TAR Bari, sez. I, sentenza 2021-11-11, n. 202101627
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Pubblicato il 11/11/2021
N. 01627/2021 REG.PROV.COLL.
N. 01513/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
S
sul ricorso numero di registro generale 1513 del 2015, proposto da
Consorzio per la Bonifica della Capitanata, rappresentato e difeso dagli avvocati E F, A G, domiciliato in Bari, presso la Segreteria del TAR, Piazza Massari, 6;
contro
Comune di Stornara, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M V, domiciliato in Bari, presso la Segreteria del TAR, Piazza Massari, 6;
per l'annullamento
dell’ordinanza n. 24 del 28.8.2015 del Sindaco di Stornara, con cui è stata ingiunta al consorzio ricorrente la rimozione di rifiuti abbandonati ed il ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Stornara;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 settembre 2021 il dott. A F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso ritualmente proposto il Consorzio per la bonifica della Capitanata ha impugnato, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza n. 24 del 28.8.2015 del Sindaco di Stornara, con cui è stata ingiunta al consorzio ricorrente la rimozione di rifiuti abbandonati ed il ripristino dello stato dei luoghi.
In sintesi è accaduto che a seguito di una denuncia pervenuta in data 30.7.2015, il personale dell’Amministrazione comunale ha effettuato un sopralluogo il 26.8.2015, accertando “ l’abbandono dei rifiuti di varia tipologia ” da parte di soggetti ignoti.
Una volta individuata l’area come appartenente al Demanio Pubblico dello Stato per le Opere di Bonifica, dunque rientrante nel comprensorio consortile, nonché sulla scorta dell’accertamento sopra descritto, con l’impugnata ordinanza è stata rilevata la violazione dell’art. 192 del d.lgs. 152/2006 e ingiunto al consorzio ricorrente, in qualità di “ concessionario del terreno ”, di provvedere alla rimozione dei rifiuti abbandonati, al loro smaltimento nonché al ripristino dello stato dei luoghi.
A fondamento dell’impugnazione sono stati dedotti i seguenti motivi:
1°) violazione degli artt. 7 e 8 della legge 241/1990, lamentandosi la violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale.
2°) Violazione dell’art. 3 della legge 241/1990.
Con tale censura è stato lamentato che dalla motivazione del provvedimento non sarebbe possibile comprendere le ragioni che fonderebbero in capo al consorzio ricorrente la titolarità dell’area, in qualità di “concessionario”, sulla quale è stato verificato lo scarico abusivo dei rifiuti, presupposto sostanziale della violazione contestata.
3°) Violazione dell’art. 192 del d.lgs. 152/2006.
In linea con il precedente motivo, il consorzio ha evidenziato che ai fini della configurazione di un obbligo di rimozione sarebbe, comunque, necessario individuare – a monte – un titolo dominicale (proprietà, diritto reale o personale di godimento). Ciò premesso, dalle visure catastali emergerebbe unicamente che il terreno in questione apparterrebbe al Demanio pubblico dello Stato – Ramo Bonifiche.
4°) Violazione dell’art. 192 del d.lgs. 152/2006.
Il consorzio ricorrente ha, infine, dedotto che difetterebbe l’elemento psicologico (dolo o colpa) necessario a giustificare l’emesso provvedimento;che, inoltre, non sarebbe contestabile una generica culpa in vigilando, quanto, piuttosto, occorrerebbe accertare l’effettiva responsabilità per l’illecito contestato.
Si è costituito in giudizio il Comune di Stornara (27.11.2015), opponendo che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato;che l’istruttoria procedimentale sarebbe stata adeguatamente fondata su un atto di denuncia;che in ordine alla titolarità dell’area non sarebbe stato individuabile alcun diverso soggetto rispetto al consorzio ricorrente, e ciò sulla base delle visure catastali;che lo sversamento di rifiuti costituirebbe un fenomeno endemico e che, a tal riguardo, sarebbe addebitabile una responsabilità omissiva al Consorzio.
Nessuna ulteriore memoria è stata depositata in vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito, fissata per il 22 settembre 2021 e, a tale udienza, la causa è stata trattenuta per la decisione.
Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto, nei termini di seguito precisati.
Non colgono nel segno i primi due motivi, connotati da affinità tematica e per questo esaminabili in via congiunta, con cui il consorzio ricorrente ha stigmatizzato l’insussistenza di un rapporto dominicale con l’area oggetto del contendere.
L’art. 192, comma 3 del d.lgs. 152/2006 – secondo cui chi viola il divieto di abbandono i deposito incontrollato di rifiuti “ è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo ” – ha riprodotto, senza modifiche, la disciplina del previgente art. 14, comma 3 del d.lgs. 22/1997 (c.d. decreto Ronchi), norma che la giurisprudenza ha interpretato in senso estensivo per (evidenti) esigenze di effettività della tutela ambientale, ricomprendendo nell’alveo degli obbligati “ qualunque soggetto che si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli – e per ciò stesso imporgli – di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l’area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell’ambiente. Inoltre, riguardo al necessario requisito della colpa postulato da tale norma, esso può consistere proprio nell’omissione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area, così impedendo che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 84;Corte di Cassazione, sezioni unite, 25 febbraio 2009, n. 4472).
Del resto, l’art. 54 del R.D. 215/1933 prevede che “ possono costituirsi consorzi tra proprietari degli immobili che traggono beneficio dalla bonifica. I consorzi provvedono alla esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica o soltanto alla manutenzione ed esercizio di esse ”: una disposizione che trova conferma, sul piano contenutistico, nell’art. 1 della legge regionale 4/2012, secondo cui “ l’attività di bonifica garantisce la sicurezza idraulica, la manutenzione del territorio, la provvista, la razionale utilizzazione e la tutela delle risorse idriche a prevalente uso irriguo, il deflusso idraulico, la conservazione e la difesa del suolo, la salvaguardia e la valorizzazione dello spazio rurale e dell'ambiente ”.
Si tratta, a questo punto, di verificare se in forza di tali riferimenti normativi sia contestabile al consorzio – sic et simpliciter – la speciale responsabilità discendente dall’accertamento effettuato dal Corpo Forestale dello Stato in data 26.8.2015: addebito avverso il quale è stato proposto il terzo e quarto motivo.
Tali motivi, connotati da affinità tematica e quindi esaminabili in modo congiunto, ad avviso del Collegio sono infondati.
Non è inopportuno premettere che la Sezione, nella sentenza n. 1066 del 10 luglio 2018, ha respinto un ricorso avente ad oggetto l’impugnazione di un’ordinanza sindacale con cui era stata ingiunta la pulizia, disinfezione e disinfestazione delle cunette laterali e del solaio sovrastante un canale demaniale, nonché la rimozione dei tubi di attingimento delle acque ivi installati abusivamente da ignoti. Nell’occasione si è, in particolare, evidenziato che “ l’attività di rimozione specificamente ingiunta è da ritenersi funzionale a salvaguardare la sicurezza e il deflusso idraulico, con ripercussioni sulle condizioni di garanzia della salute pubblica ”.
La fattispecie odiernamente controversa riguarda, invece, l’ordine di rimozione di rifiuti indifferenziati abbandonati su un’area isolata e libera ricadente nell’ambito consortile (circostanza non contestata tra le parti ai sensi dell’art. 64, comma 2 c.p.a.).
Ciò premesso, osserva il Collegio che l’art. 2 dello statuto consortile – in cui si prevede che “ il Consorzio svolge attività di rilevanza pubblica finalizzata a garantire la sicurezza idraulica, la manutenzione del territorio, la provvista, la razionale utilizzazione e la tutela delle risorse idriche a prevalente uso irriguo, il deflusso idraulico, la conservazione e la difesa del suolo, la salvaguardia e la valorizzazione dello spazio rurale e dell'ambiente ” – non possa ritenersi tale da eludere, proprio in ragione della vigilanza che tali innumerevoli compiti sottendono, una responsabilità solidale, da violazione degli obblighi di custodia, correlata alla disciplina del sopra citato art. 192 del d.lgs. 152/2006.
Ad avviso del Collegio il punto critico della questione è che – in mancanza di una specifica convenzione regolatrice delle funzioni e dei compiti afferenti all’igiene urbana tra il consorzio ricorrente e i comuni viciniori le aree consortili – ogni questione contenziosa afferente all’abbandono dei rifiuti non possa essere risolta caso per caso, ma imponga, di converso, il superamento di una situazione di incertezza gestionale del comprensorio in questione data, da un lato, dall’assenza di una chiara formulazione degli obblighi consortili e, dall’altro, dalla necessità di dover stabilire se il Comune che, come nella specie, abbia emesso l’ordine di rimozione dei rifiuti sia tenuto, o meno, a garantire l’espletamento dell’attività di rimozione nel caso in cui non siano accertate specifiche responsabilità.
All’indeterminatezza del quadro dei riferimenti, nella specifica fattispecie come in altre consimili, non può che corrispondere una soggettiva responsabilizzazione che, nel caso del Consorzio ricorrente, depone per la ravvisabilità dei presupposti di una culpa in vigilando, non scusabile sulla base soltanto della – pur oggettiva – vastità del comprensorio in concessione
Nei termini illustrati, il ricorso va respinto.
La complessità delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese processuali.