TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2010-07-21, n. 201027452

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2010-07-21, n. 201027452
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201027452
Data del deposito : 21 luglio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 12195/2006 REG.RIC.

N. 27452/2010 REG.SEN.

N. 12195/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12195 del 2006, proposto da: Fallimento della soc. Ts Engineering Italia S.r.l., in persona del Curatore p.t., rappresentato e difeso dall'avv. L V M, presso il cui studio è domiciliato elettivamente in Roma, via Sesto Rufo, 23;

contro

il Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro p. t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è domiciliato per legge in Roma, v. dei Portoghesi, n. 12,
la Regione Basilicata, in persona del Presidente p. t., non costituitasi in giudizio,
la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente p. t., non costituitasi in giudizio;

per l'annullamento

del decreto 20 luglio 2006 n. 34/B5/MSE, notificato il 28 settembre 2006, con il quale è stato revocato il contributo in conto impianti concesso in favore della soc. TS Engineering Italia di cui al contratto d’area di Potenza sottoscritto il 19 luglio 1999;

della nota prot. n. 1097966 del 25 settembre 2006 cui era allegato il decreto sopra indicato;

di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale e comunque connesso;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico;

Viste le memorie difensive;

Vista l’ordinanza n. 1532/2009 del 23 novembre 2009;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 aprile 2010 il Cons. D S, presente alle chiamate preliminari l’avv. dello Stato Vittorio Russo, e udito l’avv. Moscarini per la parte ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 28 novembre 2006, e depositato il successivo 23 dicembre, impugna il Fallimento della società Ts Engineering Italia s.r.l. il decreto ministeriale sopra indicato, con cui sono state revocate le agevolazioni concesse nell’ambito del contratto d’area di Potenza, sottoscritto in data 19 luglio 1999.

Con unico motivo la ricorrente ha dedotto, avverso l’impugnata determinazione, violazione di ogni norma e principio in materia di contributi in conto capitale per la realizzazione di interventi agevolati nel Mezzogiorno (tra gli altri: d.l. 22 ottobre 1992, n. 415, convertito in l. 19 dicembre 1992, n. 488;
d.lgs. n. 96 del 3 aprile 1993;
d.m. 20 ottobre 1995, n. 527;
d.m. 9 marzo 2000, n. 133;
circolari ministeriali esplicative del 20.11.1997, n. 234363 e del 14.7.2000, n. 900315 del Ministero dell’industria e del commercio e dell’artigianato;
comunicato del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica rivolto ad assicurare trasparenza e pubblicità alle modalità ed ai criteri relativi alle attività di assistenza tecnica e di istruttoria dei patti territoriali e contratti d’area, pubblicato in GURI del 29 luglio 1998, n. 175);
eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà, sviamento, perplessità, mancata valutazione di interessi rilevanti, illogicità manifesta.

Chiede, in conclusione, la parte ricorrente l’annullamento del provvedimento impugnato, nonché il risarcimento dei danni scaturiti dalla revoca dei contributi e, comunque, il pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies, legge 241/1990 come modificata dalla legge 15/2005.

Con ordinanza n. 1532/2009 del 23 novembre 2009, la Sezione ha, in via preliminare, esaminato la questione della giurisdizione in ordine alla controversia avente ad oggetto la revoca del finanziamento già concesso ad una impresa partecipante ad una proposta di patto territoriale, quale quella in esame, dando atto che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con recentissimo orientamento (ord. 8 luglio 2008, n. 18630 e 23 marzo 2009, n. 6960) hanno affermato in tal caso la giurisdizione del giudice amministrativo, e, pure manifestando qualche perplessità, in adeguamento all’arresto del giudice della giurisdizione (ulteriormente confermato con ordinanza n. 21472 del 9 ottobre 2009) ha dichiarato la propria giurisdizione.

Peraltro, tenuto conto che il Ministero dello sviluppo economico non si era costituito in giudizio, la Sezione ha ritenuto necessario ai fini del decidere disporre incombenti istruttori in ordine alla vicenda contenziosa, con le modalità ivi indicate, rinviando ogni altra decisione in rito, nel merito e sulle spese ad altra pubblica udienza.

In data 19 gennaio 2010 si è, dunque, costituita l’Avvocatura Generale dello Stato in difesa del Ministero intimato, depositando memoria e documenti.

In data 27 gennaio 2010 l’Amministrazione resistente ha effettuato il deposito di documentata relazione sui fatti di causa.

Alla pubblica udienza del 28 gennaio 2010, cui era stata rinviata la trattazione della causa con la sopra richiamata ordinanza n. 1532/2009, la stessa è stata rinviata ad altro ruolo, su espressa richiesta di parte ricorrente, in ragione del deposito effettuato dall’Avvocatura erariale oltre i termini di cui all’art. 23, comma 4, legge 1034/1971.

La parte ricorrente ha, quindi, depositato relazione conclusionale in data 10 aprile 2010.

Alla pubblica udienza del 22 aprile 2010 la causa è stata trattenuta a sentenza.

DIRITTO

Oggetto di impugnativa è il provvedimento adottato dal resistente Ministero dello sviluppo economico che ha revocato il contributo in conto impianti di cui al Contratto d’Area di Potenza del 19 luglio 1999, concesso nella somma di € 4.622.805,70 in favore della società T.S. Engineering Italia s.r.l., e ha disposto, altresì, il recupero delle somme erogate a tale titolo.

La società ricorrente lamenta l’illegittimità del decreto dirigenziale, rilevando come sia stato posto a fondamento dello stesso lo stato fallimentare in cui è incorsa, che, invece, non è contemplato specificamente nel d.m. n. 320/2000 tra i presupposti per disporre la restituzione delle agevolazioni di cui si tratta;
inoltre, ritiene che non potrebbe essere imputata alla medesima la mancata ultimazione del programma oggetto di finanziamento, essendo questa la diretta conseguenza dei ritardi con cui l’Amministrazione ha erogato le somme spettanti sulla base dell’assentito programma di investimenti.

La tesi non ha pregio.

Il provvedimento impugnato reca, in effetti, puntuale richiamo agli estremi della sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 5/2006 del 17 marzo 2006 dichiarativa del fallimento della Soc. T.S. Engineering Italia s.r.l. e dà atto dell’impossibilità per la società beneficiaria di mantenere gli obblighi previsti dalla normativa vigente.

Osserva il Collegio che è indubitabile che tale evento, evidenziando l’estremo stato di crisi economica del soggetto che esercita l’attività di impresa, esprime l’impossibilità per quest’ultimo di raggiungere gli scopi di rilievo primario che avevano costituito la ragione dell’ammissione alle agevolazioni finanziarie, quali la realizzazione di nuove iniziative imprenditoriali e la creazione di nuova occupazione nei settori dell’industria, agroindustria, servizi e turismo.

Ed invero, alla dichiarazione di fallimento segue l’espulsione dal mercato dell’imprenditore in stato di insolvenza che non può più attendere agli ordinari compiti gestori e di iniziativa, con la conseguenza che il richiamo a detta evenienza giustifica “ex se” la misura di revoca del contributo adottata che, invece, richiede che il beneficiario sia “in bonis” e possa, quindi, su un piano di effettività garantire l’incremento della base imprenditoriale e dei livelli di occupazione in aree depresse del paese che hanno costituito la ragione d’essere dell’assunzione dell’onere economico a carico dello Stato. (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 7 luglio 2008, n. 3351)

Il trasferimento di risorse in favore delle realtà economiche in aree depresse di cui all’art. 2, comma 203, legge 662/1996 configura, infatti, non già un contributo a fondo perduto, ma un vero e proprio contributo di scopo, regolato sulla base di accordi coinvolgenti una molteplicità di soggetti pubblici e privati, tra cui il contratto di area che è ivi definito: “f) «Contratto di area», come tale intendendosi lo strumento operativo, concordato tra amministrazioni, anche locali, rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché eventuali altri soggetti interessati, per la realizzazione delle azioni finalizzate ad accelerare lo sviluppo e la creazione di una nuova occupazione in territori circoscritti, nell'ambito delle aree di crisi indicate dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero del bilancio e della programmazione economica e sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro quindici giorni dalla richiesta, e delle aree di sviluppo industriale e dei nuclei di industrializzazione situati nei territori di cui all'obiettivo 1 del Regolamento CEE n. 2052/88, nonché delle aree industrializzate realizzate a norma dell'art. 32 della L. 14 maggio 1981, n. 219 , che presentino requisiti di più rapida attivazione di investimenti di disponibilità di aree attrezzate e di risorse private o derivanti da interventi normativi. Anche nell'ambito dei contratti d'area dovranno essere garantiti ai lavoratori i trattamenti retributivi previsti dall'articolo 6, comma 9, lettera c), del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338 , convertito, con modificazioni, dalla L. 7 dicembre 1989, n. 389.”

E’ evidente che se l’utilizzo del finanziamento accordato non si è tradotto in infrastrutture idonee ad ampliare la base produttiva ed i livelli occupazionali la revoca si configura quale atto dovuto in presenza di un complesso aziendale inidoneo a perseguire gli scopi di sviluppo sociale ed industriale che, in base al quadro normativo di riferimento, avevano costituito i motivi per la sua erogazione.

Pertanto, la circostanza che sia stato dichiarato il fallimento della società beneficiaria delle agevolazioni finanziarie non solo non impedisce, ma impone l’esercizio del potere pubblicistico di autotutela da parte dell’ente finanziatore ai fini del recupero del credito sulla massa dei beni del fallito, essendo irrilevante che in proposito, il regolamento concernente la disciplina per l'erogazione delle agevolazioni relative ai contratti d'area e ai patti territoriali, di cui al d.m. 31 luglio 2000, n. 320, abbia ricompreso in modo esplicito la dichiarazione dello stato di insolvenza del beneficiario tra le cause di revoca delle agevolazioni.

Come in precedenza esposto lo stato di crisi e di incapacità dell’impresa ad operare “in bonis” determina contestualmente il venir meno dei requisiti e condizioni per il prosieguo dell’attività di impresa per gli scopi (incremento della base produttiva e dei livelli di occupazione) che qualificano gli interventi di sostegno economico previsti dalla legge n. 662/1996. La cessione a terzi dei beni in esito alla procedura fallimentare dà luogo allo smembramento del complesso aziendale e, anche in caso di cessione dell’azienda nella sua interezza, al mutamento della compagine sociale, non più espressione di quella imprenditoria vincolata alla realizzazione dell’originario progetto produttivo e, quindi, sottratta ad ogni controllo pubblico sulla finalizzazione del contributo.

Peraltro, sullo specifico punto, occorre evidenziare che il citato d.m. 320 del 2000, prevede all’art. 12, comma 3, lett. b), la revoca delle agevolazioni “qualora vengano distolte dall'uso previsto le immobilizzazioni materiali o immateriali, la cui realizzazione o acquisizione è stata oggetto dell'agevolazione, prima di cinque anni dalla data di entrata in funzione dell'impianto;
la revoca delle agevolazioni è totale se la distrazione dall'uso previsto delle immobilizzazioni agevolate prima dei cinque anni dalla data di entrata in funzione dell'impianto costituisca una variazione sostanziale del programma agevolato non autorizzata, determinando, di conseguenza, il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati dell'iniziativa;
altrimenti la revoca è parziale ed è effettuata in misura proporzionale alle spese ammesse alle agevolazioni afferenti, direttamente o indirettamente l'immobilizzazione distratta ed al periodo di mancato utilizzo dell'immobilizzazione medesima con riferimento al prescritto quinquennio”.

Va, pertanto, ribadito che il trasferimento di risorse economiche per lo sviluppo delle attività economiche ed occupazionali in particolari aree depresse non costituisce una contribuzione a fondo perduto, ma trae presupposto nell’effettiva idoneità del progetto produttivo a realizzare gli scopi economici e sociali previsti dalla legge n. 662/1996, sia al momento di ammissione al beneficio che nel periodo minimo di cinque anni, sopra indicato.

A fronte del dissesto dell’impresa che ha portato alla dichiarazione di fallimento sussiste, dunque, l’interesse di rilievo pubblico al recupero delle risorse economiche indebitamente utilizzate, che riceverà graduazione all’interno della procedura concorsuale di liquidazione e ripartizione dell’attivo.

Quanto, infine, alla tempistica di erogazione delle quote di contributo che avrebbero, quantomeno, concorso allo stato di dissesto della ricorrente, non può non rilevarsi come l’esame dei documenti versati in atti evidenzi la coerenza delle modalità procedimentali al riguardo osservate con la normativa di dettaglio, di cui al più volte richiamato d.m. 320 del 200, che, all’art. 10, comma 7, prevede, in tema di modalità e termini per le erogazioni : “Per gli interventi infrastrutturali, l'importo del finanziamento previsto è reso disponibile dall'Istituto convenzionato con le seguenti modalità:

a) a titolo di anticipazione, per un importo pari al 10% dell'importo;

b) in più quote successive fino al 90% dell'importo, da erogare in relazione all'effettiva realizzazione della corrispondente parte degli investimenti;

c) a saldo, per l'importo residuo.”

Nel caso che ne occupa, il primo rateo è stato liquidato in data 13 gennaio 2000, nell’immediatezza, dunque, del rilascio di idonea polizza fideiussoria del 7 settembre 1999;
le successive due quote, fino alla concorrenza del 90% dell’intero ammontare del contributo concesso, per un importo totale di € 4.165.897,39, sono state liquidate nel 2003 e 2004, sulla base degli avanzamenti lavori accertati, non senza rilevare come la ricorrente abbia chiesto ed ottenuto, nel 2003, la proroga di un anno per l’ultimazione dei lavori;
il saldo del contributo, invece, non è stato erogato, essendo intervenuta la sentenza dichiarativa del fallimento.

Non è, pertanto, imputabile all’Amministrazione lo stato di dissesto economico in cui la società si è trovata, nonostante avesse ricevuto la quasi totalità del contributo, per un importo invero consistente, in conformità alla normativa di settore.

Le superiori considerazioni evidenziano l’infondatezza del ricorso che, pertanto, deve essere respinto in uno con l’accessoria istanza risarcitoria.

Quanto, infine, alla pure introdotta istanza di liquidazione di indennizzo, ritiene il Collegio che l'art. 21 quinquies della L.7 agosto 1990 n. 241, inserito dall'art. 14 della L.11 febbraio 2005 n. 15, dispone che l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere all'indennizzo dei destinatari del provvedimento amministrativo revocato solo qualora la revoca sia determinata da "sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario". L’invocata disposizione normativa non è pertanto applicabile nel caso di specie, in cui il soggetto destinatario del provvedimento si obbligava a perseguire delle specifiche finalità a fronte della corresponsione di un contributo in conto capitale, mentre la revoca dello stesso è stata determinata per fatto imputabile al beneficiario (rappresentato, nella specie, dallo stato di fallimento), il che esclude, di per sé, la possibilità di ottenere alcun indennizzo.

Le spese del giudizio possono essere compensate integralmente, sussistendo giusti motivi.

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