TAR Trieste, sez. I, sentenza 2022-12-06, n. 202200534
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Pubblicato il 06/12/2022
N. 00534/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00190/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 190 del 2022, proposto dalla società semplice Eredi Tavano Franco, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato C T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Agea, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
del provvedimento di ricalcolo del prelievo supplementare 2004/2005 n.agea. 2022.4682 per l’importo di € 126.110,60.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° dicembre 2022 il dott. D B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
1. La società ricorrente, titolare di un’impresa agricola, ha impugnato il provvedimento in epigrafe col quale l’Agea, in dichiarata ottemperanza della sentenza del Consiglio di Stato n. 360/2020 (per mero errore materiale nel provvedimento viene indicata la diversa sentenza n. 2818/2020), ha provveduto a ricalcolare e ad intimarle il pagamento di quanto dovuto a titolo di prelievo supplementare per l’annata lattiera 2004/2005, sulla base di una rinnovata determinazione del quantum debeatur alla luce delle indicazioni contenute nella sentenza predetta.
La parte ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) violazione dell'art. 3, comma 4, l. n. 241/1990 per errata/fuorviante indicazione dell’A.G. avanti il quale proporre impugnazione;2) violazione dei criteri di ricalcolo e nuova imputazione del prelievo supplementare, violazione del Reg.CE n. 1788/2003 e della l.n. 119/2003 e D.M. del 31 luglio 2003;3) violazione dei criteri di calcolo indicati nelle sentenza del Consiglio di Stato n. 360/2020, violazione delle norme del Reg.CE n.1788/2003 e della l.n. 119/2003 anche in relazione al d.m. 31.07.2003;4) intervenuta prescrizione del credito di Agea;5) errato calcolo degli interessi, violazione e falsa applicazione di legge (artt. 8- ter , 8- quater , 8- quinquies della l. n. 33/2009, di conversione del d.l. n. 5/2009, art. 10, comma 34, del d.l. n. 49/2003);6) violazione della normativa unionale in materia, carenza di istruttoria, consequenziale erroneità della quantificazione del debito, carenza di motivazione e violazione del diritto di difesa.
2. L’Agea non si è costituita in giudizio.
3. Con ordinanza cautelare questo T.A.R. ha accolto l’istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato, disponendo al contempo specifici incombenti istruttori a carico dell’Agea in vista dell’udienza di merito.
L’Agea non ha provveduto al deposito della relazione istruttoria richiesta da questo T.A.R..
4. All’udienza pubblica del giorno 1° dicembre 2022 la causa è passata in decisione.
5. Il ricorso è fondato nei sensi di cui si dirà.
6. La censura relativa all’omessa indicazione dell’autorità alla quale proporre ricorso è infondata.
Oramai da tempo l’Adunanza plenaria (decisione n. 1/2001) seguita dalla pacifica giurisprudenza amministrativa ha chiarito che l’omessa indicazione del termine di impugnazione e dell’autorità a cui ricorrere, prescritta dall’art. 3, comma 4, L. n. 241 del 1990, costituisce mera irregolarità che, al più, e nel concorso di significative ulteriori circostanze, può dar luogo alla concessione del beneficio della rimessione in termini.
Segnatamente con tale decisione si è chiarito che “ la disposizione di cui al citato art. 3, comma quattro, secondo cui in ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere, è norma di natura procedimentale, che impone all’Amministrazione, nell’ambito del più generale principio di trasparenza dell’azione amministrativa, un dovere di cooperazione con il privato, al fine di agevolarlo nell'individuazione degli strumenti apprestati dall’ordinamento per la tutela delle proprie posizioni soggettive, ritenute lese da tale azione. La prescrizione in parola è preordinata essenzialmente, come è dimostrato dal generico riferimento alla “ autorità cui è possibile ricorrere ”, a facilitare il destinatario nell’individuazione del soggetto competente a pronunciarsi e dei termini per la proposizione delle impugnative, specie nei settore in cui tale ricerca appare più difficile;pertanto, essa non può estendere i propri effetti in ambito esclusivamente processuale, nel quale, anzi, i termini e le modalità dell'azione sono già analiticamente e cogentemente disciplinate dalle norme di settore ”.
D’altra parte la ricorrente ha correttamente individuato l’autorità giudiziaria competente, cosicché la relativa doglianza si risolve in una mera contestazione formalistica.
7. Per ragioni di priorità logica conviene esaminare a questo punto l’ulteriore motivo di ricorso col quale la parte ricorrente ha eccepito la prescrizione del credito.
Il motivo è infondato.
La questione della prescrizione del credito, eventualmente maturata in data anteriore alla decisione del Consiglio di Stato n. 360/2020, è ormai coperta dal giudicato (essendo una questione già in quel giudizio deducibile) e non può più quindi essere dedotta nel presente giudizio.
Occorre poi al riguardo ulteriormente puntualizzare più in generale che per tutta la durata del processo il termine prescrizionale non correva giusta il disposto dell’art. 2945, comma 2 cod.civ. (“ Se l'interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell'articolo 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio ”). La prescrizione ha nuovamente cominciato a decorrere solo dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza n. 360/2020.
Ebbene, ciò posto, risulta dall’esame della citata sentenza del Consiglio di Stato che le prime comunicazioni dell’Agea (poi annullate) sono state trasmesse ai primi acquirenti nel luglio 2005 e che le stesse sono state impugnate anche dall’odierna ricorrente (la quale l’ha dichiarato nel presente ricorso) con ricorso al T.A.R. del Lazio, poi definito con la sentenza n. 1001/2012 pubblicata il 30 gennaio 2012. Avverso tale ultima sentenza le parti, tra le quali anche la ricorrente, hanno poi interposto appello definito solo il 14 gennaio 2020 con la sentenza n. 360/2020.
Per tutta la pendenza del processo nei due gradi di giudizio (dall’agosto 2005, data di notifica del ricorso in primo grado, fino al passaggio in giudicato della sentenza n. 360/2020) la prescrizione non correva, riprendendo a decorrere ex novo solo dal 2020.
La comunicazione impugnata, quindi, è assolutamente tempestiva perché notificata al principio dell’anno 2022, ben prima della scadenza del termine prescrizionale.
Il relativo motivo è quindi infondato.
8. Con una serie di ulteriori articolate censure la parte ricorrente, nella sostanza, ha dedotto ancora una volta la violazione dei criteri di ricalcolo e di nuova imputazione del prelievo supplementare, in considerazione dell’incompatibilità della normativa interna applicata dall’Agea rispetto a quanto stabilito dal Reg.CE n. 1788/2003.
L’impugnativa sul punto è fondata.
8.1. Occorre premettere, per la disamina compiuta della fattispecie, che il Consiglio di Stato, nell’annullare i precedenti provvedimenti di calcolo e determinazione del prelievo supplementare relativo alle consegne per il periodo 2004 – 2005 ha statuito quanto segue:
- che il caso in esame è disciplinato dall’art. 13, comma 1, del Reg. CE n. 1788/2003;
- che l’art. 13 del Reg. CEE n. 1788/2003 nel disciplinare la redistribuzione del contributo riscosso in eccesso dai produttori fa riferimento a criteri obiettivi che, a loro volta, sono stati specificati dall’art. 16 del Reg. CE n. 595/2004 del 30 marzo 2004 (entrato in vigore il 3 aprile 2004, applicabile ratione temporis nel suo testo originario);
- che la discrezionalità del legislatore interno effettivamente sussisteva solo con riguardo alla scelta della destinazione del prelievo riscosso in eccesso, nel mentre la conclusione è ben diversa per quanto segnatamente attiene ai criteri da utilizzare dopo aver effettuato la scelta di ridistribuire ai produttori quanto riscosso in eccesso, rispetto ai quali lo Stato era vincolato all’esclusiva scelta tra i soli criteri individuati dall’art. 16, paragrafo 1, del Regolamento CE della Commissione n. 595 del 30 marzo 2004;
- che, infatti, solo per effetto della novella introdotta nel 2006 (Regolamento della Commissione n. 1468 del 4 ottobre 2006) – non applicabile al caso di specie - gli Stati membri sono stati invero esonerati dall’obbligo di seguire l’ordine di priorità contemplato dall’originaria versione del medesimo articolo 16, e ciò con il contemporaneo riconoscimento agli Stati medesimi di una maggiore discrezionalità anche nell’adozione di criteri ulteriori e diversi da quelli previsti dalla stessa fonte comunitaria;
- che in riferimento all’annata in discussione e al momento dell’adozione degli atti impugnati (luglio 2005), la normativa nazionale applicata nei casi di specie era già palesemente difforme dal testo dell’art. 16 del regolamento CE 295/2004 così come pro tempore vigente, non potendo per certo determinare la conformità del diritto interno rispetto a quello comunitario la ben susseguente entrata in vigore di una novella apportata a quest’ultimo;
- che, in conseguenza di ciò, il criterio contemplante agli effetti del rimborso del prelievo la posizione degli imprenditori “ in regola con i versamenti mensili ”, in posizione del tutto prioritaria rispetto ad ogni altra posizione contemplata dalla sovrastante fonte normativa comunitaria, non poteva essere introdotto nell’ordinamento interno italiano;
- che la disciplina contenuta nell’art. 2, comma 3, del d.l. 26 giugno 2004, n. 157, convertito in l. 3 agosto 2004, n. 204, andava pertanto disapplicata, e - conseguentemente – i provvedimenti allora impugnati dovevano essere annullati, “ salve e riservate restando le ulteriori determinazioni di competenza dell’Amministrazione appellata ”.
8.2. In esecuzione della predetta sentenza l’Agea ha provveduto al ricalcolo del prelievo supplementare, sulla base del seguente iter istruttorio (descritto nella relazione illustrativa allegata al provvedimento impugnato):
- ha quantificato l’esubero nazionale in 405.627,45 tonnellate;
- ha provveduto all’accantonamento del 5% dell’esubero nazionale, giusta art. 9, comma 2, del d.l. n. 49/2003, conv. dalla l. n. 119/2003 (totale esubero consegne confermato);
- ha calcolato la parte degli esuberi individuali che supera l’esubero nazionale confermato (cioè il prelievo in eccesso di cui all’art. 9, comma 1, lett. c) del d.l. n. 49/2003);
- ha provveduto alla redistribuzione del prelievo in eccesso “ secondo le priorità previste dall’art. 9, comma 3, della legge 119/03, non tenendo conto però della regolarità dei versamenti del prelievo mensile ”, come disposto dalla sentenza n. 360/2020 del Consiglio di Stato;
- ha indi provveduto alla ripartizione secondo i seguenti criteri in ordine di priorità:
1) tra i titolari di aziende ubicate nelle zone di montagna, di cui all'articolo 18 del regolamento (CE) n. 1257/1999 (cfr. art. 9, comma 3, lett. b), d.l. 49/2003);
2) tra i titolari di aziende ubicate nelle zone svantaggiate, di cui all'articolo 19 del regolamento (CE) n. 1257/1999 (cfr. art. 9, comma 3, lett. c) d.l. cit.);
3) tra i titolari di aziende che hanno subito, in base ad un provvedimento emesso dall’autorità sanitaria competente, il blocco della movimentazione degli animali, in aree interessate da malattie infettive diffuse (cfr. art. 9, comma 3, lett. c- bis ) d.l. cit.);
- ha infine provveduto alla ripartizione del residuo disponibile per la compensazione secondo le ulteriori priorità previste dall’art. 9, comma 4, del d.l. n. 49/2003:
1) tra i produttori già titolari di quota "B" che sia stata ridotta ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 23 dicembre 1994, n. 727 (cfr. art. 9, comma 4, lett. a) d.l. cit.);
2) tra i produttori che hanno superato di non oltre il 20 per cento il quantitativo di riferimento individuale di fine periodo (cfr. art. 9, comma 4, lett. b) d.l. cit.).
8.3. La redistribuzione del prelievo in eccesso così operata è ancora una volta errata, perché effettuata secondo delle priorità che, seppur previste dall’ordinamento interno, sono incompatibili con la disciplina comunitaria.
Infatti, la parte ricorrente ha sostenuto fondatamente l’incompatibilità unionale di alcune delle categorie prioritarie di produttori per la distribuzione del prelievo in eccesso individuate dal richiamato d.l. e per le quali l’Agea ha quindi operato una prioritaria indebita redistribuzione, incidendo così sulla quantificazione finale del debito dell’azienda ricorrente.
In particolare la normativa unionale applicabile ratione temporis , per quel che più appresso si dirà, non consentiva la redistribuzione prioritaria tra le seguenti categorie:
a) tra i titolari di aziende che hanno subito, in base ad un provvedimento emesso dall’autorità sanitaria competente, il blocco della movimentazione degli animali, in aree interessate da malattie infettive diffuse (come invece effettuato dall’amministrazione in esecuzione del disposto dell’art. 9, comma 3, lett. c- bis ) d.l. cit.);
b) tra i produttori già titolari di quota "B" che sia stata ridotta ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 23 dicembre 1994, n. 727 (come invece dichiaratamente effettuato dall’amministrazione alla pag. 4, punto 4, della relazione illustrativa, in base all’art. 9, comma 4, lett. a) d.l. cit.).
Ciò perché le categorie prioritarie da ultimo richiamate non sono riconducibili ad alcuno dei criteri obbiettivi di cui dall’art. 16, paragrafo 1, del Regolamento CE della Commissione n. 595 del 30 marzo 2004, criteri ai quali lo Stato era invece vincolato a conformarsi nell’individuazione delle categorie prioritarie, non potendone prevedere di diverse e ulteriori.
8.4. Occorre infatti rimarcare che per i casi di specie il citato art. 16, paragrafo 1, del Regolamento CE della Commissione n. 595 del 30 marzo 2004 intitolato “Criteri di distribuzione del prelievo in eccesso” vigente all’epoca dei fatti di causa disponeva: “Se del caso, gli Stati membri determinano le categorie prioritarie di produttori menzionate all’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 1788/2003, fondandosi su uno o più dei seguenti criteri oggettivi in ordine di priorità:
a) il riconoscimento ufficiale, da parte dell'autorità competente dello Stato membro, che la totalità o una parte del prelievo è stata indebitamente imputata;
b) la situazione geografica dell'azienda e in primo luogo le zone di montagna di cui all'articolo 18 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio;
c) la densità massima degli animali nell'azienda, caratterizzante l'estensivazione della produzione zootecnica;
d) l’entità del superamento del quantitativo di riferimento individuale;
e) il quantitativo di cui dispone il produttore” .
Il successivo paragrafo 2 dello stesso art. 16 disponeva, sempre nel testo all’epoca vigente, che “qualora la ridistribuzione conformemente ai criteri di cui al paragrafo 1 del presente articolo non esaurisca il prelievo in eccesso di cui all’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento CE n. 1788/2003 disponibile per un determinato periodo, lo Stato membro adotta altri criteri obiettivi, previa consultazione della Commissione”.
Ciò posto, deve essere ancora una volta confermato, come già statuito dal giudice d’appello nella già richiamata decisione n. 360/2020 in adesione alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che lo Stato, dopo aver effettuato la scelta di ridistribuire ai produttori quanto riscosso in eccesso, era assolutamente vincolato all’esclusiva scelta tra i soli criteri individuati dall’art. 16, paragrafo 1, del Regolamento CE della Commissione n. 595 del 30 marzo 2004, non spingendosi la sua discrezionalità alla facoltà di individuarne altri nuovi e diversi.
Dalla semplice lettura della norma più sopra richiamata si deduce allora molto chiaramente che le già dette categorie prioritarie indicate nella lettera c- bis ) del comma 3 – produttori che hanno subito il blocco della movimentazione di animali – e nella lettera a) del comma 4 – produttori che hanno avuto il taglio della quota B – non erano assolutamente previste tra quelle indicate all’art. 16, par. 1, del Reg. CE citato e a nessuno di quei criteri obbiettivi sono riconducibili.
Dalle suesposte considerazioni consegue l’erroneità dei (ri)calcoli effettuati dall’Agea, perché operati sulla base di categorie prioritarie non previste dal quadro regolatorio europeo.
8.5. Al riguardo occorre pure stigmatizzare la condotta dell’Amministrazione che nemmeno ha fornito adeguati riscontri chiarificatori sulla questione, rimanendo del tutto inottemperante all’approfondimento istruttorio disposto dal Collegio.
Infatti, come si è visto, la pur richiesta relazione di chiarimenti non è stata allegata agli atti di causa, benché l’Amministrazione sia stata sollecitata da questo T.A.R., con la conseguenza che il suo contegno sostanzialmente inerte ben può essere valutato come argomento di prova ai sensi dell’art. 64 cod.proc.amm..
Detta omissione non può che condurre allora all’accoglimento della censura articolata dalla parte ricorrente anche sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione, non apparendo chiaramente esplicitati i singoli passaggi attraverso i quali l’Amministrazione è giunta alla determinazione del quantum né è stato sufficientemente definito ed esplicitato con la necessaria precisione quali norme interne l’Amministrazione abbia inteso applicare (o disapplicare), previo vaglio della loro compatibilità col quadro regolatorio unionale.
Appare opportuno infatti anche qui rimarcare che “ l’obbligo di applicare la normativa vincolante e sovraordinata rispetto alle norme interne incompatibili grava su tutti i soggetti dell’ordinamento tenuti a dare esecuzione alle leggi e quindi non solo sugli organi giurisdizionali, ma anche sulle autorità amministrative, per cui “ quei soggetti devono riconoscere come diritto legittimo e vincolante la norma comunitaria ... mentre sono tenuti a disapplicare le norme di legge, statali o regionali ... ” (cfr. Corte cost., 11 luglio 1989, n. 389) ” (Cons. di Stato n. 360/2020).
8.6. Dalle considerazioni che precedono consegue allora che il ricalcolo effettuato dall’Amministrazione è stato ancora una volta effettuato sulla base di categorie prioritarie di produttori, pur previste dalla normativa interna, ma irrimediabilmente in contrasto con le previsioni comunitarie.
Da ciò consegue la fondatezza dei motivi di ricorso relativi alla violazione del diritto comunitario, nonché al difetto di istruttoria e motivazione nei sensi sopra chiariti.
Conseguentemente deve essere dichiarata l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui ha provveduto al ricalcolo della quota capitale del prelievo supplementare dovuto dalla parte ricorrente, perché la redistribuzione del prelievo in eccesso è stata effettuata sulla base di categorie prioritarie non previste dalla normativa comunitaria.
9. La parte ricorrente ha pure dedotto la palese erroneità del calcolo degli interessi.
La censura è fondata, atteso che il credito dell’Agea è rimasto illiquido fino alla sua (nuova) determinazione da parte dell’amministrazione stessa. Gli interessi quindi non potevano che decorrere solo dal momento della corretta (ri)determinazione del dovuto: solo una somma di denaro liquida ed esigibile infatti produce interessi di pieno diritto (art. 1282 cod.civ.).
L’amministrazione ha invece fatto erroneamente decorrere gli interessi nella misura legale a partire dal 1° settembre 2005, come se già da quella data il credito fosse liquido ed esigibile.
Va invece precisato al riguardo che non è certo fondatamente sostenibile la pronta liquidità del credito, dovendo questo essere determinato dall’Agea all’esito di una complessa procedura istruttoria, all’interno di un quadro normativo assai articolato. Il credito in discussione infatti non era affatto aliunde determinabile mediante meri calcoli aritmetici in base ad elementi o semplici criteri prestabiliti dalla legge, essendo ineludibile il passaggio liquidatorio che solo Agea poteva effettuare.
Il credito in questione, quindi, fino a quando non sarà correttamente determinato dall’Agea nella sua concreta dimensione non potrà produrre interessi di pieno diritto.
Anche sotto questo profilo, quindi, le censure della parte ricorrente sono fondate.
10. Con un’ultima censura “ si eccepisce la nullità della comunicazione di ricalcolo per l’impossibilità di verificare l’esatta quantificazione del residuo debito esposto nello stesso, poiché non è dato sapere se tale importo sia stato iscritto a ruolo tenendo conto e in misura, dei recuperi PAC già effettuati da Agea ”.
Il motivo è inammissibile perché formulato del tutto genericamente. Non è stata infatti nemmeno chiarita (e men che meno provata) l’esistenza e la consistenza dell’eventuale controcredito dell’azienda. La parte ricorrente nell’articolare la censura, d’altra parte, ha fatto un riferimento del tutto erroneo al diverso momento della riscossione che in questa fase non viene in rilievo.
11. In definitiva il ricorso deve essere accolto, nei sensi indicati sopra, e, per l’effetto, il provvedimento impugnato deve essere annullato.
Nel provvedere al ricalcolo del dovuto l’Amministrazione dovrà disapplicare la lettera c- bis del comma 3 dell’art. 9 del d.l. n. 49/2003 e la lettera a) del comma 4 dell’art. 9 del d.l. n. 49/2003 perché entrambe le previsioni si pongono in insanabile contrasto con la normativa europea di settore.
Calcolato l’esatto ammontare della quota capitale, l’Amministrazione dovrà poi prevedere che il calcolo degli interessi, nella misura legale, decorra dalla data di comunicazione del provvedimento di liquidazione e non da una data ad essa anteriore.
Le spese di lite possono essere compensate per la novità di alcune delle questioni esaminate.