TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2018-05-28, n. 201805968
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Testo completo
Pubblicato il 28/05/2018
N. 05968/2018 REG.PROV.COLL.
N. 08825/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8825 del 2002, proposto dalla società Chita Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato M A, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Politano &Associati in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 134 e dall'avvocato F C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Savoia, 72;
contro
il Comune di Roma, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall' avvocato A R, domiciliata in Roma, via Tempio di Giove, 21 presso l’Avvocatura Civica;
l’Ente Parco Regionale Appia Antica, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
per l'annullamento
del provvedimento n. 825 del 22 maggio 2002 di demolizione o rimozione di opere abusive.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Roma e dell’ Ente Parco Regionale Appia Antica;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 13 aprile 2018 la dott.ssa A F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società ricorrente:
- è proprietaria di un’area sita in Roma, alla via Dell’Almone n. 14/16, rientrante nel territorio del Parco Regionale dell’Appia Antica, istituito con la legge della Regione Lazio n. 66 del 1988;
- nel 1996, ha presentato una d.i.a. per la realizzazione di opere di manutenzione straordinaria degli edifici ivi esistenti;
- l’Unità organizzativa tecnica del Municipio di Roma XII ha rilasciato l’autorizzazione n. 28/A del 12 marzo 1998 (per il restauro ed il risanamento conservativo, esclusa ogni altra opera) e n. 59/A dell’8 febbraio 2000, rilasciato previo parere favorevole dell’Ente Parco n. 586 del 26 marzo 1999 (per la manutenzione straordinaria).
2. In data 21 novembre 2001, il nucleo di polizia dell’Ente Parco ha sottoposto l’area a sequestro penale, per la difformità dei lavori rispetto a quelli assentiti con il nulla osta rilasciato dall’Ente Parco.
Con provvedimento n. 58 del 18 gennaio 2002, il Comune ha ordinato la sospensione dei lavori, avendo rilevato che – a seguito dell’aumento di volumetria e superfici – l’immobile “ora è di tre piani più uno interrato, prima era di due piani più uno interrato”.
Avverso tale atto, la società ha proposto a questo TAR il ricorso n. 4742 del 2000, con la connessa domanda cautelare, che è stata respinta con l’ordinanza n. 2666 del 22 maggio 2002, “avendo il provvedimento cessato i suoi effetti”.
3. Col provvedimento n. 825 del 22 maggio 2002, il Municipio XI ha rilevato l’esecuzione di non consentite opere di ristrutturazione edilizia - con aumenti di superfici e modifiche della sagoma dell’edificio e della destinazione d’uso – ed ha ordinato la demolizione delle opere realizzate senza titolo.
In particolare, il Municipio XI ha rilevato la realizzazione:
- dell’ampliamento di una scala esterna, già protetta da una struttura in metallo e vetro, con la creazione di un volume in muratura, all’interno del quale – oltre alla scala – sono stati realizzati quattro bagni, di cui due al piano terra e due al piano secondo (con un ampliamento che si è sviluppato su tre livelli, seguendo la sagoma dell’edificio preesistente);
- dell’apertura di due vani scala interni, di collegamento tra il piano interrato ed il piano terra e tra il piano terra ed il piano primo;
- della variazione dei prospetti, con spostamento, modifica ed apertura di nuovi vani porta e finestra;
- della modifica della distribuzione interna, con abbattimento, costruzione e spostamento di tramezzi;
- di un solaio intermedio tra piano terra e coperture;
- di opere volte a rendere abitabili i volumi sottotetto così creati, per una superficie di mq 215 al primo piano e mq 30 al secondo piano, in aggiunta ai bagni facenti parte dell’ampliamento del vano scala;
- di un piazzale pavimentato esterno di metri 22 per 9 circa.
4. Con il ricorso in esame n. 8825 del 2002, la società ha impugnato il provvedimento n. 825 del 22 maggio 2002, proponendo due motivi di ricorso.
Si sono costituti in giudizio il Comune di Roma- Municipio XI (al quale nel corso del giudizio è succeduta Roma Capitale) e l’Ente Parco Regionale dell’Appia Antica, che hanno chiesto il rigetto del ricorso.
Con l’ordinanza n. 5278 del 4 settembre 2002, questo Tribunale ha respinto la domanda incidentale cautelare, proposta dalla ricorrente.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza di discussione, insistendo nelle già formulate conclusioni.
5. Ritiene il Collegio che il ricorso risulta infondato e va respinto.
5.1. In punto di fatto, la società ha premesso che i lavori di manutenzione straordinaria si sono resi necessari per la fatiscenza del fabbricato, colpito anche da un incendio, ed ha contestato che vi sia stato un aumento dei volumi o delle superfici.
5.2. Col primo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 9 della legge n. 47 del 1985, nonché la presenza di profili di eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà e travisamento dei fatti.
La società ha richiamato il contenuto dell’atto di data 21 novembre 2001 del nucleo di polizia dell’Ente Parco, deducendo che l’atto comunale impugnato di data 22 maggio 2002 ne avrebbe travisato il contenuto.
Inoltre, il medesimo atto comunale non avrebbe tenuto conto del rilascio della autorizzazione edilizia n. 59/a dell’8 febbraio 2000 e non avrebbe precisato quali lavori sarebbero stati realizzati in difformità.
Ad avviso della società:
- la precisazione delle opere realizzate in difformità avrebbe condotto unicamente allapplicazione di una sanzione pecuniaria, pari al doppio dell’aumento del valore dell’immobile, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 47 del 1985;
- non sussisterebbe la violazione dell’art. 9 della medesima legge n. 47 del 1985 (e non sarebbe applicabile l’art. 31, primo comma, lettera d), della legge n. 457 del 1978 sulla demolizione delle opere di ristrutturazione edilizia realizzate in difformità dai titoli edilizi), poiché nella specie non si sarebbe trasformato l’edificio preesistente, né sarebbe stato contestato l’aumento di un carico urbanistico;
- le opere realizzare si dovrebbero qualificare come manutenzione straordinaria o risanamento conservativo;
- non rilevano le opere interne;
- i lavori riguardanti la scala – con la sostituzione della struttura in metallo e vetro con una struttura in muratura – non avrebbero intaccato la sagoma dell’edificio ed avrebbero reso l’edificio ‘più omogeneo’ rispetto al restante fabbricato dal punto di vista architettonico, potendosi applicare i principi riguardanti la demolizione di una veranda e la sua ricostruzione con materiali diversi;
- sarebbe stata genericamente descritta la realizzazione di volumi abitabili nel sottotetto;
- quanto alla pavimentazione esterna, essa preesisteva e sarebbe stata sostituita con altro materiale.
Col secondo motivo, la società ha lamentato la violazione dell’art. 12 della legge n. 47 del 1985 e la presenza di eccesso di potere per carenza di motivazione, poiché il Comune non avrebbe valutato che si sarebbe potuta irrogare la sanzione pecuniaria e non avrebbe verificato se la demolizione possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.
5.3. Tali censure risultano infondate e vanno respinte.
Negli atti emessi dall’Ente Parco Regionale dell’Appia Antica e dal Comune, si dà atto del fatto che l’immobile in questione si trova all’interno del territorio dell’Ente Parco, istituito con la legge della Regione Lazio n. 66 del 10 novembre 1988, la quale ha sottoposto il medesimo territorio al vincolo paesaggistico, all’epoca disciplinato dalla legge n. 1497 del 1939, come incisa dal decreto legislativo n. 616 del 1977 e dalla legge n. 431 del 1985.
Ai sensi dell’art. 16 della citata legge regionale (come modificata dalla legge regionale n. 37 del 1994), “entro i confini del comprensorio del parco è vietato: a) fino all’approvazione del piano di assetto di cui al precedente articolo 6, eseguire opere edilizie con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria nei limiti della lettera a) dell’articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e di manutenzione straordinaria limitati alla sola tutela dell’integrità statica degli edifici (coperture, strutture ed elementi decorativi degradati) che non comportino modifiche di destinazioni d’uso e che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”.
Da tale disposizione, emerge con chiarezza che – per le aree poste all’interno del territorio dell’Ente Parco – in considerazione del loro pregio è stato imposto un vincolo paesaggistico che da un lato ha consentito unicamente la realizzazione dei lavori descritti dall’art. 16, dall’altro ha imposto alle Autorità preposte alla tutela del territorio di non consentire modifiche di natura diversa e di reprimere gli abusi commessi.
Va sottolineato che la società non ha contestato in punto di fatto che sono state realizzate le opere che sono state descritte nel verbale redatto dalla polizia dell’Ente Parco di data 21 novembre 2001 e negli atti conseguenti.
La società ha invece reiteratamente dedotto che le Amministrazioni avrebbero errato nella qualificazione degli abusi commessi.
Al riguardo, ritiene il Collegio che – come hanno evidenziato le stesse Amministrazioni nei loro scritti difensivi – non rilevino le descrizioni delle tipologie degli abusi come descritte nelle leggi statali n. 457 del 1978 e n. 47 del 1985 (vigenti ratione temporis all’epoca di realizzazione degli abusi), proprio perché per il territorio dell’Ente Parco il sopra riportato art. 16 della legge regionale n. 66 del 1988 ha previsto un peculiare regime di salvaguardia, coerente con il particolare pregio paesaggistico e ambientale, oltre che archeologico, della zona.
Nella specie, dalla documentazione acquisita, e dalla stessa descrizione dei fatti effettuata negli scritti difensivi, si desume che – con una analitica descrizione dei fatti accaduti (tale anche da escludere la dedotta genericità dell’atto impugnato) vi è stata la modifica dei prospetti, con aumento della cubatura complessiva e delle superfici calpestabili.
Gli elementi acquisiti sono univoci nell’evidenziare non solo che si è in sostanza realizzato un piano in più, ma anche che vi è stato un aumento della volumetria anche con riferimento all’inglobamento della preesistente scala nella struttura dell’edificio.
Sotto tale profilo, contrariamente a quanto ha dedotto la ricorrente, si deve ritenere che, anche sotto il profilo edilizio:
- vi è senz’altro una oggettiva modifica del prospetto di un edificio, quando una sua componente è sostituita con un’altra, ad esempio, come nella specie, quando una scala esterna, sia pure protetta da ringhiera e da vetro, sia ‘inglobata’ nel preesistente fabbricato, con spostamento parziale della muratura esterna;
- è configurabile una ristrutturazione edilizia, quando vi sia il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio;
- non rileva il fatto che l’immobile fosse fatiscente, anche per un preesistente incendio, dal momento che – in considerazione delle circostanze esposte a base delle relative istanze – a suo tempo sono stati rilasciate le autorizzazioni n. 28/A del 12 marzo 1998 e n. 59/A dell’8 febbraio 2000, ai cui contenuti si sarebbe dovuta attenere la società.
Da quanto sopra esposto, emerge che le deduzioni della ricorrente non sono fondate, sia per considerazioni di carattere edilizio (che escludono di poter qualificare gli abusi come dedotto dalla società), sia per la specifica portata applicativa dell’art. 16 della legge regionale n. 66 del 1988, che non consentiva di realizzare (e neppure di previamente assentire) le modifiche dei prospetti, delle superfici e dei volumi, in quanto esplicitamente vietate dalla normativa regionale.
E’ altresì infondata, per le seguenti considerazioni, anche la censura di violazione dell’art. 12 della legge n. 47 del 1985.
In primo luogo, infatti, i lavori in concreto realizzati sono risultati totalmente difformi da quelli previsti dalla autorizzazione n. 59/A dell’8 febbraio 2000.
In secondo luogo, per la consolidata giurisprudenza (che ha evidenziato come non si possa seguire una interpretazione che conduca ad un ‘condono mascherato’: Cons. Stato, Sez. VI, 28 giugno 2013, n. 3529), anche quando siano state realizzate opere “in parziale difformità” dal conseguito titolo, la valutazione della “sanzione pari al doppio del costo”, di cui all’art. 12, va effettuata solo nel caso in cui il destinatario dell’ordine di demolizione non abbia spontaneamente eseguito tale provvedimento: in presenza dell’abuso, il Comune deve senz’altro emettere l’ordinanza di demolizione, potendo l’interessato poi prospettare all’Amministrazione la difficoltà di esecuzione, preferendo l’irrogazione della sanzione pecuniaria.
Peraltro, nel corso del procedimento, la società non ha fornito alcun elemento tale da supportare la deduzione formulata nel corso del giudizio, secondo cui sarebbe ‘oggettivamente impossibile’ procedere alla demolizione ed alla riduzione in pristino: da un lato, è irrilevante ipotizzare che solo con una ‘notevole spesa’ si possa effettuare la riduzione in pristino (Cons. Stato, Sez. V, 5 settembre 2011, n. 4982;Sez. V, 12 novembre 1999, 1876), dall’altro va ribadito che soltanto una rigorosa prova in sede amministrativa – gravante sull’interessato - avrebbe potuto giustificare l’irrogazione della sanzione disciplinare (su questo principio, rilevante anche in sede di applicazione del corrispondente art. 33 del testo unico n. 380 del 2001, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 11 settembre 2013, n. 4493;Sez. VI, 9 aprile 2013, n. 1912;Sez. V, 29 novembre 2012, n. 6071;Sez. V, 5 settembre 2011, n. 4982).
E’ infine irrilevante il richiamo al d.P.R. n. 31 del 2017, effettuato dall’appellante nell’ultima sua memori difensiva, poiché – a parte la rilevanza oggettiva delle opere realizzate senza titolo all’interno del territorio dell’Ente Parco – si tratta di una normativa entrata in vigore dopo l’emanazione del provvedimento impugnato.
6. Per le ragioni che precedono, il ricorso va respinto.
La condanna al pagamento segue la soccombenza ed è liquidata nel dispositivo.