TAR Milano, sez. III, sentenza 2019-12-09, n. 201902612

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. III, sentenza 2019-12-09, n. 201902612
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 201902612
Data del deposito : 9 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/12/2019

N. 02612/2019 REG.PROV.COLL.

N. 01493/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1493 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati A M e G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Milano, via Conservatorio, 17;

contro

Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata ex lege in Milano, via Freguglia, 1;

per l'annullamento

- del provvedimento di “Cancellazione professionista dall'elenco informatizzato dei soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità ex art. 35 D.Lgs. n. 241/1997 - C.F. -OMISSIS-”, notificato per mezzo posta elettronica certificata in data 19 aprile 2018, con il quale «(…) si è provveduto alla cancellazione del suo nominativo [del ricorrente – ndr] dall'elenco informatizzato dei soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità a partire dal 7 luglio 2017, data di emissione della prima condanna».

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale Lombardia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2019 la dott.ssa Concetta Plantamura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1) Con ricorso notificato il 15 giugno 2018 e depositato il successivo 22 giugno 2018 l’esponente ha impugnato il provvedimento in epigrafe specificato, deducendone l’illegittimità sulla base di due motivi.

1.1) Con il primo motivo lamenta il vizio di eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità e perplessità;
violazione dell’art. 3 della legge n.241/1990;
violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 21 del d.M. 31 maggio 1999, n. 164.

Per giustificare la cancellazione del ricorrente dall’elenco dei soggetti abilitati a rilasciare il visto di conformità, l’Amministrazione sostiene che « (…) in seguito ad approfondimenti effettuati presso il Tribunale di Como, è emerso che a suo carico ci sono due decreti penali emessi ai sensi dell’art. 224 del R.D. n. 267 del 16 marzo 1942: uno sfociato in un’ordinanza e l’altro in una condanna (…) ».

Sennonché, vi sarebbero, ad avviso dell’esponente, molteplici errori sui presupposti di fatto della surriferita annotazione della P.A. atteso che:

- non si avrebbe nozione di alcun approfondimento da parte dell’Agenzia delle Entrate, la quale avrebbe dovuto invece stendere e notificare un “ processo verbale di constatazione ”;

- non vi sarebbero due decreti penali ma uno solo, vale a dire il n. -OMISSIS-, depositato presso la cancelleria del GIP di Como il 30 ottobre 2017, dapprima notificato al difensore d’ufficio e, in data 13/29 novembre 2017, anche al ricorrente;
l’altro provvedimento (quello datato 7 luglio 2017), sarebbe in verità un’ordinanza di rigetto contenente ordine di restituzione degli atti al P.M.;

- l’Agenzia avrebbe erroneamente equiparato l’emissione del decreto penale ad una condanna, quando in realtà il decreto in questione sarebbe stato opposto. Orbene, prosegue la difesa dell’istante, a seguito del gravame e a prescindere dal rito sollecitato dall’opponente (dibattimento, rito abbreviato, applicazione della pena od oblazione), « in ogni caso, il giudice revoca il decreto penale di condanna » (cfr. artt. 464, comma 3 e 557, comma 2, seconda parte, c.p.p.). Ne consegue che il decreto penale opposto non potrebbe essere equiparato ad una condanna non definitiva, trattandosi di provvedimento a carattere del tutto provvisorio, destinato ad essere posto nel nulla dal giudice investito del gravame.

La ratio della previsione secondo cui – ai fini dell’iscrizione nell’elenco informatizzato dei professionisti abilitati al rilascio del “ visto ” – si valorizzano le condanne, anche se non definitive, sarebbe quella di escludere coloro che sono stati condannati dopo essere stati posti nella condizione di difendersi almeno in un grado di giudizio.

Il che non sarebbe nel caso di decreto penale, ove l’imputato (come nel caso in esame) verrebbe a conoscenza della pendenza a suo carico solo dopo la notifica del provvedimento ex art. 460 c.p.p., sicché la soluzione adottata dall’Agenzia sarebbe in aperto contrasto con il principio costituzionale sancito dall’art. 24 Cost.

L’Agenzia avrebbe richiamato anche la lettera c), dell’art. 8 del D.M. n. 164/1999, ai sensi della quale tra i requisiti richiesti per l’abilitazione al rilascio dei visti di conformità è compreso anche quello « di non aver commesso violazioni grave e ripetute, per loro natura ed entità, alle disposizioni in materia contributiva e tributaria », ma, chiarisce il medesimo patrocinio, nel caso in esame al ricorrente non sarebbe stata contestata alcuna violazione, né grave né ripetuta, delle norme contributive e/o tributarie.

Infine, con riferimento alla lettera b) dell’art. 8 del D.M. in esame, pure genericamente richiamata nel provvedimento impugnato, si chiarisce ulteriormente che il ricorrente non avrebbe ad oggi ricevuto il decreto di citazione a giudizio immediato, che il GIP sarebbe tenuto ad emettere a seguito dell’opposizione al decreto penale. Consegue da ciò che, da un lato, il procedimento penale R.G.N.R. n. -OMISSIS- della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Como non si troverebbe ancora nella “fase del giudizio” (di cui all’art. 8, comma 1, lettera b), D.M. 31/05/1999, n.164) e, dall’altro, difetterebbe radicalmente il presupposto oggettivo dei “reati finanziari” (di cui alla lettera a) dell’art. 8 citato).

Su quest’ultimo aspetto si precisa, ancora, che, secondo la contestazione mossa al ricorrente, questi in qualità di “ sindaco ” avrebbe concorso a cagionare o aggravare il dissesto di una società con l’inosservanza degli obblighi imposti dalla legge (cfr. art. 224 L.F.). Si tratta di un’ipotesi di reato contestata a titolo di colpa, come si evincerebbe chiaramente dalla formulazione del capo di imputazione, contenuta nella richiesta di emissione del decreto penale di condanna, dove si farebbe esplicito riferimento all’art. 113 c.p. cooperazione nel delitto colposo »). Sennonché, i reati considerati nella “ risoluzione 73/E ”, richiamata nel provvedimento impugnato, sarebbero tutti caratterizzati dal dolo: così i reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74/2000, come la bancarotta fraudolenta di cui all’art. 223 L.F. Se ne ricaverebbe che, la fattispecie delittuosa contestata al ricorrente non sarebbe annoverabile tra i “ reati finanziari ”, neppure considerando la descrizione contenuta nella “ risoluzione 73/E ”, comunque priva di valore vincolante oltreché non condivisibile.

1.2) Con il secondo motivo l’esponente deduce, ancora, l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 25 del d.M. 31 maggio 1999, n. 164 e degli artt. 7 e 10 delle legge n. 241/1990.

Ai sensi dell’art. 25 del D.M. n. 164/1999 l’Agenzia delle Entrate è titolare di un potere di vigilanza nell’esercizio del quale, se riscontra violazioni all’art. 21 del medesimo decreto ministeriale (come sarebbe accaduto nella specie), « redige processo verbale di constatazione da notificare al professionista. Nel processo verbale sono indicate le irregolarità riscontrate e viene assegnato un termine non superiore a novanta giorni entro il quale il professionista deve eliminare le suddette irregolarità, (…), ovvero produrre le proprie osservazioni » (cfr. art. 25, comma 2, D.M. n. 164/1999). Il comma 3 dello stesso articolo aggiunge che « Decorso inutilmente tale termine, l’ufficio invia la documentazione relativa alle suddette irregolarità all’ufficio competente ai fini della revoca dell’abilitazione alla trasmissione delle dichiarazioni in via telematica (…) » di cui all’art. 3 del D.P.R. n. 322/1998.

Orbene, nel caso in esame l’Agenzia delle Entrate non avrebbe notificato al ricorrente alcun processo verbale, impedendo così allo stesso di produrre all’Amministrazione le proprie osservazioni.

Il provvedimento impugnato avrebbe addirittura la pretesa di essere provvisto di aberranti effetti retroattivi rispetto alla sua notificazione, poiché si pretenderebbe di cancellare il nome del ricorrente dall’elenco dei soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità sin da 7 luglio 2017.

2) Si è costituita l’intimata Agenzia, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie.

L’Agenzia ha in particolare rilevato che:

- non sarebbe pertinente il richiamo all’art. 25 d.M. 164/1999 in quanto l’attività codificata da tale articolo sarebbe quella di competenza dell’Ufficio Audit esterno alla Direzione centrale. Tale norma troverebbe quindi applicazione solo nella fase di vigilanza sugli intermediari abilitati al servizio telematico Entratel, prevedendo, come sanzione possibile da comminare agli intermediari, la revoca dell’abilitazione alla trasmissione delle dichiarazioni in via telematica (cd. Entratel). Nel caso di specie, invece, non si sarebbe proceduto alla revoca dell’abilitazione al servizio telematico Entratel, bensì alla sola cancellazione dell’intermediario dall’elenco dei soggetti che appongono il visto di conformità, potendo in buona sostanza l’intermediario continuare a trasmettere telematicamente le dichiarazioni fiscali dei suoi clienti;

- il contraddittorio con l’esponente sarebbe stato instaurato fin dal 16 febbraio 2018, data della richiesta documentale sopra citata. L’Agenzia delle Entrate, infatti, proprio sulla base di quanto succintamente comunicato dal contribuente in data 16.3.2018 avrebbe ritenuto necessario un approfondimento, richiedendo il casellario giudiziale e il certificato carichi pendenti alla Procura della Repubblica di Como;

- ai sensi dell’art. 21, comma 3, del d.M. n.164 del 1999, sarebbe stato onere del ricorrente porre all’attenzione dell’Amministrazione eventuali problematiche (giudiziarie e non) connesse alla sua abilitazione, mentre invece, non solo, l’esponente non avrebbe comunicato nulla, ma avrebbe altresì omesso di inviare la polizza assicurativa necessaria per ottenere il rinnovo della sua iscrizione nell’elenco dei soggetti abilitati al visto di conformità;

- per completezza espositiva, la resistente evidenzia che, se, come afferma controparte, il 7.7.2017 non sarebbe stato emesso alcun decreto penale di condanna ma sarebbero stati restituiti gli atti al Pubblico Ministero, per cui soltanto in data 13.11.207 sarebbe stata notificata la condanna, l’Agenzia delle Entrate, in via meramente subordinata, potrebbe anche posticipare la cancellazione a tale data, facendo salvi gli effetti di tutti i visti di conformità apposti tra il 7.7.2017 ed il 13.11.2017.

3) Con ordinanza n. -OMISSIS-, del 27/07/2018, la Sezione:

« Considerato che, ad un sommario esame e salvi gli approfondimenti propri della sede di merito, il ricorso appare sfornito del prescritto fumus, atteso che l'art. 8 del D.M. n. 164 del 1999 contempla, tra i requisiti soggettivi che devono essere posseduti per rilasciare il visto di conformità e l'asseverazione sulle dichiarazioni fiscali, l’assenza, fra l’altro, di: “a) …condanne, anche non definitive, o sentenze emesse ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale per reati finanziari;” e di “b) … procedimenti penali pendenti nella fase del giudizio per reati finanziari;…”.

Ritenuto in proposito che, appare condivisibile l’interpretazione rigorosa dei suddetti requisiti fornita dalla giurisprudenza (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, n. 621 del 2014 e, da ultimo, T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste, Sent., 17-07-2018, n. 250), sul presupposto che l'attività svolta dai soggetti abilitati costituisce una forma di partecipazione autorizzata all'esercizio della funzione impositiva, sicché essa può essere validamente esercitata soltanto da coloro che dimostrano di possedere e custodire requisiti professionali di onorabilità e moralità di alto profilo.

Considerato che, siffatta condizione soggettiva sembra da escludersi laddove, come nel caso in esame, il soggetto si sia reso responsabile di "reati finanziari", locuzione da intendersi in senso ampio, conformemente alla ratio legis (su cui cfr. sempre T.A.R. FVG, sentenza cit.).

Ritenuto in tal senso che, l’opposizione al decreto penale di condanna n. -OMISSIS-, svolta dall’istante, non sembra idonea ad escludere il venir meno dei requisiti di cui all’art. 8 citato, quantomeno dalla data del 13.11.2017 di notifica del citato D.P., come chiarito nella memoria di parte resistente del 12.7.2018.

Ritenuto, infine, che la particolarità della fattispecie giustifica la compensazione della spese della presente fase… ».

4) Con ordinanza n.-OMISSIS-, il Consiglio di Stato, sull’appello svolto avverso l’ordinanza n. -OMISSIS-/2018, ha come di seguito statuito:

« Rilevato che l'art. 8 del D.M. n. 164 del 1999 contempla, tra i requisiti soggettivi che devono essere posseduti per rilasciare il visto di conformità e l'asseverazione sulle dichiarazioni fiscali, l’assenza, fra l’altro, di: “procedimenti penali pendenti nella fase del giudizio per reati finanziari”;

rilevato che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 461 e 464 c.p.p., dalla opposizione al decreto penale di condanna consegue una fase processuale giudiziale;

rilevato che, sotto il profilo del periculum, può trovare accoglimento la prospettazione subordinata, che limita l’effetto del provvedimento impugnato a partire dal 13 novembre 2017 (data di notifica del decreto penale di condanna).

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