TAR Bari, sez. III, sentenza 2024-05-18, n. 202400615

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. III, sentenza 2024-05-18, n. 202400615
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 202400615
Data del deposito : 18 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/05/2024

N. 00615/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00814/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 814 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. V N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'interno - Questura di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Bari alla via Melo, 97;

per l'annullamento

previa sospensione dell’efficacia

- del decreto cat a.11/2021/IMM. n. 09/P.S. emesso dalla Questura di Bari in data 13 maggio 2021 e notificato in data 21 giugno 2021 di rigetto della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari;

- nonché di tutti gli atti preordinati, connessi e/o consequenziali.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Questura di Bari;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 aprile 2024 il dott. Lorenzo Ieva e uditi per le parti i difensori avv. Dario Belluccio, in sostituzione dell’avv. V N, per la parte ricorrente;
nessuno comparso per l’Amministrazione resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Con il ricorso depositato come previsto in rito, l’istante cittadino albanese, nato nell’anno 1993, ha impugnato il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, per “motivi familiari”, rilasciato dalla Questura di Milano, con validità fino al 13 febbraio 2014.

In fatto, la Questura di Bari rilevava, nella narrativa del provvedimento gravato, come il ricorrente fosse risultato, in base all'istruttoria amministrativa effettuata, soggetto pregiudicato, con precedenti di polizia a suo carico, per cui, stante la preclusione derivante dall’art. 4, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per i condannati (anche con sentenza non definitiva), per i reati indicati dall'art. 380 c.p.p., tra cui figurano gli illeciti penali commessi dal richiedente, alcun permesso di soggiorno poteva essere rinnovato;
vieppiù l’Amministrazione deduceva motivatamente in ordine alla rilevanza nel caso di specie dei precedenti penali riscontrati, anche alla luce dello scarso inserimento nel contesto socio-economico dell’extracomunitario.

In diritto, tuttavia, parte ricorrente in due punti dell’impugnativa spiegata, deduceva la violazione dell’art. 4, comma 3, e la violazione dell’art. 5, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione […]”).

2.- Si costituiva l’Amministrazione, la quale depositava i documenti del procedimento e resisteva.

3.- Alla fissata camera di consiglio, la domanda cautelare veniva rigettata, per carenza del fumus boni iuris , in quanto, ai sensi dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, non è ammesso in Italia lo straniero che risulti condannato, per alcuni reati c.d. “ostativi”, come per quelli a cui è stato condannato il ricorrente.

4.- Indi, si costituiva nuovo difensore, in luogo di precedente difensore revocato;
il nuovo difensore formulava eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

5.- Scambiati ulteriori documenti, memorie e repliche, alla successiva udienza pubblica, dopo breve discussione, la causa veniva introitata in decisione.

6.- Il ricorso è infondato.

6.1. - In via preliminare, va delibata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, proposta dal nuovo difensore costituito del ricorrente, in ragione di quanto previsto dall’art. 30, comma 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e dell’art. 20 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, in materia di diniego di ricongiungimento familiare.

Va, tuttavia, rilevato, da un lato, che l’eccezione di giurisdizione è stata formulata dalla stessa parte, ossia il ricorrente, che ha adito il giudice amministrativo e ciò è inammissibile, in quanto si traduce in un comportamento opportunistico, in contrasto con il dovere di cooperazione per la realizzazione della ragionevole durata del processo;
ugualmente la parte che ha adito la giurisdizione amministrativa con l'atto introduttivo del giudizio in primo grado non è legittimata a contestarla attraverso l'eccezione di difetto di giurisdizione in appello ( ex pluris : Cons. St., sez. V, 7 marzo 2023, n. 2362;
Cons. St., sez. III, 14 dicembre 2022, n. 10946;
Cons. St., Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 19;
Cons. St., Ad. plen., 28 luglio 2017, n. 4).

Per altro verso, il diritto processuale prevede uno specifico mezzo per porre questione di giurisdizione consistente nella proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione ( ex art. 10 del codice del processo amministrativo ed ex art. 41 c.p.c.), proponibile anche da parte dell'attore (Cass., sez. un., ord. 22 aprile 2021, n. 10742) o del ricorrente (Cons. St., Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 19), ma pur sempre a seguito di eccezione o contestazione della giurisdizione ad opera della controparte nel processo. Tuttavia, alcuna eccezione è stata sollevata dall’Amministrazione.

Ancor più, la contestazione sulla giurisdizione è stata sollevata nel corpo dell’istanza di prelievo, non notificata a controparte, tentando in realtà in tal modo di ampliare il thema decidendum introdotto dal ricorso e ciò è inammissibile.

Pertanto, la contestazione della giurisdizione effettuata dal ricorrente, per i plurimi succitati motivi, non ha pregio ed è inammissibile.

6.2. - Quanto al merito dell’impugnativa, va detto che l’Amministrazione ha puntualmente applicato le disposizioni di cui agli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286;
ragion per cui non si rintraccia alcuna loro violazione, come dedotto dalla parte ricorrente. Il provvedimento è ampiamente motivato e, oltre a indicare la sussistenza dei c.d. “reati ostativi”, ha cura di evidenziare i profili significativi che corroborano la decisione dell’amministrazione di non rinnovare il permesso di soggiorno. È stata altresì consentita idonea partecipazione procedimentale, senza che l’interessato abbia cercato di introdurre nel procedimento amministrativo elementi a proprio favore.

In base all’art. 4, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, non è ammesso in Italia e, ai sensi dell’art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286 citato, il permesso di soggiorno e/o il suo rinnovo sono rifiutati o revocati, quando lo straniero possa essere considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o risulti condannato (anche con sentenza non definitiva e/o con c.d. pena patteggiata ex art. 444 c.p.p.), per reati previsti dall’art. 380, comma 2, c.p.p., tra cui vi sono i reati di furto con strappo (art. 624- bis, comma 2, c.p.) e di rapina aggravata (art. 628, comma 3, n. 1 c.p.), come da condanne inflitte dal Tribunale penale di Milano (in atti);
inoltre, in base all’ultima parte dell’art. 4, comma 3, citato, viene precisato comunque che: “Lo straniero per il quale è richiesto il ricongiungimento familiare, ai sensi dell'articolo 29, non è ammesso in Italia quando rappresenti una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato”.

Con riferimento ai c.d. “reati ostativi”, la giurisprudenza ha affermato che, in siffatte ipotesi, si può prescindere da un giudizio di pericolosità sociale in concreto (Cons. St., sez. III, 15 aprile 2021, n. 3120;
2 febbraio 2021 n. 955;
24 novembre 2020 n. 7386). Tuttavia, esclusivamente per il rilascio del permesso per lungo soggiornanti di lungo periodo ( ex art. 9, d.lgs. n. 286 del 1998), la valutazione va sorretta da un giudizio di pericolosità sociale dello straniero, escludendosi quindi l'operatività di ogni automatismo, in conseguenza delle condanne penali riportate (così: Cons. St., sez. III, 4 agosto 2022, n. 6890;
sez. III, 7 luglio 2022, n. 5660).

Dal canto suo, la giurisprudenza costituzionale in materia ha richiesto specifica motivazione soltanto per taluni c.d. reati ostativi minori, tra cui non rientrano quelli commessi dal ricorrente (Corte cost. 8 maggio 2023, n. 88). Vieppiù, la disciplina tracciata dagli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, scrutinata in occasione del suo richiamo, nell’ambito della normativa speciale in materia di emersione dal lavoro irregolare, non è stata ritenuta irragionevole (Corte cost., 24 febbraio 2017, n. 45). Ed invero i reati ascritti al ricorrente sono di una certa gravità, commessi nel 2013 e 2015, quando lo stesso aveva rispettivamente 20 e 22 anni;
inoltre, come dedotto dall’Amministrazione (e parimenti indicato dal ricorrente), l’extracomunitario in questione ha svolto fino a marzo 2021 (come si evince da estratto contributivo Inps depositato) unicamente saltuarie e precarie attività lavorative in Italia, per circa un solo mese, per ogni lavoro, o, comunque, per pochi mesi, non riuscendo mai a trovare una stabile o perlomeno continuativa occupazione.

Peraltro, l’autorità di polizia ha potuto rilevare, come da narrativa del provvedimento gravato, come il ricorrente sia soggetto disoccupato, privo di stabili mezzi di sostentamento, con carente, se non del tutto assente, integrazione nel tessuto sociale e contiguo a soggetti pregiudicati. Ciò stante, non può incidere, nella valutazione discrezionale effettuata dall’Amministrazione di P.S., la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui si tratterebbe di condotte criminose, che devono considerarsi alla stregua di meri “errori di gioventù” e che il trattamento carcerario sofferto abbia emendato in toto il ricorrente da ulteriori propositi delittuosi. Trattasi di mere affermazioni difensive, indimostrate e che ancor più non trovano alcuna deduttiva inferenza nei documenti agli atti dell’odierno processo.

7.- In conclusione, per le sopra esposte motivazioni, il ricorso va respinto.

8.- Le spese del giudizio possono essere compensate per la peculiarità della materia.

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