TAR Firenze, sez. III, sentenza 2023-09-22, n. 202300849
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Pubblicato il 22/09/2023
N. 00849/2023 REG.PROV.COLL.
N. 01125/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1125 del 2022, proposto da
Felcan S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato S C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Cultura e Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentati e difesi
ex lege
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze e presso di essa domiciliati in Firenze, via degli Arazzieri, 4;
Comune di Montopoli in Val D'Arno, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato Michele Dionigi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Le Barbate S.r.l., non costituita in giudizio;
e con l'intervento di
ad adiuvandum
P U, rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Chierroni e Domenico Iaria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Domenico Iaria in Firenze, via de' Rondinelli 2;
per l'annullamento
previa sospensione,
- della Determina Dirigenziale del Settore Urbanistica – S.U.A.P. – Unità Operativa Urbanistica Paesaggio e Ambiente del Comune di Montopoli in Val d'Arno n. 270 del 27 giugno 2022 di conclusione negativa della Conferenza dei servizi sulla istanza di autorizzazione paesaggistica presentata dalla Società Felcan S.r.l. con riferimento al complesso immobiliare “Le Barbate”, comunicata tramite pec in data 27 giugno 2022 e, per quanto occorrer possa, dei verbali della suddetta Conferenza, in particolare del verbale di conclusione del procedimento del primo giugno 2022 allegato alla suddetta comunicazione pec del 27 giugno 2022;
- della Determina Dirigenziale del Settore Urbanistica – S.U.A.P. – Unità Operativa Urbanistica Paesaggio e Ambiente del Comune di Montopoli in Val d'Arno n. 303 del 12 luglio 2022 di dichiarazione di nullità ed inefficacia dei titoli edilizi rilasciati in riferimento al complesso immobiliare “Le Barbate”, comunicata tramite pec in data 12 luglio 2022;
- della Ordinanza del Responsabile del Settore Urbanistica – S.U.A.P. n. 164 del 30 agosto 2022 di demolizione di ogni opera realizzata sulla base dei titoli edilizi annullati, comunicata tramite pec in data 30 agosto 2022;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale ai sopra indicati provvedimenti e atti, ivi comprese le Note della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno n. 4333 del 31 marzo 2021, n. 6419 del 3 maggio 2021, n. 1820 dell’8 febbraio 2022 e n. 2943 del 25 febbraio 2022 nonché le eventuali ulteriori note o gli eventuali ulteriori pareri della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno, della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e del Ministero della Cultura, ancorché non conosciuti dalla ricorrente, se ed in quanto lesivo dei diritti e degli interessi della medesima, e con riserva di motivi aggiunti nonché con riserva di proposizione di domanda risarcitoria ai sensi dell'art. 30, comma 5 c.p.a..
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno e del Comune di Montopoli in Val D'Arno;
Visto l’atto di intervento ad adiuvandum del sig. P U;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 giugno 2023 la dott.ssa S D F e uditi i difensori della parte ricorrente e dell’interveniente, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La Società Felcan S.r.l. nell’anno 2020, nell’ambito di una procedura esecutiva promossa dinanzi al Tribunale di Pisa, ha acquistato un complesso immobiliare destinato a uso turistico-ricreativo denominato “Le Barbate”, già oggetto di un piano di recupero approvato nell’anno 1994 e per il quale, nel corso del tempo, sono stati autorizzati vari interventi edilizi (concessioni del 1999, del febbraio e dicembre 2003, del giugno 2004;piano unitario di riordino approvato nel 2005 e rilascio di permesso di costruire dell’aprile 2006;d.i.a. del giugno 2006, dell’agosto 2007 e del gennaio 2008).
A seguito di alcune verifiche svolte presso gli uffici comunali è emersa l’esistenza di un vincolo paesaggistico ex art. 142, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 42/2004, gravante su una porzione dell’area oggetto degli interventi assentiti, per la presenza del Torrente Chiecina, del quale non si era tenuto conto in occasione del rilascio dei precedenti titoli edilizi.
Il Comune ha quindi attivato d’ufficio il procedimento per l’accertamento di conformità paesaggistica ex art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 e altrettanto ha fatto la proprietà ai fini dell’accertamento di conformità in sanatoria di alcune difformità intervenute durante la costruzione dei fabbricati adibiti a ristorazione e bar e nella sistemazione dell’area pertinenziale.
L’autorizzazione paesaggistica postuma è stata rilasciata per gli interventi eseguiti in forza dei titoli rilasciati negli anni 1999 – 2003.
Viceversa, per i titoli edilizi relativi ad interventi assentiti o realizzati successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 157/2006 - e cioè la concessione edilizia n. 32/2004, il permesso di costruire n. 8/2006, la d.i.a. del 19 giugno 2006, la d.i.a. 30 agosto 2007 e la d.i.a. 10 gennaio 2008 - è stato richiesto parere di compatibilità paesaggistica alla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno (cfr. docc. 3, 4 e 5 di parte ricorrente).
Quest’ultima ha riscontrato la richiesta informando il Comune di aver interessato della questione la Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero che, a sua volta, ha richiesto un parere all’Ufficio Legislativo del Ministero medesimo (cfr. docc. 9, 12, 14 e 16 di parte ricorrente).
Conclusi i lavori della Conferenza di Servizi all’uopo convocata, il Comune, con la determina dirigenziale n. 270 del 27 giugno 2022, ha rigettato l’istanza di compatibilità paesaggistica per gli interventi realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 157/2006 (cfr. doc. 19 di parte ricorrente).
Con la determina n. 303 del 12 luglio 2022, i titoli edilizi rilasciati o formatisi nel periodo 2006 – 2008 in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica sono stati dichiarati nulli e inefficaci.
Con ordinanza dirigenziale n. 164 del 30 agosto 2022, infine, il Comune ha ingiunto la demolizione di ogni opera edilizia realizzata in ragione dei titoli edilizi decaduti.
2. La società Felcan ha impugnato gli atti sopra richiamati.
3. Il Comune di Montopoli si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso.
Nella nota con cui è stato chiesto il passaggio in decisione della controversia sulla base dei soli scritti difensivi il Comune ha eccepito anche l’irricevibilità del ricorso per mancata impugnazione della nota prot. n. 4333 del 31 marzo 2021 con cui la Soprintendenza, a suo dire, avrebbe espresso parere negativo vincolante alla sanatoria paesaggistica delle opere.
4. Si è costituita anche la Soprintendenza, depositando memoria di mero stile.
5. Il sig. Ulivieri - tecnico che ha progettato gli interventi di recupero dell’area e asseverato le d.i.a. dichiarate inefficaci - è intervenuto ad adiuvandum , in ragione delle conseguenze pregiudizievoli sul piano civile, penale e disciplinare che lo stesso potrebbe subire a seguito del consolidarsi dei provvedimenti impugnati.
6. Con ordinanza n. 608 del 26 ottobre 2022 è stata accolta la domanda cautelare per consentire al Collegio di decidere a situazione invariata.
7. All’udienza del 28 giugno 2023 è stato sentito il difensore della parte ricorrente, che ha tra l’altro replicato all’eccezione di irricevibilità sollevata dal Comune con la nota di udienza depositata il 26 giugno 2023, e quello dell’interveniente.
La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Va in primo luogo respinta l’eccezione di irricevibilità del ricorso formulata dal Comune per mancata impugnazione della nota prot. n. 4333 del 31 marzo 2021 con cui la Soprintendenza, nell’ambito della conferenza di servizi, avrebbe espresso il proprio parere negativo vincolante rispetto alla possibilità di sanare paesaggisticamente le opere di cui si discute.
Si tratta infatti di una nota di natura interlocutoria, che escludeva, allo stato, la possibilità di esprimersi in modo definitivo sulla sanabilità delle opere, stante la necessità di svolgere ulteriori approfondimenti;la stessa quindi non ha prodotto effetti lesivi diretti e immediati nella sfera giuridica della ricorrente, che sono invece da ricondursi al provvedimento conclusivo della conferenza di servizi - che peraltro richiama anche la nota prot. n. 4333 del 31 marzo 2021 - e ai successivi atti adottati dal Comune, tutti tempestivamente impugnati dalla ricorrente.
2. Con la prima censura la ricorrente evidenzia che l’esistenza del vincolo ex lege derivante dalla presenza del Torrente Chiecina nel corso degli anni non è mai stata rilevata, né dal Comune, né dalla Soprintendenza, pur chiamati ad esaminare e valutare vari interventi edilizi da eseguire nell’area in questione, in particolare in occasione dell’approvazione del progetto di svincolo stradale con cavalcavia che sorge in prossimità del complesso immobiliare di cui si controverte e in piena zona vincolata.
Tale circostanza dimostrerebbe l’esistenza di una situazione di incertezza oggettiva in ordine all’ambito spaziale di operatività del vincolo, che non era rappresentato nella cartografia del Piano Regolatore Generale rinvenuta nelle pratiche edilizie del 2003, 2004 e 2006.
Si sarebbe dunque in presenza di una delle ipotesi in cui è ammessa la sanatoria paesaggistica.
La doglianza è priva di pregio.
Nell’area in cui ricadono le opere di cui si controverte opera un vincolo paesaggistico ex lege imposto dal “Decreto Galasso” (d.m. 21 settembre 1984), confermato nella “Legge Galasso” (l. n. 431/1985) e infine trasfuso nell'art. 142, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 42/2004, per la presenza di un corso d'acqua denominato “Torrente Chiecina”.
Infatti, in base all’art. 1 della l. n. 431/1985, ripreso dall’art. 142 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, sono sottoposti a vincolo paesaggistico “… c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna”.
Il Torrente Chiecina, in particolare, è stato censito e inserito, nei suoi differenti tratti, nell’elenco delle acque pubbliche, mediante appositi regi decreti;lo stesso, inoltre, è stato riportato negli allegati E ed L al Piano di Indirizzo Territoriale con valore di Piano Paesaggistico della Regione Toscana che, secondo quanto previsto dall'art. 143 del D.Lgs. n. 42/2004, ha eseguito una ricognizione delle aree interessate dai vincoli paesaggistici, anche dal punto di vista cartografico.
Nel Piano Strategico comunale approvato nel 1998, infine, si rinviene una tavola denominata “Quadro conoscitivo- Vincoli ambientali e paesaggistici - scala 1:10.000” dove l'area d'interesse è individuata come “protetta” ai sensi della L.R. n. 52/1979 che recava la “Sub-delega ai Comuni delle funzioni amministrative riguardanti la protezione delle bellezze naturali” (cfr. doc. 32 del Comune).
In siffatto quadro, è evidente che la mancanza di una cartografia di dettaglio contenente la puntuale delimitazione dell’area sottoposta a protezione non è circostanza sufficiente ad escludere l’operatività del vincolo ex lege inevitabilmente scaturito dalla previsione di cui al citato art. 142, comma 1, lett. c) e dall’inserimento del Torrente nell’elenco delle acque pubbliche.
Nella fattispecie, inoltre, non sono state prospettate circostanze particolari, non imputabili alle parti coinvolte nella vicenda, che possano avere indotto in errore i proprietari dell’area in ordine all’esistenza del vincolo e che possano giustificare, seppure per mera ipotesi, l’eccezionale inoperatività dello stesso.
Infatti, come sopra chiarito, la presenza del vincolo era conoscibile dalle parti coinvolte nel procedimento amministrativo - tutte dotate di specifiche competenze tecniche - grazie all’inserimento del Torrente Chiecina negli elenchi delle acque pubbliche, disposto con appositi regi decreti, e grazie ad una rigorosa attività istruttoria, che sempre deve precedere la presentazione di una domanda di rilascio di titoli edilizi.
Il fatto che l’esistenza del vincolo sia stata ignorata dal Comune e dalla Soprintendenza nell’ambito del procedimento finalizzato all’approvazione del progetto di viabilità realizzato nella stessa area può denotare negligenza da parte delle Amministrazioni, ma non vale ad escludere quella, altrettanto significativa, del tecnico che ha presentato le varie pratiche edilizie.
2.1. Con la seconda censura la ricorrente lamenta l’illegittimità del diniego di sanatoria paesaggistica opposto dal Comune, in quanto fondato su un dato di rilievo esclusivamente formale, ossia l’epoca di realizzazione delle opere, successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 157/2006.
Il Comune, invero, nell’adottare il provvedimento finale non avrebbe compiuto quella valutazione sostanziale che esso stesso aveva svolto nella relazione tecnica trasmessa alla Soprintendenza in allegato all’istanza ex art. 167 D.Lgs. n. 42/2004, in cui - esaminando l’effettivo impatto paesaggistico degli interventi e raffrontando questi ultimi con le ben più “impattanti” opere infrastrutturali pubbliche realizzate nelle immediate vicinanze (strada di collegamento provinciale con relativo cavalcavia) - si era espresso in senso favorevole alla loro compatibilità paesaggistica.
Lo stesso, inoltre, avrebbe disatteso il parere reso dal legale esterno appositamente incaricato, che ha prospettato la necessità di valutare la compatibilità paesaggistica sotto il profilo sostanziale e di dare applicazione ad una sorta di sanatoria paesaggistica giurisprudenziale ogni volta in cui, come nel caso in esame, la violazione si risolva in un abuso meramente “formale” (ossia nella mera violazione dell’obbligo di presentare l’istanza autorizzatoria di cui all’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004), ma non sussista in concreto un danno ambientale o una compromissione dei valori paesaggistici.
Né, infine, l’adozione del diniego da parte del Comune potrebbe ritenersi giustificata dall’espressione di un parere negativo da parte della Soprintendenza che, con la nota prot. n. 4333 del 31 marzo 2021, anziché prendere posizione sul caso specifico di cui si controverte, si sarebbe limitata a svolgere considerazioni generali sulla sanabilità di volumi edilizi realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica in data successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 157/2006.
I profili di censura sopra riportati non sono fondati.
Va innanzi tutto precisato che il diniego di sanatoria paesaggistica è stato legittimamente adottato per gli interventi eseguiti in epoca successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 157/2006, che ha reso più stringenti i presupposti per la regolarizzazione paesaggistica delle opere abusive;il Comune, lungi dal voler semplicemente valorizzare il dato formale dell’epoca di realizzazione delle opere, ha semplicemente applicato la normativa sopravvenuta, secondo la sua vigenza temporale, apprestando la tutela più rigorosa - di sicuro rilievo sostanziale - introdotta dal legislatore a fronte di abusi paesaggistici.
Il provvedimento assunto dal Comune, peraltro, non presenta i profili di contraddittorietà e la carenza motivazionale dedotti dalla ricorrente.
Sotto un primo profilo, infatti, va evidenziato che il parere reso dal legale incaricato dal Comune è un atto di natura endoprocedimentale, con funzione consultiva, che è certamente andato ad arricchire l’istruttoria necessaria alla soluzione della complessa vicenda in esame, senza tuttavia imporre all’Amministrazione di farne proprie le conclusioni o di motivare in modo specifico sulle ragioni per le quali riteneva di doversene discostare.
Peraltro, non sarebbe stata praticabile la soluzione proposta nel suddetto parere, ove si è prospettata la possibilità di consentire la sanatoria paesaggistica di interventi che, pur non rientrando nei casi tassativamente previsti dall’art. 167, comma 4 del D.Lgs. n. 42/2004, per la loro concreta incapacità di incidere negativamente sull’ambiente, potrebbero essere demoliti e successivamente ricostruiti, con identiche caratteristiche, previa presentazione di una nuova domanda di autorizzazione.
Invero, la giurisprudenza ha ormai ripetutamente chiarito, con specifico riferimento alla sanatoria edilizia, che per poter regolarizzare ex post interventi eseguiti sine titulo , deve sussistere il requisito della doppia conformità, consistente nella non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina vigente al momento della sua realizzazione e al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria (cfr. ex plurimis , Cons. Stato, sez. IV, 5 maggio 2017, n. 2603).
Il requisito della doppia conformità, infatti, costituisce un principio fondamentale nella materia del governo del territorio, finalizzato a garantire l'assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2021, n. 1457).
Identiche considerazioni valgono in caso di opere realizzate senza la prescritta autorizzazione paesaggistica, come quelle di cui oggi si controverte, per le quali, tra l’altro, il divieto di sanatoria è espressamente previsto dalla legge, agli artt. 146 e 167 del D.L.gs. n. 42/2004.
Sotto un secondo profilo, va chiarito che le considerazioni svolte dal Comune nella corrispondenza intercorsa con la Soprintendenza - in cui sono state formulate anche alcune considerazioni in ordine all’impatto paesaggistico delle opere abusive - avevano il solo scopo di illustrare le peculiarità e la complessità della vicenda, ma non implicavano una determinazione definitiva da parte dell’Amministrazione comunale, rispetto alla quale possa dirsi che vi sia stato un illogico mutamento di orientamento.
Infine, va precisato che il provvedimento adottato dal Comune risulta sostanzialmente coerente anche con il contenuto della nota prot. n. 4333 del 31 marzo 2021, nella quale la Soprintendenza ha comunque escluso di poter approvare la sanatoria paesaggistica degli interventi, almeno sulla base dei dati disponibili.
2.2. Con la terza censura la ricorrente deduce che la Soprintendenza e il Ministero non avrebbero reso alcun parere in ordine alla possibilità di sanare le opere sotto il profilo paesaggistico, limitandosi ad inviare note meramente interlocutorie;la mancata adozione di una specifica determinazione da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, entro il termine perentorio di 90 giorni, sarebbe stata quindi da intendere quale assenso senza condizioni, ai sensi dell’art. 14 bis , comma 4 della l. n. 241/1990.
La determinazione negativa assunta dal Comune si porrebbe dunque in contrasto con la determinazione positiva implicita della Soprintendenza.
Anche questa censura è priva di fondamento.
Occorre in primo luogo precisare che la posizione assunta dalla Soprintendenza nell’ambito della conferenza di servizi, pur non potendo essere considerata quale definitiva espressione del parere di competenza, aveva comunque un contenuto negativo rispetto alla possibilità di sanare le opere;la posizione assunta dall’Amministrazione statale, pertanto, non poteva essere equiparata a tacito assenso.
In secondo luogo va rammentato che l’eventuale “silenzio” delle Autorità statali preposte alla tutela del vincolo paesaggistico, chiamate ad esprimere il proprio parere in ordine alla compatibilità paesaggistica di opere abusive ex art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004, anche nell’ambito di apposita conferenza di servizi, non avrebbe potuto avere valore di assenso.
Difatti, il meccanismo del silenzio assenso di cui all’art. 17 bis della l. n. 241/1990 opera solo in senso orizzontale, ossia tra Amministrazioni, in relazione a procedimenti caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata, in cui la decisione finale necessita di una condivisione tra Enti (in genere preposti alla tutela di interessi pubblici differenziati), sulla base di uno schema di provvedimento elaborato dall'Amministrazione procedente.
L'art. 167, comma 5 del D.Lgs. n. 42/2004, tuttavia, non prevede uno schema di provvedimento formato dall'Amministrazione procedente su cui l'Amministrazione interpellata è chiamata a statuire, con la conseguenza che il silenzio assenso si verrebbe a formare sulla stessa istanza di parte, trasmessa dall'Amministrazione procedente all’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo, e dunque nell'ambito di un rapporto verticale.
In un caso come quello in esame, piuttosto, dovrebbe operare la previsione di cui all’art. 20 della l. n. 241/1990, che prevede il silenzio assenso nei procedimenti avviati su istanza di parte;l’istituto, tuttavia, in base al comma 4 della stessa norma, non è applicabile agli “atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico”, come quello di cui oggi si discute.
Le medesime considerazioni valgono anche nei casi in cui l'autorizzazione paesaggistica debba essere acquisita in seno a una conferenza di servizi, come nel caso di specie;da un lato, infatti, non possono essere ammesse forme di semplificazione procedimentale che limitino o addirittura frustrino le fondamentali esigenze di tutela del paesaggio, che trova la propria fonte primaria nella Costituzione;dall’altro, il parere della Soprintendenza, diretta espressione delle competenze tecniche altamente specialistiche di cui essa è dotata, deve inerire in modo circostanziato al caso concreto.
2.3. Con la quarta censura, formulata in via subordinata, la ricorrente afferma che il divieto di sanatoria paesaggistica non si applicherebbe comunque ai titoli edilizi rilasciati prima del 12 maggio 2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 157/2006 che ha novellato l’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 in senso restrittivo.
Pertanto, alla concessione edilizia n. 32/2004 rilasciata in data 9 giugno 2004 e al permesso di costruire n. 8/2006 rilasciato il 6 aprile 2006 dovrebbe applicarsi il regime normativo previgente che consentiva il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma anche in presenza di interventi che implicano aumento di volume o superficie utile.
La censura è priva di pregio.
Difatti, per l’individuazione della disciplina applicabile non rileva l’epoca di rilascio del titolo edilizio - che costituisce provvedimento del tutto autonomo rispetto all’autorizzazione paesaggistica - ma l’epoca di realizzazione delle opere prive di autorizzazione paesaggistica, quando l’abuso paesaggistico viene concretamente ad esistenza;in tal senso depone il tenore letterale dell’art. 167, comma 4 del D.Lgs. n. 42/2004, che fa riferimento, appunto, ai lavori “realizzati” in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica.
2.4. Con la quinta censura, sempre in via subordinata, la ricorrente evidenzia che tutte le opere, o almeno buona parte di esse, sarebbero state comunque passibili di sanatoria paesaggistica ai sensi del comma 4 dell’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004, come evidenziato anche nel parere del legale nominato dal Comune, perché non implicanti aumento di volume e superficie utile.
Ciò varrebbe, in particolare, per:
- la realizzazione di una piscina, di tre campi sportivi polivalenti, di un parcheggio con viabilità interna e della pavimentazione del cortile tra i due fabbricati esistenti (autorizzati con la precedente concessione edilizia del 1999), di cui alla concessione edilizia n. 32/2004;
- il completamento delle opere di finitura della piscina, non eseguite in base alla concessione edilizia n. 32/2004 nel frattempo scaduta, i montaggi meccanici ed elettrici necessari al funzionamento della stessa, la stesura del manto di erba sintetica nei tre campi sportivi polifunzionali e il completamento di parte della pavimentazione del parcheggio e della viabilità, con sistemazione delle aiuole a verde, il tutto eseguito in forza della d.i.a. del 30.08.2007.
Il motivo è infondato.
Infatti, la piscina, i campi sportivi, i relativi impianti accessori e le altre opere di completamento dell’area - per le loro caratteristiche costruttive e dimensionali, agevolmente desumibili dalla documentazione versata in atti (cfr. in particolare doc. 24 di parte ricorrente) - hanno prodotto, nel loro complesso, una trasformazione assai significativa e permanente del territorio di riferimento, dando luogo anche ad aumenti di superficie utile e volumetria (come nel caso della piscina, che ha dimensioni rilevanti e una forma particolare, e dei campi sportivi).
Tali manufatti, inoltre, sono essenziali per l’esistenza stessa del centro sportivo nell’ambito del quale si inseriscono e sono perciò dotati di una propria specifica autonomia funzionale;gli stessi, quindi, non possono ritenersi mere pertinenze urbanistiche, destinate al miglior godimento di un fabbricato principale.
Nel complesso, pertanto, le opere suddette non possono essere ascritte agli interventi edilizi minori di cui all’art. 167, comma 4 cit., passibili di sanatoria paesaggistica.
2.5. Con la sesta censura, ancora in via subordinata, la ricorrente evidenzia che i campi sportivi polivalenti, parte del parcheggio e della pavimentazione (oggetto della concessione edilizia n. 32/2004 e della d.i.a. del 30 agosto 2007) e la cabina elettrica (oggetto della d.i.a. del 10 gennaio 2008) non sarebbero ricaduti nell’area soggetta al vincolo paesaggistico di cui all’art. 142, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 42/2004 e non avrebbero perciò necessitato della relativa autorizzazione, come desumibile dalla cartografia e dalla relazione istruttoria predisposte dallo stesso Comune e trasmesse alla Soprintendenza per l’espressione del relativo parere (cfr. docc. 24 e 25 di parte ricorrente).
Il Comune, quindi, avrebbe errato nel dichiarare integralmente nulli e inefficaci i titoli edilizi, anche per la parte che si riferisce a tali opere.
La censura è fondata con esclusivo riferimento ai manufatti che, in base alla relazione tecnica per la sanatoria paesaggistica inviata dal Comune alla Soprintendenza e agli altri accertamenti svolti, ricadono integralmente al di fuori dell’area vincolata. Per questi, infatti, l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica non era necessaria e non vi è pertanto ragione che giustifichi la perdita di efficacia dei titoli edilizi originariamente rilasciati.
La censura è invece infondata con riguardo ai manufatti (come il parcheggio e la pavimentazione) che ricadono almeno in parte nell’area vincolata;degli stessi, infatti, non si può che avere una considerazione unitaria e le evidenti esigenze di protezione sottese al vincolo paesaggistico ne impongono l’integrale soggezione al regime di tutela.
2.6. Con la settima censura viene dedotta l’illegittimità, in via derivata, del provvedimento con il quale sono stati annullati o dichiarati inefficaci i titoli edilizi e le d.i.a. relativi ai vari interventi.
Il motivo è infondato per le ragioni che sono state evidenziate nella parte che precede, alla quale si fa pertanto rinvio.
2.7. Con l’ottava censura la ricorrente lamenta l’assenza delle condizioni per dichiarare la nullità dei titoli edilizi rilasciati in assenza di autorizzazione paesaggistica, come pure delle condizioni per l’annullamento dei provvedimenti in via di autotutela, per la scadenza dei termini di legge e per l’insussistenza di una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi e dei beni che ne potesse giustificare il superamento;non sarebbe stato nemmeno effettuato il necessario bilanciamento fra l’interesse dell’Amministrazione alla rimozione delle opere abusive e quello della Società al loro mantenimento.
Il motivo è infondato.
I titoli edilizi di cui si controverte si sono infatti formati in base alla non veritiera rappresentazione dei luoghi contenuta nelle varie pratiche edilizie, nelle quali non è mai stata segnalata la presenza, decisiva, del vincolo paesaggistico legato alla presenza del Torrente Chiecina.
Esistevano dunque i presupposti di legge per l’annullamento dei titoli edilizi anche oltre il termine massimo previsto dalla legge n. 241/1990;nè occorreva una motivazione particolarmente rigorosa che evidenziasse, oltre all’assenza dell’autorizzazione paesaggistica, ulteriori ragioni a sostegno della decisione di rimuovere i titoli edilizi precedentemente rilasciati.
In ogni caso, anche a voler ritenere, per mera ipotesi, che nel caso di specie non sussistessero i presupposti per l’annullamento del provvedimento in via di autotutela, la mancanza del titolo paesaggistico non poteva che comportare l’inefficacia dei titoli edilizi rilasciati.
Infatti, in base al chiaro e inequivocabile tenore letterale dell’art. 167, comma 4 del D.Lgs. n. 42/2004, l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio che, in sua assenza, non possono certo produrre gli effetti legittimanti che sarebbero loro propri (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 8641 del 28 dicembre 2021).
Una volta venuti meno i titoli edilizi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 146, comma 4 e 167 del D.Lgs. n. 42/2004 e dell’art. 155 della l.r.t. n. 65/2014, l’ordine di demolizione costituiva sanzione vincolata, di natura reale e con finalità ripristinatoria, rispetto alla quale, pertanto, non avrebbe potuto assumere alcun rilievo la buona fede della Società Felcan, divenuta proprietaria dei beni solo dopo la loro costruzione.
2.8. Con la nona ed ultima censura, infine, viene infine evidenziata l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione, in via derivata e per vizi propri, nella parte in cui reca l’avvertimento che, in caso di inottemperanza all’ordine di rimozione delle opere abusive, le stesse saranno acquisite gratuitamente al patrimonio comunale, assieme all’area di sedime e all’area ulteriore ancora da individuare, e che sarà irrogata la sanzione pecuniaria prevista dalla legge.
A tal riguardo viene evidenziata l’estraneità della società Felcan e del suo legale rappresentante rispetto alla realizzazione degli abusi, poiché il compendio immobiliare è stato acquistato nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare, condotta dal Tribunale di Pisa a carico della società denominata Le Barbate S.r.l. (precedente proprietaria), dopo che tutti i titoli abilitativi edilizi privi di autorizzazione paesaggistica erano stati rilasciati o inviate le prescritte comunicazioni, e dopo che tutte le relative opere erano state realizzate.
In ogni caso il provvedimento sarebbe illegittimo per la genericità dell’indicazione dell’oggetto dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
La censura è infondata.
A tal riguardo giova infatti ricordare che l’acquisizione gratuita dei beni abusivi e delle aree annesse al patrimonio comunale, così come l’irrogazione della connessa sanzione pecuniaria, sono dirette a colpire la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione e non la commissione dell’abuso.
Per consolidato insegnamento giurisprudenziale, il proprietario dei beni abusivi, pur estraneo alla commissione dell’illecito edilizio, si può sottrarre all’applicazione delle sanzioni sopra dette solo se provvede alla tempestiva demolizione dei manufatti che si trovano nella sua disponibilità o se abbia posto in essere ogni iniziativa utile per rientrare nel possesso dei beni e rimuoverli.
Posto che nel caso in esame la Società Felcan è proprietaria e detentrice delle opere abusive, non vi sono ragioni per le quali la stessa non debba o non possa provvedere alla relativa rimozione, sottraendosi così all’applicazione delle sanzioni per l’inottemperanza all’ingiunzione ripristinatoria emessa dal Comune.
Il fatto che nell’ordinanza di demolizione non sia individuata in modo puntuale l’area da acquisire in caso di inottemperanza non determina l’illegittimità del provvedimento, atteso che tale dato può essere indicato negli atti successivi con cui viene accertato l’inadempimento all’ordine impartito dall’Amministrazione e disposta l’acquisizione stessa.
3. Visto tutto quanto precede, il ricorso è fondato e va accolto, con esclusivo riguardo alla sesta censura e nei limiti sopra precisati.
Per tutto il resto il ricorso è infondato e va respinto.
4. Tenuto conto della complessità e della peculiarità della vicenda, le spese possono essere integralmente compensate tra tutte le parti.