TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2023-03-27, n. 202305280
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Pubblicato il 27/03/2023
N. 05280/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00030/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 30 del 2015, proposto da
Società Zetacarton Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A B, G G, con domicilio eletto presso lo studio A B in Roma, via Anastasio II, 80;
contro
G.S.E. S.p.A. - Gestore Servizi Energetici Spa, non costituito in giudizio;
Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
1) del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 17/10/2014 (G.U. n. 248 del 24/10/2014) recante “Modalità per la rimodulazione delle tariffe incentivanti per l’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici in attuazione dell’art. 26, comma 3, lett.b) del D.L. n.91/2014 convertito con modifiche dalla legge n.116/2014”;del relativo allegato 1;
2) dell’allegato 1 al Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 17/10/2014 di cui al punto 1);
3) del provvedimento 3/11/2014 dell’ente gestore GSE SPA con istruzioni per nuove modalità di pagamento ed istruzioni operative per gli interventi sulle tariffe incentivanti relative agli impianti fotovoltaici comunicato il 12/11/2014;
4) di ogni parere relativo o altro provvedimento presupposto o conseguenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 marzo 2023 la dott.ssa Elena Stanizzi, in cui la causa e stata chiamata, nessuno presente per le parti, e trattenuta per la decisione come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Premette in fatto la società odierna ricorrente di essere titolare di un impianto fotovoltaico e di aver sottoscritto con il Gestore dei Servizi Energetici una convenzione in data 11 ottobre 2011, in base alla quale sono stati riconosciuti gli incentivi di cui alla legge n. 129 del 2010.
Nell’illustrare il contenuto della nuova disciplina introdotta dal decreto legge n. 91 del 2014, avuto particolare riguardo all’art. 26, che ha introdotto una rimodulazione degli incentivi, declinata nel dettaglio dai Decreti Ministeriali del Ministero dello Sviluppo Economico 16 ottobre 2014 e 17 ottobre 2014, oltre che dalle istruzioni del G.S.E. pubblicate in data 3 novembre 2014, ha precisato parte ricorrente di non aver effettuato alcuna delle opzioni tra le tre previste dal decreto ministeriale 17 ottobre 2014 ritenendole illegittime, simulando, attraverso relazione tecnica depositata agli atti, le conseguenze economiche derivanti da ciascuna delle stesse.
Avverso i gravati atti deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:
I – Quanto alle Istruzioni Operative: Eccesso di potere per violazione della convenzione.
Lamenta parte ricorrente la violazione, per effetto delle modifiche di cui alla nuova disciplina, delle pattuizioni contenute nella convenzione sottoscritta con il G.S.E., che non garantirebbero l’equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio dell’impianto, avuto particolare riguardo al finanziamento contratto per la realizzazione dell’impianto.
II - Quanto al decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116 e al relativo decreto attuativo del Ministero dello Sviluppo Economico 17 ottobre 2014: Contrasto con la normativa comunitaria e conseguente disapplicazione da parte del giudice nazionale.
Nel denunciare parte ricorrente il carattere retroattivo della nuova disciplina introdotta dall’art. 26 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, lamenta la lesione del legittimo affidamento naturato sulla percezione di una tariffa incentivante costante, con conseguente incidenza negativa della nuova normativa sulla remuneratività dell’impianto, richiamando al riguardo la disciplina dettata da ultimo dalla direttiva 2009/28/CE.
III – Contrasto con la Costituzione (artt. 2, 3, 97).
Denuncia parte ricorrente l’irragionevolezza della disciplina retroattiva, incidente su posizioni di affidamento nella certezza del diritto.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con formula di rito.
Con ordinanza n. 10904 del 26 ottobre 2020 il giudizio è stato sospeso in considerazione dell’avvenuta rimessione alla Corte di Giustizia, con plurime ordinanze rese in distinti giudizi aventi analogo oggetto, della questione interpretativa circa la compatibilità comunitaria del citato art. 26, commi 2 e 3, del D.L. n. 91/2014, ritendo la definizione della stesa pregiudiziale alla decisione sul ricorso in esame e non ritenendo di sollevare, per economia processuale, analoga questione con riferimento al giudizio in esame.
A seguito dell’adozione della sentenza 15 marzo 2021 della Corte di Giustizia, il giudizio è stato riassunto con atto depositato in data 2 settembre 2021.
Con memorie successivamente depositate parte ricorrente, nell’illustrare il contenuto e la portata della sentenza della Corte di Giustizia del 15 marzo 2021, ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando con riferimento alle valutazioni rimesse dalla Corte al giudice del rinvio, affermando come la modifica unilaterale della tariffa concordata costituisca inadempimento di obbligazione contrattuale operata in violazione dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento, chiedendo la declaratoria di illegittimità dei gravati provvedimenti nonché del decreto legge n. 91 del 2014 e relativo decreto ministeriale attuativo in quanto contrastanti con il diritto ed i principi dell’Unione.
Chiede, altresì parte ricorrente la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di illegittimità costituzionale del decreto legge n. 91 del 2014;l’accertamento del proprio diritto alla percezione delle tariffe incentivanti nella misura e nei tempi stabiliti con la convenzione dell’11 ottobre 2011;la condanna del G.S.E. al “risarcimento dei danni che potranno derivare alla società ricorrente in caso di risoluzione o ricontrattazione a condizioni più onerose del mutuo erogato per l’operazione per cui è causa”;nonché, in via istruttoria, C.T.U. per verificare e determinare gli effetti negativi delle tre opzioni rispetto alle condizioni stabilite nella originaria convenzione.
Alla pubblica udienza del 15 marzo 2023 la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti presenti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
DIRITTO
1 - La presenta vicenda contenziosa ha ad oggetto l’impugnazione del decreto ministeriale del 17 ottobre 2014 – meglio indicato in epigrafe nei suoi estremi – con il quale è stata data applicazione all’art. 26, commi 2 e 3, del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116 (c.d. “Legge Spalmaincentivi”), avverso il quale sono state proposte censure di illegittimità in via derivata dalla illegittimità comunitaria del citato art. 26, nonché di illegittimità propria.
2 – In via preliminare va dichiarata l’inammissibilità delle censure nuove e delle richieste – anch’esse nuove - avanzate da parte ricorrente con la memoria depositata in data 7 aprile 2022, in quanto non contenute in atto ritualmente notificato.
3 – Avuto riguardo al merito della vicenda contenziosa, deve rilevarsi che questo Tribunale ha sollevato, nell’ambito di numerosi giudizi aventi il medesimo oggetto, sia questioni interpretative di compatibilità con il diritto dell’Unione, sia incidenti di illegittimità costituzionale – il che rende priva di pregio la richiesta di rimessione alla Corte Costituzionale avanzata da parte ricorrente con la memoria depositata in data 7 aprile 2022, che non tiene conto né della già avvenuta rimessione della questione né del relativo esito.
Su tali questioni sono intervenute la sentenza della Corte Costituzionale n. 16 del 2017 e la successiva ordinanza n. 138 del 2017, che ne hanno ritenuto l’infondatezza, nonché due pronunce della Corte di Giustizia UE, sempre su rimessione di questo Tribunale, segnatamente la sentenza del 15 aprile 2021 (cause riunite C-798/18 e C-799/18) – adottata anche con riferimento al rinvio pregiudiziale effettuato nell’ambito del ricorso in esame - e la sentenza 1 marzo 2022 pronunciata nelle cause riunite C-306/19, C-512/19, C-595/19 e da C-608/20 a C-611/20.
Le pronunce delle Corti superiori hanno ritenuto sia la legittimità costituzionale sia la compatibilità con il diritto dell’Unione della nuova disciplina normativa che ha previsto, per gli impianti solari fotovoltaici di potenza nominale incentivata superiore ai 200 kW, all’art. 26, comma 2, una modifica delle modalità operative, della quantificazione e dei tempi di erogazione degli incentivi a decorrere dal secondo semestre 2014, stabilendo la corresponsione da parte del Gestore dei Servizi Energetici (hic hinde G.S.E.) di Tariffe Incentivanti con rate mensili costanti, in misura pari al 90 per cento della producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell'anno solare di produzione, effettuando il conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell'anno successivo;mentre all’art. 26, comma 3, ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2015, la rimodulazione degli Incentivi sulla base della scelta dell'operatore, da effettuarsi entro il 30 novembre 2014, di una tra le tre opzioni previste, e segnatamente:
a) una Tariffa Incentivante erogata per un periodo di 24 anni, decorrente dall'entrata in esercizio degli Impianti, conseguentemente ricalcolata secondo la percentuale di riduzione indicata nella tabella di cui all'allegato 2 del Decreto Legge, determinata dal GSE;
b) fermo restando il periodo di erogazione ventennale, la Tariffa Incentivante è rimodulata prevedendo un primo periodo di fruizione di un incentivo ridotto rispetto all'attuale e un secondo periodo di incentivo incrementato in ugual misura. Le percentuali di rimodulazione sono stabilite con il Primo Decreto Attuativo in modo da consentire, nel caso di adesione di tutti gli aventi titolo all'opzione, un risparmio di almeno 600 milioni di euro all'anno per il periodo 2015-2019, rispetto all'erogazione prevista con le tariffe vigenti;
c) fermo restando il periodo di erogazione ventennale, la Tariffa Incentivante è ridotta di una quota percentuale degli Incentivi riconosciuti alla data di entrata in vigore del Decreto Legge, per la durata residua del periodo di incentivazione secondo le quantità indicate nelle Disposizioni Spalmaincentivi.
Prevedendo altresì che, in assenza della comunicazione entro il previsto termine, la riduzione percentuale sarebbe stata applicata automaticamente in misura pari all’8%.
Con riferimento alla indicata normativa primaria dettata dall’art. 26 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, come convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116 - di cui i gravati atti costituiscono applicazione - sono intervenute, come sopra accennato, le sentenze della Corte Costituzionale del 24 gennaio 2017 n. 16, l’ordinanza n. 138 del 12 giugno 2018, le sentenze gemelle della Corte di Giustizia UE del 15 aprile 2021 (cause C-798/18 e C-799-18) e, da ultimo, la sentenza della Corte di Giustizia UE 1 marzo 2022 pronunciata nelle cause riunite C-306/19, C-512/19, C-595/19 e da C-608/20 a C-611/20, che hanno ritenuto la conformità delle disposizioni normative sindacate ai principi costituzionali ed europei, e le cui statuizioni incidono necessariamente sull’esito del presente processo, non residuando alcuno spazio – per come meglio si andrà ad illustrare - per il sindacato giurisdizionale sulle medesime questioni, né emergendo ulteriori profili che possano giustificare un ulteriore rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, per come richiesto da parte ricorrente nelle memorie da ultimo depositate.
Su ricorsi analoghi vertenti su vicende identiche, sono inoltre già intervenuti numerosi precedenti della Sezione – adottati successivamente alle predette pronunce – dalle cui motivazioni e conclusioni non ritiene il Collegio di doversi discostare, facendo alle stesse adesivamente rinvio anche ai sensi dell’art. 74 c.p.a. (sentenze n. 11276 del 3 novembre 2021;nn. 10412, 11039, 10918, 10917, 10916 del 4 agosto 2022;nn. 9228, 9226, 9223, 9221 del 6 luglio 2022;6 febbraio 2023, n. 2041), con le precisazioni e considerazioni che seguono.
Avuto riguardo al profilo inerente la necessità di considerare le tariffe in origine accordate quali diritti intangibili definitivamente entrati nel patrimonio dei soggetti titolari, va rilevato che nelle richiamate sentenze è stato affermato che, come già posto in evidenza da questa Sezione (sentenza 3 novembre 2021, n. 11276), le doglianze della società ricorrente debbono essere esaminate alla luce degli arresti della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia che, sulle ordinanze di remissione di questa Sezione assunte anche in separate cause di identico petitum, hanno già vagliato le dette questioni, escludendo l’illegittimità delle disposizioni di legge invocate per la parte in cui hanno inciso su incentivi già stabiliti dalle convenzioni con il G.S.E..
La Corte Costituzionale infatti, dapprima interessata da plurime ordinanze di questa stessa Sezione, ha ritenuto che l’esame della ratio e del contenuto delle norme contestate e sopra richiamate esclude che queste abbiano “inciso all’interno dei rapporti di durata - riconducibili alle convenzioni stipulate dai fruitori degli incentivi di che trattasi con il GSE - in modo irragionevole, arbitrario e imprevedibile” (cfr. Corte Costituzionale n. 16/2017);va dunque escluso, ad avviso della Corte, che sia stato leso il principio dell’affidamento in quanto il legislatore del 2014 è intervenuto “in un contesto congiunturale nel quale – a fronte della remuneratività delle tariffe incentivanti per l’energia solare prodotta da fonte fotovoltaica, rivelatasi progressivamente più accentuata, sia rispetto anche ai costi di produzione (in ragione del repentino sviluppo tecnologico del settore), sia rispetto al quadro complessivo europeo – era venuto specularmente in rilievo il crescente peso economico di tali incentivi sui consumatori finali di energia elettrica”.
In particolare, afferma la Consulta, che il legittimo affidamento (come elaborato dalla giurisprudenza costituzionale e delle Corti europee) degli operatori del settore alla conservazione delle posizioni di vantaggio consolidate loro riconosciute nelle convenzioni stipulate con il G.S.E. e nella sicurezza giuridica, non possa ritersi violato, dovendo l’operatore economico prudente e accorto tener conto della possibile evoluzione normativa, considerate le caratteristiche di temporaneità e mutevolezza dei regimi di sostegno, dovendo escludersi — anche in base alla sequenza evolutiva della normativa di settore — sia la consolidazione di un “diritto quesito” dei fruitori degli incentivi a conservarne immutata la misura originaria per l'intero ventennio di convenuta durata del rapporto, sia l'asserita imprevedibilità della loro rimodulazione, la quale risulta, in qualche modo, preannunciata e finalizzata proprio ad assicurare la “stabilità”, come caratteristica dell'intero sistema incentivante e non del singolo incentivo, oltre a costituire (nel quadro di un mercato “regolato” di settore, come quello di cui trattasi) un elemento fisiologicamente riconducibile al rischio normativo di impresa.
È stato altresì ritenuto che l'operata riduzione non incide radicalmente sugli investimenti effettuati, essendo invece declinata in modo da salvaguardarne la sostenibilità ed assicurarne l'equa remunerazione, attraverso l'articolazione della rimodulazione in tre opzioni alternative — con facoltà per ciascun operatore di scegliere tra due diverse da quella imposta ex lege in via residuale.
Non vi sarebbe poi una lesione del principio di ragionevolezza posto che l’intervento “risponde ad un interesse pubblico, in termini di equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco, volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica”, al fine di ridurre il peso economico di incentivi che gravano, come onere generale di sistema, anche sugli utenti finali dell'energia elettrica, tenuto peraltro conto delle caratteristiche di temporaneità e mutevolezza dei regimi di sostegno.
Gli investimenti “restano quindi salvaguardati dalla gradualità della rimodulazione, dalle varietà delle opzioni previste dalla legge e dalle misure compensative (che consentono di attenuare l’incidenza economica della riduzione dell’incentivazione), restandone, pertanto, assicurata l’equa remunerazione”.
Secondo la Corte Costituzionale, inoltre, non sarebbe configurabile alcuna lesione dell’autonomia privata alla luce dell’incidenza della contestata riduzione delle tariffe incentivanti su «negozi di diritto privato».
Premesso il carattere accessorio di detti negozi a provvedimenti di concessione dell’incentivo, viene in rilievo il principio per cui non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n. 203 del 2016, n. 56 del 2015, n. 247, n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009). Condizioni, queste, che sono state ritenute rispettate dall’intervento di riduzione e rimodulazione degli incentivi.
La Corte ha, inoltre, escluso la violazione dell’art. 77 della Costituzione per il ricorso alla decretazione d’urgenza, in considerazione degli obiettivi immediati che la normativa si prefigge.
Sul piano della compatibilità con il diritto dell’Unione, successivamente alla dichiarazione di non fondatezza della questione di costituzionalità, si è pronunciata la Corte di Giustizia, sempre su rimessione di questa Sezione (cause riunite C-798/18 e C-799/18, sentenza del 15 aprile 2021).
La Corte di Giustizia ha statuito che “il diritto, fatto valere dai gestori di impianti fotovoltaici interessati, di beneficiare degli incentivi di cui ai procedimenti principali in modo immutato per l’intera durata delle convenzioni da essi concluse con il GSE non costituisce una posizione giuridica acquisita e non rientra nella tutela prevista all’articolo 17 della Carta [dei diritti fondamentali UE], ragion per cui la modifica degli importi di tali incentivi o delle modalità della loro erogazione, effettuata da una disposizione nazionale quale l’articolo 26 del decreto-legge n. 91/2014, non può essere assimilata a un pregiudizio del diritto di proprietà come riconosciuto al suddetto articolo 17”. Va quindi esclusa, ad avviso della Corte europea, la configurabilità di una lesione dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento a causa delle modifiche apportate a tale normativa, lesione che non potrebbe essere validamente lamentata da un modello di operatore “prudente e accorto”, il quale non può fare affidamento sul mantenimento di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali, in considerazione del corretto funzionamento dei regimi di sostegno, controllandone gli effetti ed i costi, richiamando, al riguardo, le previsioni dettate dal D.Lgs. n. 387 del 2003 e dal successivo D.Lgs. n. 28 del 2011, il primo con riguardo alla previsione dell’importo decrescente degli incentivi e del limite massimo di potenza cumulabile ammissibile, e il secondo nella parte in cui prevede la possibilità di soppressione del regime degli incentivi per tener conto dell’evoluzione di determinati fattori.
Sul piano poi della pretesa violazione della libertà d’impresa la Corte ha ritenuto che non si incide illegittimamente sul diritto dei gestori di utilizzare liberamente risorse di cui dispongono “dal momento che le tariffe incentivanti, quali quelle assegnate dagli atti amministrativi e fissate nelle convenzioni concluse tra i gestori stessi e il GSE, non possono essere considerate risorse di tal genere, in quanto si tratta solo di incentivi previsti ma non ancora dovuti, e tali gestori non possono far valere un legittimo affidamento sul fatto che essi beneficeranno di tali incentivi in modo invariato.
Viene, inoltre, dichiarata dalla Corte di Giustizia la non applicabilità del Trattato sulla Carta dell’energia (stipulato a Lisbona il 17 dicembre 1994) in quanto non risulta che uno o più investitori interessati siano investitori di altre parti contraenti (cioè di altro Stato o di un'organizzazione regionale di integrazione economica) – come previsto dall’articolo 10 della stessa Carta dell’energia - o che sia dedotta una violazione in qualità di investitore.
Nei principi enucleati nelle descritte pronunce risiedono le ragioni di infondatezza delle censure sollevate con il ricorso in esame, avuto riguardo alla dedotta illegittimità derivata dei gravati decreti ministeriali dalla illegittimità costituzionale ed eurounitaria della legge di cui costituiscono attuazione, trovando tutti i profili sollevati con il ricorso in esame specifica e puntuale confutazione nelle richiamate pronunce.
4 - Non conduce a diverse conclusioni la circostanza che le convenzioni sottoscritte prima del 31 dicembre 2012 non contenessero espressa riserva circa il diritto a rimodularne i contenuti in funzione dell’evoluzione normativa, posto che, per come si legge al punto n. 49 della citata sentenza CGUE del 15 aprile 2021 e ribadito nella più recente ordinanza del 1° marzo 2022, n. 306, “le convenzioni concluse con i proprietari degli impianti fotovoltaici interessati entrati in esercizio prima del 31 dicembre 2012 si limitavano a prevedere le condizioni pratiche dell'erogazione degli incentivi, assegnati sotto forma di una precedente decisione amministrativa adottata dal GSE”. Da ciò deriva che se tali convenzioni erano meramente esecutive di provvedimenti amministrativi, di cui fissavano dettagli “pratici”, ben potevano essere rimodulate in funzione della modifica del quadro normativo frattanto intervenuta (e giudicata legittima dalle supreme Corti), che ha inciso negativamente sui provvedimenti amministrativi ampliativi in precedenza emanati.
A fronte della nuova disciplina, il G.S.E. si è limitato a dare esecuzione ad una norma di legge c.d. autoapplicativa (in senso conforme, questa Sezione, sentenza n. 8620/2015), senza esercitare alcun tipo di potere autoritativo discrezionale, al fine di quantificare in concreto l’ammontare della riduzione dell’incentivo, discendente in via imperativa esclusivamente dalla norma, giudicata immune da criticità costituzionali ed eurounitarie.
Alla luce dei principi enunciati chiaramente dalla Corte di Giustizia, ritiene il Collegio, anche per la parte in cui le pronunce rimandano ad eventuali verifiche del giudice del rinvio, di dover aderire alla descritta ricostruzione giuridica, non residuando profili cui non siano applicabili gli indicati principi e che non siano alla luce degli stessi risolvibili, neanche avuto riguardo alle convenzioni sottoscritte ai sensi dei primi conti energia, né parte ricorrente ha offerto utili argomentazioni al riguardo – ulteriori rispetto a quanto rappresentato nel ricorso – che possano indurre il Collegio ad addivenire alla disapplicazione della norma in quanto contrastante con il diritto dell’Unione, come affermato da ultimo da parte ricorrente.
Deve rilevarsi, al riguardo, in via generale quale premessa all’indagine, che la Corte di Giustizia, nell’assumere le proprie decisioni, prende necessariamente in considerazione il contesto di fatto e di diritto della controversia principale per come delineato nella domanda di pronuncia pregiudiziale, e pur non applicando direttamente il diritto dell’Unione alla controversia principale, reca indicazioni interpretative sul diritto dell’Unione utili per la definizione della controversia, con la conseguenza che, pur spettando al giudice del rinvio trarne le conseguenze concrete, tale valutazione è necessariamente vincolata dalle statuizioni interpretative rese della Corte, che costituiscono al contempo paradigma e limite alle conseguenti decisioni.
Tanto premesso, a giudizio del Collegio, nell’ambito del perimetro di valutazione che la Corte di Giustizia riserva al giudice del rinvio, tutte le censure proposte trovano adeguata trattazione e confutazione nei principi affermati dalle Corti superiori in quanto nel delineato quadro regolatorio - in cui si inseriscono le pretese a mantenere immutata l’incentivazione - non vi è spazio per imputare al legislatore una lesione antigiuridica dell’affidamento degli operatori o un’indebita ingerenza nell’attività di impresa, tenuto conto che vengono in rilievo atti ad efficacia durevole che, proprio perché si protraggono nel tempo, pongono il problema e la necessità del loro adattamento alle sopravvenienze di fatto e di diritto, secondo valutazioni del legislatore nazionale che, in materia di regimi di sostegno, gode di ampia discrezionalità.
L’esercizio di tale potere, confluito nella modifica normativa delle condizioni di incentivazione, recepita e attuata nei decreti oggetto di gravame, non appare illegittima alla luce delle valutazioni di compatibilità costituzionale ed eurounitaria delle norme censurate espresse dalle Corti superiori.
Con riferimento, in particolare, alla differenziazione tra convenzioni per impianti fotovoltaici entrati in esercizio prima del 31 dicembre 2012 e convenzioni per impianti entrati in esercizio successivamente a tale data, la Corte di Giustizia dà atto che, con riferimento alle prime, tali convenzioni si limitavano a prevedere le condizioni pratiche dell'erogazione degli incentivi, assegnati per effetto di una precedente decisione amministrativa adottata dal G.S.E., avente natura - secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale – di contratto di diritto pubblico facente seguito a un atto amministrativo.
La circostanza che tali convenzioni, a differenza di quelle concluse dopo il 31 dicembre 2012, non recassero l’espressa riserva da parte del G.S.E. di modificarne unilateralmente le condizioni a seguito di eventuali sviluppi normativi, non costituisce, tuttavia, elemento che possa condurre all’emersione di un affidamento tale da ritenerne violata la tutela assicurata dal quadro costituzionale ed eurounitario come coniugata con il principio di certezza del diritto, di cui il primo costituisce corollario.
Pur non potendosi negare l’incidenza di tale espressa riserva sul carattere - soggettivo - di prevedibilità delle modifiche agli incentivi – che risulta necessariamente attenuata per i titolari delle convenzioni stipulate successivamente al 31 dicembre 2012 – tale differenza non appare tuttavia decisiva e sufficiente al fine di poter riferire la legittimità della nuova disciplina solo con riferimento a questi ultimi, approdando ad un diverso esito con riferimento ai titolari di impianti entrati in esercizio anteriormente al 31 dicembre 2012, dovendo la questione essere risolta anche alla luce di altri indici interpretativi e principi generali.
Dovendo il giudice del rinvio, nell’ambito della valutazione di conformità allo stesso rimessa dalla Corte di Giustizia, tener conto della finalità e dell’economia delle normative applicabili - per come espressamente statuito dalla stessa Corte nelle citate pronunce - ai fini di tale indagine deve ricordarsi quanto affermato nella sentenza dell'11 luglio 2019, Agrenergy e Fusignano Due (C-180/18, C-286/18 e C-287/18, EU:C:2019:605) - richiamata nella sentenza del 15 marzo 2021 – laddove, con riferimento al D.Lgs. n. 28/2011, che ha abrogato il D.Lgs. n. 387/2003, ha statuito che dalle relative disposizioni era desumibile, sin dall’inizio, come il regime di incentivi applicabile agli impianti solari fotovoltaici potesse essere adattato, o addirittura soppresso, dalle autorità nazionali per tener conto dell'evoluzione di determinate circostanze, non potendo quindi gli operatori economici, in generale, fare legittimamente affidamento sul mantenimento di una situazione esistente che può essere modificata nell'ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali.
Tale modifica è intervenuta, con logica perequativa, con la disciplina in esame, al dichiarato fine di “favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili” (art. 26, comma 1, d.l. n. 91 del 2014) e di “pervenire ad una più equa distribuzione degli oneri tariffari fra le diverse categorie di consumatori elettrici”, nell’ottica della crescita economica e del rilancio dell’impresa, prevedendo a tal proposito – sulla base di un ragionevole nesso tra lo scopo perseguito e l’intervento adottato - che i minori oneri per l’utenza derivanti dalla rimodulazione degli incentivi per gli impianti fotovoltaici siano “destinati alla riduzione delle tariffe elettriche dei clienti di energia elettrica in media tensione e di quelli in bassa tensione […]” (art. 23 d.l. citato), inserendosi in un contesto congiunturale nel quale – a fronte della remuneratività delle tariffe incentivanti per l’energia solare prodotta da fonte fotovoltaica, rivelatasi progressivamente più accentuata, sia rispetto anche ai costi di produzione (in ragione del repentino sviluppo tecnologico del settore), sia rispetto al quadro complessivo europeo – era venuto specularmente in rilievo il crescente peso economico di tali incentivi sui consumatori finali di energia elettrica, in particolare sulle piccole e medie imprese costituenti il tessuto produttivo nazionale, emergendo quindi l’esigenza di rilanciarne la competitività attraverso un’azione di riequilibrio dei vantaggi economici con gli oneri di sistema.
Per come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 16 del 207, dall’esame della ratio e del contenuto della norma deve escludersi che questa abbia inciso in modo irragionevole, arbitrario e imprevedibile all’interno dei rapporti di durata, riconducibili alle convenzioni stipulate dai fruitori degli incentivi con il G.S.E. – senza peraltro operare la Corte alcuna distinzione in relazione alla relativa data - così da ledere l’affidamento nella sicurezza e certezza del diritto, venendo in rilievo “un intervento che risponde ad un interesse pubblico, in termini di equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco, volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica”, ulteriormente precisando che non sussiste una garanzia di immutabilità della misura incentivante impermeabile alle “variazioni proprie dei rapporti di durata” tenuto conto che le convenzioni stipulate con il Gestore “non sono riducibili a contratti finalizzati ad esclusivo profitto dell’operatore − che dovrebbe vedere ferme le condizioni iniziali, per vent’anni, anche ove le condizioni tecnologiche mutino profondamente − ma costituiscono strumenti di regolazione, volti a raggiungere l’obiettivo dell’incentivazione di certe fonti energetiche nell’equilibrio con le altre fonti di energia rinnovabili, e con il minimo sacrificio per gli utenti che pure ne sopportano l’onere economico”, individuando, altresì, nella linea evolutiva della normativa di settore, indicazioni di segno contrario alla consolidazione di un diritto quesito alla conservazione immutata nel tempo della tariffa incentivante.
In tale direzione, emerge, in particolare, la finalità – di cui al D.Lgs. n. 28 del 2011, art. 23, comma 1 - di coniugare l’obiettivo della “stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione” con quelli di “armonizzazione con altri strumenti di analoga finalità e […] riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai consumatori”, risultando la rimodulazione degli incentivi volta ad assicurare la stabilità quale caratteristica dell’intero sistema, e non dei singoli incentivi, i quali ultimi ricadono nel rischio normativo di impresa.
L’intero sistema degli incentivi è dunque soggetto a possibili evoluzioni normative coerenti con la natura di temporaneità e mutevolezza dei relativi regimi, dovendo quindi negarsi il carattere di imprevedibilità della rimodulazione degli incentivi, senza peraltro che possa ritenersi – per come affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 15 marzo 2021 – che la nuova disciplina introduca misure retroattive, non incidendo sugli incentivi già erogati, ma applicandosi unicamente a decorrere dall'entrata in vigore del decreto-legge agli incentivi previsti, ma non ancora dovuti.
Al riguardo, rileva la Corte di Giustizia che il diritto fatto valere dai gestori di impianti fotovoltaici di beneficiare degli incentivi in modo immutato per l'intera durata delle convenzioni “non costituisce una posizione giuridica acquisita e non rientra nella tutela prevista all'articolo 17 della Carta, ragion per cui la modifica degli importi di tali incentivi o delle modalità della loro erogazione, effettuata da una disposizione nazionale quale l'articolo 26 del decreto-legge n. 91/2014, non può essere assimilata a un pregiudizio del diritto di proprietà come riconosciuto al suddetto articolo 17”.
Avuto riguardo all’incidenza della contestata rimodulazione delle tariffe sugli investimenti effettuati, in asserita violazione del principio di affidamento nella certezza delle tariffe al momento dell’effettuazione delle scelte imprenditoriali, osserva il Collegio che non può assumere rilievo la lamentata mera diminuzione della remuneratività degli impianti – cui non può attribuirsi prevalenza nel giudizio di bilanciamento dei contrapposti interessi, tenuto peraltro conto del progressivo aumento della stessa rispetto all’entrata in esercizio dell’impianto – mentre nessuna concreta prova è stata offerta da parte ricorrente quanto a violazione del principio di equa remunerazione degli investimenti e dei costi di esercizio, essendosi la stessa limitata a depositare in giudizio una relazione tecnica con indicazione della diminuzione delle entrate derivanti da ciascuna delle tre opzioni previste, senza però parametrare tale diminuzione con la situazione complessiva, anche economica, dell’impianto al fine di rappresentare le specifiche e gravemente pregiudizievoli ricadute della rimodulazione delle tariffe sui singoli costi degli investimenti e sulla gestione dell’impianto, tali da pregiudicare il principio di equa remunerazione, non potendosi accedere – per sopperire a tale carenza - alla richiesta istruttoria di nomina di un consulente tecnico d’ufficio volta all’acquisizione di elementi che era onere della parte fornire, in quanto nella sua disponibilità.
Né può farsi discendere in astratto e a monte, per effetto della prevista rimodulazione degli incentivi, di per sé, una automatica negativa incidenza sul principio di equa remunerazione delle tariffe, anche tenuto conto della progressiva riduzione dei costi di gestione degli impianti e delle modifiche del quadro economico complessivo, avuto riguardo alla accresciuta remuneratività delle tariffe incentivanti e alla progressiva corrispondente riduzione dei costi di gestione e di produzione.
Al riguardo, peraltro, la Corte Costituzionale ha già avuto modo di evidenziare come la “rimodulazione dell’incentivo non incide radicalmente sugli investimenti effettuati… ma appare viceversa declinata in modo da tener conto della loro sostenibilità.”. Ciò in quanto, in alternativa “all’intervento, residuale, di riduzione della tariffa incentivante nella (non eccessiva) misura dal 6 all’8 per cento (per gli impianti di potenza nominale, rispettivamente, da 200 a 500, da 500 a 900, ovvero superiore a 900 kW) – ferma restandone l’erogazione ventennale – è lasciata, infatti, al titolare dell’impianto una diversa duplice opzione: quella, cioè, di bilanciare la riduzione dell’incentivo con il prolungamento, per ulteriori quattro anni, del periodo di sua erogazione, ovvero quella di affiancare ad un primo periodo di riduzione della tariffa incentivante un periodo successivo di suo incremento in «egual misura»”, con la conseguenza che gli “investimenti restano conclusivamente, in tal modo, salvaguardati dalla gradualità della rimodulazione, dalle varietà delle opzioni previste dalla legge e dalle misure compensative (che consentono di attenuare l’incidenza economica della riduzione dell’incentivazione), restandone, pertanto, assicurata l’equa remunerazione.”.
Non può, inoltre, riconoscersi alcun sinallagma tra investimenti ed incentivi, considerato che al momento in cui viene deciso ed effettuato l’investimento non si ha alcuna sicurezza in ordine al riconoscimento del regime incentivante, il quale è subordinato - pur con le particolarità procedurali proprie di ogni regime incentivante - all’accertamento della sussistenza dei relativi requisiti, senza che via sia alcuna preventiva rassicurazione in ordine alla relativa spettanza.
e di una tariffa in misura immutata per venti anni.
L’assenza di un’espressa clausola di modifica unilaterale, non riveste, quindi, rilievo determinante – quanto a valenza di non prevedibilità in ordine a modifiche peggiorative della misura degli incentivi precedentemente concessi – dovendo la disamina rimessa al giudice del rinvio tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la fattispecie e di tutti gli altri indici interpretativi, non potendo il contenuto concreto delle convenzioni essere considerato isolatamente in una visione parcellizzata con omessa considerazione del complessivo quadro di principi enucleato al riguardo, né rivestire valenza tale da rendere recessivi e superare gli ulteriori profili sopra illustrati quanto a ratio e natura delle misure di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, alle finalità sottese alla nuova disciplina normativa, al contenuto concreto della opzioni esercitabili dagli operatori e alla relativa incidenza (cui si affianca l’assenza di concreti riscontri in ordine alla stessa), alle mutate condizioni economiche del contesto di riferimento, nonché all’obbligo, per gli Stati membri, di controllare i costi e l’efficacia dei regimi di sostegno, il cui uso improprio si risolve in un danno per i consumatori di energia elettrica, con danno anche alla produttività ed alla concorrenza.
Tali profili, nelle loro interconnessioni tra principi generali in materia di regimi di sostegno e posizioni dei titolari degli incentivi, sotto lo spettro della tutela alle stesse riconosciute, rendono recessivo e comunque non determinante l’unico elemento, costituito dal contenuto delle convenzioni, che parte ricorrente valorizza al fine di contestare la nuova disciplina, non essendo il carattere di prevedibilità delle eventuali modifiche l’unico elemento di valutazione, e non essendo tale elemento, comunque, estrapolabile unicamente dal contenuto concreto delle convenzioni, dovendo la modifica alle tariffe precedentemente riconosciute essere ricondotta, più a monte e in generale, al complessivo sistema e ratio dei sistemi incentivanti, non obbligatori e sempre modificabili secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia, soggetti ad evoluzione legislativa coerentemente alle caratteristiche di mutevolezza e temporaneità proprie dei regimi di sostegno, che si inseriscono in un sistema europeo non armonizzato, e rispetto ai quali si pone l’imprescindibile necessità di controllarne gli effetti e i relativi costi ed impatti al fine di garantirne il corretto funzionamento, anche in relazione alla sostenibilità complessiva della politica di supporto alle energie rinnovabili, rispetto alla quale si impongono scelte volte a perseguire un equo bilanciamento degli opposti interessi, tenuto conto che i rapporti di durata sono di per sé suscettibili di modifiche – purchè non irrazionali e rispondenti a ragioni di interesse pubblico o di utilità sociale – e che le modifiche introdotte si sostanziano, attraverso le relative più convenienti opzioni, in una riduzione degli incentivi a fronte di un prolungamento del periodo di durata della convenzione, o nella riduzione degli importi per determinate annualità compensata da un aumento degli importi per il periodo successivo, con previsione comunque di un conguaglio in relazione alla produzione effettiva;elementi che, nel bilanciamento rispetto alle finalità perseguite e della ratio dei regimi di sostegno, non integrano una ingiustificata compressione delle posizioni dei titolari delle convenzioni, non essendo peraltro stata specificata la misura concreta della lesione derivante dalle contestate modifiche rispetto alle singole posizioni dei ricorrenti al fine di verificare l’effettiva vanificazione della regola dell’equa remunerazione e il non giustificato sacrificio delle posizioni individuali.
Nell’esercizio del riconosciuto potere discrezionale per gli Stati membri, di cui all’articolo 3, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2009/28 di adottare regimi di sostegno, rispetto ai quali non vi è alcun obbligo, e nella correlata libertà di modificare o sopprimere regimi di sostegno se gli obiettivi sono comunque raggiunti (Corte di Giustizia, sentenza dell'11 luglio 2019, Agrenergy e Fusignano Due, C-180/18, C-286/18 e C-287/18, EU:C:2019:605, punto 27), le modifiche introdotte dal decreto legge n. 91 del 2014, per le considerazioni dianzi illustrate, non si pongono in contrasto con i principi del diritto dell'Unione, tra cui il principio della certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, stante l’interesse generale perseguito, la presenza di indici, nella legislazione nazionale, circa la modificabilità dei regimi di sostegno in ragione dell’evoluzione del contesto, la riconosciuta assenza di retroattività delle modifiche introdotte – in quanto incidenti su inventivi previsti ma non ancora dovuti – e l’assenza di protezione al diritto alla percezione di tariffe in maniera immutata per l’intera durata delle convenzioni, in quanto non costituenti una posizione giuridica acquisita e non fondanti un legittimo affidamento alla percezione di incentivi in modo invariato (Corte di Giustizia, sentenza 15 marzo 2021, punto 64), non potendo gli operatori economici fare legittimo affidamento sul mantenimento di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali (Corte di Giustizia, sentenza 1 marzo 2022, punto 44).
Né le misura adottate, alla luce dell’interesse pubblico perseguito e delle finalità della nuova disciplina, introducono un sacrificio irragionevole ed arbitrario o non proporzionato dei contrapposti interessi delle parti private, pur non potendosi negare l’incidenza peggiorativa delle contestate misure rispetto al precedente assetto stabilito dalle convenzioni.
Inoltre, quanto all’elemento di prevedibilità delle modifiche, valorizzato da parte ricorrente con riferimento alle convenzioni ante 31 dicembre 2012, deve ricordarsi che, per come affermato dalla Corte di Giustizia, la nozione di operatore prudente e accorto va parametrata all’intero sistema dei regimi di sostegno, tenuto conto dell’intrinseco potere discrezionale delle autorità nazionali al fine di assicurarne il corretto funzionamento e l’intrinseco carattere di temporaneità e mutevolezza di tali regimi, e non alle singole convenzioni, perdendo così rilievo, ai fini auspicati da parte ricorrente, il differente contenuto delle convenzioni sottoscritte anteriormente al 31 dicembre 2012 rispetto a quelle intervenute successivamente.
L’analisi, quindi, del contenuto delle disposizioni normative modificative delle convenzioni, delle finalità e dell’economia delle disposizioni, come rimessa al giudice del rinvio dalla Corte di Giustizia, porta a ritenere che le contestate previsioni non siano affette dai denunciati profili di illegittimità, neanche con riferimento alle convenzioni stipulate anteriormente al 31 dicembre 2012, con conseguente rigetto sia della richiesta di disapplicazione delle stesse che di un ulteriore rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, non residuando incertezze interpretative.
5 – Avuto riguardo ai profili di illegittimità di cui sarebbero affetti in via autonoma il gravato decreto ministeriale, osserva preliminarmente il Collegio che le disposizioni contenute in atti generali possono essere impugnate solo se aventi carattere immediatamente lesivo o unitamente agli atti applicativi.
Nella fattispecie in esame, parte ricorrente si è limitata ad affermare di non aver operato alcuna opzione, omettendo di specificare la concreta disciplina modificativa applicata all’impianto di cui è titolare e le relative conseguenze.
Peraltro, come dianzi già illustrato, il G.S.E. si è limitato a dare esecuzione ad una norma di legge c.d. autoapplicativa senza esercitare alcun tipo di potere discrezionale, con la conseguenza che le censure proposte avverso gli atti applicativi afferiscono, in realtà, a vizi della disciplina cui viene data applicazione, giudicata immune da criticità costituzionali ed eurounitarie.
6 – In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte e per come sopra anticipato, non si ravvisano profili di illegittimità della nuova disciplina per contrasto con il diritto comunitario e, quindi, per la sua disapplicazione, o per un’ulteriore rimessione alla Corte Costituzionale, non residuando profili di dubbia compatibilità costituzionale o comunitaria che non siano risolvibili alla luce dei principi affermati dalle Corti superiori, non presentando, inoltre, il caso in esame peculiarità tali, rispetto ai precedenti della Sezione, da far discostare il Collegio dall’orientamento già espresso.
7 - In conclusione, per le ragioni illustrate il ricorso va respinto.
8 – Le spese di lite possono essere equamente compensate tra le parti, tenuto conto della complessità delle questioni proposte e della costituzione solo formale di alcune delle Amministrazioni intimate.