TAR Roma, sez. II, sentenza 2023-06-21, n. 202310519

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. II, sentenza 2023-06-21, n. 202310519
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202310519
Data del deposito : 21 giugno 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/06/2023

N. 10519/2023 REG.PROV.COLL.

N. 13155/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13155 del 2022, proposto da
Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica del Comune di Roma – A.T.E.R. di Roma – (già Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Roma – I.A.C.P. di Roma), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati D C, M C e M M, con domicilio digitale in atti;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato G P, con domicilio digitale in atti;

per l'accertamento

- dell’illegittimità del silenzio serbato da Roma Capitale in relazione all’atto stragiudiziale di diffida e messa in mora ritualmente notificato in data 25 ottobre 2021, volto a porre rimedio all’avvenuta occupazione sine titulo da parte di Roma Capitale dell’area di proprietà della ricorrente sita nel comune di Roma, via di Monte Cucco/Via del Trullo (identificata catastalmente al foglio 777 particelle n. 41 e 505) e ad emettere idoneo provvedimento amministrativo sanante;

- dell’obbligo di provvedere in relazione alla stessa istanza mediante emissione di un provvedimento espresso volto ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2023 la dott.ssa Eleonora Monica e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

L’A.T.E.R. espone di essere proprietaria di un’area sita in Roma, località “Trullo”, compresa tra via di Monte Cucco e via del Trullo, distinta in catasto alla partita 16381, foglio n. 777, particelle nn. 41 e 505 669, occupata dal Comune di Roma (oggi Roma Capitale), in totale assenza di qualunque atto e/o provvedimento amministrativo anche di esproprio e/o dichiarativo della pubblica utilità e ad oggi tutt’ora illecitamente occupata nonché irreversibilmente trasformata a mezzo di destinazione della stessa a parcheggi e sedimi stradali ed altre opere di urbanizzazione.

La ricorrente, con formale atto stragiudiziale di diffida e messa in mora del 25 ottobre 2021, intimava all’amministrazione comunale l’adozione un provvedimento espresso volto ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto. La diffida, seppur ricevuta sia dal Gabinetto del Sindaco che dal Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica (in tal senso, i relativi protocolli in atti), rimaneva priva di un concreto riscontro.

Con il ricorso proposto ai sensi dell’art. 117 c.p.a. la ricorrente – attesa la persistente situazione di illecita occupazione dell’area - chiede l’accertamento dell’illegittimità dell’inerzia mantenuta da Roma Capitale e la condanna dell’amministrazione a provvedere sulla diffida da costei da ultimo avanzata, con l’espressa richiesta di nominare sin da ora un commissario ad acta per l’ipotesi di perdurante inerzia.

Roma Capitale si costituiva in giudizio senza contestare la pretesa di parte ricorrente, bensì dando atto di taluni incontri con A.T.E.R. volti a definire anche il presente contenzioso.

Alla camera di consiglio del 24 maggio 2023 la causa veniva trattata e, dunque, trattenuta in decisione.

Il ricorso è fondato.

Osserva, innanzi tutto, il Collegio come, nonostante l’area de quo sia stata appresa e materialmente destinata all’uso pubblico, con conseguente spoglio della proprietà, allo stato permanga una situazione di illecita occupazione, non essendo stato ancora emanato un provvedimento formale di definizione della procedura espropriativa (invero mai avviata) e nemmeno mai state corrisposte le relative indennità previste per legge.

Parimenti, nessuna transazione traslativa della proprietà è stata perfezionata fra le parti, non assumendo alcun rilievo ai fini dell’interruzione della denunciata inerzia amministrativa, gli incontri che l’U.O. Espropri di Roma Capitale riferisce di aver avuto con la ricorrente, non essendo ad essi seguita alcuna relativa attività provvedimentale.

Ciò posto, la fattispecie di cui si discorre deve essere inquadrata nell’ambito dell’art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ai sensi del quale “ valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene ”.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha già avuto modo di chiarire al riguardo come:

i) “ in linea generale, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell'amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l'acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c .”

ii) tale illecito viene a cessare solo nei casi previsti dall’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 (acquisizione del bene o la sua restituzione) “ salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti (di natura transattiva) o l’accertamento della intervenuta usucapione nei rigorosi limiti in cui essa sia ammissibile ”;

iii) tale art. 42 bis configura un procedimento di ablatorio sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc) il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall'Amministrazione … bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell'infrastruttura realizzata sine titulo ”;

iv) la scelta tra acquisizione e restituzione va effettuata dall'amministrazione (o dal commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo, all’esito del giudizio di cognizione o del giudizio in materia di silenzio ai sensi degli artt. 34, comma 1, e 117, comma 3, c.p.a.), non potendo, in sede di giurisdizione di legittimità, né il giudice amministrativo né il proprietario sostituire le proprie valutazioni a quelle attribuite alla competenza e alla responsabilità dell’autorità individuata dalla norma. Ne consegue che il giudice amministrativo, in caso di inerzia dell’amministrazione e di ricorso avverso il silenzio ai sensi dell'art. 117 c.p.a., può nominare il commissario ad acta che provvederà a esercitare i poteri previsti dalla disposizione o nel senso della acquisizione o nel senso della restituzione del bene illegittimamente espropriato (Adunanza Plenaria 9 febbraio 2016, n. 2 e 20 gennaio 2020, n. 2).

Proprio al fine di tutelare il privato nei confronti dell’esercizio sine die dell’eccezionale potere ablatorio previsto dall’art. 42 bis , l’ordinamento mette a disposizione del proprietario adeguati strumenti processuali per reagire contro l’inerzia dell’amministrazione, tra cui l’azione esercitabile davanti al giudice amministrativo avverso il silenzio che “ assume una natura giuridica mista, tendendo ad ottenere sia l’accertamento dell'obbligo di definire il procedimento nel termine prescritto dalla disciplina legislativa o regolamentare ai sensi dell'art. 2 Legge n. 241 del 1990, sia la condanna della stessa Amministrazione inadempiente all'adozione di un provvedimento esplicito (con possibilità, altresì, di formulare in sede giurisdizionale un giudizio di spettanza del bene della vita agognato dal ricorrente, qualora si controverta in tema di azione vincolata ed emerga la fondatezza sostanziale della pretesa azionata in giudizio) ” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 aprile 2021, n. 3430;
oltre che Corte costituzionale 30 marzo 2015, n. 71 e i precedenti in termini della Sezione, tra cui la sentenza 18 maggio 2021, n. 5844).

Ebbene, nel caso di specie ricorrono i presupposti di fatto e di diritto per accogliere la domanda di A.T.E.R., accertando la sussistenza in capo a Roma Capitale di un obbligo ad assumere un atto di adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto e condannando l’amministrazione comunale inadempiente ad adottare, in relazione all’istanza di diffida del 25 ottobre 2021, un provvedimento esplicito “a d esito libero ” entro il termine di 90 (novanta) giorni secondo le seguenti alternative:

i) o addivenendo alla stipula di un atto di cessione dell’area in questione secondo i termini e le condizioni che saranno tra loro concordate;

ii) in mancanza di un accordo tra le parti in tal senso, adottando il provvedimento di acquisizione sulla base degli stringenti criteri motivazionali delineati dal comma 4 dell’art. 42 bis cit. previa la corresponsione degli indennizzi stabiliti per legge oppure, in mancanza dell’acquisizione, disponendo la restituzione dei bene ai proprietari “ previo ripristino dello stato anteriore (affrontando le spese di demolizione e di ripristino) ” (cfr. Adunanza Plenaria n. 4/2020 cit.).

Il Collegio ritiene opportuno, altresì, accogliere ai sensi dell’art. 117, comma 3 c.p.a., l’istanza di parte ricorrente, espressamente formulata in ricorso, di nomina per il caso di ulteriore inadempimento all’ordine del giudice di un commissario ad acta , individuato nel titolare pro tempore dell’Ufficio Territoriale del Governo di Roma, con facoltà di delega a un funzionario dello stesso Ufficio, che provvederà in via sostitutiva entro l’ulteriore termine di 90 (novanta) giorni a seguito dell’espressa comunicazione dell'inottemperanza a cura di parte ricorrente.

Ai sensi dell’art. 26 c.p.a. e dell’art. 91 c.p.c., la soccombenza si accompagna alla condanna del pagamento delle spese di lite, le quali vengono liquidate in dispositivo tenendo conto dell’attività difensionale spiegata a tutela delle rispettive posizioni.

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