TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2019-10-16, n. 201911935

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2019-10-16, n. 201911935
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201911935
Data del deposito : 16 ottobre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/10/2019

N. 11935/2019 REG.PROV.COLL.

N. 09728/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9728 del 2019, proposto da F N, rappresentato e difeso dagli avvocati G L C e M C, con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi in Roma, Piazza Barberini, n. 12 e domicilio digitale agli indirizzi p.e.c. come da Registri di Giustizia;

contro

l’Ufficio centrale elettorale nazionale presso la Suprema Corte di Cassazione, in persona del legale rappresentante pro tempore ed il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, per legge domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Mario Furore – nella qualità di candidato espresso dal Movimento 5 Stelle al quale è stato attribuito, per effetto dell’applicazione dell’art. 83 del d.P.R. n. 361/1957, il seggio che, invece, non è stato assegnato al ricorrente che vi avrebbe avuto diritto ove fosse stata fatta applicazione dell’art. 21, n. 3, legge n. 18/1979 – rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Gaetano Scoca, Alessandro Gigli e Vania Romano, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via G. Paisiello, n.55 e domicilio digitale agli indirizzi p.e.c. come da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

dell’atto di proclamazione degli eletti al Parlamento Europeo spettanti all’Italia per il quinquennio 2019-2024, adottato dall’Ufficio centrale in data 21 giugno 2019;
dell’atto di proclamazione degli eletti adottato dall’Ufficio elettorale della III Circoscrizione Italia Centrale (di cui non è indicata la data sulla comunicazione che ne ha dato pubblicità);
dell’atto di proclamazione degli eletti adottato dall’Ufficio elettorale della IV Circoscrizione Italia Meridionale (di cui non è indicata la data sulla comunicazione che ne ha dato pubblicità);
di tutti gli atti preparatori e connessi, presupposti e consequenziali, ivi compreso il documento elaborato dal Ministero dell’Interno denominato “Elezioni del Parlamento Europeo 26/05/2019 Procedimento di riparto dei seggi alle liste” (reperibile in rete sul sito del Ministero dell’Interno) e il verbale delle operazioni dell’Ufficio Elettorale Nazionale del 7 giugno 2019, nella parte in cui, senza esaminare la segnalazione dell’odierno ricorrente, hanno determinato i seggi spettanti e attribuiti alla Lista Movimento 5 Stelle nella III Circoscrizione Italia Centro in numero di 2 (due) invece che 3 (tre) e nella IV Circoscrizione Italia Meridionale nel numero di 6 (sei) anziché 5 (cinque), atti che sono stati resi noti per effetto del comunicato intestato “Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia” e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 25 giugno 2019.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, dell’Ufficio centrale elettorale nazionale presso la Suprema Corte di Cassazione e di Mario Furore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2019 la dott.ssa Brunella Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.


FATTO

Con il ricorso introduttivo del presente giudizio l’Ing. F N, candidato alle elezioni europee nelle liste del Movimento 5 Stelle per la circoscrizione Italia Centro, ha agito per l’annullamento degli atti in epigrafe indicati, concernenti gli esiti delle consultazioni per il rinnovo dei rappresentanti del Parlamento Europeo del 26 maggio 2019, nelle quali, in ragione del numero dei voti espressi in proprio favore, è risultato primo dei non eletti.

Premessa una puntuale ricostruzione delle modalità attraverso le quali l’ufficio elettorale ha proceduto alla distribuzione dei seggi, parte ricorrente ha evidenziato che, a causa del contrasto emerso tra i seggi assegnati su base nazionale alle diverse liste e la somma dei seggi assegnati a ciascuna lista nelle cinque circoscrizioni nelle quali è stato suddiviso il territorio nazionale, si è proceduto, in applicazione delle previsioni di cui all’art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957, al trasferimento di due seggi che sarebbero spettati al Movimento 5 Stelle (lista eccedentaria a livello circoscrizionale) – uno dei quali proprio afferente alla circoscrizione Italia Centro – in favore di altre liste (Forza Italia e Fratelli d’Italia). Attraverso una analitica esposizione, corredata anche da tabelle esplicative, la difesa dei ricorrenti ha contestato, con ampie argomentazioni, la legittimità di tale procedura e, in primis, l’omessa applicazione dell’art. 21 della l. n. 18 del 1979, diffusamente illustrando le ragioni per le quali, a proprio avviso, contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio di Stato dapprima con la sentenza n. 2886 del 2011 e, poi, anche con il parere reso dalla I Sezione, n. 4748 del 2013, la predetta disposizione non potrebbe ritenersi abrogata, in tal senso militando anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 271 del 2010, con la quale l’applicazione del sopra richiamato art. 21 non è stata ritenuta lesiva dei parametri costituzionali indicati nelle ordinanze di rimessione, evidenziando, altresì, che la ricerca di una diversa soluzione, idonea a ridurre l’effetto di slittamento dei seggi da una circoscrizione all’altra, necessariamente avrebbe richiesto un intervento del legislatore, dovendosi escludere l’ammissibilità del ricorso all’analogia in materia elettorale. Con chiarezza la difesa del ricorrente ha prospettato il travalicamento dei confini della giurisdizione integrato dalle predette decisioni, sollecitando un incidente di costituzionalità dell’art. 2, legge 18/1979 se interpretato come tale da determinare l’abrogazione dell’art. 21, n. 3, legge 18/1979, nonché dell’art. 51, legge 18/1979, interpretato nel senso di rendere applicabili alle elezioni europee l’art. 83 del d.P.R. 361/1957, per violazione degli artt. 1, 3, 48, 49 Cost., anche con riferimento alla decisione 2002/272/CE, Euratom e all’art. 14, TUE e perciò agli artt. 10, 11 e 117 Cost., nonché per violazione dell’art. 134, Cost. e dell’art. 136, Cost., oltre che degli articoli 101 (non spettando alla giurisdizione “ disapplicare una norma di legge che non è stata abrogata dal legislatore, consapevolmente ”), 70 e 72 ( in quanto “ solo il legislatore, e per esso il Parlamento, può intervenire in materia elettorale ”), 87 (giacché “ ogni volta che ricorre una riserva di legge, com’è in materia elettorale, non può mancare la promulgazione del Capo dello Stato ”), 95 (non essendo il Governo legittimato, tramite le istruzioni impartite in occasione delle elezioni europee dal Ministero dell’interno, sostituirsi al Parlamento nella disciplina delle operazioni di scrutinio).

Al tal fine, parte ricorrente ha, in particolare, sottolineato la difficoltà nella definizione di un esatto punto di equilibrio tra rappresentanza politica e territoriale, implicante il contemperamento di diversi obiettivi e condizionato da numerose variabili, rimarcando il ruolo che solo il legislatore è legittimato ad espletare al fine di individuare la soluzione ritenuta più congrua, anche tenuto conto delle notevoli differenze che sussistono tra le elezioni nazionali e quelle europee, tanto sul piano ordinamentale (diverso numero di seggi e di circoscrizioni, nonché differente ampiezza delle circoscrizioni e, quindi, dei seggi da assegnare) quanto sul piano politico (diverso tasso di partecipazione al voto, diverso valore dell’astensione o del voto nullo, diverso significato del voto). L’idea, inoltre, che i territori debbano essere egualmente rappresentati a livello europeo non trova, secondo le prospettazioni del ricorrente, alcun fondamento alla luce della disciplina eurounitaria, la quale delinea la rappresentanza parlamentare quale strumento per costituire una cittadinanza in cui l’appartenenza ai singoli territori è vista come un valore degressivo rispetto all’appartenenza al territorio dell’Unione complessivamente considerata, tanto più considerando che nessuna norma dei trattati europei esprime un contenuto normativo simile a quello degli artt. 56 e 57, Cost. e che la definizione a livello nazionale delle circoscrizioni non realizza affatto una omogeneità territoriale. E, anzi, l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957 determina un’alterazione della proporzionalità all’interno delle circoscrizioni, ben potendo accadere che, stante la necessaria coincidenza per ciascuna lista tra il numero di seggi spettante a livello nazionale e quello risultante dalla somma dei seggi conseguiti nelle singole circoscrizioni resti cospicui non ottengano il seggio (per previo esaurimento della quota ottenuta dal partito in collegio unico nazionale) o che, al contrario, resti minimi si vedano attribuire seggi “di risulta”, ovvero, addirittura, che un unico resto, anche se di irrisoria consistenza, venga “premiato” con due seggi.

Il Ministero dell’Interno e l’Ufficio centrale elettorale nazionale presso la Suprema Corte di Cassazione si sono costituiti in giudizio con la difesa erariale, concludendo, con articolate argomentazioni, per il rigetto del ricorso.

Si è costituito in giudizio anche il controinteressato Mario Furore, sollevando eccezioni preliminari di inammissibilità del ricorso per mancato superamento della prova di resistenza e di difetto del contraddittorio, nonché concludendo, comunque, per l’infondatezza del ricorso nel merito.

Successivamente il ricorrente ha articolato memorie in replica alle deduzioni delle controparti, insistendo per l’accoglimento del gravame.

All’udienza pubblica del 15 ottobre 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Il Collegio, conformemente alla coordinate tracciate dall’A.P. con la sentenza n. 5 del 2015, ritiene di poter prescindere sia dall’esame dell’eccezione preliminare sollevata dalla difesa del controinteressato sia dalla necessità di disporre l’integrazione ex art. 49 c.p.a., stante l’infondatezza del ricorso nel merito.

Le deduzioni di parte ricorrente dirette a contestare l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza n. 2886 del 2011, confermato – come dettagliatamente esposto in ricorso – anche in sede consultiva con il parere richiesto dal Ministero dell’Interno (Sez. I, 5 dicembre 2013, n. 3703) in vista dell’indizione delle elezioni per il Parlamento europeo relativamente al quinquennio 2014-2019, oltre che dalla univoca giurisprudenza successiva (il che esime da citazioni specifiche), non possono trovare positivo apprezzamento.

L’opzione ermeneutica adottata dal giudice d’appello è fondata su un percorso argomentativo particolarmente accurato e solido, esaustivamente esplicitato, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsene.

Come chiarito, infatti, nelle numerose pronunce giurisdizionali indicate anche dalla difesa del ricorrente, l’abrogazione dell’art. 21, comma 1, n. 3 della l. n. 18 del 1979 si fonda sulla rilevata incompatibilità delle relative previsioni con l’art. 2 della stessa legge, come modificato dall’art. 1 della l. n. 61 del 1984 e sull’applicazione del criterio cronologico ( lex posterior derogat priori ), che costituiscono fondamento idoneo ad una corretta risoluzione del rapporto tra le norme considerate, superando, in tal modo, l’antinomia emergente dall’analisi degli artt. 2 e 21 della predetta legge.

Dall’esame dei lavori preparatori della legge di riforma, ampiamente illustrati nella sentenza del Consiglio di Stato n. 2886 del 2011, emerge con nitore che le significative modifiche introdotte all’art. 2 della l. n. 18 del 1979 hanno avuto lo scopo di incardinare sulla proporzionalità territoriale la determinazione del numero dei seggi da assegnare a ciascuna circoscrizione (e perciò la misura di rappresentanza dei singoli territori), lasciando invece integralmente alle dinamiche della proporzionalità politica la fissazione del numero dei seggi riconoscibili a ciascuna lista nell'ambito nazionale. Nella sentenza sopra richiamata, infatti, il Consiglio di Stato non ha trascurato di rimarcare che: « La relazione (n.d.r. al disegno di legge), nel segnalare le principali disposizioni innovatrici proposte, partiva proprio dall'illustrazione di quella in esame, recata dall'art. 1 del testo, osservando come questa "disciplina, in via permanente, l'assegnazione del numero dei seggi alle singole circoscrizioni, prevedendo un meccanismo identico a quello delle elezioni politiche, e cioè la ripartizione dei seggi in ragione proporzionale della popolazione di ogni circoscrizione "». Inoltre, nella seduta della Camera del 4 aprile 1984 il relatore Vernola, analogamente, avvertiva: " Particolarmente importante è l'articolo 1 del provvedimento, che modifica il sistema di assegnazione dei seggi alle singole circoscrizioni, sulla base di un meccanismo identico a quello delle elezioni politiche, stabilendo che la ripartizione dei seggi avvenga in ragione proporzionale alla popolazione di ogni circoscrizione e non più in relazione al numero dei voti espressi ". E poco dopo il Ministro proponente ribadiva il " notevole miglioramento apportato dal provvedimento nell'attribuzione dei seggi alle singole circoscrizioni ". Presso il Senato, similmente, il successivo 5 aprile, il relatore Murmura rilevava in sede di Commissione (dis. n. 653) che (allora) " il riparto dei seggi, essendo determinato sulla base dei votanti e non degli iscritti nelle liste elettorali, viene a penalizzare le regioni meridionali ove il rilevante fenomeno migratorio si traduce in una affluenza alle urne inferiore a quella che si registra nel resto d'Italia"." Di talché , "la funzione di incardinare sulla proporzionalità territoriale la determinazione del numero dei seggi da assegnare a ciascuna circoscrizione (e perciò la misura di rappresentanza dei singoli territori), lasciando invece integralmente alle dinamiche della proporzionalità politica la fissazione del numero dei seggi riconoscibili a ciascuna lista nell'ambito nazionale ".

E, invero, come evidenziato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 271 del 2010, dal 1984 in poi, anche nella disciplina elettorale italiana per il Parlamento europeo sono individuabili due esigenze: da un lato, l’assegnazione dei seggi nel collegio unico nazionale in proporzione ai voti validamente espressi, quale riflesso del criterio della proporzionalità politica;
dall’altro, la distribuzione dei seggi fra le circoscrizioni in proporzione alla popolazione, che è espressione del criterio di rappresentanza c.d. territoriale.

La portata innovativa delle modifiche introdotte all’art. 2 della l. n. 18 del 1979 non può essere revocata in dubbio, risultando inequivoca la volontà del legislatore come emergente dagli stessi atti parlamentari, dai quali, giova precisare, consta altrettanto inequivoca la prefigurazione di un meccanismo identico a quello delle elezioni politiche (nazionali).

Tale incontestabile premessa rende evidente anche la radicale incompatibilità delle previsioni della seconda parte dell’art. 21, riferite alla previsioni di dettaglio sullo scrutinio, le quali sono formalmente rimaste inalterate continuando a far dipendere tutto ciò che attiene alla concreta attribuzione dei seggi alle liste esclusivamente dai voti espressi, senza contemplare esplicitamente alcun meccanismo correttivo che garantisca la salvaguardia del riparto dei seggi per circoscrizione ormai impostato, a norma del nuovo art. 2, come sopra rilevato, secondo il criterio della proporzionalità territoriale.

Venendo in rilievo il rapporto di coerenza e compatibilità tra due norme che attengono alla stessa materia approvate in tempi successivi, l’opzione interpretativa sostenuta dal Consiglio di Stato si ritiene saldamente ancorata ai tradizionali canoni ermeneutici, risultando dirimente il “ naturale primato spettante alla lex superveniens ” ed assumendo, nel percorso argomentativo illustrato dal giudice d’appello, il riferimento alla “collocazione” dell’art. 2 nel titolo I della l. n. 18 del 1979 tra le “disposizioni generali della stessa fonte”, una valenza rafforzativa delle conclusioni rassegnate quanto all’abrogazione delle previsioni dell’art. 21 che vengono in rilievo, derivante dalla connotazione delle innovazioni introdotte con la legge di riforma in termini di principi ai quali il sistema elettorale in argomento deve conformarsi.

Non può, inoltre, trovare condivisione l’affermazione secondo la quale la perdurante vigenza delle previsioni di cui parte ricorrente invoca l’applicazione derivi dalle considerazioni espresse dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 271 del 2010, giacché né in tale sentenza né nella giurisprudenza successiva la Corte ha mai espresso, anche solo implicitamente, un simile avviso. Nella predetta pronuncia, infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni di legittimità sottoposte al suo esame proprio con ordinanze di questa Sezione in relazione anche all’art. 21, comma 1, n. 3, articolando un percorso argomentativo che, lungi dall’escludere, conferma la sussistenza dell’illustrato contrasto tra le due norme della l. n. 18 del 1979, auspicando un intervento del legislatore volto ad individuare la soluzione più idonea a porre rimedio, in sede generale ed astratta e con piena certezza giuridica, alla riscontrata incongruenza della disciplina sin qui evidenziata.

Ed il Collegio, per le ragioni sopra esposte, non ritiene sussistente alcun plausibile argomento idoneo a sorreggere la tesi di una perdurante vigenza delle predette previsioni.

Al riguardo, peraltro, si osserva che nella consapevolezza di una lacuna nel sistema della legge n. 18 del 1979 (stante, come rilevato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 2886 del 2011, “ l'assenza di espliciti meccanismi di raccordo, nella riforma del 1984, tra il nuovo testo dell'art. 2 e la disciplina delle modalità attuative delle operazioni di scrutinio, che siano in grado di salvaguardare il riparto dei seggi per circoscrizione operato secondo il criterio della proporzionalità territoriale, riducendo l'effetto traslativo più volte riscontrato, e cioè lo scarto fra seggi conseguibili nelle circoscrizioni in base ai voti validamente espressi e seggi ad esse invece spettanti in base alla popolazione ”) e fermo l’auspicio espresso anche dalla Corte Costituzionale ad un intervento chiarificatore del legislatore, il giudice d’appello, senza travalicare i limiti delle proprie attribuzioni, come espressamente riconosciuto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 4769 del 2012, ha fatto ricorso al sistema di autointegrazione previsto dalla stessa legge n. 18 del 1979, fondato sul richiamo operato dal suo art. 51 alla disciplina delle elezioni della Camera dei Deputati, evidenziando – peraltro, anche al riguardo, in perfetta conformità alle osservazioni della Corte Costituzionale – che tale soluzione pur non essendo costituzionalmente obbligata è certamente autorizzata in forza della suddetta norma di rinvio. L’applicazione, dunque, del meccanismo previsto dall’art. 83, comma 1 del d.P.R. n. 361 del 1957 costituisce un meccanismo ancorato sul piano tecnico ad un saldo fondamento rinvenibile nella medesima legge che disciplina le elezioni al Parlamento europeo.

Con precipuo riferimento alla distribuzione, per ogni circoscrizione, dei seggi assegnati in sede nazionale a ciascuna lista ammessa, l’art.83, comma 1, n. 8, prevede una procedura di correzione, in modo che ciascuna coalizione o lista singola ottenga, dalla somma dei seggi assegnati in ciascuna circoscrizione, il totale dei seggi ad essa spettanti in base alle assegnazioni effettuata in ambito nazionale e ciascuna circoscrizione ottenga dalla somma dei seggi in essa assegnati il totale dei seggi ad essa spettanti in base alla propria popolazione.

A quest’ultimo risultato si perviene attraverso un procedimento che si sviluppa in due fasi:

- nella prima, dopo aver diviso il totale delle cifre circoscrizionali di tutte le liste di ciascuna coalizione o la cifra circoscrizionale della singola lista per il quoziente elettorale nazionale, si calcola l’indice relativo ai seggi da attribuire nella circoscrizione alle liste della coalizione o della singola lista;

- nella seconda, si procede a successivi aggiustamenti con strumenti prefissati dalla stessa norma, in modo che il numero dei seggi assegnati in ciascuna circoscrizione sia proporzionale al numero dei voti che ciascuna coalizione o lista singola ha ottenuto in quella circoscrizione e che ciascuna circoscrizione ottenga, una volta sommati i seggi in essa assegnati a tutte le liste, il totale dei seggi ad essa spettanti in base alla popolazione censita.

Pertanto, se si considera che anche la Corte costituzionale, nella più volte richiamata pronuncia n. 271 del 2010, pur osservando che spetta al legislatore la scelta dei possibili sistemi volti a contemperare il principio di proporzionalità politica con quello della rappresentanza territoriale, ha implicitamente convenuto che la disciplina prevista per la Camera dei deputati dall’art. 83, comma 1, n. 8, del d.P.R. n. 361 de1957 è in grado di ridurre l’effetto di slittamento dei seggi da una circoscrizione all’altra, non resta che concludere per l’applicabilità di quest’ultima disposizione anche alle elezioni dei membri del Parlamento europeo assegnati all’Italia (in termini, Consiglio di Stato, parere n. 4748 del 2013).

Non emergono, inoltre, profili di irragionevolezza nell’applicazione della sopra richiamata norma e ciò in quanto le indubbie peculiarità della disciplina dettata per la Camera dei deputati non sono tali da scalfire la sopra esposta operazione ermeneutica. E, invero, l’assimilazione dei due sistemi elettorali è stata affermata non solo dalla giurisprudenza amministrativa sopra richiamata ma anche dalla Corte Costituzionale, da ultimo con la sentenza n. 239 del 2018, con la quale, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità dell’art. 21, comma 1, numeri 1-bis) e 2) e dell’art. 22 della l. n. 18 del 1979, ha, tra l’altro, sottolineato che la “ modifica operata dal Trattato di Lisbona secondo cui «[i]l Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei cittadini dell’Unione» (art. 14, paragrafo 2, TUE), e non più «di rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità», invero, non ha fatto venir meno la dimensione nazionale della rappresentanza ”.

Giova precisare, altresì, che la conformità al criterio proporzionale, alla luce anche della normativa eurounitaria, è stata già positivamente valutata dal giudice d’appello con considerazioni integralmente condivise dal Collegio (cfr. Cons. St., sez. V, n. 236 del 2016), dovendosi anche evidenziare che neppure parte ricorrente ha addotto specifiche ragioni impeditive, sul piano logico- giuridico, all’applicazione della disciplina in argomento con specifico riferimento alla fattispecie concreta oggetto di giudizio, nella quale, invero, viene in rilievo l’applicazione del meccanismo di compensazione tra l’unica lista risultata eccedentaria (5 Stelle) e le due liste deficitarie, tenuto conto dei voti riportati a livello nazionale e dei seggi spettanti ad ognuna delle cinque circoscrizioni in cui è suddiviso il collegio unico nazionale, secondo la ripartizione stabilita con il d.P.R. 22 marzo 2019 che neppure ha costituito oggetto di impugnazione (circostanza, questa, di per sé idonea a determinare l’inammissibilità delle deduzioni dirette a contestare l’attribuzione dei seggi alle singole circoscrizioni). Consta, infatti, dal verbale dell’Ufficio elettorale nazionale prodotto in atti, ai fini che in questa sede rilevano, che la cifra elettorale nazionale conseguita dalla lista Movimento 5 Stelle è stata pari a 4.569.260, in ragione della quale è stata prevista la spettanza di complessivi 14 seggi e che, tenuto conto del numero di seggi fissato per ciascuna circoscrizione dal sopra indicato d.P.R. del 22 marzo 2019, tale lista è risultata eccedentaria di due seggi individuati nelle circoscrizioni nelle quali li ha ottenuti con le parti decimali dei quozienti di attribuzione, secondo il loro ordine crescente e quindi nella circoscrizione I Italia nord occidentale e, successivamente, nella circoscrizione III Italia Centrale;
relativamente a quest’ultima – per la quale il ricorrente ha presentato la propria candidatura – il seggio è stato assegnato alla lista deficitaria Forza Italia, sicché l’attribuzione è avvenuta all’interno della medesima circoscrizione in rapporto alla cifra elettorale nazionale.

Ciò in applicazione dell’art. 83, lett. h) del d.P.R. n. 361 del 1957, la cui ratio è finalizzata proprio alla tutela della rappresentanza politica sul piano nazionale. Come evidenziato, del resto, dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 35 del 2017, tale meccanismo ha l'obbiettivo di consentire che le compensazioni avvengano all'interno di una medesima circoscrizione, costituendo la traslazione di un seggio da una circoscrizione ad un'altra, nella procedura di assegnazione dei seggi, un'ipotesi residuale, che può verificarsi per ragioni matematiche e casuali.

In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso va rigettato.

Il Collegio valuta nondimeno sussistenti i presupposti per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti, tenuto conto della natura della controversia, della peculiarità della posizione rivestita dal ricorrente anche in ragione degli esiti delle consultazioni e della complessità delle questioni implicate.

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