TAR Napoli, sez. V, sentenza 2021-02-17, n. 202101039

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2021-02-17, n. 202101039
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202101039
Data del deposito : 17 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/02/2021

N. 01039/2021 REG.PROV.COLL.

N. 06043/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6043 del 2010, proposto da
G P, rappresentato e difeso dagli avvocati G V L, N S, con domicilio eletto presso lo studio G V L in Napoli, p.zza Matteotti n. 7;

contro

Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A A, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, B C, A C, G P, A P, B R, E C, A I F, G R, con domicilio eletto presso lo studio A A in Napoli, P.zzo S.Giacomo C/0 Avv.Municipale;

nei confronti

Consorzio Edilpartenope non costituito in giudizio;

per l’accertamento

del diritto del ricorrente alla corresponsione della somma di € 63.213,80, oltre interessi, per le prestazioni svolte su incarico del Comune di Napoli quale membro della commissione giudicatrice per l'affidamento dei lavori di costruzione di edifici scolastici di cui alla l. 488/1986.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 17 novembre 2020, celebrata mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dal D.L. 28/2020 e dall’art. 25 del D.L. 137/2020, la dott.ssa Diana Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.Con il presente ricorso, notificato in data 12 ottobre 2010 e depositato il successivo 12 novembre, G P, già ingegnere Capo del Servizio Edilizia Pubblica del Comune di Napoli ha riassunto innanzi questo T.A.R. il giudizio instaurato con atto di citazione notificato in data 6 luglio 1999 ed incardinato presso il Tribunale di Napoli, tendente all’accertamento del suo diritto alla ricezione del compenso di € 63.213,80, nonché degli interessi dal sorgere del debito al soddisfo, oltre IVA e CNPAIA, per le prestazioni dallo stesso svolte, quale membro della Commissione Giudicatrice, nominata con delibera di G.M. n.1 del 04/08/1989, relativa alla costruzione di edifici scolastici del territorio cittadino, affidata al Consorzio Edil Partenope - o in via gradata all’accertamento del diritto alla ricezione della medesima somma o di altra somma ritenuta di giustizia a titolo di ingiustificato arricchimento ex art. 20141 c.c. - e alla correlativa condanna alla corresponsione a carico del Comune di Napoli, dopo che la Corte di Cassazione a S.U. con sentenza n. 4310/2010 del 23/02/2010, comunicata il 3 marzo 2010, aveva declinato la giurisdizione del G.O., in favore della giurisdizione del T.A.R., confermando sul punto le sentenze n. 13186/2003, resa dalla III Sezione Civile del Tribunale di Napoli, e n. 3069/2007 della I Sezione Civile della Corte di Appello di Napoli.

2. A sostegno del gravame il ricorrente, deducendo i medesimi fatti già portati all’attenzione del G.O. con il menzionato atto di citazione assume che:

- il Comune di Napoli, con delibera di Giunta, adottata con i poteri del Consiglio n° 8 del 9/05/1988, deliberava l'affidamento in concessione ad imprese di costruzioni, loro Consorzi o raggruppamenti, della costruzione di edifici scolastici di cui alla L. 5/8/1986 n° 488;
deliberava, altresì, di istituire n. 2 commissioni delle quali avrebbero dovuto far parte almeno l'Ingegnere Capo del Servizio Edilizia Pubblica, il Capo Settore Amministrativo del medesimo Servizio, nonché il Capo Unità Operativo Scolastico, anch' esso del medesimo servizio, con funzioni di Segretario, per l'esame delle offerte, nonché per l'accertamento dei requisiti minimi di carattere economico finanziario e tecnico organizzativo;

- con successiva delibera di G.M. n° 1 del 4/08/1989, adottata con poteri del consiglio, il Comune di Napoli, nominava i membri delle indicate commissioni, fra i quali figurava il ricorrente, Ingegnere Capo del Servizio Edilizia Pubblica del Comune;

- con deliberazione di Giunta Municipale, n° 31 del 28/12/1990, vistata dalla Sezione Provinciale del Coreco di Napoli il 21/01/1991 prot. 400072, il Comune di Napoli stabilì tra l'altro, al punto 4) di "fissare in modo paritario il compenso per i" "componenti interni ed esterni dell'Amministrazione facenti parte" "delle Commissioni di cui al punto precedente e, cioè, esso" "compenso sarà uguale per ciascun componente al minimo" "tabellare previsto dalla tariffa dell'Ordine Professionale più" "conveniente per l'Ente erogatore del compenso, con riguardo al" "valore dell'affidamento in concessione" ;

- aveva partecipato, in esecuzione dell'incarico conferitogli, a n° 69 riunioni della Commissione Selezionatrice dell'accertamento dei requisiti minimi di carattere economico finanziario e tecnico organizzativo che le imprese dovevano possedere per l'affidamento in concessione dei lavori di costruzione di edifici scolastici,

- pertanto per le prestazioni svolte quale membro della Commissione Giudicatrice delle offerte, su incarico del Comune di Napoli, aveva maturato il compenso di £. 122.399.003 (pari ad € 63.213,80), nonché interessi, oltre al maggior danno, ai sensi del 2° comma art. 1224 c.c., dal sorgere del credito al soddisfo, oltre I.V.A. e C.N.PAIA, somma questa nella prospettazione attorea commisurata ai minimi tariffari, così come esplicitamente deliberato dal Comune di Napoli con la richiamata delibera del dicembre 1990;

- a conclusione dei lavori, la Commissione Giudicatrice delle offerte riteneva che l'offerta più vantaggiosa per l'Amministrazione Comunale fosse quella del Consorzio Edil Partenope, avendo lo stesso riportato il maggior punteggio tra quelli delle offerte ammesse alla gara, per cui i lavori venivano affidati in concessione dal Comune di Napoli a detto Consorzio, con convenzione n. 62706 del 28/11/1991, modificata con contratto n. 66905 del 18/2/98;

- all'art. 9 della citata convenzione, intervenuta tra il Comune di Napoli ed il Consorzio Edil Partenope, veniva pattuito dalle parti che il compenso per la Commissione Selezionatrice che accertava i requisiti minimi per la partecipazione alla gara era posto carico del concessionario.

Nella prospettazione attorea peraltro detto accordo, intercorso tra le parti, non escludeva la diretta responsabilità del Comune di Napoli, nel cui interesse era stato svolto il lavoro della Commissione, nominata direttamente dall'Amministrazione Comunale con la richiamata delibera di Giunta, adottata con i poteri del Consiglio, del 4/8/1989.

Il ricorrente deduce inoltre che in data 9/2/99 il Comune di Napoli gli aveva offerto, a titolo di liquidazione delle competenze professionali per l'incarico espletato in seno alla Commissione Giudicatrice, la somma di £. 28.181.057 (pari ad 14.554,30), ma a dire del ricorrente la somma offerta

sarebbe da ritenere assolutamente incongrua ed inferiore al credito effettivamente da lui maturato sulla scorta delle prestazioni eseguite.

3. Ciò posto, il ricorrente ha insistito sulle medesime conclusioni già rassegnate dinnanzi al G.O., sulla base del rilievo che sebbene il rapporto di lavoro intercorso con il Comune di Napoli avesse rappresentato il presupposto indispensabile per la nomina a membro della commissione, tale presupposto, pur se ritenuto dalla Suprema Corte di Cassazione di fondamentale rilevanza ai fini dell'individuazione del giudice competente, non escluderebbe il suo diritto ad ottenere il pagamento delle prestazioni eseguite, sulle scorta dei criteri dettati dalla stessa amministrazione comunale.

Pertanto il ricorrente ha insistito nella sua pretesa, affermando che in ogni caso dovrebbe essere accolta quanto meno la domanda subordinata di indebito arricchimento, sulla base del presupposto che le risultanze processuali già innanzi al G.O. avevano dimostrato inoppugnabilmente ed incontrovertibilmente che il Comune di Napoli ebbe ad utilizzare l'attività espletata dalla Commissione di cui faceva parte, nonché la sua effettiva partecipazione alle indicate sedute.

Il ricorrente assume al riguardo che il riconoscimento della utilitas dell'opera, effettuato, nel caso di specie, dalla Giunta Municipale, nonché dal Commissario Straordinario di Governo, organo abilitato ad esprimere il riconoscimento della prestazione eseguita in favore della Pubblica Amministrazione, aveva confermato l’utilizzazione della prestazione da lui resa.

Pertanto, nella prospettazione attorea, l’oggetto del contendere anderebbe circoscritto, unicamente, alla misura del compenso a lui spettante per l'attività svolta, quale membro della Commissione Giudicatrice delle offerte.

Al riguardo il ricorrente sostiene che il compenso a lui spettante sarebbe quello determinato dalla Giunta Comunale, nella delibera del 28/12/1990.

Ed invero il Comune di Napoli aveva individuato tre criteri di valutazione per la determinazione del compenso:

1) il criterio a gettone di presenza, quantificato in £. 200.000 (€ 103,29) lorde per ogni seduta (delibera consiliare del 12/11/1988);

2) i1 criterio del compenso (uguale per tutti i componenti, sia interni che esterni all'amministrazione, non gravante sul bilancio comunale, in quanto posto a totale carico della ditta concessionaria) individuato dal minimo previsto dalla tariffa dell'Ordine Tabellare Professionale, più conveniente per l'Ente erogatore del compenso (delibera consiliare del 28/12/1990);

3) il criterio, secondo il quale i compensi per la Commissione Giudicatrice delle offerte, poste a carico del consorzio concessionario, venivano fissati, (con convenzione intervenuta tra il Comune di Napoli ed il Consorzio Edilpartenope il 28/11/1991 e successive modifiche ed integrazioni del 18/3/1996, 2/10/1997 e 18/2/1998), nello 0,30 dell’intera concessione, al netto degli oneri di organizzazione, determinati nel 12% dell'importo ultimo di concessione.

Il ricorrente sostiene al riguardo che il criterio del gettone di presenza, in un primo tempo sancito con delibera consiliare del 12/12/1988, doveva intendersi abrogato e sostituito, con il successivo criterio sancito dalla delibera del 28/12/1990.

Parimenti, inapplicabile, secondo il ricorrente, sarebbe il criterio adottato nella convenzione intercorsa il 28/11/1991 tra il Comune di Napoli ed il Consorzio Edil Partenope, sulla base del rilievo che la convenzione de qua era intervenuta in un momento successivo all'espletamento dell'incarico, e tra due soggetti (Comune di Napoli e Consorzio Edil Partenope) assolutamente distinti rispetto al ricorrente.

Peraltro, secondo il ricorrente, la circostanza che gli oneri per il pagamento dei compensi ai membri delle commissioni fossero stati posti (nelle citate convenzioni) a carico del concessionario, configurerebbe una ipotesi scolastica di accollo interno del debito, valido ed efficace unicamente tra le parti contraenti, ma non nei confronti dei membri della commissione, estranei all'accordo.

4. Si è costituito il Comune di Napoli, instando per il rigetto del ricorso.

5. In vista della celebrazione dell’udienza di discussione, originariamente fissata per la data del 10 marzo 2020, e poi rinviata a data da destinarsi ai sensi dell'art.3 comma 1 DL 8 Marzo 2020 N° 11 dell'articolo 1 DP 9/2020/Sede, il Comune di Napoli ha depositato articolata memoria difensiva nei termini di rito ex art. 73 comma 1 c.p.a. in data 7 febbraio 2020, mentre il ricorrente ha richiesto la discussione da remoto, producendo peraltro anche memoria di replica e documenti in data 13 novembre 2020, produzione cui si è opposto il Comune di Napoli, con note di udienza depositate in data 15 novembre 2020, con la quale lo stesso ha rappresentato anche la tardività della richiesta di discussione da remoto.

6. La causa è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza fissata per lo smaltimento dell’arretrato, celebrata mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dal D.L. 28/2020 e dall’art. 25 del D.L. 137/2020.

7. In via preliminare va osservato come non possano essere presi in considerazione la memoria e i documenti depositati da parte ricorrente solo in data 13 novembre 2020, in violazione del termini liberi di venti giorni liberi prima dell’udienza di discussione, fissati dal disposto dell’art. 73 comma 1 c.p.a. per la produzione delle memorie e dei documenti in replica, termini da considerarsi perentori con la conseguenza che la produzione tardiva deve intendersi tamquam non esset secondo la costante giurisprudenza in materia.

Come chiarito da condivisa giurisprudenza, il termine fissato dal menzionato art. 73, comma 1, c.p.a. ha carattere perentorio in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale a tutela del principio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 gennaio 2019 n. 194;
Idem, Sez. VI, 28 maggio 2019 n. 3511;
TAR Lombardia - Milano, sez. II, 7 gennaio 2020, n. 37).

Nel consegue che il deposito tardivo di memorie e documenti ne comporta l'inutilizzabilità processuale, salvo i soli casi di dimostrata estrema difficoltà di produrre siffatti atti nei termini, ex art. 54 comma 1 c.p.a., circostanza che non ricorre nella fattispecie in esame e neppure è stata allegata dalla parte ricorrente.

Né potrebbero applicarsi alla fattispecie de qua i termini per il deposito di note di udienza previste in alternativa all’istanza da discussione da remoto dall’art. 4 comma 1 D.L. 28/2020 – fino alle ore 12 del giorno antecedente a quello dell'udienza – in considerazione del rilievo che la difesa di parte ricorrente, oltre a richiedere la discussione da remoto – poi concessa - ha prodotto una vera e propria memoria difensiva in replica, oltre ad una sentenza delle S.U. della Cassazione (n. 1875/2009) riferita al parallelo incarico ricevuto dal ricorrente quale componente di altra commissione;
precedente che peraltro verrà comunque preso in considerazione, secondo quanto di seguito precisato, al fine di escluderne l’applicazione al giudizio de quo, in quanto fondato su materiale probatorio diverso rispetto a quello che ha condotto all’adozione, in relazione alla presente fattispecie, della successiva sentenza n. 4310/2010 delle S.U. del 23/02/2010, che fa stato nell’odierno giudizio.

8. La domanda attoree non possono essere accolte.

8.1. Ed invero la pretesa del ricorrente relativa alla corresponsione della somma € 63.213,80, oltre interessi, per le prestazioni svolte su incarico del Comune di Napoli quale membro della commissione giudicatrice per l'affidamento dei lavori di costruzione di edifici scolastici di cui alla l. 488/1986 muove dall’assunto che, sebbene egli abbia fatto parte di detta commissione sul presupposto dell’essere l’ingegnere Capo del Comune, la prestazione svolta esorbiterebbe dai compiti propri di istituto e dovrebbe pertanto essere remunerata, avendo lo stesso Comune di Napoli ritenuto che i membri interni dovessero essere remunerati nella stessa misura dei membri esterni.

Deve infatti evidenziarsi che la prospettazione di parte ricorrente che vale a fondare il petitum azionato nella presente sede invero è stata disattesa proprio dalla pronuncia della Corte di Cassazione a S.U., con l’indicata sentenza n. 4310 del 2010, che intanto ha statuito sulla giurisdizione in quanto ha esaminato la causa petendi sottesa all’azione intrapresa dal ricorrente.

Nell’indicata sentenza infatti la Suprema Corte assume che l’incarico de quo fosse stato conferito al ricorrente proprio sul presupposto della sussistenza del rapporto di pubblico impiego per essere egli l’ingegnere Capo del Comune e per tali ragioni la controversia de qua rientrasse nella giurisdizione del G.A. affermando che per contro solo “ l’estraneità alle funzioni istituzionali del dipendente e l’assenza di una relazione con il rapporto di pubblico impiego vengono considerati quali presupposti necessari per la devoluzione della controversia al giudice ordinario anche con una pronuncia delle Sezioni Unite che – proprio a fronte di un tema decidendum simile a quello in esame – hanno affermato che “Non può essere corrisposto un compenso, a titolo di lavoro autonomo, per l'attività svolta da un dirigente di un ufficio comunale, quale componente di una commissione giudicatrice delle offerte nelle gare d'appalto per opere pubbliche, quando il comune rivesta la qualità di appaltante ed il consiglio comunale abbia deliberato circa la costituzione della commissione, trattandosi di attività rientrante tra le funzioni istituzionalmente attribuite all'indicato dirigente ” (sentenza della S.U. n. 94/1995 - fattispecie relativa a commissione istituita prima dell'entrata in vigore dell'art. 51 legge n. 142 del 1990, il cui comma 3 disciplina compiti e responsabilità dei dirigenti comunali in rapporto a dette commissioni ed ai relativi appalti).

Ed invero le funzioni espletate dal ricorrente, come peraltro evidenziato dalle S.U. con l’indicata sentenza, erano evidentemente riconducibili al profilo professionale dallo stesso rivestito, come dimostrato dal fatto che egli venne chiamato a far parte dell’indicata commissione proprio in quanto ingegnere dirigente.

Nella delibera di G.M. n° 8 del 9/05/1988 costitutiva delle commissioni era chiarito che delle stesse dovesse necessariamente far parte l'ingegnere capo del Servizio Edilizia Pubblica, il quale non veniva individuato nominativamente – essendo stato il suo nome indicato solo nella successiva delibera di G.M. n° 1 del 4/08/1989 – bensì con esclusivo riferimento alla carica rivestita presso l'Amministrazione comunale;
ciò vale a connotare la prestazione lavorativa resa dal ricorrente, dipendente pubblico, in ragione dell'appartenenza ad un determinato ufficio e non per il possesso da parte dello stesso di particolari qualità, per cui appare indubbio che non si trattasse di una nomina intuitu personae , idonea a connotare l’attività de qua quale attività libero professionale, esorbitante dai compiti d’istituto.

Peraltro ad aderire alla prospettazione attorea, dovrebbe essere denegata la giurisdizione di questo G.A., laddove le S.U. hanno indefettibilmente statuito in ordine alla spettanza della giurisdizione di questo G.A. proprio sulla base del rilievo che la prestazione svolta dal ricorrente si fondasse sulla sua posizione organizzativa e lavorativa all’interno del Comune, quale Ingegnere Capo del settore Edilizia Pubblica;
né questo giudice potrebbe, aderendo alla diversa prospettazione attorea, sollevare conflitto di giurisdizione, provenendo la statuizione proprio dal Giudice della giurisdizione.

Ed invero sulla base del materiale probatorio prodotto nel corso del giudizio civile che ha condotto all’emanazione da parte delle S.U. della sentenza n. 4310 del 2010 le stesse hanno escluso la giurisdizione del G.O. proprio sulla base del rilievo che l’incarico ricevuto dal ricorrente, in relazione al quale lo stesso ha azionato la sua pretesa creditoria, doveva intendersi fondato sul suo rapporto di impiego con il Comune e strettamente connesso con esso.

Ciò senza mancare di rilevare che condividere la prospettazione di parte ricorrente nella presente sede, aderendo alla ricostruzione operata con la sentenza delle S.U. n. 1875 del 2009 – peraltro depositata come detto fuori termine – condurrebbe questo Giudice, a cui sarebbe inibito sollevare il conflitto di giurisdizione, a pronunciarsi su una materia - crediti discendenti da prestazioni libero professionali - su cui non ha giurisdizione.

Pertanto deve ritenersi che le statuizioni della sentenza delle S.U. n. 4310 del 2010, facente stato nella presente sede, avendo statuito sulla giurisdizione proprio in forza dell’analisi della causa petendi, debba rimanere ferma anche in ordine alla predetta causa petendi, peraltro condivisa del Collegio.

E’ infatti noto che la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il "petitum" sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della "causa petendi", ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (fra le altre, Cass., Sez. UU., ordinanza n. 12378 del 16/05/2008;
Sez. UU., ordinanza n. 15323 del 25/06/2010).

Ciò senza mancare di rilevare che la prospettazione contenuta nella sentenza delle S.U. 1875 del 2009, fatta valere dal ricorrente nella presente sede in maniera tardiva, è stata disattesa dalle medesime S.U. della Suprema Corte nella sentenza n. 4310 del 2010, facente stato nella presente sede, con cui si è per contro statuita, rispetto all’odierna controversia, la giurisdizione del G.A., come evincibile nel passaggio della sentenza dove si afferma “ Né è consentito andare in contrario avviso e riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario sulla base della recente sentenza delle Sezioni Unite, depositata unitamente alle note difensive e che ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario.

Ed invero tale decisione – emessa tra le stesse parti della presente controversia ma riguardante una decisione della Corte di Appello di Napoli diversa da quella oggetto del presente ricorso – non nega ma riafferma in motivazione il principio di diritto secondo cui sono devolute alla cognizione del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto le prestazioni dedotte in giudizio che trovino il loro titolo diretto ed immediato nel rapporto di pubblico impiego. Ma la stessa decisione ha poi ritenuto nel caso sottoposto al suo esame la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario osservando al riguardo che la motivazione del giudice era “adeguata e priva di vizi logici” e come tale insindacabile dal giudice di legittimità.

Orbene per non risultare dalla lettura della citata sentenza n. 1875 del 2009 che il suo percorso motivazionale fosse fondato sul contenuto delle scrutinate delibere del Comune di Napoli, la suddetta sentenza non può assumere rilevanza nel presente giudizio. Ed invero, proprio in applicazione del principio di diritto in essa riaffermato e alla stregua degli elementi probatori che sono stati acquisiti nel corso del presente giudizio – idonei a dimostrare la stretta correlazione tra le pubbliche funzioni istituzionali esercitate e la partecipazione del Parrella alle sedute della commissione – deve concludersi per il rigetto del ricorso in ragione della devoluzione della giurisdizione al giudice amministrativo in ossequio – è bene ribadirlo – ai compiti di nomofilachia assegnati a queste S.U.”.

9. Così qualificata la prestazione lavorativa svolta del ricorrente, la domanda attorea non può essere accolta anche in considerazione dell'espresso divieto normativo, evidenziato anche nelle difese del Comune, di corrispondere compensi aggiuntivi, sancito, per il personale degli enti locali, dall'art. 31 dell'accordo in tale comparto, approvato con d.P.R. 25 giugno 1983 n. 347 secondo cui “ È fatto divieto di corrispondere ai dipendenti, oltre a quanto specificatamente previsto dal presente accordo, ulteriori indennità, proventi o compensi, dovuti a qualsiasi titolo in connessione con i compiti istituzionali attribuiti a ciascun dipendente”.

In applicazione di tale normativa pertanto al dipendente che svolga un’attività connessa con i compiti d’istituto non è dovuto alcun compenso aggiuntivo, restando estranee all’applicazione della previsione de qua solo le ipotesi in cui l’attività prestata sia estranea ai compiti d’ufficio (T.A.R. Veneto Venezia Sez. I Sent. 22/09/2008, n. 3011).

Infatti, come evidenziato dal Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. V, 24/03/2001, n. 1700) “L'art. 31 d.P.R. 25 giugno 1983 n. 347 vieta agli enti locali di corrispondere ai propri dipendenti ulteriori compensi in relazione allo svolgimento di compiti rientranti nella declaratoria delle posizioni funzionali da costoro rivestiti ”.

La Corte dei Conti Puglia Sez. giurisdiz., 30/03/2005, n. 221 ha inoltre statuito, con principio perfettamente applicabile alla fattispecie di cui è causa che “ È illegittimità, siccome in contrasto con il principio di onnicomprensività della retribuzione e, pertanto, fonte di danno erariale, l'erogazione di un compenso ai componenti di una commissione di prequalificazione e scelta delle ditte appaltatrici di opere e forniture pubbliche, dipendenti della stessa amministrazione (nella specie I.A.C.P.), chiamati a farvi parte in ragione dei compiti svolti all'interno dell'ente” (in senso analogo

Corte dei Conti Puglia Sez. giurisdiz., 13/12/2004, n. 952 secondo cui “ È illegittima, siccome in contrasto con il principio di onnicomprensività della retribuzione e, pertanto, fonte di danno erariale, l'erogazione di un compenso ai componenti di una commissione per la valutazione delle offerte di appalto concorso, dipendenti della stessa amministrazione (nella specie I.A.C.P.), chiamati a farvi parte in ragione dei compiti svolti all'interno dell'ente ”).

Ciò posto, il collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “ Non può essere accolta la domanda con cui un dipendente di ente locale richiede la corresponsione, secondo le tariffe professionali, delle competenze dovute per gli incarichi svolti per conto dello stesso ente;
ed infatti, a parte l'impossibilità di utilizzare le regole poste dall'art. 62, r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537 e dall'art. 7, r.d. 11 febbraio 1929 n. 274 - le quali si riferiscono agli incarichi affidati a pubblici dipendenti di altre amministrazioni -, in ogni caso detta disciplina riguarda gli onorari professionali all'evidente scopo di realizzare un ragionevole assetto degli opposti interessi dei tecnici libero - professionisti e dei tecnici lavoratori subordinati pubblici e non certo per consentire agli enti locali di conferire ai propri dipendenti, nella forma dell'incarico professionale, l'effettuazione di compiti che istituzionalmente rientrano nelle loro mansioni lavorative, al riguardo ostandovi non solo l'art. 241, r.d. 3 marzo 1934 n. 383, ma pure l'art. 31, d.P.R. 25 giugno 1983 n. 347, che vieta appunto agli enti di corrispondere compensi aggiuntivi per attività d'istituto
.” (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 10/12/2007, n. 1560).

10. Va del pari rigettata anche la domanda subordinata di condanna del Comune alla corresponsione della somma richiesta, o di altra ritenuta di giustizia, a titolo di ingiustificato arricchimento, ex art. 2041 c.c..

Ed invero una volta ritenuto che l’attività svolta dal ricorrente rientrasse nei compiti d’istituto e pertanto non dovesse essere compensata con un trattamento economico aggiuntivo rispetto alla retribuzione, in ragione del principio di onnicomprensività della retribuzione, verrebbero a mancare proprio i presupposti per l’applicazione del disposto dell’art. 2041 c.c., ovvero l’arricchimento di una parte, con corrispondente depauperamento del patrimonio del richiedente dall’altra.

Ciò senza mancare di rilevare che, trattandosi di controversia in materia di pubblico impiego – come irritrattabilmente statuito con l’indicata sentenza delle S.U. n. 4310 del 2010, non potrebbe applicarsi l’istituto dell’indebito arricchimento come affermato dalla giurisprudenza in materia di svolgimento di mansioni superiori, peraltro insussistenti nella specie, avendo il ricorrente svolto l’attività di componente dell’indicata commissione proprio in quanto Ingegnere Capo del Servizio Edilizia pubblica del Comune (ex plurimis, Cons. Stato, III, n. 3022/2014;
n. 4688/2013;
Cons. Stato Sez. III Sent., 20/04/2015, n. 1987 secondo cui “ La domanda del dipendente pubblico volta ad ottenere una retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa in virtù dello svolgimento di mansioni superiori non può fondarsi sull'art. 2041 c.c., stante, per un verso, la natura sussidiaria dell'azione di arricchimento senza causa e, per altro verso, la circostanza che l'ingiustificato arricchimento postula un correlativo depauperamento del dipendente, non riscontrabile e non dimostrabile nel caso del pubblico dipendente che abbia comunque percepito legittimamente la retribuzione prevista per la qualifica ricoperta ”;
in senso analogo T.A.R. Toscana Sez. I, 23/09/2002, n. 2118 secondo cui “ Va negato ogni rilievo, anche ai soli fini retributivi, alle mansioni superiori svolte dai pubblici dipendenti prima dell'entrata in vigore del d.lg. 29 ottobre 1998 n. 387, in quanto risulta inapplicabile nel rapporto di pubblico impiego l'art. 13 statuto lavoratori e non è configurabile, come fonte diretta di integrazione del rapporto stesso, l'art. 36 cost.;
inoltre va fatto riferimento alla qualifica, e non alle mansioni, per l'individuazione della retribuzione da corrispondere e gli interessi coinvolti hanno natura indisponibile e l'erogazione dei compensi per le prestazioni rese deve avere nel provvedimento di nomina o di inquadramento il suo indefettibile presupposto. Nè può ritenersi che il diritto ad un corrispettivo per l'espletamento di mansioni superiori possa fondarsi sull'ingiustificato arricchimento dell'amministrazione, ex art. 2041 c.c., dal momento che l'esercizio di tali mansioni da parte del pubblico dipendente, non comporta alcuna effettiva diminuzione patrimoniale in danno dello stesso
”).

11. Così inquadrata la questione portata all’attenzione di questo G.A.- che porta a ritenere come al ricorrente non spettasse alcun emolumento aggiuntivo per le prestazioni svolte quale membro dell’indicata Commissione - va peraltro osservato per incidens come nell’ipotesi di specie il Comune, nell’offrire al ricorrente nel 1999 la somma di £. 28.181.057 (pari ad 14.554,30) – somma da lui accettata quale acconto sul maggior dovuto - gli avesse in ogni caso offerto una somma maggiore rispetto a quella allo stesso riconosciuta nel giudizio civile, conclusosi con l’indicata sentenza delle S.U. n. 1875 del 2009, riferita alla partecipazione, quale membro dell’altra parallela commissione, allo stesso numero di sedute di quelle della commissione oggetto dell’odierno giudizio. Ed invero in tale giudizio si è accolta la domanda subordinata di condanna del Comune alla somme dovute a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. – stante l’assenza di un contratto scritto di conferimento dell’incarico professionale – applicando il criterio del gettone di presenza, fissato in lire 200.0000 (pari ad euro 103,29) a seduta, ai sensi del DPR 11 gennaio 1956 n. 5, così implicitamente riconoscendo che, in assenza di un contratto scritto per il conferimento dell’incarico professionale, l’unico criterio applicabile, ai sensi dell’art. 2041 c.c., dovesse essere quello fissato nella delibera consiliare del 12/11/1988 – che aveva recepito il criterio di cui all’indicato D.P.R. - non potendosi giammai applicare il criterio del minimo della tariffa professionale (quale determinato nella deliberazione di Giunta Municipale, n° 31 del 28/12/1990 e fatto valere del ricorrente nell’odierna sede).

12. In considerazione di tali rilievi il ricorso va rigettato.

13. Le questioni esaminate pertanto esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati presi in considerazione tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).

14. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla materia trattata, alle ragioni della decisione e alla risalenza della causa, per compensare le spese di lite fra le parti.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi