TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-09-15, n. 201609758
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Pubblicato il 15/09/2016
N. 09758/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00555/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 555 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
E S, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. L T, C.F. TRCLSU57D55C352N, e V V, C.F. VCCVLR82E31H501I, con domicilio eletto presso lo Studio Legale L T in Roma, viale Bruno Buozzi, 47;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri e Scuola Nazionale dell'Amministrazione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall' Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento, previa sospensione,
quanto al ricorso:
- del DPCM del 25.11.2015, n. 202, pubblicato sulla GU n. 295/2015, nella parte in cui stabilisce, all'art. 2, co. 4, che ai docenti a tempo indeterminato della Scuola nazionale dell’amministrazione si applica la disciplina delle incompatibilità e delle autorizzazioni prevista per i professori e ricercatori universitari a tempo pieno e, altresì, nella parte in cui stabilisce, all’art. 2, comma 1, e all’art. 5, commi 2 e 4, i criteri per la determinazione del trattamento economico dei docenti a tempo indeterminato della Scuola nazionale dell’amministrazione;
- della nota del 30.12.2015, prot. SNA_PRE 0014747P, a firma del Presidente della Scuola Nazionale dell'Amministrazione prof. Giovanni Tria;
2) quanto ai primi motivi aggiunti:
- della nota prot. SNA_PRE0000557P del 25.1.2016, a firma del Presidente della SNA Prof. Giovanni Tria, notificata al Prof. S il 27.1.2016;
- per quanto occorre possa, della nota prot. SNA_PRE0000034P del 7.1.2016, a firma del Presidente della SNA, Prof. Giovanni Tria;
- di ogni altro presupposto, connesso e conseguente, anche non conosciuto, ivi compresi, ove occorra, quelli già impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio;
3) quanto ai secondi motivi aggiunti:
- del decreto n. 12/2016 del 16.2.2016, a firma del Dirigente amministrativo della SNA, comunicato al Prof. S con nota prot. SNA2680-P del 15.3.2016;
- della nota prot. SNA_AAC0003369P del 5.4.2016, a firma del Coordinatore dell’Ufficio affari generali e concorsi della SNA;
- di ogni altro presupposto, connesso e conseguente, anche non conosciuto, ivi compresi, ove occorra, quelli già impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio e con il primo atto di motivi aggiunti.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri e Scuola Nazionale dell'Amministrazione, con la relativa documentazione;
Visto il decreto cautelare monocratico di questa Sezione n. 150/16 del 14.1.2016;
Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 645/16 dell’11.2.2016;
Vista l’ordinanza cautelare della Sezione Quarta del Consiglio di Stato n. 892/16 dell’11.3.2016;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 22 giugno 2016 il dott. I C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, il prof. E S evidenziava di essere stato già magistrato ordinario e poi inquadrato quale professore ordinario nel ruolo (ad esaurimento) della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze (SSEF), con mantenimento del trattamento economico goduto nell’amministrazione di provenienza e relative progressioni stipendiali e di carriera nonché possibilità di svolgimento di attività professionale, in virtù dell’opzione esercitata ai sensi dell’art. 3, comma 3, d.m. 28.9.2000, n. 301.
Premettendo la ricostruzione del quadro normativo concernente i professori della SSEF (ora confluita nella Scuola Nazionale dell’Amministrazione – SNA), il prof. S chiedeva l’annullamento, previe misure cautelari, del d.p.c.m. in epigrafe, adottato in attuazione dell’art. 21, comma 4, d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014, nella parte in cui interveniva sulla rideterminazione del suo trattamento economico nonché sul suo stato giuridico, stabilendo l’incompatibilità per i professori della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (istituita ex art. 21, d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014 con soppressione della SSEF) allo svolgimento della libera professione analogamente a quanto previsto per i docenti universitari “a tempo pieno”, con decorrenza pressochè immediata e nonostante l’entrata in vigore dell’art. 1, comma 657, l. n. 216/2015 che prevedeva più in generale forme di riorganizzazione e commissariamento della stessa SNA.
Il ricorrente, in sintesi, lamentava quindi quanto segue.
“ 1: Illegittimità per violazione dell’art. 21, comma 4, del d.l. n. 90/2014. Eccesso di potere per violazione del principio di legalità. Sulla illegittima estensione ai docenti della SNA provenienti dai ruoli della SSEF del regime di incompatibilità proprio dei professori universitari a tempo pieno.”
L’art. 2, comma 4, del d.p.c.m. impugnato si palesava illegittimo nella parte in cui estendeva ai professori del ruolo ad esaurimento della “ex SSEF” il regime di incompatibilità proprio dei professori universitari “a tempo pieno”, dato che tale misura non era prevista nella norma primaria di riferimento, la quale non indicava alcuna facoltà di intervento sullo stato giuridico dei docenti ma si limitava a prevedere che l’adottando d.p.c.m. si occupasse soltanto della determinazione del trattamento economico relativo, facendo mero richiamo allo stato giuridico dei professori o dei ricercatori universitari ma senza evidenziare la necessità di conformarsi al solo regime dei professori che hanno optato per il suddetto “tempo pieno”.
Il ricorrente, inoltre, riteneva violato anche il più generale principio di legalità, in quanto la sfera giuridica dei docenti era stata regolata attraverso norma di rango secondario, pur essendo la disciplina delle incompatibilità coperta da riserva di legge.
“ 2. Illegittimità per eccesso di potere. Violazione del principio di non discriminazione e ingiustizia manifesta. Sulla ingiustificata disparità di trattamento dei docenti della SNA rispetto ai professori universitari”.
Era realizzata una ingiustificata disparità di trattamento proprio con la categoria di docenti presi a riferimento, a cui è lasciata libertà di scelta tra “tempo pieno” e “tempo definito”, che nel caso di specie era stata invece negata. La disparità di trattamento in questione era stata già paventata dal Consiglio di Stato in sede consultiva ma l’Amministrazione ne aveva palesemente disatteso le osservazioni.
“ 3. Illegittimità per violazione dell’art. 1 della legge n. 241/1990. Violazione del principio di tutela del legittimo affidamento” .
Il ricorrente aveva lasciato dapprima i ruoli della magistratura e poi aveva optato per l’esercizio della libera professione quale docente della SSEF secondo la normativa vigente da quindici anni, con evidente affidamento in tal senso, che non poteva drasticamente essere affievolito senza giustificazione logica e in violazione anche di principi comunitari ben chiari sul punto dell’appartenenza del principio dell’affidamento all’ordinamento dell’Unione.
“ 4. Eccesso di potere sotto il profilo della violazione del principio di proporzionalità, di certezza del diritto, di imparzialità, di ragionevolezza, di equità e di eguaglianza, nonché sotto il profilo dello sviamento di potere e della disparità di trattamento” .
Altri principi generali violati – per il ricorrente – erano quelli legato al giusto equilibrio tra mezzi e fini nella comparazione degli interessi pubblici e privati e quello della certezza e ragionevolezza del diritto.
“ 5. Illegittimità per violazione dell’art. 21, comma 4, del d.l. n. 90/2014 e dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001. Eccesso i potere per illogicità e ingiustizia manifesta. Sulla illegittima determinazione del trattamento economico dei docenti della SNA” .
In relazione alla rideterminazione del trattamento economico, il ricorrente lamentava che la norma primaria prevedeva che quello dei professori “ex SSEF” dovesse essere soltanto reso “omogeneo” a quello degli altri docenti della SNA, a sua volta determinato sulla base di quello spettante ai corrispondenti professori (o ricercatori) universitari “a tempo pieno” con corrispondente anzianità.
Nel caso di specie si era dato luogo invece ad una effettiva “omologazione” e non a una mera “omogeneizzazione” dei trattamenti economici.
A ciò doveva aggiungersi che l’art. 5, comma 2, d.p.c.m. cit. incideva illegittimamente anche sul passato, nel prendere in considerazione il computo dell’attività svolta prima dell’assunzione dell’incarico presso la SNA come anzianità di servizio, in quanto non si era tenuto conto che tale svolgimento era avvenuto in ruolo diverso. Ciò recava un evidente pregiudizio anche nella ricostruzione della carriera a fini previdenziali e si poneva in contrasto con l’art. 31 d.lgs. n. 165/2001 sulla c.d. “mobilità obbligatoria”. I docenti “ex SSEF” erano stati inquadrati “ex lege” nella SNA ma non era stata considerata, dal d.p.c.m. impugnato, alcuna ipotesi di “assegno ad personam” che avrebbe garantito il medesimo trattamento economico ex art. 31 cit. e in attuazione del principio generale di cui all’art. 2112 c.c., da considerarsi vigente nonostante l’intervenuta abrogazione dell’art. 202 t.u. n. 3/1957, che si riferiva alla diversa fattispecie della c.d. “mobilità volontaria”. Tutto ciò secondo la medesima interpretazione proposta dal Consiglio di Stato in sede consultiva e senza alcun preavviso, dato che le disposizioni di cui al d.p.c.m. in questione sono divenute operative pressochè immediatamente.
“ 6. In via subordinata: illegittimità comunitaria e incostituzionalità dell’art. 21 del d.l. n. 90/2014. Violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, della certezza del diritto e della proporzionalità. Violazione degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione”.
Il ricorrente lamentava anche – in via subordinata – l’incostituzionalità dell’art. 21 cit. per violazione dei principi di proporzionalità, del legittimo affidamento, di legalità, di certezza del diritto, del divieto di non discriminazione, di leale collaborazione, di ragionevolezza, di imparzialità e di buona amministrazione.
Inoltre ne lamentava anche l’illegittimità comunitaria per violazione del principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto, avendo il ricorrente compiuto importantissime scelte di vita e professionali che sarebbero state travolte improvvisamente e senza possibilità di far fronte agli impegni, anche giuridici, nel frattempo assunti. Tutto ciò con negativi risvolti anche sotto il profilo pensionistico e quello relativo alle quotidiane esigenze di vite, risultando drasticamente ridotta di circa il 70% la sua retribuzione.
Con decreto cautelare monocratico presidenziale era respinta la domanda avanzata dal ricorrente ai sensi dell’art. 56 c.p.a.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, chiedendo la reiezione del ricorso, come illustrato in memoria per la camera di consiglio del 10.2.2016, in prossimità della quale anche il ricorrente depositava una breve memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio, la Sezione, con l’ordinanza in epigrafe, respingeva la domanda cautelare ma la statuizione era riformata dalla Sezione Quarta del Consiglio di Stato con l’ordinanza pure in epigrafe richiamata.
Con “atto di motivi aggiunti da valere, ove occorra, anche come ricorso autonomo”, ritualmente notificato e depositato, il prof. S chiedeva nelle more anche l’annullamento degli atti conseguenziali a quelli impugnati con il ricorso introduttivo, recanti diffide a cessare la situazione di incompatibilità, deducendo motivi di illegittimità derivata da quelli esposti in precedenza.
A tale iniziativa seguiva la notifica rituale di ulteriori motivi aggiunti, pure da valere eventualmente quale ricorso autonomo, avverso i provvedimenti dirigenziali con i quali era stato nel frattempo rideterminato il trattamento economico e disposto l’avvio del recupero delle differenze corrisposte con decorrenza 1.1.2016, anche in questo caso lamentando illegittimità derivata dagli atti in precedenza impugnati, secondo quanto esposto nel ricorso introduttivo e chiedendo, eventualmente, almeno la disapplicazione degli atti impugnati per evidente violazione dei suoi diritti e per la gravità del pregiudizio nei suoi confronti.
In prossimità della pubblica udienza le parti costituite depositavano memorie (il ricorrente anche “di replica”) ad ulteriore illustrazione delle rispettive tesi e alla data del 22.6.2016 la causa era trattenuta in decisione per il merito.
DIRITTO
Al non più sommario esame di cui alla presente fase di merito e anche alla luce delle relative, ulteriori, allegazioni delle parti, il Collegio ritiene la fondatezza del gravame nei sensi che si vanno in sintesi ad illustrare.
Per una più agevole esposizione, appare necessario riportare direttamente la normativa di riferimento.
L’art. 21 d.l. n. 90/14, conv. in l. n. 114/14, rubricato “Unificazione delle Scuole di formazione”, prevede testualmente, al comma 4 qui rilevante che: “ I docenti ordinari e i ricercatori dei ruoli a esaurimento della Scuola Superiore dell'economia e delle finanze, di cui all'articolo 4-septies, comma 4, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129, sono trasferiti alla Scuola nazionale dell'amministrazione e agli stessi è applicato lo stato giuridico dei professori o dei ricercatori universitari. Il trattamento economico è rideterminato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di renderlo omogeneo a quello degli altri docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione, che viene determinato dallo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base del trattamento economico spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianità. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica .”.
Il d.p.c.m. di cui alla seconda parte della disposizione in questione (e impugnato in questa sede “in parte qua”) è stato adottato il 25.11.2015 e il relativo art. 2 prevede che: “ Ai docenti a tempo pieno, scelti tra dirigenti di amministrazioni pubbliche, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari, nonché ai docenti a tempo indeterminato si applica il trattamento economico annuo lordo dei professori universitari di prima fascia a tempo pieno, come fissato dall'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, e successive modificazioni.
Ai docenti a tempo pieno, scelti tra professori universitari di prima o seconda fascia si applica, rispettivamente, il trattamento economico annuo lordo dei professori universitari di prima fascia a tempo pieno o quello dei professori universitari di seconda fascia a tempo pieno come fissati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 232 del 2011 e successive modificazioni.
Per i docenti a tempo pieno scelti tra dirigenti di amministrazioni private o tra soggetti, anche stranieri, in possesso di elevata e comprovata qualificazione professionale, il trattamento economico annuo lordo è stabilito, tra quelli di professore universitario di prima fascia a tempo pieno o di professore universitario di seconda fascia a tempo pieno, dal Presidente della Scuola, sentito il Comitato di gestione, sulla base della valutazione del curriculum accademico e professionale, in applicazione dei criteri di valutazione fissati dallo stesso Comitato, comunque nel rispetto del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, e successive modificazioni.
Il trattamento economico dei docenti a tempo pieno e a tempo indeterminato, come definito dal presente articolo, è correlato all'espletamento degli obblighi istituzionali e delle attività didattiche e scientifiche, previsti per i professori universitari a tempo pieno e all'impegno didattico fissato dall'articolo 1, comma 16, della legge 4 novembre 2005, n. 230, e dall'articolo 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240. Ai suddetti docenti si applica la disciplina delle incompatibilità e delle autorizzazioni prevista per i professori e ricercatori universitari a tempo pieno dallo stesso articolo 6. Il Presidente, sentito il Comitato di gestione, determina le modalità per la verifica dell'effettivo svolgimento delle attività didattiche e scientifiche da parte dei predetti docenti. Il compenso per le ulteriori attività è determinato, nei limiti delle disponibilità di bilancio, in applicazione dei criteri di cui al decreto previsto dall'articolo 1, comma 16, della legge 4 novembre 2005, n. 230 e, fino all'adozione del suddetto decreto, in misura pari al settantacinque per cento dell'importo individuato ai sensi dell'articolo 4. ”
Ulteriori criteri per la determinazione del trattamento economico sono poi posti all’art. 5 d.p.c.m. cit., laddove è indicato che “ Ai fini della determinazione del relativo trattamento economico, i docenti a tempo pieno, scelti tra professori universitari di prima o seconda fascia o tra ricercatori universitari, mantengono l'anzianità di servizio già maturata.
Ai fini della determinazione del trattamento economico dei docenti a tempo pieno, scelti tra dirigenti di amministrazioni pubbliche, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari, e dei docenti a tempo indeterminato, i periodi di servizio prestato nelle suddette qualifiche vengono computati come anzianità di servizio nel ruolo dei professori universitari di prima o di seconda fascia a tempo pieno, in coerenza con i criteri di determinazione del trattamento economico previsti dall'articolo 2, applicando le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 232 del 2011 e successive modificazioni.
Ai fini del comma 2, in applicazione delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 232 del 2011 e successive modificazioni, la progressione per classi e scatti è biennale fino alla data di entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, e triennale a decorrere dall'entrata in vigore della predetta legge.
Ai fini del computo dell'anzianità, i periodi di servizio presso la Scuola dei docenti a tempo pieno, dei docenti a tempo indeterminato e dei ricercatori a tempo indeterminato vengono valutati in applicazione della disciplina generale relativa ai professori e ai ricercatori universitari.”
Alla luce del dato testuale della norma di rango primario, che non richiede particolare interpretazione ermeneutica, il Collegio trova fondato quanto lamentato dal ricorrente nel primo motivo di ricorso (e dei correlati motivi aggiunti), laddove è evidenziato che l’art. 21, comma 4, d.l. cit. non faceva alcun riferimento alla modifica dello “status giuridico” e in particolare all’introduzione – perché di novità di fatto si tratterebbe in quanto in precedente era assente – di un regime di incompatibilità, compreso quindi quello di cui all’art. 6 l. n. 240/2010, come d’altro canto già osservato – sia pure in sede di sommaria delibazione cautelare – dal Consiglio di Stato nell’ordinanza richiamata in epigrafe.
La norma di rango primario in questione, nel quadro della disciplina che aveva portato alla unificazione nella SNA di tutte le scuole di formazione della p.a., si era limitata, in relazione ai docenti del ruolo ad esaurimento della “ex SSEF”, a prevedere il loro inserimento nella neo istituita Scuola, con previsione normativa necessaria proprio perché in precedenza inseriti in “ruolo ad esaurimento”, che poteva essere considerato legato unicamente alla permanenza in esistenza della SSEF. In tale inserimento l’art. 21, comma 4, cit. si è limitato a richiamare che lo stato giuridico doveva considerarsi quello dei professori universitari ma da ciò non può dedursi che era stato implicitamente introdotto “ex lege” il regime di incompatibilità proprio dei professori ordinari “a tempo pieno”. A conferma di tale interpretazione si palesa proprio il medesimo art. 21, comma 4, il quale solo nel demandare al Governo l’adozione di un decreto per determinare il trattamento economico – fermo quanto sarà in prosieguo specificato – ha fatto riferimento al regime del “tempo pieno”, confermando che tale regime semmai poteva essere considerato come parametro di riferimento a fini economici, cui era delegato l’esecutivo, ma non al fine di modificare lo “status” giuridico dei professori del ruolo ad esaurimento della “ex SSEF” di cui alla prima parte del comma in esame.
L’argomento è con precisione stato sviluppato nelle difese in sede di merito del ricorrente, il quale ha evidenziato – senza smentita da parte della difesa erariale – che presso la Scuola in questione i docenti c.d. “stabili” o “a tempo pieno” non corrispondono a quelli della terminologia “classica” universitaria, in quanto sono quelli che svolgono attività didattica in sostituzione dei compiti di istituto propri del ruolo di provenienza, conservando il trattamento economico in godimento presso l’amministrazione di appartenenza/provenienza, ma senza che sia formalizzato un divieto di svolgimento di attività libero-professionale.
Vi sono, poi, presso la Scuola, docenti incaricati, c.d. “temporanei”, cui è affidata un’attività di insegnamento che non si sostituisce ma si affianca con quella svolta comunque presso l’amministrazione di provenienza.
In sostanza, sussistono professori “stabili” o “a tempo pieno” presso la Scuola, secondo il regime del d.lgs. n. 178/2009, che provenendo dai ruoli universitari hanno un regime di impegno (lì individuato “a tempo definito”) retribuito in tal senso dall’Università di provenienza e compatibile, in quanto tale, con la svolgimento di attività libero-professionale.
Ne consegue che il richiamo generico allo stato giuridico dei professori (o dei ricercatori) universitari di cui all’art. 21, comma 4, d.l n. 90/14, prima parte, non implicava in alcun modo l’automatico vincolo allo svolgimento di didattica con incompatibilità alle attività libero-professionali, secondo quanto previsto per i professori “a tempo pieno” di cui alla l. n. 240/2010, dovendo –come detto - il richiamo al “tempo pieno” in questione essere preso in considerazione dall’Esecutivo, in sede di adozione del previsto d.p.c.m., solo nel regolare il trattamento economico.
Pertanto l’innovazione importata dal decreto impugnato, che ha introdotto senza alcuna delega in tal senso il regime delle incompatibilità di cui all’art. 6 l. n. 240/2010 cit. per i soli professori del ruolo ad esaurimento “ex SSEF”, si palesa illegittima.
Né in senso contrario possono rilevare le difese delle Amministrazioni costituite, che si sono nella sostanza limitate a confermare che la portata del d.p.c.m. impugnato era in effetti innovativa sul punto nel riorganizzare sotto l’egida della SNA le precedenti Scuole dell’amministrazione e la specifica posizione dei docenti “ex SSEF”, evidenziando che non era più possibile in generale far valere un’eventuale opzione per il tempo definito (anche se già esercitata presso Università di provenienza, pur non essendo questo il caso del ricorrente, proveniente dalla magistratura ordinaria).
In realtà, come detto, non è rinvenibile in alcuna parte della norma di cui all’art. 21, comma 4, cit. una portata innovativa di tal genere per i docenti “ex SSEF” comprensiva di tale limite di esercizio – inteso come vincolo di incompatibilità ex art. 6 l. n. 240/10 - e ciò è confermato dalle stesse Amministrazioni costituite le quali precisano che l’attuale assetto organizzativo del personale docente della SNA – secondo quanto già sopra rappresentato - prevede: 1) docenti a tempo indeterminato trasferiti dalla “ex SSEF”;2) docenti a tempo pieno nominati ai sensi dell’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 178/2009, con incarico a tempo determinato;3) docenti incaricati, anche a tempo determinato, ai sensi dell’art. 10, comma 3, d.lgs. cit.
Non si rinviene quindi alcuna figura di docente che già rechi con sé l’equiparabilità a quella del professore ordinario “universitario” che svolge attività “a tempo pieno”, con conseguente regime di incompatibilità ex art. 6 cit., per cui è evidente la portata “innovativa” sullo “status” dei docenti “ex SSEF” che il decreto impugnato ha apportato, senza alcuna margine a ciò concesso però, come detto, dalla normativa primaria di cui all’art. 21, comma 4, d.l. n. 90/14.
Questa norma, infatti, non considervava l’introduzione di alcun regime di incompatibilità in tal senso, limitandosi a prevedere che tali docenti fossero “trasferiti” alla SNA e provvedendo a richiamare l’applicabilità ad essi dello stato giuridico dei professori universitari (genericamente indicati), senza che per questo possa riconoscersi una delega implicita al Governo a introdurre regimi di incompatibilità precedentemente non previsti presso la SSEF e propri di una sola “categoria” di professori universitari (quelli “a tempo pieno). La stessa rubrica della norma – “Unificazione delle Scuola di formazione” – sta a indicare che la stessa è stata adottata per pervenire ad una semplificazione e riduzione degli organismi formativi della pubblica amministrazione, senza intenzioni di dare luogo a una riforma sostanziale, la quale risulta – coerentemente – demandata invece alla previsione dell’art. 1, comma 657, l. n. 216/2015, come peraltro condivisibilmente osservato anche dal ricorrente.
La norma in questione di cui all’art. 21 d.l. cit., anzi, si è premurata – nel considerare al comma 4 i soli docenti “ex SSEF” - che costoro conservassero lo “status” di professori universitari secondo quanto già riconosciuto dalla regolazione, anche di rango primario, che aveva istituito il “ruolo ad esaurimento”, in tal senso dando luogo ad un effetto meramente “ricognitivo”, per cui ogni innovazione sul medesimo da parte di norma di rango secondario, come nel caso di specie, appare anche sotto questo profilo illegittima.
Inoltre, l’introduzione della modifica sostanziale comportante il regime di incompatibilità più volte richiamato - oltretutto in tempi pressochè immediati obbligando il ricorrente ad una scelta “di vita” di rilevantissimo spessore in pochi giorni - ha dato quindi luogo, sotto tale profilo, anche alla violazione dei principi generali di “legalità”, “legittimo affidamento” e “proporzionalità”, come lamentati nei primi quattro motivi di ricorso.
Parimenti fondato è anche il quinto motivo, con il quale si censura la modalità di determinazione del trattamento economico, secondo l’unico oggetto di delega rinvenibile, in astratto, nell’art. 21 cit.
Se dunque il d.p.c.m. impugnato poteva in ipotesi intervenire in materia di trattamento economico, in tesi appare rilevante quanto lamentato dal ricorrente sotto un duplice profilo.
In disparte ogni considerazione – comunque dirimente ad opinione del Collegio cui si applica il principio “Iura novit Curia” – sull’entrata in vigore dell’art. 11, comma 1, lett. d), l. n. 124/2015, posteriore al d.l. n. 90/2014 ma anteriore all’adozione del d.p.c.m. impugnato, secondo il quale è affidata a decreto delegato la “… ridefinizione del trattamento economico dei docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione in coerenza con le previsioni di cui all'articolo 21, comma 4, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ferma restando l'abrogazione dell'articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 1º dicembre 2009, n. 178, senza incremento dei trattamenti economici in godimento e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica ”, il Collegio rileva la fondatezza delle doglianze del ricorrente anche sullo stesso d.p.c.m. impugnato.
L’art. 21, comma 4, d.l. cit., infatti, afferma che la rideterminazione in questione del trattamento economico dei docenti provenienti dai ruolo “ad esaurimento” della SSEF – sempre nell’ambito della volontà di mera semplificazione e “Unificazione delle scuole di formazione” di cui alla rubrica della norma – doveva avvenire “…al fine di renderlo omogeneo a quello degli altri docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione, che viene determinato dallo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base del trattamento economico spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianità”.
L’impugnato decreto, invece, ha dato luogo ad una sostanziale ”omologazione” del trattamento in questione, nel senso di renderlo del tutto coincidente a quello dei professori “a tempo pieno”, senza considerare la peculiarità della posizione dei professori “ex SSEF”, inseriti a suo tempo in un “ruolo ad esaurimento” in virtù del processo di riorganizzazione delle scuole di formazione della p.a. (nelle more legato anche alla istituzione della SSPA), con procedimento sostanzialmente coincidente a quello di “mobilità obbligatoria ex lege” dei pubblici dipendenti, che prevede però il godimento del medesimo trattamento economico garantito al dipendente e su cui non opera(va) l’abrogato art. 202 t.u. n. 3/1957, secondo lo stesso “principio ispiratore” del d.lgs. n. 178/2009, come d’altronde riconosciuto più volte dallo stesso Consiglio di Stato nei pareri espressi in sede consultiva sulla fattispecie (nn. 533/2015 e 2157/2015).
Con logica e coerenza l’Organo consultivo aveva evidenziato che la disposizione di cui al decreto esaminato, come congegnata, avrebbe comportato disparità di trattamento a danno dei soli docenti “ex SSEF” cui la norma era rivolta, non consentendo solo a loro, in alternativa alla permanenza nella SNA, il rientro in un determinato periodo intermedio nelle amministrazioni di provenienza ovvero senza consentire almeno la permanenza con incarichi di durata ma con trattamento economico di base commisurato a quello delle amministrazioni di provenienza.
Del tutto illogica e immotivata, invece, è stata la mancata considerazione di tali suggerimenti, dato che il d.p.c.m. impugnato ha ritenuto di mantenere la struttura originaria, senza neanche prevedere un congruo termine di “preavviso” agli interessati, che nel tempo di meno di quindici giorni si sono visti obbligati a prendere decisioni “vitali” e irreversibili legate ad un’unica alternativa prospettata, quale la permanenza nella SNA o la continuazione della (sola) attività libero-professionale, laddove la stessa non era rinvenibile in capo agli altri docenti della Scuola e quindi senza che potesse configurarsi quella “omogeneizzazione” del trattamento economico richiesta dalla norma primaria - intesa come tendenziale conformazione di assimilabilità ma non di perfetta equiparazione e sovrapponibilità indipendentemente dallo “status” di provenienza - e senza neanche una approfondita valutazione di tale trattamento idonea a sostenere che lo stesso potesse considerarsi assunto sulla mera “base” di quello dei professori universitari “a tempo pieno”, come richiesto nella delega di cui all’art. 21, comma 4, cit.
Valgano ad ulteriore sostegno di quanto osservato, le valutazioni del ricorrente di cui alla sua ultima memoria di replica, ove si evidenzia che tale drastica riduzione – individuata in concreto con i provvedimenti impugnati con i secondi motivi aggiunti nel 55% del precedente “netto” stipendiale - non opera soltanto per l’avvenire ma influisce anche su interessi consolidati e sulla posizione economica relativa al trattamento pensionistico, dato l’utilizzo in materia del metodo “misto contributivo-retributivo” ai sensi dell’art. 13, lett. a), d.lgs. n. 503/1992 applicabile alla fattispecie, con conseguente riduzione della pensione del 45% circa nonchè dello stesso T.F.R. calcolato anch’esso sull’ultima retribuzione.
Si palesano dunque effetti “retroattivi” - come lamentati dal ricorrente ma negati nelle difese dell’Amministrazione quando fa riferimento ad una incisione solo “pro futuro” della nuova regolamentazione - che non trovano giustificazione alcuna nell’impostazione della norma primaria, orientata sì a risparmi di spesa ma nell’ambito della generale ristrutturazione delle scuole di formazione e non certo a discapito di una sola categoria di docenti, quali quelli “ex SSEF”.
In particolare, quindi, si palesa l’illegittimità anche dell’art. 5, comma 2, del d.p.c.m. impugnato con il ricorso introduttivo, che qualifica i periodi di servizio prestati nelle qualifiche “di provenienza” computabili come anzianità di servizio nel ruolo dei professori “universitari”, il quale impone di computare l’attività svolta anteriormente all’assunzione dell’incarico nella SNA come “anzianità di servizio” sia pur svolta in un ruolo diverso da quello in cui il ricorrente era “all’epoca” inquadrato, con violazione del principio del legittimo affidamento e di garanzia della continuità giuridica del rapporto di lavoro alle dipendenza della p.a., recentemente riconosciuto a livello generale dalla recente giurisprudenza della Corte Sovrana (sent. n. 108/2016) e della Corte Suprema (Cass.civ., sez. VI, 8.3.16, n. 4545), che ha considerato irragionevole l’incisione “in pejus”, finanche da parte di una fonte normativa sopravvenuta, incidente sul diritto acquisito mediante la sottoscrizione di un regolare contratto di lavoro secondo la disciplina vigente “pro tempore”.
Sotto tutti questi profili, quindi, appare ben saggia la revisione successiva del legislatore che ha ritenuto di rideterminare l’intera riorganizzazione della SNA e il trattamento economico dei docenti con fonte primaria, ai sensi dei su richiamati art. 1, comma 657, l. n. 216/2015 (legge di stabilità 2016) e art. 11, comma 1, lett. d), l. n. 124/2015.
L’illegittimità dei provvedimenti impugnati sotto i profili sopra esposti relativi ai primi cinque motivi di ricorso comporta l’assorbimento della questione di costituzionalità prospettata nel sesto motivo, per la sua irrilevanza nel presente giudizio, nonché l’accoglimento dei due atti di motivi aggiunti, fondati su illegittimità derivata.
Alla luce di quanto illustrato, quindi, il gravame deve essere complessivamente accolto.
Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per intero, per la novità della fattispecie.