TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2012-09-25, n. 201203924

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2012-09-25, n. 201203924
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201203924
Data del deposito : 25 settembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05753/2011 REG.RIC.

N. 03924/2012 REG.PROV.COLL.

N. 05753/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5753 del 2011, proposto da: A G, rappresentato e difeso dall'avv. L A, con domicilio eletto presso L A in Napoli, via Po, 1 - P. Parva Domus - c/o Sorgente;

contro

Comune di Aversa in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. G N, con domicilio eletto presso G N in Napoli, via Cesario Console, 3;

nei confronti

Dirà Srl, rappresentata e difesa dagli avv. E R, A R, A R, con domicilio eletto presso E R in Napoli, p.zza Trieste e Trento n. 48;

per l'annullamento

ANNULLAMENTO DELLA S.C.I.A. E RIPRISTINO DELLO STATO DEI LUOGHI - PROVV. DEL 27/09/2011, PROT. N. 30942

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Aversa in persona del Sindaco p.t. e di Dirà Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2012 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Col ricorso in epigrafe, G A impugnava, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, il provvedimento del 28 settembre 2011, prot. n. 30942, col quale il dirigente dell’Area Urbanistica del Comune di Aversa aveva annullato d’ufficio la segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) del 28 febbraio 2011, prot. n. 6714, nonché la relazione di sopralluogo della Polizia municipale di Aversa del 5 settembre 2011.

2. La s.c.i.a. rimossa in autotutela aveva per oggetto interventi di manutenzione ordinaria, consistenti nella ripavimentazione del piazzale in proprietà del ricorrente, ubicato in Aversa, alla via Francesco Saporito, e censito in catasto al foglio 4, particella 5084.

In sede di adozione del provvedimento impugnato, era stato, segnatamente, rilevato che l’area recintata in vista dei divisati lavori di manutenzione ordinaria non coincideva con quella individuata come antistante i locali commerciali in proprietà del Grumetto nella s.c.i.a. del 28 febbraio 2011, prot. n. 6714 (peraltro, non corredata del necessario titolo di legittimazione), e, per di più, risultava “gravata da servitù perpetue e inamovibili a favore di altri aventi titolo”, cosicché la menzionata s.c.i.a. era da intendersi “presentata in violazione del necessario presupposto giuridico della piena proprietà dell’area di intervento”;
nel contempo, erano stati ingiunti al ricorrente la demolizione delle opere eseguite e il ripristino dello stato dei luoghi.

3. Avverso siffatta determinazione venivano rassegnate censure così rubricate: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.p.r. n. 380/2001;
2-3) violazione e falsa applicazione dell’art. 19 della l. n. 241/1990;
4) violazione di tutti i principi in tema di s.c.i.a.;
eccesso di potere per sviamento.

In estrema sintesi, si lamentava che: - con riferimento ad opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, non sarebbe stato configurabile l’annullamento d’ufficio di un titolo abilitativo (s.c.i.a.) neppure richiesto dal regime di attività edilizia libera sancito dal comma 2, lett. c, dell’art. 6 del d.p.r. n. 380/2001 né, tanto meno, sarebbe stata configurabile la sanzione demolitoria, atteso che il successivo comma 7 commina la sola sanzione pecuniaria per il caso di omessa comunicazione di inizio dei lavori;
- ai sensi dell’art. 19, comma 4, della l. n. 241/1990, dopo il decorso di 60 giorni dal ricevimento della s.c.i.a., i lavori iniziati avrebbero potuto essere inibiti “solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente”, ossia in ipotesi cui giammai sarebbe stata riconducibile la fattispecie in esame;
- non sarebbero state indicate le ragioni di interesse pubblico sottese alla rimozione in autotutela della s.c.i.a. del 28 febbraio 2011, prot. n. 6714;
- la mancata allegazione del titolo di legittimazione avrebbe potuto comportare non già l’annullamento d’ufficio del titolo abilitativo formatosi in favore del ricorrente, bensì il potere-dovere, in capo all’amministrazione comunale, di richiedere una integrazione documentale al riguardo;
- l’area di intervento contemplata nella s.c.i.a. del 28 febbraio 2011, prot. n. 6714, non sarebbe stata soltanto quella antistante i locali commerciali in proprietà del Grumetto, ma anche quella – comunque, in sua proprietà – antistante locali commerciali in proprietà altrui;
- l’esistenza di servitù di passaggio gravanti sull’area di intervento non avrebbe potuto legittimamente impedire i lavori progettati.

4. Costituitisi sia il Comune di Aversa sia la controinteressata DIRA’ s.r.l., eccepivano l’infondatezza del gravame esperito ex adverso, del quale richiedevano, quindi, il rigetto.

5. All’udienza pubblica del 19 giugno 2012, la causa veniva trattenuta in decisione.

6. Venendo a scrutinare il merito della controversia, fondati si rivelano il primo e terzo ordine di doglianze.

6.1. A tenore dell’art. 6, comma 2, lett. c, del d.p.r. n. 380/2001, le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni – quali, appunto, quelle de quibus – possono essere eseguite senza alcun titolo abilitativo, “previa comunicazione … dell'inizio dei lavori da parte dell'interessato all'amministrazione comunale”, “nel rispetto dei medesimi presupposti di cui al comma 1”, ossia “fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienicosanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42”.

La disposizione citata si colloca entro un complessivo disegno normativo, dove le attività edilizie figurano ripartite in interventi realizzabili: a) senza alcun titolo abilitativo;
b) previa apposita autorizzazione amministrativa, poi sostituita dalla presentazione di una denuncia di inizio attività (d.i.a., sostituita, ai sensi dell’art. 49, comma 4 ter, del d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010, dalla segnalazione certificata di inizio attività, s.c.i.a.);
c) previo rilascio di un permesso di costruire.

In particolare, quella disciplinata dall’art. 6, comma 2, lett. c, cit. può definirsi come attività edilizia ‘semilibera’, nel senso che, se, da un lato, è eseguibile senza il preventivo formarsi di un ‘titolo abilitativo’ (permesso di costruire o d.i.a., ora s.c.i.a.: cfr. relazione illustrativa del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, sub par. 4), postula, d’altro lato, l’espletamento di determinate formalità, tra cui, segnatamente, la comunicazione di inizio dei lavori.

Tali formalità non danno luogo, tuttavia, ad un titolo abilitativo, concernendo un’attività edilizia che esula dall’ambito applicativo enucleato dall’art. 22 del d.p.r. n. 380/2001 ed è affrancata dai poteri inibitori e di autotutela previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, della l. n. 241/1990.

Non è, pertanto, configurabile un intervento in autotutela in rapporto alla tipologia di lavori in parola, per la quale non si impone l’emissione di un titolo abilitativo assoggettato al regime dell’art. 21 nonies della l. n. 241/1990, erroneamente applicato nella specie dall’amministrazione resistente.

6.2. La superiore conclusione non viene meno per la circostanza – eccepita dalla DIRA’ – che le opere divisate dal Grumetto consistessero “nello svellimento della pavimentazione sconnessa in asfalto e sostituzione della stessa con una pavimentazione in betonelle del tipo autobloccante”, ossia in “opere esterne di manutenzione con alterazione delle caratteristiche, posizioni, forme, materiali e colori preesistenti, nonché di modifica delle pavimentazioni”, che l’art. 18, comma 1, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Aversa subordina ad autorizzazione edilizia.

Ora, è pur vero che l’art. 6, comma 2, lett. c, del d.p.r. n. 380/2001 qualifica in termini di attività edilizia libera le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, facendo salve le “prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali”. Ma è altrettanto vero che queste ultime non possono sovrapporsi ed alterare il sistema legislativo di abilitazione all’attività edilizia, il quale non ammette deroghe, se non, in ipotesi puntuali e circoscritte, da parte di concorrenti fonti regionali (cfr. art. 6, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001), e giammai, comunque, da parte di altre fonti di rango subordinato – come desumibile dal dettato dell’art. 3, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 (“le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi”) –, pena, altrimenti, lo svuotamento dei principi di riordino e di semplificazione cui esso è ispirato.

E’ evidente, dunque, che le prescrizioni fatte salve dall’art. 6, comma 2, lett. c, cit. sono quelle di precipua spettanza degli strumenti urbanistici comunali, quali, ad es., quelle in materia di destinazioni di zona (cfr. Cass. pen., sez. III, n. 19316/2011;
TAR Puglia, Bari, sez. III, n. 184/2012).

Ciò posto, il richiamato art. 18, comma 1, delle n.t.a. del p.r.g. del Comune di Aversa è da ritenersi superato e inapplicabile in conseguenza della sopravvenuta e incompatibile disciplina legislativa contenuta nell’art. 6, comma 2, lett. c, del d.p.r. n. 380/2001, che affranca, senza distinzioni di sorta, le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni dalla previa emissione di apposito titolo abilitativo.

6.3. Peraltro, anche a voler considerare, per assurdo, i lavori controversi assoggettati a s.c.i.a. ai sensi dell’art. 22 del d.p.r. n. 380/2001, l’annullamento d’ufficio disposto dal Comune di Aversa risulta, comunque, inficiato da carenza della necessaria motivazione circa l’interesse pubblico ad esso sottostante e di comparazione di quest’ultimo col sacrificio imposto al privato, così come dedotto col terzo motivo di gravame (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, n. 7391/2006;
TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, n. 943/2008).

Il provvedimento del 28 settembre 2011, prot. n. 30942, si è, infatti, limitato a formulare rilievi in ordine all’incerta legittimazione del ricorrente ad eseguire le opere segnalate, all’inesatta individuazione dell’area di intervento ed alle interferenze con altrui diritti reali di godimento.

6.4. Infine, a prescindere dal regime abilitativo applicabile, la natura delle opere in parola (di certo, non subordinate al preventivo rilascio di un permesso di costruire o alla s.c.i.a. ex art. 22, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001) e del provvedimento impugnato (annullamento d’ufficio) preclude in radice l’irrogabilità dell’ingiunta misura ripristinatoria.

Ed invero, gli artt. 6, comma 7, e 37, comma 1 del d.p.r. n. 380/2001 comminano la sola sanzione pecuniaria, in caso, rispettivamente, di mancata comunicazione di inizio dei lavori realizzabili senza alcun titolo abilitativo e di interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla prescritta s.c.i.a.

Nel contempo, il successivo art. 38, comma 2 bis, commina la misura ripristinatoria limitatamente alle ipotesi di annullamento (giurisdizionale o d’ufficio) della s.c.i.a. prevista dall’art. 22, comma 3, in alternativa al permesso di costruire, per interventi (ristrutturazioni edilizie;
nuove costruzioni o ristrutturazioni urbanistiche, qualora disciplinate da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti;
nuove costruzioni qualora in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche) cui non è, all’evidenza, minimamente riconducibile la ripavimentazione progettata dal Grumetto.

Come desumibile dal chiaro tenore dell’art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990, il “divieto di prosecuzione dell’attività” e l’ordine di “rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa”, ivi contemplati, sono, poi, riconducibili alla sfera delle sole misure inibitorie adottabili entro il termine di 60 giorni dal ricevimento della s.c.i.a. da parte dell’amministrazione, e non anche alla sfera delle determinazioni in autotutela ex art. 21 21 nonies, quale, appunto, quella in questa sede impugnata.

7. Fondato è anche il quarto ordine di doglianze.

7.1. Innanzitutto, l’omessa allegazione di un titolo di legittimazione, in sede di presentazione della s.c.i.a. del 28 febbraio 2011, prot. n. 6714, non rivestiva, di per sé, la portata infirmante adombrata nell’impugnato provvedimento del 28 settembre 2011, prot. n. 30942.

Sia la menzionata s.c.i.a. (dove il Grumetto dichiara espressamente, a norma dell’art. 47 del d.p.r. n. 445/2000, di essere proprietario dell’immobile sito in Aversa, alla via Francesco Saporito, e censito in catasto al foglio 4, particella 5084) sia l’annessa relazione tecnica (dove figurano tra gli allegati il “titolo di proprietà” e la “visura catastale” recante gli estremi dell’atto di compravendita del 1° agosto 2007, rep. n. 69123, racc. n. 19430) forniscono, infatti, un’adeguata attestazione o, almeno, un sufficiente principio di prova circa il titolo di legittimazione del ricorrente;
titolo in relazione al quale l’amministrazione comunale, nell’esercizio delle proprie prerogatove istruttorie, avrebbe potuto eventualmente richiedere una integrazione documentale, del quale, peraltro, l’art. 23 del d.p.r. n. 380/380 non richiede la materiale produzione e del quale neppure risulta, nella specie, contestata – ai sensi dell’art. 64, comma 2, cod. proc. amm. – la sussistenza.

7.2. Come accennato, a differenza di quanto ritenuto dall’amministrazione resistente sia la s.c.i.a. del 28 febbraio 2011, prot. n. 6714, sia l’acclusa relazione tecnica (anche attraverso gli elaborati grafici e planimetrici allegati) individuano perspicuamente, quale area di intervento, l’intero suolo censito in catasto al foglio 4, particella 5084, comprensivo della superficie antistante i locali commerciali in proprietà della DIRA’ (cfr. perizia tecnica depositata in giudizio dal ricorrente il 17 novembre 2011), non potendosi inferire l’esclusione di quest’ultima dal mero e incidentale riferimento, contenuto nella predetta relazione tecnica, al “piazzale antistante i propri locali commerciali”.

7.3. Quanto alla rilevata esistenza di servitù di passaggio gravanti in favore di terzi sull’area di intervento, in proprietà del Grumetto, il Collegio osserva che una simile circostanza non è, di per sé, suscettibile di menomare il ius aedificandi, che può essere liberamente esercitato dal relativo titolare, legittimato a presentare la s.c.i.a. per l’esecuzione dei lavori divisati, mentre, dal suo canto, l’amministrazione comunale non è tenuta ad estendere l’istruttoria fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi del titolo di disponibilità allegato dall’istante (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 368/2004;
n. 5487/2007). Di conseguenza, eventuali turbative dell’altrui diritto di servitù non costituiscono motivo di illegittimità della s.c.i.a. presentata e possono essere fatte valere in sede civilistica, atteso che le opere controverse devono intendersi, comunque, poste in essere con salvezza dei diritti dei terzi (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1432/2001;
Cons. giust. amm. sic., sez. giur., n. 365/2006;
TAR Lombardia, Brescia, n. 379/2006).

8. Inconferente è il secondo motivo di gravame.

Ed invero, la sussistenza di un “pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente” è predicata dal comma comma 4 dell’art. 19 della l. n. 241/1990 nella peculiare ipotesi di esercizio dei previsti poteri inibitori (consistenti nell’adozione di “motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa”) oltre l’ordinario termine di 60 giorni dal ricevimento della s.c.i.a., e non anche nell’autonoma ipotesi di esercizio dei (distinti) poteri di autotutela di cui al precedente comma 3.

9. In conclusione, essendosi ravvisata la fondatezza dei profili di censura scrutinati retro, sub n. 6 e 7, il ricorso in epigrafe deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento con esso impugnato.

10. Quanto alle spese di lite, esse devono seguire la soccombenza e, quindi, essere poste a carico dell’amministrazione resistente e della controinteressata.

Dette spese vanno liquidate, in favore del parte ricorrente, in complessivi € 4.000,00 da ripartirsi nella egual misura di € 2.000,00 a carico di ciascuna delle predette parti soccombenti.

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