TAR L'Aquila, sez. I, sentenza 2022-12-29, n. 202200471
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Pubblicato il 29/12/2022
N. 00471/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00134/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 134 del 2022, proposto da
M N, rappresentato e difeso dall'avvocato A V, con domicilio eletto presso il suo studio in L'Aquila, via Paganica n.66 (N.I.);
P N, rappresentato e difeso dall'avvocato A V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune dell'Aquila, Ufficio Centralizzato Espropri – Usra, non costituiti in giudizio;
per l'accertamento
del silenzio ex art. 117 c.p.a. con richiesta di condanna alla conclusione del procedimento di cessione volontaria di suoli in Camarda (L'Aquila) con nomina di un commissario ad acta.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 dicembre 2022 il dott. M G P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Le ricorrenti sono proprietarie del terreno edificabile sito in Camarda, fraz. dell’Aquila, individuato in C.T. al Fl. 69 p.lla n. 329 di mq 1760 che veniva occupato per la realizzazione delle opere a servizio dei fabbricati del progetto C.A.S.E. di Camarda - L’Aquila il 13.7.2009, in virtù del Decreto n. 9/2009 del Commissario Delegato per l’emergenza sisma del 6.4.2009.
Con Delibera del Consiglio Comunale dell’Aquila n. 38 del 3.4.2014 veniva prorogato di due anni, ex art. 13 comma n. 5 del D.P.R. n. 327/2001, il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità per le opere realizzate per l’emergenza sisma e, con Decreto Dirigenziale del 9.4.2014 del Settore Ricostruzione Pubblica del Comune dell’Aquila, veniva disposta la proroga del provvedimento di occupazione della predetta particella, ma tutti i termini scadevano senza che venisse adottato il decreto d’esproprio. Pertanto il Comune dell’Aquila e l’Ufficio Centralizzato Espropri dell’U.s.r.a-U.s.r.c., con atto prot. RP01 3912/19 del 9.5.2019, inviavano alle Sigg.re Nardis comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7 della L. 241/1990, di acquisizione coattiva dei suoli ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001 contestualmente formulando offerta ex art. 45 del medesimo D.P.R. per ottenere la cessione volontaria delle aree (detta lettera riferiva che “prima di procedere alla stipula dell’atto di cessione volontaria [...] gli aventi diritto devono sottoscrivere apposito accordo preliminare di cessione volontaria, secondo i tempi e le modalità che verranno comunicate [...] ”).
In particolare l’offerta veniva quantificata in € 55,00/mq e quindi in € 96.800,00 quale pregiudizio patrimoniale (= 55,00 x 1760 mq), in € 9.680,00 per lesione non patrimoniale ed in € 47.996,67 per interessi maturati, indicando quindi un’indennità complessiva di € 154.476,67, quantificata all’aprile del 2019.
In data 11.6.2019 le ricorrenti depositavano presso l’Ufficio Centralizzato Espropri gli atti di accettazione delle predette indennità (prot. n. 5193/19 e prot. n. 5199/19 dell’11.6.2019) ma in prosieguo il Comune non concludeva il procedimento di cessione volontaria e le somme offerte non venivano corrisposte.
Pertanto in data 25.10.2021 veniva inoltrata, nell’interesse delle ricorrenti, lettera di diffida recante richiesta di conclusione del procedimento di cessione volontaria delle aree, con aggiornamento degli importi da corrispondere per il protrarsi dell’occupazione illegittima.
A tale lettera non seguiva risposta per cui, con il ricorso in epigrafe, le ricorrenti chiedono l’accertamento del silenzio inadempimento nonché il risarcimento dei danni asseritamente patiti.
Alla camera di consiglio del 7 dicembre 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato e deve essere accolto limitatamente alla dichiarazione dell’obbligo della Regione di concludere il procedimento amministrativo con provvedimento espresso.
Secondo quanto disposto dall'articolo 2, L. 241/1990, la P.A. ha l'obbligo di concludere il procedimento, avviato d'ufficio o su istanza di parte, con un provvedimento espresso.
Tale obbligo trova il suo fondamento nel generale dovere di buona amministrazione e di correttezza che deve orientare l'attività amministrativa e dal quale sorge un'aspettativa in capo al privato di ottenere una risposta esplicita all'istanza presentata.
Ormai da tempo, inoltre, la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, partendo dal principio generale della doverosità dell'azione amministrativa, e integrandolo con le regole di ragionevolezza e buona fede, tendono ad ampliare l'ambito delle situazioni in cui vi è obbligo di provvedere, al di là di quelle espressamente riconosciute dalla legge.
Si afferma, cosi, che “esiste l'obbligo di provvedere, oltre che nei casi stabiliti dalla legge, in fattispecie ulteriori nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l'adozione di un provvedimento. Si tende, in tal modo, ad estendere le possibilità di protezione contro le inerzie della Amministrazione pur in assenza di una norma ad hoc che imponga un dovere di provvedere. Espressione di tale orientamento è, ad esempio, Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7975 secondo cui "indipendentemente dall'esistenza di specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme dei privati, non può dubitarsi che, in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta esigenze di giustizia sostanziale impongano l'adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione (art. 97 Cost.), in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un'esplicita pronuncia” (Cons. Stato Sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318).
Inoltre, l'art. 1, comma 38, L. 190/2012, ha introdotto al comma 1 dell'art. 2, L. 241/90, la seguente disposizione: "Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può' consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo".
La novella normativa, espressamente prevedendo forme semplificate del provvedimento in ipotesi di manifesta infondatezza o inammissibilità dell'istanza proposta, implicitamente impone alla P.A. di esprimersi sempre e in ogni caso sulle richieste dei cittadini anche se queste, appunto, si rappresentino manifestamente infondate o inammissibili.
Per quanto concerne, nello specifico, la fattispecie in giudizio, rileva il collegio che l'art. 42-bis ha introdotto nell’ordinamento una facoltà di valutazione della fattispecie da parte dell’Amministrazione “che utilizza il bene” correlata all’eventuale acquisizione in via di sanatoria della proprietà sulle aree precedentemente da essa occupate, che fonda in capo ai proprietari medesimi una posizione di interesse legittimo autonomamente tutelabile mediante il rimedio processuale deputato alla rimozione del silenzio illegittimamente serbato. Conseguentemente, la P.A. ha l'obbligo giuridico di esaminare le istanze dei proprietari volte ad attivare il procedimento di cui all'art. 42-bis del d.P.R. 327/2001, adeguando la situazione di fatto a quella di diritto e facendo comunque venir meno la situazione di occupazione “sine titulo” dell’immobile con il ripristino della legalità.
Ancorché l'art. 42 bis d.p.r. n. 327/2001 non preveda un avvio del procedimento ad istanza di parte, il privato può comunque sollecitare l'Amministrazione ad avviare il relativo procedimento con conseguente obbligo per la stessa di provvedere al riguardo, ai sensi dell’art. 2 l. n. 241/1990, essendo l'eventuale sua inerzia configurabile quale silenzio-inadempimento.
La regolarizzazione dell’utilizzazione del bene ai sensi dell’art. 42 bis del DPR 327/2001, non è rimessa alla sola iniziativa della pubblica amministrazione, ma può essere stimolata anche dall’interessato che, quindi, può esso stesso agire in prima persona per ottenere la definizione della situazione proprietaria.
Nel caso di specie l’Amministrazione non solo ha dato avvio al procedimento ma ha anche formulato una proposta accettata dagli odierni ricorrenti, salvo, poi, non concludere con un provvedimento espresso.
Per quanto esposto, quindi, sussiste l’obbligo dell’Amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso che deve essere adottato nel termine 90 giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza.
In caso di inottemperanza si provvederà, su istanza di parte, alla nomina di un commissario ad acta il cui compenso sarà posto in capo all’Amministrazione comunale.
La richiesta risarcitoria appare prematura in attesa delle determinazioni che il Soggetto pubblico dovrà assumere.
La particolarità della fattispecie rende opportuna la compensazione delle spese del giudizio.