TAR Brescia, sez. I, sentenza 2009-05-13, n. 200901021

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Brescia, sez. I, sentenza 2009-05-13, n. 200901021
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Brescia
Numero : 200901021
Data del deposito : 13 maggio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01416/1994 REG.RIC.

N. 01021/2009 REG.SEN.

N. 01416/1994 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1416 del 1994, proposto da:
ADOBATI DANIELA, ALQUATI SOSTENE, ARIZZI UMBERTA, BAROSSI PIERINA, BASADELLI DELEGA' MATILDE, BELLINI MARIA GRAZIELLA, BELOTTI CARLO, BENIGNI TERESA, BESSONE MADDALENA, BIFANI LAURETTA, BIROLINI ANDREINA, BOLIS CARLA, BOMOLI LIDIANA, BONGIOVANNI GIUSEPPA MARIA, BRAMBILLA ANDREINA, BREVI CLEMENTINA, BRUNI NICOLINA, BUONINCONTRI STEFANO, CALDARA ROSSANA, CAMOZZO CARLA, CAMPANELLA PIA MARIA, CANNISTRARO CARMELO (eredi TRAPANI M., CANNISTRARO G. ED M.), CANOVA ANNA MARIA, CAPITANIO MARGHERITA, CARRARA BIANCAMARIA, CARRARA GIACOMO, CASAROTTI MARCELLA, CHIESA ISOLINA, CIGOLINI GERMANA, CINQUINI CARLA, CORTINOVIS MARIA, CORTINOVIS MARIA GRAZIA, COSTAGLI GIORGIO, CULCASI ANGELA MARIA, D'ABRAMO FILOMENA, DE ANGELIS EMILIA, FAVILLI GIULIANA, FERLENDIS CRISTOFORO, FOIADELLI GABRIELLA, FORLANI ADELINA, FRANCHINA ANGELA, FRIGENI ANTONIA, GAVAZZENI ROSA AGNESE, GHEZZI PAOLA CARLA, GHISLANZONI GIANCARLA, GIMMILARO ANGELO, GIUBBOTTI IVANA, GIUFFRIDA ROSARIO (eredi ROTA SPERTI L. E GIUFFRIDA L.), GOTTINI PIA CARLA, GRAZIOLI FLORIANA, GUERRIERI ARCANGELA, INVERNIZZI LAURA, LAINI FAUSTINA, LANZANI MARIA TERESA, LAVEZZARI ANITA, LESSA VITTORIA, LINGIARDI COSTANTINA, LONARDINI FIORELLA, LORENZI ELISA, MAGLIO FLORA, MANENTI ROSA, MARCHESI SILVIO (eredi MAZZOLENI M. E MARCHESI G.), MARINI LUISA, MASPER RENATA, MAZZOLENI GRAZIELLA, MELOCCHI GIOVANNA, MILANESI SERGIO, MONTAGNOSI GRAZIELLA, NICOLAI MARISA, OFFREDI PIERINA, OLIVA DOMENICO (eredi IELO E. ED OLIVA V.), PAGANONI GRAZIELLA, PAGANONI ROSA MARIA, PANZA RICCARDO, PASQUA ADRIANA, PERICO LINDA, PEZZOTTI SANTA MARIA, PISONI ROMANA, RAVELLI ANNA MARIA, RICCI BIANCA, RONCHI GIUSEPPINA, ROSSI SILVANA, ROVETTA DANILO, SALVONI MARIA ANTONIETTA, SCOLARI ANTONIO, SERENO GUIDO, SORRENTINO LICIA, TEDOLDI MARIANGELA, TOMASI GIUSEPPE, VAY ANNA, VILLA MIRELLA, ZAMBELLI CARMEN;

rappresentati e difesi dagli avv. Roberto Gorio, Eliana Todeschini,
con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Roberto Gorio in Brescia, via Moretto, 67 (Fax=030/296571);;

contro

I.N.P.D.A.P.,
rappresentato e difeso dall'avv. Flavio Urso,
con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Flavio Urso in Roma, c/o Inpdap (Fax=06/77352080);

per il riconoscimento della riliquidazione della indennita' di buonuscita.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di I.N.P.D.A.P.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30/04/2009 il dott. Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Gli odierni ricorrenti, tutti già dipendenti statali nell’amministrazione della pubblica istruzione collocati in pensione prima del novembre 1984, agiscono nei confronti dell’I.N.P.D.A.P., ritenendo che, a seguito dell’entrata in vigore della l. 87/94, la stessa avrebbe dovuto rideterminare la indennità di buonuscita ad essi corrisposta, ricomprendendovi anche l’indennità integrativa speciale di cui gli stessi avevano goduto in corso di rapporto lavorativo.

A sostegno del ricorso si deduce che:

1. la decisione dell’ I.N.P.D.A.P. sarebbe illegittima per violazione dell’art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento nei confronti dei dipendenti degli enti non statali,

2. la decisione dell’I.N.P.D.A.P. sarebbe illegittima per violazione dell’art. 36 della Costituzione perché il trattamento di fine rapporto corrisposto agli stessi non sarebbe conforme al minimo garantito dalla norma costituzionale,

3. la decisione dell’I.N.P.D.A.P. sarebbe illegittima per violazione dell’art. 38 della Costituzione perché il trattamento pensionistico dovrebbe essere impostato in modo da garantire che non vi siano sensibili differenze rispetto al trattamento economico goduto in corso di rapporto lavorativo,

4. la stessa l. 87/74, che ha attuato tali principi costituzionali modificando la previdente disciplina, sarebbe a sua volta incostituzionale nel momento in cui ha escluso dall’attribuzione del beneficio coloro che si erano pensionati in data antecedente alla entrata in vigore della stessa.

Si costituiva in giudizio l’I.N.P.D.A.P., che deduceva l’avvenuta prescrizione del diritto, e comunque l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 30. 4. 2009, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Si premette che il problema in esame nasce con la sentenza della Corte Costituzionale n. 243 del 19.5.1993 che, dopo avere rilevato che l'esclusione dell'indennità integrativa speciale dal calcolo dei trattamenti di fine rapporto produceva ingiustificabili sperequazioni e impediva il pieno rispetto dei principi costituzionali della proporzionalità e sufficienza della retribuzione del lavoro dipendente, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost., dei combinati disposti dell'art. 1, co. 3, lett. b) e c), L. 324/1959 con gli artt. 3 e 38 DPR 1032/1973, con gli artt. 13 e 26 L. 70/1975 e con gli artt. 14 L. 829/1973 e 21 L. 210/1985, nella parte in cui non prevedevano, per i trattamenti di fine rapporto ivi considerati, meccanismi legislativi di computo dell'indennità integrativa speciale.

Nella stessa sentenza la Corte ha, poi, aggiunto che il computo dell'indennità integrativa speciale nel calcolo del trattamento di fine rapporto deve avvenire in modo da assicurare, insieme al rispetto dei principi di proporzionalità e di sufficienza, un'effettiva e ragionevole equivalenza nel risultato complessivo, senza la quale continuerebbe a sussistere un'ulteriore situazione di squilibrio, spettando la scelta del meccanismo concreto da applicare al legislatore anche in vista dell'adozione delle scelte di politica economica necessarie al reperimento delle indispensabili risorse finanziarie.

A seguito della sentenza della Corte il legislatore è intervenuto a disciplinare la materia con la legge n. 87/1994, entrata in vigore il 6. 2. 1994, il cui art. 1 stabilisce che, in attesa della omogeneizzazione dei trattamenti retributivi e pensionistici per i lavoratori dei vari comparti della pubblica amministrazione e per i lavoratori privati, l'indennità integrativa speciale viene computata, a decorrere dal 1. 12. 1994, nella base di calcolo dell'indennità di buonuscita e di analoghi trattamenti di fine servizio secondo le misure ivi indicate.

Per coloro che si erano pensionati prima dell’entrata in vigore della legge il successivo art. 3 dispone che il trattamento viene applicato anche ai dipendenti che siano cessati dal servizio dopo il 30. 11. 1984 ed ai loro superstiti, nonché a quelli per i quali non siano ancora giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell'indennità di buonuscita o analogo trattamento.

Il punto decisivo per la decisione di questo giudizio è proprio il regime transitorio. Nel caso oggetto del presente giudizio siamo, infatti, in presenza di dipendenti cessati tutti dal servizio prima del novembre 1984 (cioè circa 10 anni prima dell’entrata in vigore della legge).

L’unico caso in cui la l. 87/94 consente di ridiscutere il quantum della pensione per coloro che si erano pensionati 10 anni prima dell’entrata in vigore della legge è quello del rapporto che non sia ancora giuridicamente esaurito. Occorre, pertanto, verificare cosa si intenda per rapporto esaurito nel sistema della l. 87/94.

La giurisprudenza si è già pronunciata sul punto, ed ha concluso nel senso che “il rapporto non esaurito ai sensi dell'art. 3 l. 29 gennaio 1994 n. 87, non va riferito alle sole ipotesi in cui il dipendente, cessato dal servizio, abbia proposto ricorso prima che sia consumato il termine di prescrizione, al fine di ottenere, in sede giurisdizionale, il riconoscimento del diritto alla riliquidazione della propria buonuscita comprensiva dell'indennità integrativa speciale, ma va riferito anche alle ipotesi nelle quali non sia stata prestata acquiescenza al momento della liquidazione dell'emolumento e il dipendente, mediante apposite domande, abbia chiesto l'applicazione della più ampia base di calcolo, interrompendo in tal modo decorso dalla prescrizione, che inizia dalla data del collocamento a riposo” (Cons. Stato, sez. VI, 10. 10. 2006, n. 6019;
nello stesso senso v. anche Tar Toscana, sez. I, 22 novembre 2007, n. 4180, secondo cui i dipendenti collocati a riposo prima del 30 novembre 1984 hanno diritto alla riliquidazione dell'indennità di buonuscita con il computo dell'I.I.S. ove il rapporto previdenziale non sia ancora esaurito, dovendosi ritenere tale non solo quello per il quale sia pendente un giudizio, ma anche quello rispetto al quale sia stata interrotta la prescrizione).

Secondo la giurisprudenza, peraltro, “la prescrizione (…) - ai sensi degli artt. 1 e 20 del T.U. n. 1032 del 1973 - ha durata quinquennale e decorre dalla data del collocamento a riposo” (Cons. Stato 6019/06 cit.).

Nel caso in esame, in cui il collocamento a riposo è avvenuto prima del novembre 1984, l’istanza giudiziale o stragiudiziale di interruzione della prescrizione doveva avvenire entro 5 anni dalla data del collocamento a riposo, e non poteva pertanto essere validamente presentata soltanto in data 29. 6. 1994, e cioè dopo l’entrata in vigore della legge (come, invece, dimostrano di aver fatto i ricorrenti, all. 1 al ricorso introduttivo).

La circostanza che prima del 1994 non esistesse alcuna norma che riconosceva il diritto non è motivo idoneo a non far decorrere la prescrizione, in quanto, secondo l’insegnamento del Consiglio di Stato reso proprio in caso come quello di specie, “la presenza di una norma che neghi un diritto del quale il soggetto si reputi titolare non impedisce, invero, che il termine di prescrizione comunque decorra. Il dipendente interessato ha, dunque, l'onere di attivarsi per far valere il diritto medesimo fin dal momento in cui esso è venuto ad esistere, utilizzando gli strumenti che l'ordinamento offre e che comprendono anche la possibilità di sollevare in corso di giudizio incidente di legittimità costituzionale, al fine di onde ottenere l'eliminazione della norme che impediscano il soddisfacimento della pretesa” (Cons. Stato 6019/06 cit.).

In definitiva, il legislatore della l. 87/94, nel comprensibile scopo di non dover ridiscutere tutti i rapporti pensionistici in essere, ha fissato un termine oltre il quale l’attribuzione del beneficio spetta soltanto se l’interessato aveva già in essere un contenzioso (giudiziale o stragiudiziale) con l’amministrazione. Se tale contenzioso non esisteva prima della l. 87/94, l’entrata in vigore della legge non consente di farlo insorgere.

La censura di incostituzionalità della l. 87/94 nella parte in cui esclude i dipendenti pensionati prima del 1984 è stata, d’altronde, già affrontata dalla Corte Costituzionale che con sentenza 13 giugno 1997, n. 175 ha dichiarato non fondata la questione rilevando che Il termine del 30 novembre 1984, infatti, risulta collegato con il sistema predisposto dalla legge n. 87 del 1994, poiché esso si pone - come ripetutamente sottolineato anche in sede di lavori preparatori - quale "dies a quo" della decorrenza della prescrizione decennale rispetto al nuovo regime introdotto a partire dal 10 dicembre 1994;
e dunque non è ravvisabile la dedotta arbitrarietà nella scelta del legislatore. Quanto poi alla stabilita coincidenza di detto termine con la data di cessazione dal servizio, va osservato come essa trovi una sua plausibile spiegazione, sul piano giuridico, nel fatto stesso che proprio in tale momento nasce il diritto a percepire il relativo trattamento di fine rapporto. La Corte ha poi aggiunto che “tale tipo di discrimine tra il vecchio ed il nuovo regime si dimostra fondato su un elemento univoco - certamente più oggettivo rispetto a quello della concreta liquidazione delle spettanze prospettato dal rimettente - valevole nei confronti di tutti i pubblici dipendenti e, di per se, inidoneo a produrre il paventato "vulnus" all'art. 3 Cost.. Nè rilevano le prospettate disparità di fatto che in concreto potrebbero derivarne. Questa Corte ha infatti più volte affermato che non danno luogo a un problema di costituzionalità le disparità derivanti da circostanze contingenti ed accidentali, riferibili non alla norma considerata nel suo contenuto precettivo, ma semplicemente alla sua concreta applicazione”.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in euro 2.500, oltre accessori come per legge.

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