TAR Catania, sez. II, sentenza 2012-08-03, n. 201202008

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. II, sentenza 2012-08-03, n. 201202008
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 201202008
Data del deposito : 3 agosto 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03448/2010 REG.RIC.

N. 02008/2012 REG.PROV.COLL.

N. 03448/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3448 del 2010, proposto da:
A G, rappresentato e difeso dagli avv. N S e, F S, con domicilio presso Tar Catania Segreteria in Catania, Via Milano 42a;

contro

Comune di Messina in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. G C, con domicilio eletto presso il predetto difensore in Catania, Via Guzzardi,21;

per l'annullamento

dell’ordinanza del Dirigente del Dipartimento Espropriazioni 25 gennaio 2010 n. 90, notificata, unitamente alla nota di trasmissione 20 maggio 2010 prot. n. 134437, il 13 ottobre successivo, con la quale si è “rettificata” l’ordinanza dirigenziale 9 febbraio 2005 n. 180, stabilendo che la part. 569 del foglio di mappa 88, già di proprietà del ricorrente e della sua ex moglie ed interamente (mq. 636) espropriata per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria in località Annunziata Alta, viene espropriata per una superficie inferiore (mq. 331, quindi 305 in meno) e che si procederà al recupero delle differenze di indennità espropriativa corrisposta ed alla reintegra nel possesso delle aree non utilizzate.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Messina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2012 il dott. Giovanni Milana e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si espone:

Con ordinanza del Dirigente del Settore Espropriazioni 29 aprile 2002 n. 768, il Comune di Messina disponeva l’occupazione temporanea e d’urgenza dell’immobile di proprietà del ricorrente e della sua ex moglie, Sig.ra M C, individuato in catasto al foglio di mappa 88, part. 569, di mq. 634,87.

Con successiva ordinanza 31 luglio 2002 n. 1214, venivano determinate le indennità provvisorie di espropriazione (€ 13.935,03) e di occupazione annua (€ 418,05 in caso di cessione volontaria), che venivano accettate e, quindi, corrisposte (ord. dir. 9 marzo 2004 n. 312, relativa al pagamento dell’acconto dell’80% per complessivi € 7.335,94;
ord. dir. 4 novembre 2004 n. 1538, relativa al pagamento del saldo, pari a complessivi € 7.736,84).

Con ordinanza dirigenziale 9 febbraio 2005 n. 180, veniva, infine, disposta l’espropriazione definitiva dell’immobile.

Cinque anni dopo il ricorrente, che frattanto aveva trasferito la propria residenza a Taormina (come da certificato che è stato allegato al ricorso), avrebbe appreso che gli era stato notificato un atto presso il precedente domicilio messinese e, ritirato il relativo avviso ex artt. 139-140 c.p.c. (spedito al vecchio indirizzo), si recava all’Ufficio Protocollo Generale, dove, il 13 ottobre 2010, ritirava la nota del Dirigente del Dipartimento Espropriazioni 20 maggio 2010 prot. n. 134437, con allegata l’ordinanza dirigenziale 25 gennaio 2010 n. 90, con la quale si è rettificata l’ordinanza dirigenziale 9 febbraio 2005 n. 180, stabilendo che la part. 569 del foglio di mappa 88, già di proprietà del ricorrente medesimo e della sua ex moglie ed interamente (mq. 636) espropriata per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria in località Annunziata Alta, veniva espropriata per una superficie inferiore (mq. 331, quindi 305 in meno) e che si sarebbe proceduto al recupero delle differenze di indennità espropriativa corrisposta ed al reintegra nel possesso delle aree non utilizzate.

Ciò premesso il sig. G A ha proposto il ricorso in epigrafe con il quale formula avverso il provvedimento impugnato le censure di:

1) Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di autotutela amministrativa. sviamento dalla causa tipica del potere.

Nella fattispecie di cui in causa il Comune avrebbe usato l’istituto della rettifica in assenza dei presupposti di legge che giustificherebbero il ricorso a detto strumento, atteso che esso è istituzionalmente volto all’eliminazione di un errore materiale nel quale sia incorsa l’Amministrazione emanante nella determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo. Mentre nella fattispecie sottoposta al Collegio il provvedimento espropriativo che si è inteso rettificare non conterrebbe alcun errore materiale, ma una mancata corrispondenza tra la superficie effettivamente interessata dall’opera pubblica e quella di fatto espropriata.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 l.r. 30 aprile 1991, n. 10.

Il provvedimento impugnato, che non sarebbe riconducibile alla paradigma della rettifica, avrebbe dovuto, comunque, essere preceduto, avuto riguardo alla sua natura di procedimento assunto in autotutela, dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento ai soggetti (il ricorrente e la sua ex moglie) nei confronti dei quali è destinata a produrre effetti diretti .

3) Eccesso di potere per travisamento dei fatti.

Il provvedimento impugnato non avrebbe dovuto riguardare soltanto il provvedimento di espropriazione, ma anche la dichiarazione di p.u. che sta a monte dello stesso;
quindi, erroneamente, il Comune sarebbe intervenuto sull’ordinanza dirigenziale n. 180/2005, anziché sulla deliberazione giuntale 20 marzo 2002 n. 84.

4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 47 d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327. sviamento dalla causa tipica del potere.

Il nomen iuris “rettifica”, usato dal Comune dissimulerebbe una retrocessione parziale disposta in assenza, però dei presupposti di legge, atteso che la fattispecie non sarebbe sussumibile nel paradigma dell’art. 47, comma 1, D.P.R. n. 327/2001, né in quello della retrocessione parziale già disciplinata dagli artt. 60 e 61 L. n. 2359/1865. In difetto della volontà dell’espropriato di riavere l’immobile non utilizzato per la realizzazione dell’opera pubblica, l’amministrazione espropriante non potrebbe disporne la restituzione avvalendosi dell’istituto della retrocessione parziale.

5) Eccesso di potere per travisamento dei fatti.

Il provvedimento impugnato muoverebbe dalla premessa, erronea, che il frazionamento di una particella catastale possa influire sulla proprietà.

Il Comune , costituitosi in giudizio per avversare il ricorso, ha preliminarmente eccepito l’irricevibilità del ricorso per tardività, avuto riguardo alla circostanza che il provvedimento impugnato è stato notificato a mezzo posta ed il ricorrente ne avrebbe avuto legale conoscenza in data 12/6/2010, data in cui il plico raccomandato sarebbe stato ritirato all’ufficio postale dalla signora M C, delegata dal marito l’odierno ricorrente, come sarebbe attestato dall’atto di ricevimento. Inoltre il provvedimento sarebbe stato pubblicato anche sulla G.U. della Regione Siciliana.

Nel merito le censure formulate dal ricorrente sarebbero infondate atteso che: 1) la procedura di esproprio di cui in causa si sarebbe svolta antecedentemente all’introduzione del 327/2001, entrata in vigore il 30/6/2003, mentre la dichiarazione di pubblica utilità relativa all’espropriazione del terreno di cui in causa sarebbe intervenuta il 20/3/2002;
2) nella fattispecie vi sarebbe stato un uso legittimo del potere di autotutela, prescindendo dal nomen iuris attribuito al provvedimento adottato, atteso che l’Amministrazione avrebbe con il provvedimento impugnato rimosso un provvedimento inficiato da un errore materiale contenuto nel provvedimento di esproprio, atteso che, come sarebbe dimostrato dalla mappa catastale allegata al provvedimento, la particella di proprietà del ricorrente e della di lui moglie sarebbe stata interessata soltanto parzialmente alla procedura ablativa;
3) da quanto premesso discenderebbe che la partecipazione al procedimento del ricorrente sarebbe stata ininfluente sull’esito del procedimento che si sarebbe concluso in ogni caso con un provvedimento di revoca in autotutela;
4) il ricorrente, inoltre, dal provvedimento impugnato non ricaverebbe alcun danno atteso che l’indennizzo che esso dovrebbe restituire sarebbe inferiore al valore del bene riacquistato;
5) nella fattispecie di cui in causa l’amministrazione non avrebbe posto in essere una retrocessione, ma soltanto una rettifica del contenuto del provvedimento ablativo a suo tempo adottato su presupposti di fatto erronei.

Il ricorrente con memoria di replica alle controdeduzioni del Comune resistente.

Alla pubblica udienza dal 20/6/2012 il ricorso è passato in decisione.

Preliminarmente il Collegio esamina l’eccezione di irricevibilità formulata dal Comune resistente.

L’eccezione si fonda sul postulato che il provvedimento impugnato sarebbe stato notificato all’odierno deducente il 12 giugno 2010, mediante consegna, ex art. 149 c.p.c., alla Sig.ra M C, da lui delegata.

L’eccezione, alla luce degli atti allegati al ricorso, si appalesa non meritevole di positiva valutazione, atteso che:

1) come é dato rilevare dal certificato prodotto dal ricorrente (doc. 8) esso ricorrente ha trasferito la propria residenza da Messina a Taormina sin dal 27 novembre 2006, sicchè inefficacemente il provvedimento impugnato gli è stato spedito, mediante il servizio postale, al vecchio indirizzo. Così come, altrettanto erroneamente, al vecchio indirizzo gli è stato spedito l’avviso di deposito di copia dell’atto ex art. 140 c.p.c. (doc. 6).

2) perché – come si evince dai relativi provvedimenti del Tribunale civile di Messina, in atti (doc. 9) – la Sig.ra M C, che il 12 giugno 2010 avrebbe ritirato l’atto, è separata dal ricorrente da circa 18 anni , ragion per cui, in assenza dei requisiti del coniugio e della convivenza, la notifica non può ritenersi perfezionata, per il sig. Gentile, con la legale conoscenza dell’atto da parte dell’ex moglie. Ed infatti, l’art. 149, ultimo comma, c.p.c. prevede che la notificazione a mezzo del servizio postale “si perfeziona, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha legale conoscenza dell’atto”, legale conoscenza che, se è esclusa quando il comproprietario che ha ricevuto la notificazione è il coniuge non convivente dell’interessato, a fortiori deve ritenersi esclusa quando il notificatario è l’ex coniuge, che , peraltro contrariamente a quanto adombrato nella memoria dell’Amministrazione non risulta essere stata delegata dall’ex coniuge al ritiro della raccomandata.

Il ritiro dell’atto da parte della Sig.ra Caristi potrebbe determinare la decorrenza del termine per l’impugnazione solo nei confronti di quest’ultima e non anche dell’ex marito non convivente.

3) La pubblicazione del provvedimento impugnato nella G.U.R.S non ha alcuna valenza di presunzione di conoscenza in capo al ricorrente, atteso che il termine per l’impugnazione degli atti soggetti a pubblicazione decorre dalla scadenza del termine previsto per l’espletamento delle relative formalità soltanto nel caso di soggetti terzi, e non si estende anche ai soggetti direttamente contemplati nell’atto, nei cui confronti il termine decadenziale per l’impugnativa decorre dalla data di notifica o comunicazione dell’atto o da quella dell’effettiva piena conoscenza in quanto non si può gravare il cittadino dell’onere impossibile di acquisire la conoscenza di tutti gli atti pubblicati sulla GURS.

Detti principi, peraltro trovano un punto di emersione nell’ordinamento positivo nell’art. 41, comma 2, c.p.a., che prevede la decorrenza del termine per ricorrere “dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione” esclusivamente “per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale”.

Nel merito le censure formulate del ricorrente sono meritevoli di positiva valutazione, atteso che:

1) il primo motivo di ricorso si appalesa fondato avuto riguardo al fatto che il Comune, in violazione del principio di legalità e di tipicità degli atti, ha fatto ricorso all’istituto della rettifica, la cui causa tipica è costituita all’eliminazione di un errore materiale nel quale sia incorsa l’autorità emanante nella determinazione del contenuto del provvedimento, per intervenire in autotutela su un provvedimento, emanato nel 2002 (peraltro portato a piena esecuzione con pagamento delle indennità in favore dei proprietari espropriati) per adeguarlo ad una evento successivo (costituito della assunzione di una nuova numerazione della particella espropriata in forza di un nuovo frazionamento effettuato nel 2008) che, peraltro, al momento dell’emanazione non conteneva alcun errore materiale.

Con il provvedimento impugnato si incide, unilateralmente, sulla situazione giuridica soggettiva degli espropriati con un provvedimento atipico, senza peraltro rispettare le garanzie partecipative.

2) Anche il secondo motivo di gravame si appalesa fondato, avuto riguardo alla natura del provvedimento che, al di fuori dell’improprio nomen iuris, adottato incide sulla situazione soggettiva del ricorrente in assenza della comunicazione di avvio del relativo procedimento ai soggetti (il ricorrente e la sua ex moglie) nei confronti dei quali è destinata a produrre effetti diretti.

Nella fattispecie di cui in causa non è applicabile l’art. 21-octies, comma 2, L. n. 241/1990 considerato che se il ricorrente fosse stato messo nelle condizioni di interloquire, avrebbe fatto presente che non sussistevano i presupposti per disporre in tal senso, né, ai sensi dell’anzidetta disposizione, il Comune resistente ha dimostrata l’irrilevanza del vizio derivante dall’omessa comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, ma si è limitato, (in sede di memoria di costituzione e, quindi peraltro con una inammissibile integrazione in sede giudiziale del contenuto del provvedimento) ad asserire che detta partecipazione sarebbe stata inutile, anche in considerazione del fatto che i l ricorrente ricaverebbe dalla restituzione del terreno di cui in causa un vantaggio economico.

In disparte la considerazione, dirimente, che l’Amministrazione non può sostituirsi al ricorrente nelle valutazioni relative alla convenienza per esso ricorrente della restituzione del terreno, l’asserzione dell’Amministrazione circa la convenienza della restituzione del terreno al ricorrente contro la restituzione delle somme ad esso corrisposte a titolo di indennità di esproprio si appalesa labiale ed arbitraria,.

3) Anche il quarto motivo di ricorso, si appalesa fondato atteso che in realtà, pur avendo usato il termine rettifica “rettifica”, il Comune ha usato, surrettiziamente lo schema della retrocessione parziale, però esso ha fatto ricorso a detto istituto in assenza e al di fuori dei presupposti di legge sia di quelli previsti dall’art. 47, comma 1, D.P.R. n. 327/2001 che oggi disciplina la retrocessione parziale, sia quella contenuta negli artt. 60 e 61 L. n. 2359/1865 che era, per quanto qui interessa, sostanzialmente identica.

Invero, dal contenuto letterale della norma (art. 47 del DPR 8/6/2001 n. 827) è dato evincere che soltanto il “soggetto espropriato può chiedere la restituzione della parte del bene, già di sua proprietà, che non sia stata utilizzata”.

Nulla la norma dice in materia sulla potestà dell’Amministrazione di procedere unilateralmente ad una retrocessione “d’ufficio” che, pertanto, in base al principio della tipicità degli atti si appalesa illegittima.

L’accoglimento dei motivi esaminati comporta l’accoglimento del ricorso, con assorbimento dei motivi non esaminati.

Le spese seguono la soccombenza e sono indicate in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi