TAR Roma, sez. III, sentenza 2012-05-23, n. 201204662
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N. 04662/2012 REG.PROV.COLL.
N. 02647/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n.2647 del 2007 proposto dal prof. A T rappresentato e difeso dal prof. avv. A C presso il cui studio in Roma, Via Principessa Clotilde n.2, è elettivamente domiciliato;
contro
Universita' degli Studi di Roma La Sapienza, in persona del Rettore pro-tempore, non costituita in giudizio;
per l’annullamento:
1) della nota del Rettore dell’intimata Università prot. n.A/ 311128 del 30.1.2007 con cui si nega al ricorrente la modificazione del regime di impiego rifiutandosi il rigetto del passaggio dal regime a tempo definito al regime a tempo pieno:
2) di ogni altro atto contestuale, concomitante, successivo o comunque connesso, anche di tipo endoprocedimentale e/o istruttorio, allo stato non cognito;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2012 il dott. G S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il proposto gravame l’odierno ricorrente - professore ordinario a tempo definito presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’intimata Università e collocato in aspettativa, ai sensi dell’art.13, comma 1, n.3), del DPR n.382/1980, dal 7/10/2000 fino al 3/05/2006 a seguito della nomina ad Avvocato Generale della Corte di giustizia della CEE, e successivamente, fino al 6/10/2012, in quanto nominato Giudice della Corte di Giustizia della CEE - ha impugnato la determinazione, in epigrafe indicata, con cui la predetta Università ha rigettato l’istanza con cui aveva chiesto di modificare il proprio regime di impegno, a suo tempo prescelto, con il passaggio dal tempo definito a quello pieno.
A sostegno del contestato provvedimento è stato richiamato il disposto dell’art.5 della L.n.705 del 1985 il quale testualmente prevede che “I professori collocati in aspettativa… mantengono il regime di impegno per il quale hanno optato in precedenza agli effetti della determinazione del trattamento di quiescenza e delle relative incompatibilità;una nuova opzione può essere esercitata al termine del periodo di aspettativa ed ha effetto dall’anno accademico successivo”.
Al fine di giustificare il proprio interesse alla proposta impugnativa l’interessato ha fatto presente i negativi risvolti patrimoniali relativi alla quantificazione della base pensionabile derivanti nei propri confronti dalla citata preclusione normativa, in quanto, ai sensi dell’art.40, comma 1, del DPR n.382/1980, la base pensionabile è positivamente correlata al numero degli anni in cui un professore universitario ha goduto del regime del tempo pieno.
Ha evidenziato, altresì, che in pendenza del periodo di aspettativa sarà collocato fuori ruolo per il compimento del settantesimo anno di età a decorrere dall’anno accademico 2010-2011, e, conseguentemente, giusta l’univoco disposto dell’art.11 del DPR n.312/1980, non potrà più esercitare l’opzione a favore del tempo pieno.
Con l’unico ed articolato motivo di doglianza ha prospettato l’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 del citato art.5 della L. n.705/1985 in forza del quale è stata adottata la gravata determinazione di rigetto.
A tal fine ha sottolineato che il contestato divieto normativo viene a concretizzare un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei professori universitari che alla data di collocamento in aspettativa si trovavano in regime di impegno a tempo definito rispetto a quelli che si trovavano, sempre al momento del collocamento in aspettativa, in regime i tempo pieno, atteso che a questi ultimi il menzionato art.5 consente, anche durante il periodo di aspettativa, alla scadenza del biennio di cui al secondo comma dell’art.11, di optare per il regime di impegno a tempo definito.
Ha evidenziato, inoltre, la palese illogicità del ripetuto divieto normativo, il quale rende irreversibile durante il periodo di aspettativa - e nel particolare caso del ricorrente in via definitiva - una determinata scelta di impegno di impegno universitario che era stata compiuta precedentemente al collocamento in aspettativa, in un momento in cui non potevano essere valutate compiutamente le conseguenze di tale scelta.
Il proposto gravame è stato assunto in decisone alla pubblica udienza del 29.10.2008.
I dubbi di costituzionalità espressi dal ricorrente non sono apparsi al Collegio manifestamente infondati, sul presupposto che la fondatezza della prospettazione ricorsuale risultava avvalorata, altresì, dalla circostanza che "giusta quanto previsto dall’art. 13, comma 6, del DPR n.383/1980 durante il periodo di aspettativa non cessa qualsiasi rapporto di impegno con l’Università di appartenenza, atteso che la menzionata disposizione normativa testualmente stabilisce che, “I professori collocati in aspettativa conservano il titolo a partecipare agli organi universitari cui appartengono, con le modalità previste dall'art. 14, terzo e quarto comma, della L. 18 marzo 1958, n. 311;essi mantengono il solo elettorato attivo per la formazione delle commissioni di concorso e per l'elezione delle cariche accademiche previste dal precedente secondo comma ed hanno la possibilità di svolgere, nel quadro dell'attività didattica programmata dal consiglio di corso di laurea, di dottorato di ricerca, delle scuole di specializzazione e delle scuole a fini speciali, cicli di conferenze e di lezioni ed attività seminariali anche nell'ambito dei corsi ufficiali di insegnamento, d'intesa con il titolare del corso, del quale è comunque loro preclusa la titolarità. È garantita loro, altresì, la possibilità di svolgere attività di ricerca anche applicativa, con modalità da determinare d'intesa tra il professore ed il consiglio di facoltà e sentito il consiglio di istituto o di dipartimento, ove istituito, e di accedere ai fondi per la ricerca scientifica. Per quanto concerne l'esclusione della possibilità di far parte delle commissioni di concorso sono fatte salve le situazioni di incompatibilità che si verifichino successivamente alla nomina dei componenti delle commissioni".
In tale contesto, quindi, la Sezione ritenendo che il contestato divieto, comportante un’illegittima compressione della facoltà di scelta per l’odierno istante, risultava essere in contrasto, per le argomentazioni di cui sopra, con il primo ed il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, ha disposto con ordinanza n.1619/2008 la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 23 della L. 11 marzo 1953 n. 87, per la pronuncia sulla legittimità costituzionale sulla indicata norma.
Sulla sollevata questione si è pronunciata la Corte Costituzionale con sentenza n.311 del 2010, ed il proposto gravame alla pubblica udienza del 9.5.2012 è stato nuovamente assunto in decisione.
Il ricorso in trattazione, le cui doglianze si sono limitate unicamente a prospettare l'illegittimità costituzionale delle disposizioni normative sulla cui base è stato adottato il contestato provvedimento, deve essere rigettato, atteso che con la richiamata sentenza n.311/2010 la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la sollevata questione di costituzionalità dell'art. 5, penultimo comma, l. 9 dicembre 1985 n. 705, con riferimento all'art. 3 cost., facendo presente che:
I) i regimi di impegno a tempo definito e a tempo pieno sono notevolmente diversi, in quanto il primo è compatibile con lo svolgimento di attività professionali e di consulenza esterne e con l'assunzione di incarichi retribuiti (escluso l'esercizio del commercio e dell'industria), mentre il secondo è connotato da un'assoluta incompatibilità con altre attività, con esclusione soltanto delle perizie giudiziarie e di particolari incarichi normativamente indicati, e che vi è quindi una significativa diversità di stato giuridico che rende non omogenee le posizioni dei docenti a tempo pieno e quelle dei docenti a tempo definito e giustifica una diversità di trattamento in presenza di situazioni specifiche;
II) conseguentemente la disposizione censurata non soltanto non crea alcuna ingiustificata disparità di trattamento, avuto riguardo al carattere non omogeneo dello stato giuridico degli appartenenti all'una o all'altra categoria, ma non si rivela neppure irragionevole, essendo coerente con la posizione del docente a tempo definito che, avendo minori obblighi verso l'Università di appartenenza, ha maggiori possibilità di conciliare gli impegni connessi alla carica ricoperta con le attività in ambito universitario consentite dal D.P.R. n. 382 del 1980, sicché ben si spiega che il legislatore abbia inteso favorire il passaggio dal regime a tempo pieno a quello a tempo definito, mentre lo stesso non può dirsi per il percorso inverso, perché il tempo pieno postula l'obbligo per il docente di dedicarsi in via principale e assorbente ai compiti istituzionali dell'Università di appartenenza, sicché tale regime appare incompatibile con le cariche e gli uffici previsti dal suddetto art. 13 in modo molto più marcato del regime a tempo definito (sent. n. 145 del 1985).
Inammissibile, invece, deve essere dichiarata la questione di illegittimità comunitaria prospettata in sede di memoria conclusionale.
Al riguardo il Collegio intende uniformarsi al consolidato orientamento del Consiglio si Stato in materia, secondo cui la violazione del diritto comunitario implica solo un vizio di legittimità, con conseguente annullabilità dell'atto amministrativo, avuto presente che l'art. 21-septies l. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, e non vi rientra la violazione del diritto comunitario (Cons. Stato, VI, n. 6831/2006;, n. 2623/2008;n.11983/2011), con il conseguente onere, sotto il profilo processuale, dell'impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto comunitario, dinanzi al giudice amministrativo entro il termine di decadenza, pena la inoppugnabilità.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio avuta presente la particolarità della controversia in trattazione.