TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2010-08-11, n. 201030620

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2010-08-11, n. 201030620
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201030620
Data del deposito : 11 agosto 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02912/2007 REG.RIC.

N. 30620/2010 REG.SEN.

N. 02912/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 2912 del 2007, proposto da:
M R, rappresentato e difeso dall'avv. G R, con domicilio eletto presso Antonio Cardarelli in Roma, via A. Brofferio, 3;

contro

Il Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali, n.c.
Il Comune di Frasca, n.c.;

per l'annullamento

del decreto del Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per il Lazio emesso il 3/8/06, notificato alla ricorrente il 31/7/07, con il quale è stato annullato il provvedimento n. 95 dell’11/5/06 del Comune di Frascati con cui era stato rilasciato il parere favorevole ai sensi dell’art. 32 della L. 47/85 e art. 39 della L. 724/94 sulla richiesta di concessione in sanatoria avanzata dalla ricorrente per la realizzazione di un immobile ad uso residenziale nel Comune di Frascati, Via Torre dello Stinco n. 16, distinto al Catasto al F. 2, part. n. 619.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2010 la dott. S S e udito per la parte ricorrente l’Avv. G R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente ha presentato in data 31/3/87 domanda di sanatoria per un piccolo fabbricato ad uso abitativo (mq. 43,00 circa) realizzato nel Comune di Frascati, Via Torre dello Stinco n. 16, distinto in Catasto al F.2, part. 619.

Il manufatto ricade in area sottoposta a vincolo paesaggistico.

Con istanza del 5/4/95 la ricorrente ha chiesto al Comune di Frascati il rilascio del parere di cui all’art. 32 della L. 47/85.

Con provvedimento n. 95 dell’11/5/06, il Comune di Frascati ha espresso parere favorevole, ma detto atto è stato annullato con provvedimento della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio del 3/8/06.

Avverso detto provvedimento la ricorrente deduce i seguenti motivi di impugnazione:

Violazione e falsa applicazione degli artt. 32 L. n. 47/85;
146 e 159 del D.Lgs. n. 42/04;
D.M. 2/4/54 e DM. 7/9/62. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza ed illogicità della motivazione.

Deduce la ricorrente che l’annullamento sarebbe stato disposto per motivi di merito e non di legittimità.

L’Amministrazione Comunale avrebbe chiarito le ragioni per le quali avrebbe reso il parere favorevole, essendo l’ampliamento realizzato prima dell’entrata in vigore del P.T.P.;
il provvedimento comunale sarebbe pertanto adeguatamente motivato.

Eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione e disparità di trattamento.

Il lotto di terreno sul quale è stato edificato il manufatto confina con il territorio del Comune di Roma, zona edificabile secondo il P.R.G., e per il resto confina con terreni sui quali sono stati realizzati altri manufatti abusivi, tutti condonati, per i quali la Soprintendenza non ha mai esercitato il potere di annullamento.

Ritiene quindi la ricorrente che l’alterazione dei tratti caratteristici della località protetta non potrebbe derivare dalla sanatoria del suo piccolo fabbricato, e che il provvedimento impugnato sarebbe viziato per disparità di trattamento.

Insiste quindi per l’accoglimento del ricorso.

Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il Comune di Frascati, benché ritualmente intimati, non si sono costituiti in giudizio.

Con memoria depositata il giorno 11 maggio 2010, la ricorrente ha meglio precisato le proprie tesi difensive.

All’udienza pubblica del 25 maggio 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in esame la ricorrente ha impugnato il provvedimento della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio del 3/8/06, con il quale è stato annullato il provvedimento del Comune di Frascati n. 95 dell’11/5/06, con cui era stato reso parere favorevole, ai sensi dell’art. 32 della L. 47/85 e dell’art. 39 della L. 714/94, sulla domanda di sanatoria presentata con riferimento all’intervento abusivo realizzato sull’immobile di proprietà della ricorrente e sito nel Comune di Frascati, Via Torre dello Stinco, distinto in catasto al foglio 2, part. 619, sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi del D.M. 2/4/54 e del D.M. 7/9/62.

La zona nella quale ricade il fabbricato è classificata dal P.T.P. ambito n. 9 come Zona FR/3 – Zone agricole con rilevante valore paesistico ambientale.

Nel P.R.G.C. vigente l’area sulla quale insiste il fabbricato ricade in zona agricola.

Nel disporre l’annullamento del provvedimento comunale, la Soprintendenza ha rilevato:

- che l’intervento è stato realizzato su un lotto destinato dalla normativa paesaggistica a Zona agricola e che l’intervento non è conforme neppure alla disciplina urbanistica, che conferma la medesima destinazione agricola;

- che il manufatto residenziale, realizzato su un lotto di superficie limitata, comporta l’irreversibile modificazione della destinazione vocazionale dell’area, contribuendo alla sua antropizzazione, con definitiva perdita dei caratteri agricoli;

- che il provvedimento comunale è viziato per omesso esame del piano territoriale paesistico e per non conformità con le relative prescrizioni, e che l’autorizzazione rilasciata comporta la modifica del provvedimento di vincolo imposto sull’area con i D.M. 2/4/54 e 7/9/62, e che quindi il provvedimento comunale è viziato da eccesso di potere per carenza di motivazione e da violazione di legge.

Con il primo motivo di ricorso deduce la ricorrente che il provvedimento sarebbe viziato in quanto adottato per ragioni di merito e non di legittimità, avendo il Comune indicato le ragioni per le quali sarebbe stato rilasciato il nulla osta paesaggistico “….Le opere abusive si ritengono assentibili e l’ampliamento risulta realizzato antecedentemente all’adozione del vigente P.T.P….”.

La Soprintendenza non avrebbe contestato la logicità di tale motivazione, ma si sarebbe limitata a riscontrare un difetto di motivazione che in realtà non sussisterebbe.

Con il secondo motivo la ricorrente contesta l’assunto della Soprintendenza secondo cui l’intervento ove sanato comporterebbe l’alterazione dei tratti caratteristici della località protetta, in quanto il proprio manufatto sarebbe di piccola dimensione, ricadrebbe in zona limitrofa a zona edificata e nei lotti confinanti sarebbero stati sanati tutti gli interventi abusivi.

Deduce quindi il vizio di disparità di trattamento.

Ritiene il Collegio di dover preventivamente richiamare i principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza in materia di annullamento di nulla osta paesaggistici.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, il potere ministeriale di annullamento del nulla osta ambientale è circoscritto ai vizi di sola legittimità: il potere di annullamento dell’Amministrazione statale non comporta un riesame complessivo, e la Sovrintendenza non può sovrapporre o sostituire il proprio apprezzamento di merito, alle valutazioni discrezionali compiute in sede di rilascio del nulla osta da parte dell'ente locale. Il riesame dell’Amministrazione, infatti, è meramente estrinseco, ed è diretto all’accertamento dell'assenza di vizi di legittimità comprendenti quello di eccesso di potere nelle diverse forme sintomatiche.

In altre parole, l’Amministrazione non può rinnovare il giudizio tecnico discrezionale sulla compatibilità paesaggistico-ambientale dell'intervento, che appartiene in via esclusiva all'Autorità preposta alla tutela del vincolo (cfr. ex multis, Tar Liguria, Sez. I, 13 febbraio 2004, n. 160;
idem, 2 aprile 2004, n. 329;
Tar Lazio, Roma, Sez. II, 16 maggio 2005, n. 3840;
Tar Campania, Napoli, Sez. II, 28 febbraio 2006, n. 2486;
Cons. Stato, Sez. VI, 29 ottobre 2004, n. 7046;
idem, 24 gennaio 2006, n. 207, a cui va aggiunta anche la pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Cons. Stato dec. 14 dicembre 2001, n. 9).

Come ha rilevato l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione 14/12/01 n. 9, il potere esercitato dall’Amministrazione Statale sull’autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’autorità regionale, va definita in termine di “cogestione dei valori paesistici”, essendo l’autorità locale deputata alla valutazione della compatibilità paesistica dell’intervento ed il potere di intervento dell’Autorità Statale è limitato al solo controllo di legittimità che può comportare l’annullamento dell’atto per tutti i vizi di legittimità, ivi compresi quelli relativi a tutte le figure di eccesso di potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta).

L’Amministrazione statale deve pertanto limitarsi a verificare dall'esterno la coerenza, la logicità e la completezza istruttoria dell'iter procedimentale seguito dall'Amministrazione emanante, controllando se la motivazione espressa nel rendere il giudizio positivo sia sufficiente.

Nel contempo in considerazione della tendenziale irreversibilità dell'alterazione dello stato dei luoghi, un'adeguata gestione dei vincoli paesistici impone che l'autorizzazione paesistica rilasciata dall’autorità comunale sia congruamente motivata, esponendo le ragioni di effettiva compatibilità degli abusi realizzati con gli specifici valori paesistici dei luoghi, con la conseguenza che il difetto di motivazione dell'autorizzazione giustifica per ciò solo il suo annullamento in sede di controllo (Cons. Stato., Sez. V n. 4552/2005;
Sez. VI, 8 agosto 2000, n. 4345;
Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 460;
Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734;
Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 460;
Sez. VI, 20 giugno 1997, n. 952;
Sez. VI, 30 dicembre 1995, n. 1415;
Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 771).

La giurisprudenza ha poi precisato che (cfr. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 20 del 22.7.1999, e tra le tante, Cons.St., VI, 9.9.2005 n. 4662;
id., 16.3.2005 n. 1094;
16.2.2005 n. 492;
id., 22.8.2003 n. 4765), in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, l’obbligo di acquisire il parere da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo previsto dall’art. 32 della legge 28.2.1985 n. 47, sussiste anche per le opere realizzate anteriormente all’imposizione del vincolo stesso. A tale conclusione l’Adunanza Plenaria è pervenuta nella considerazione che “in mancanza di indicazioni univoche desumibili dal dato normativo” alla questione di cui sopra non può che darsi una soluzione “alla stregua dei principi generali in materia di azione amministrativa, tenuto conto della valenza attribuita dall’ordinamento agli interessi coinvolti nell’applicazione della disposizione legislativa di cui si tratta” e, conseguentemente, “la Pubblica Amministrazione, sulla quale incombe più pressante l’obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone”.

Ne consegue che, anche in caso di vincolo sopravvenuto, l’Amministrazione è tenuta a valutare la compatibilità del manufatto con le prescrizioni contenute nel provvedimento di vincolo anche se non ancora esistenti al momento della realizzazione dell’intervento abusivo.

Il giudizio di compatibilità, infatti, viene reso tenendo conto dalla disciplina normativa vigente al momento della pronuncia e non prendendo in considerazione la sola disciplina esistente al momento della realizzazione dell’abuso;
la disposizione di portata generale di cui all'art. 32, primo comma, della legge 47 del 1985 relativa ai vincoli che appongono limiti all'edificazione, non reca, infatti, alcuna deroga al principio di legalità che impone l'esplicazione della funzione amministrativa secondo la norma vigente al tempo in cui la funzione si esplica ("tempus regit actum").

Pertanto nella considerazione che, in mancanza di una deroga espressa, la compatibilità dell'intervento edilizio da sanare deve essere effettuata con riguardo alla disciplina urbanistica vigente al momento in cui il parere deve essere reso, in quanto prima l'immobile non aveva giuridica esistenza, l'art. 32, primo comma, della legge 47 del 1985 deve interpretarsi "nel senso che l'obbligo di pronuncia da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione all’esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo. E appare altresì evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l'attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente" (cfr. Cons di Stato, Sez. V, 22 dicembre 1994 n. 1574).

(così testualmente T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia 25/7/05 n. 785).

Alla stregua di dette considerazioni generali, devono essere esaminate le censure proposte con i motivi di impugnazione.

Ritiene innanzitutto il Collegio che il decreto impugnato rappresenti un atto di esercizio del potere di annullamento del parere comunale per motivi di legittimità, e non per ragioni di merito, atteso che l’annullamento è stato disposto per omesso esame del P.T.P., e per carenza di motivazione.

Il riferimento contenuto nella motivazione del provvedimento statale alle caratteristiche del contesto ambientale nel quale è inserito il manufatto, alle ridotte dimensioni del lotto, assolvono, infatti, alla sola funzione di descrivere i luoghi nei quali il fabbricato abusivo è collocato, ma non implicano una diretta valutazione sulla compatibilità del manufatto con il contesto vincolato.

Entrambi i rilievi della Soprintendenza trovano riscontro negli atti: il Comune ha chiaramente rilasciato il parere favorevole sul presupposto che “l’ampliamento risulta realizzato antecedentemente all’adozione del vigente P.T.P.”, e dunque per questo motivo non ha preso in considerazione la specifica normativa del piano territoriale.

L’omesso esame del P.T.P. costituisce di per sé motivo di illegittimità dell’atto alla stregua dei principi in precedenza richiamati.

La Soprintendenza, poi, ha poi rilevato il difetto di motivazione del provvedimento comunale, in quanto dalla sua lettura non è possibile comprendere le ragioni per le quali sia stato reso il parere di compatibilità dell’intervento con il contesto paesistico vincolato, tenuto conto che il fabbricato è collocato in zona agricola con rilevante interesse paesistico ambientale.

Quest'ultimo vizio, peraltro, è stato ritenuto dalla giurisprudenza, con riferimento ai provvedimenti in esame, come particolarmente grave e di per sé sufficiente a giustificare l'annullamento del nulla osta comunale: in considerazione della tendenziale irreversibilità dell'alterazione dello stato dei luoghi, un'adeguata gestione dei vincoli paesistici impone che l'autorizzazione paesistica sia congruamente motivata, esponendo le ragioni di effettiva compatibilità degli abusi realizzati con gli specifici valori paesistici dei luoghi, con la conseguenza che il difetto di motivazione dell'autorizzazione giustifica per ciò solo il suo annullamento in sede di controllo (Cons. st., Sez. V n. 4552/2005;
Sez. VI, 8 agosto 2000, n. 4345;
Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 460;
Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734;
Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 460;
Sez. VI, 20 giugno 1997, n. 952;
Sez. VI, 30 dicembre 1995, n. 1415;
Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 771).

Effettivamente il provvedimento comunale risulta del tutto sfornito di motivazione, essendosi il Comune di Frascati limitato a dichiarare che “le opere abusive si ritengono assentibili” senza chiarire per quale ragione, e a precisare che “l’ampliamento risulta realizzato antecedentemente all’adozione del vigente P.T.P.”, elemento questo che non comporta l’irrilevanza della disciplina recata dalla pianificazione paesistica.

Ne consegue l’infondatezza del primo motivo di impugnazione.

Con il secondo motivo lamenta la ricorrente il vizio di contraddittorietà e di disparità di trattamento, in quanto sostiene che il proprio fabbricato sarebbe limitrofo ad altri, per i quali la Sovrintendenza non avrebbe esercitato il potere di annullamento, ed il Comune avrebbe rilasciato la concessione in sanatoria.

La censura è infondata.

Al riguardo va ricordato che, come affermato da costante giurisprudenza, l'illegittimità per disparità di trattamento in materia di diniego del nulla osta di cui all'art. 7 della legge n. 1497/1939 è configurabile solo in casi macroscopici e presuppone un'assoluta identità delle situazioni (cfr. Cons.St., V, 10.2.2000 n. 726), nella specie non dimostrata, tenuto conto che delle due concessioni in sanatoria richiamate non risultano riportate le descrizioni e le dimensioni dell’area di sedime.

In conclusione, per i suesposti motivi il ricorso deve essere respinto perché infondato, facendo comunque salvo il potere dell’Amministrazione comunale di riesaminare l’istanza della ricorrente alla stregua della disciplina recata dal P.T.P.

Quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi