TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2015-04-15, n. 201505554

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2015-04-15, n. 201505554
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201505554
Data del deposito : 15 aprile 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03505/2011 REG.RIC.

N. 05554/2015 REG.PROV.COLL.

N. 03505/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3505 del 2011, proposto da: A E H, rappresentato e difeso dall'avv. A M, con domicilio eletto presso la Segreteria Tar Lazio in Roma, Via Flaminia, 189;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del l.r. p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato di Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

rigetto domanda di concessione della cittadinanza italiana ex art. 9 l. 91/92


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2015 il dott. Pietro Morabito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Col ricorso in epigrafe il sig.

ABOU

El DAHAB AMR, cittadino egiziano, impugna, chiedendone l’annullamento, l’atto del 15.12.2010 col quale, a causa dei precedenti penali a suo carico risultanti dal certificato del casellario giudiziale e dei pareri contrari all’invocata naturalizzazione resi dalla Questura e dalla Prefettura di La Spezia (motivati sul fatto che il figlio convivente ascrive numerosi precedenti penali a suo carico), l’amministrazione ha respinto l’istanza di naturalizzazione italiana che esso ricorrente aveva prodotto il 24.10.2005 ai sensi dell’art.9 c.1 lett. f) della legge n.91 del 1992.

Il provvedimento de quo è censurato:

- perché adottato, in violazione dell’art.8 c.2 della citata novella, oltre il termine di due anni dalla produzione dell’istanza;

- in quanto si sarebbe assegnato rilievo penalizzante sia ad un reato, consumato nel 1993, per il quale è intervenuta la riabilitazione, che alla condotta di uno solo dei figli del ricorrente e, quindi, a “ fatti assolutamente estranei all’inserimento dell’individuo e della sua famiglia tutta nel contesto nazionale ”.

L’amministrazione costituitasi in giudizio, tramite il Pubblico Patrocinio, ha prodotto articolata nota contro deduttiva con corredo del parere reso dalla Questura di La Spezia che dà atto non solo della nutrita serie di gravi precedenti penali del figlio N ( nato il 23.6.1984) ma anche dell’analoga condotta di altro figlio ventunenne già condannato nel 2006 a 11 mesi di reclusione per reato inerente stupefacenti e, alla data del 28.6.2007, imputato in processo penale pendente per produzione e traffico illecito di analoghe sostanze.

Con memoria depositata il 05.12.2014, parte ricorrente ha dedotto, quale nuovo motivo di censura, la disparità di trattamento rispetto alla posizione del tutto analoga di suo connazionale cui è stata concessa la cittadinanza italiana. Ha inoltre fatto presente in data 10.2.2012 il figlio N ha ottenuto, dalle autorità consolari di appartenenza, il lasciapassare per il rientro volontario in Patria.

All’udienza del 26.3.2015 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione

DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne il provvedimento di diniego dell’istanza di naturalizzazione, presentata ai sensi dell'art. 9 comma 1, lettera f della l.

5.2.1992 n. 91, motivato sulla base degli elementi di giudizio – indicatori di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale e deponenti per una dissociazione tra l’interesse pubblico e quello dell’interessato al conseguimento dello status civitatis italiano - ritraibili dal certificato del casellario giudiziale relativo all’istante [una condanna a mesi due di reclusione e £.100.000 di multa, divenuta irrevocabile il 21.2.1994, per introduzione nello Stato di prodotti con segni falsi e per ricettazione continuata) nonchè dalle indagini curate dalla locale Autorità di p.s. che hanno consentito di appurare, con riguardo al nucleo familiare di appartenenza, i pregiudizi in narrativa menzionati.

La prima delle censure cui riservare preliminare trattazione è quella che fa leva sull’assunta violazione dell’art. 8 c.2 della legge n.91 del 1992. Secondo la tesi prospettata in gravame essendo il provvedimento impugnato stato adottato dopo il decorso del termine biennale previsto da detta disposizione, esso è illegittimo dovendosi ritenere ormai preclusa una determinazione negativa.

La censura in questione è infondata.

L'art. 8 comma 2, l. n. 91 del 1992 non può ritenersi applicabile alla fattispecie in cui la domanda di concessione della cittadinanza italiana sia stata presentata dal cittadino straniero il cui coniuge non sia in possesso della cittadinanza italiana, in virtù di quanto disposto dal precedente comma 1 dello stesso art. 8 che, rinviando agli artt. 6 e 7 della stessa l. n. 91 del 1992, tende a riferirsi ai soli casi in cui la concessione della cittadinanza sia richiesta dal coniuge di colui che è cittadino italiano. Ciò non può che farla ritenere inapplicabile alle ipotesi prescritte dall'art. 9 della medesima legge (giur.za pacifica;
cfr., ex multis, la sent. n.3783/2011 di questa Sezione).

E’ parimenti non persuasiva la distinta doglianza che fa leva su un’assunta irrilevanza della condanna subita a causa della riabilitazione dal relativo reato;
e ciò in quanto, e per pacifica giurisprudenza, in ogni caso, il comportamento dell’istante rimane - contrariamente a quanto assunto in gravame- valutabile come fatto storico e, quindi, può essere sempre ragionevolmente considerato come indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e delle regole di civile convivenza.

Col residuo mezzo di gravame parte ricorrente deduce che la riabilitazione ottenuta avrebbe dovuto elidere, nella valutazione amministrativa contestata, il rilievo penalizzante attribuito ad una condotta penale di moderato disvalore;
mentre, sott’altro profilo, una tal valutazione deve ritenersi affetta da illogicità laddove prende in considerazione i pregiudizi ascrivili alla condotta di uno dei suoi figli e, quindi, dà rilievo a “ fatti assolutamente estranei all’inserimento dell’individuo e della sua famiglia tutta nel contesto nazionale ”.

Orbene la tesi del ricorrente –a seguire in fondo la quale si arriva ad equiparare il decreto concessorio della cittadinanza italiana ad una generica abilitazione amministrativa da rilasciare ove si riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi – è incondivisibile.

L’art.9 della legge n.91 del 1992 afferma che la cittadinanza “può essere concessa” ed i termini “può” e “concessa” sottolineano il carattere altamente discrezionale del provvedimento (rientrante secondo la tradizionale ed uniforme interpretazione della dottrina tra quelli di alta amministrazione: in giur., in tal senso, cfr., ex plurimis, Cons.St. n.3006 del 2011 e n. 4748 del 2008). I requisiti prescritti dall’art.9 costituiscono, pertanto, solo i presupposti che consentono di avanzare l’istanza di naturalizzazione al cui accoglimento si possono, forse ed al più, ravvisare aspettative giuridicamente tutelate (cfr., in tal senso, Cons.St., IV^, n.798 del 1999).

E ciò in quanto al conferimento dello status civitatis italiano è collegata una capacità giuridica speciale propria del cittadino cui è riconosciuta la pienezza dei diritti civili e politici: una capacità alla quale si ricollegano anche doveri che non è territorialmente limitata e cui sono speculari determinati obblighi di facere gravanti sullo Stato comunità (cfr. su tale principio, Cons.St. n.3006/2011 cit., n. 196 del 2005).

Dunque la concessione della cittadinanza italiana – lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi – rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri (cfr., sul principio ex multis, Cons.St. n.798 del 1999).

Si tratta, altrimenti detto, di apprezzare, oltre alla residenza decennale ed all’inesistenza di fattori ostativi, la sussistenza di ulteriori elementi che giustificano la concessione e motivano – come ebbe a dire il Consiglio di Stato nel parere della I^ Sezione n.914/66 del 4.5.1966 (parere forse non adeguatamente valorizzato in alcune pronunce giurisdizionali) – “l’opportunità di tale concessione”. E tanto anche al fine di evitare che, attraverso il conferimento dello status civitatis, lo straniero – cui nell’attuale Ordinamento non è più richiesto, a differenza di quanto accadeva sotto l’impero della legge n.555 del 1912 ( ed a differenza di quanto si registra, come appresso si vedrà, in altri Paesi comunitari), di rinunciare alla cittadinanza di origine – possa aspirare alla naturalizzazione italiana (conservando nel contempo quella del Paese di appartenenza) per comodità di carriera, di professione o di vita.

Dunque la norma dell’art.9 c. 1, lett. f) della legge n.91 del 1992 deve essere intesa come indicativa di una fattispecie affidata a valutazioni ampiamente discrezionali che implicano un delicato bilanciamento di interessi fra l’aspirazione di un residente straniero ad essere pienamente integrato nella comunità nazionale e l’interesse di quest’ultima ad accogliere come nuovi cittadini solo soggetti in grado di rispettarne le regole, ivi comprese quelle attinenti alla solidarietà sociale, nei termini previsti dalla Costituzione. La sintesi che può trarsi da tali principi è quella per cui l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale è legittimo allorquando l’amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità e sia detentore di uno status illesae dignitatis morale e civile ( come condivisibilmente ebbe a precisare il Consiglio di Stato in un parere che, sebbene del 19.1.1956, conserva integra la sua attualità) nonché di un serio sentimento di italianità che escluda interessi personali e speculativi sottostanti alla concessione dello status di cui trattasi: concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa.

In tale contesto valutativo, allora, può apparire rigoroso ma non censurabile il giudizio negativo dell’amministrazione imperniato, fra l’altro, su un reato come quello per il quale il ricorrente è stato condannato. Né tale giudizio si rivela inadeguato sotto l’aspetto motivazionale;
al riguardo la discrezionalità dell'Amministrazione in tema di concessione della cittadinanza italiana non può che tradursi in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, condotto sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, anche sotto il profilo della irreprensibilità della condotta. I limiti della valutazione in questione non possono che essere quelli generalmente riconosciuti, in tema di esercizio di poteri discrezionali, necessariamente orientati all'effettuazione delle migliori scelte possibili, per l'attuazione dell'interesse pubblico nel caso concreto. Ne deriva che, essendo affidato ad una valutazione ampiamente discrezionale, il controllo demandato al giudice, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (giur.za pacifica;
ved., ex multis, Cons. St., n. 3006/2011 e n.4862 del 2010: quest’ultima decisione puntualizza che il parametro sindacatorio è quindi quello della abnormità/irragionevolezza, e si estende, ovviamente, all'elemento "sfavorevole" al richiedente valorizzato dall’amministrazione e sotteso al diniego).

Pertanto, l'esigenza motivazionale può dirsi assolta ogni qualvolta l'Amministrazione abbia esplicitato sia il risultato dell'apprezzamento intermedio - di natura consuntiva - che il giudizio finale in modo tale da consentire, anche tramite i riferimenti normativi espressi, la ricostruzione delle ragioni del diniego e l'identificazione del potere concretamente esercitato nel caso specifico. E da tale angolazione visuale non può negarsi che il preambolo del provvedimento richiama i parametri ai quali l’amministrazione ha uniformato la propria attività valutativa: parametri, a loro volta, costituenti una sintesi dei principi sopra delineati. Sotto tale profilo, è del tutto ragionevole che il Ministero attribuisca rilevanza a condotte, effettivamente commesse, e penalmente rilevanti;
e tanto al pari di quanto previsto, probabilmente con toni più rigorosi, in altri Paesi comunitari in cui sovente al requisito della buona condotta è associata, nei casi di richiesta di naturalizzazione, la rinuncia all’originaria cittadinanza [si vedano i sistemi : a) francese dove la cittadinanza (disciplinata dal Codice civile, agli articoli da 17 a 33-2) nei casi di richiesta di naturalizzazione, non può tuttavia essere concessa a chi sia stato condannato ad una pena detentiva superiore o uguale a 6 mesi senza condizionale, o sia stato oggetto di un decreto di espulsione o di una interdizione dal territorio, o si trovi in una situazione irregolare, o sia stato condannato per atti di terrorismo;
b) il sistema tedesco in cui, fra i presupposti cui è subordinata la concessione della cittadinanza per naturalizzazione vi è (tranne che per i cittadini comunitari) la rinuncia o la perdita della cittadinanza d’origine, la dimostrazione obbligatoria di conoscere l’ordinamento sociale e giuridico tedesco e le condizioni di vita in Germania attraverso il superamento di un test di naturalizzazione (Einbürgerungstest) nonché l’assenza di condanne penali per aver compiuto atti contrari alla legge o di misure di correzione e di sicurezza;
mentre una legge, introdotta nel 2007, ha reso più rigorosi i limiti per i reati penali minori: è escluso dalla procedura di naturalizzazione chi è stato condannato ad una pena pecuniaria che superi i 90 tassi giornalieri o una pena detentiva di durata superiore ai tre mesi;
c) il sistema spagnolo in cui, fermi restando i presupposti della residenza decennale, di una “buona condotta civica e sufficiente grado di integrazione nella società spagnola”, è prevista la decadenza automatica dalla conseguita naturalizzazione qualora, dopo 180 giorni dl rilascio del certificato di cittadinanza, qualora l’interessato, fra l’altro, non dichiari di rinunciare alla sua cittadinanza di origine (ad eccezione di coloro che provengono dai paesi ispano-americani e da Andorra, Filippine, Guinea Equatoriale e Portogallo, in base alla possibilità della “doppia cittadinanza”, prevista all’articolo 11 della Costituzione);
d) il sistema danese in cui lo ius soli è stato abolito nel 2004 e per poter diventare cittadini è necessario rinunciare alla cittadinanza del Paese di origine].

Dunque si è in presenza di una valutazione che non risulta di per sé anomala soprattutto se si tiene conto che la legge richiede, in casi come quello di cui si discute, una residenza decennale nel Territorio e,dunque, fa riferimento ad un decennio che costituisce il presupposto della proponibilità dell’istanza stessa e che è considerato rilevante dal legislatore quale “periodo di osservazione” dell’interessato. Sotto tale profilo, ha osservato il G.a. ( ved. Cons. St. 10-01-2011, n. 52) che, quando è presentata una istanza di concessione della cittadinanza, il Ministero ben può rilevare che nell'ultimo decennio vi sono state condotte penalmente rilevanti (e quindi espressive di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale), così come può valutare i fatti per periodi ancora maggiori ai dieci anni, ove le condotte siano ragionevolmente qualificabili come particolarmente gravi: principio, questo, del tutto condivisibile e che, a fortiori, può ricevere applicazione nel caso di specie atteso il rilevante ( e non moderato) disvalore del precedente penale concernente l’istante ed in quanto apprezzato congiuntamente ad altro elemento (pur se relativo alla condotta del figlio maggiore e non anche del figlio più giovane) che denota chiaramente come il nucleo familiare di cui il ricorrente è pater familias non possa ritenersi socialmente integrato nel contesto nazionale.

Da ultimo va chiarito che il motivo di censura con cui si denuncia l’eccesso di potere per disparità di trattamento è chiaramente inammissibile in quanto irritualmente introdotto con memoria e non con atto di gravame debitamente notificato alla controparte;
mentre la circostanza che il figlio maggiore del ricorrente sia volontariamente rientrato in Patria, essendo successiva all’adozione dell’atto gravato, non poteva incidere sul giudizio valutativo nello stesso racchiuso.

Conclusivamente il ricorso è infondato in ordine a tutti i profili trattati.

Ad avviso del Collegio sussistono i presupposti, ai sensi dell'art.92 c.p.c., per come richiamato espressamente, dall'art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti costituite.

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