperanza integrale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca alla sentenza emessa dal GOT presso il Tribunale di Bari, sezione lavoro,-OMISSIS-del 14.6.2018.

Segnatamente, la sentenza in questione – riguardante un ricorso collettivo avente ad oggetto la domanda di riqualificazione dei contratti a termine conferiti oltre i trentasei mesi ed il riconoscimento del conseguente risarcimento del danno in favore dei ricorrenti, insegnanti di religione cattolica, per inadempimento contrattuale – ha così statuito: “1) dichiara la inammissibilità della domanda di conversione;
2) accoglie la domanda risarcitoria dei ricorrenti con contratti a termine stipulati con la Amministrazione resistente che hanno superato il tetto dei trentasei mesi e, per l'effetto, condanna il Ministero resistente al pagamento nei loro confronti, a titolo di risarcimento del danno derivante dall'espletamento di attività lavorativa in violazione di disposizioni imperative, dell'importo in linea capitale pari ad euro 250,00 per ogni mese relativo al periodo di occupazione con contratti termine e con decorrenza dalla data del superamento del termine di trentasei mesi, oltre accessori come in motivazione;
3) rigetta ogni altra domanda;
4) condanna la parte convenuta alla rifusione in favore della parte ricorrente della metà delle spese di lite, che liquida per tale metà in curo 5.061,88, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore dei procuratori antistatari;
6) compensa tra le parti la restante metà delle spese di lite”.

Tale sentenza non risulta essere stata impugnata ed è passata in giudicato.

La ricorrente ha soggiunto che, in data 23.12.2019, ha notificato all’Ufficio scolastico per la Puglia, con sede a Bari, nonché al Ministero (24.12.2019) l’atto di precetto con cui “ha quantificato la somma risarcitoria, secondo i criteri indicati in sentenza, per un importo, omnibus, di € 49.376,50, di cui € 48.916,68 a titolo di risarcimento del danno ed € 459,62 a titolo di spese di precetto” (cfr. pag. 2);
tale precetto non è stato opposto, così – in tesi- cristallizzando, in base al principio di non contestazione, la correttezza delle somme richieste.

In data 25.3.2020 la Banca d’Italia, con vaglia cambiario non trasferibile, risulta aver rimesso alla ricorrente la minor somma di €. 27.922,50, che quest’ultima ha trattenuto sebbene a titolo di acconto.

In sostanza, l’Amministrazione avrebbe “diversamente quantificato il risarcimento del danno” e non avrebbe riconosciuto la somma pari alla differenza tra la somma complessiva chiesta in precetto e quella liquidata dal menzionato vaglia cambiario.

La liquidazione di tale ulteriore somma, dunque, costituirebbe l’oggetto richiesta ottemperanza alla pronuncia del GOT presso il Tribunale di Bari (comprensiva, dunque, anche delle spese di precetto).

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (24.5.2020), il quale ha depositato una relazione nella quale ha evidenziato che “il ricorso è stato depositato in data 22.08.2011 e, in applicazione della statuita prescrizione decennale, il conteggio degli anni utili ai fini del risarcimento danno è stato calcolato dalla data del 1.9.2001 alla data del 31.5.2018 tenuto conto che la Sentenza è stata pubblicata in data 14.06.2018 (dies ad quem)”. Ha, poi, soggiunto che il risarcimento del danno, liquidato con vaglia cambiari intestati ai singoli ricorrenti, è stato riconosciuto al netto della ritenuta IRPEF, trattandosi di crediti connessi a un rapporto di lavoro;
e che, infine, il pagamento degli interessi legali e rivalutazione monetaria, trattandosi di somme gravanti su un diverso capitolo di bilancio, sarebbe in corso di quantificazione per una successiva liquidazione.

Il Ministero, prima dell’udienza camerale fissata per la discussione, ha depositato documentazione comprovante l’avvenuto pagamento di €.4.310,26 a titolo di interessi legali e rivalutazione;
nonché delle spese legali per il precetto (avvenuto con diverso e ulteriore mandato di pagamento).

La ricorrente, con memoria del 30.7.2020 ha insistito nelle proprie richieste, contestando la legittimità della applicata ritenuta IRPEF.

All’udienza in camera di consiglio dell’11.11.2020, svoltasi con modalità da remoto, fissata su rinvio di quella del 23.9.2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto, nei sensi di seguito precisati.

Le parti dibattono sulla assoggettabilità a tassazione (separata) delle somme liquidate a titolo risarcitorio dal G.L., nella sentenza di cui si chiede l’ottemperanza discettando se la somma complessiva ottenuta a titolo risarcitorio vada liquidata e corrisposta al lavoratore al lordo ovvero debba essere assoggettata a tassazione.

La questione, pur attingendo profili inerenti la fiscalità (per cui potrebbe predicarsi la giurisdizione del Giudice Tributario ovvero di quello Ordinario, laddove involga il rapporto tra sostituto d’imposta e lavoratore dipendente), rientra nella giurisdizione di questo Tar, poiché relativa allo specifico profilo della corretta esecuzione della sentenza per la cui ottemperanza si agisce, così venendo in rilievo un aspetto che rientra nei poteri cognitori del G.A. ex artt. 112 e ss. cpa.

Sul punto il Collegio osserva che:

a) nella sentenza si è dato atto che “per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro, in caso di sequenza di contratti) il lavoratore ha diritto ad essere retribuito ed ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità (v. Cass.-OMISSIS-/2016)”;

b) si è, pure, evidenziato che “il danno da precarizzazione si sostanzia in un danno da perdita di chance derivante dal fatto di aver lavorato in modo illegittimo” e che “sulla base della valutazione assolutamente condivisibile della circostanza che si tratta di danni da mancato lavoro (…) non può, in via analogica, ritenersi applicabile una disposizione normativa che disciplina un'altra ipotesi di risarcimento del danno emergente derivante dalla perdita del lavoro”;

c) si è, pertanto, concluso che “il danno da perdita di chance può essere determinato in forma equitativa in una percentuale delle retribuzioni irrimediabilmente perse e che il lavoratore avrebbe percepito se fosse stato assunto stabilmente nel periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro a termine”;

d) la determinazione di carattere equitativo è stata computata in una “somma pari ad Euro 250,00 per ogni mese relativo al periodo di occupazione con contratti a termine, partendo dall'esame dell'importo del trattamento retributivo che sarebbe spettato all'istante se fosse risultato vincitore del concorso per un posto di lavoro a tempo indeterminato”.

Sulla base di tali statuizioni non può, allora, che ritenersi congrua l’applicazione di una tassazione parametrata sul profilo retributivo (ai sensi del combinato disposto degli artt. 6, 2° comma, e 51 T.U.I.R.), perché gli elementi sopraindicati evidenziano che il danno liquidato, essendo sostitutivo e reintegrativo delle potenziali retribuzioni irrimediabilmente perse, ne partecipa la stessa natura.

D’altro canto, diversamente opinando si giungerebbe alla irragionevole conclusione secondo cui il danno da perdita retributiva sarebbe soggetto a tassazione, mentre il danno da perdita retributiva solo potenziale (caratterizzato dalla necessità di ristorare una posizione giuridica – la chance- meno consolidata e certa), godrebbe di un trattamento fiscale di maggior favore.

Deve, quindi, concludersi che le somme effettivamente corrisposte dall’Amministrazione integrino corretta attuazione del giudicato, sul punto risultando irrilevante la quantificazione operata nel precetto (dalla cui mancata opposizione la difesa della ricorrente desume la irretrattabilità delle somme), in quanto la questione della tassazione attiene profilo ulteriore e successivo rispetto alla liquidazione.

Resta, nondimeno, fermo che su tali somme debbano essere applicati gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, trattandosi di un debito di valore. Ma, sul punto, risulta che in data 26.6.2020 è stato emesso, a favore della ricorrente, un secondo vaglia cambiario, sicchè anche sotto tale profilo, la sentenza è stata correttamente eseguita.

In conclusione, il ricorso va respinto.

La novità e complessità dei profili esaminati giustifica la compensazione delle spese processuali.

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