TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-02-13, n. 202300421
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Pubblicato il 13/02/2023
N. 00421/2023 REG.PROV.COLL.
N. 01096/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1096 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da
R D, rappresentato e difeso dall'avvocato Nicolò D'Alessandro, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, Piazza Lanza 18/A;
contro
Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana - Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Siracusa, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria in Catania, Via Ognina 149;
Comune di Augusta, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
degli atti puntualmente indicati nella parte motiva della presente decisione.
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023 il dott. D B;
Viste le difese delle parti, come in atti o da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente ha impugnato: a) il decreto dell’Assessore Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana n. 98 in data 1 febbraio 2012, con cui è stato adottato il Piano Paesaggistico, Ambiti 14 e 17, della Provincia di Siracusa, nella parte di interesse;b) il verbale in data 1 agosto 2011 della speciale “Commissione - Osservatorio per la Qualità del Paesaggio” e gli altri atti indicati nel corpo del gravame.
Nel ricorso, per quanto in questa sede interessa, si rappresenta in punto di fatto quanto segue: a) il ricorrente è proprietario di un terreno sito in Augusta, Contrada Campolato Pietre Rosse, censito in catasto al foglio 24, particelle 119 e 570, in relazione al quale è stata rilasciata la concessione edilizia n. 68 del 19 novembre 2010 per la realizzazione di diciotto alloggi di edilizia convenzionata;b) dagli elaborati grafici che compongono il Piano Paesaggistico si evince che il terreno di proprietà dell’odierno ricorrente ricade in area con livello di tutela 1, zona 6e, considerata di interesse archeologico, disciplinata dagli artt. 20 e 26 delle Norme di Attuazione del Piano;c) l’art. 9 delle Norme di attuazione stabilisce che dalla data di pubblicazione del decreto di adozione del Piano non sono consentiti, per gli immobili o nelle aree degli ambiti 14 e 17 definiti dall’art. 134 del decreto legislativo n. 42/2004, interventi in contrasto con le prescrizioni previste nel Piano medesimo.
Il contenuto dei motivi di gravame può sintetizzarsi come segue: a) ai sensi dell’art. 2 della legge regionale n. 10/2000 il Piano Paesaggistico avrebbe dovuto essere adottato dal dirigente e non dall’organo di indirizzo politico (cioè dall’Assessore);b) il Piano Paesaggistico, inoltre, deve essere adottato previa acquisizione della valutazione ambientale strategica e nel rispetto delle forme di pubblicità e delle garanzie partecipative di cui alle norme comunitarie (art. 6 della direttiva 2001/42/CE);c) l’art. 144 del decreto legislativo n. 42/2004 assicura la concertazione istituzionale nei procedimenti di approvazione dei Piani Paesaggistici, mentre l’art. 23 del regolamento attuativo impone alla Soprintendenza di redigere il Piano Territoriale Paesistico valendosi della collaborazione degli Uffici Tecnici dei Comuni interessati;d) pertanto, deve ritenersi che la redazione del Piano Paesaggistico sia un atto complesso, risultante dal concorso di volontà di organi distinti mossi dallo stesso fine e, segnatamente, occorre concludere che si tratti di un atto a complessità eguale esterna;e) la collaborazione degli Uffici Tecnici dei Comuni interessati deve intervenire ed essere considerata sin dal momento della redazione del Piano e non successivamente;f) nel caso in esame al Comune non è stato consentito di rendere alcun apporto collaborativo di merito nella fase della concertazione preliminare, essendo intervenuto solo un confronto generico avente ad oggetto le metodologie da seguire nella redazione del Piano, come risulta dal verbale della seduta in data 27 luglio 2011 del gruppo istruttorio “Area sud-orientale”;g) se si considera che, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 1150/1942, i Piani Territoriali di Coordinamento devono essere recepiti nel Piano Regolatore Generale, si comprende la centralità del ruolo svolto dall’Ente Locale minore in ordine ad ogni aspetto relativo alla cura e alla tutela del territorio;h) la rappresentazione grafica contenuta nelle quattro tavole in scala del Piano Paesaggistico non è idonea a consentire la ricognizione dei beni e delle aree indicate dall’art. 143, primo comma, del decreto legislativo n. 42/2004, il quale prescrive che tale rappresentazione sia redatta in scala idonea a garantire la esatta delimitazione e identificazione dei beni da proteggere, e ciò tenuto conto che le linee di perimetrazione delle aree presentano uno spessore di 2 millimetri, sicché con la trasposizione della carta nella realtà si registra uno scarto di circa 50 metri, che non rende gestibili i procedimenti di approvazione degli atti deputati alla concreta trasformazione del territorio;i) la scelta di far gravare il vincolo di cui si è detto nell’area di proprietà dell’interessato appare incomprensibile e immotivata, non essendo stato illustrato l’iter logico seguito per giungere a tale decisione e tenuto conto che l’area era stata oggetto in passato di concessione edilizia, per rilasciare la quale, peraltro, non era stato ritenuto necessario il previo nulla-osta della Soprintendenza;l) non si comprende, quindi, come un’area già considerata irrilevante sotto il profilo archeologico sia improvvisamente divenuta di interesse tale da rendere necessario il livello di tutela che è stato apposto;m) le misure di salvaguardia di cui all’art. 143, nono comma, del decreto legislativo n. 42/2004 possono legittimamente operare nell’ambito di procedimenti a complessità esterna nei quali l’atto si sia in qualche modo già formato nei suoi elementi costitutivi, ma la Regione Siciliana non ha emanato alcuna norma attuativa della previsione generale contenuta nel codice dei beni culturali, sicché l’astratta previsione di salvaguardia del Piano adottato non può trovare concreta applicazione, poiché non è stata distinta la fase di adozione da quella di approvazione tramite la fissazione di regole razionali e rispettose dei principi in ordine agli effetti anticipatori dello strumento;n) continua, inoltre, a trovare applicazione nella Regione Siciliana il regio decreto n. 1357/1940, il quale prevede un procedimento unitario che si conclude con l’approvazione dell’atto da parte dell’Assessorato e ne disciplina gli effetti prevedendo che solo dopo tale approvazione non possa rilasciarsi il titolo edilizio se non previo favorevole avviso della competente Soprintendenza;o) l’art. 9 delle Norme di Attuazione del Piano Paesaggistico stabilisce che a far data dalla pubblicazione del decreto di adozione del Piano non sono consentiti per gli immobili o nelle aree degli Ambiti 14 e 17 definiti dall’art. 134 del codice dei beni culturali interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela contemplate nello strumento, assistendosi ad una singolare inversione delle fonti di disciplina dei rapporti giuridici, posto che è la stessa Amministrazione a dettare le regole cui il provvedimento resterebbe assoggettato;p) le regole poste a presidio della legittimità del procedimento, inoltre, non hanno preceduto il suo avvio, ma sono state confezionate nel corso della procedura.
L’Amministrazione Regionale si è costituita in giudizio al fine di sostenere la legittimità degli atti impugnati.
Mediante motivi aggiunti il ricorrente ha impugnato il decreto dell’Assessore Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana n. 5050 in data 20 ottobre 2017, con cui è stato approvato il Piano Paesaggistico degli Ambiti 14 e 17 della Provincia di Siracusa” nella parte di interesse.
Il contenuto delle censure di cui ai motivi aggiunti può sintetizzarsi come segue: a) il provvedimento in contestazione è illegittimo in via derivata con riferimento alle doglianze esposte avverso l’atto impugnato con il ricorso introduttivo;b) l’atto è, altresì, affetto da vizi propri, consistenti nei rilievi già svolti in seno al ricorso introduttivo riguardo l’incompetenza del dirigente, la necessità della previa acquisizione della valutazione ambientale strategica, il rispetto delle forme di pubblicità e delle garanzie partecipative, che contemplano la concertazione istituzionale con i Comuni nei procedimenti di approvazione dei Piani Paesaggistici, la esatta delimitazione e identificazione dei beni da proteggere, nonché la scelta immotivata e incomprensibile di disciplinare con i livelli di tutela sopra specificati le aree di proprietà dell’interessato;c) in sede di approvazione il contenuto del Piano è stato stravolto sia sotto l’aspetto grafico che normativo, come specificato in dettaglio nel ricorso per motivi aggiunti, senza alcun coinvolgimento con i soggetti interessati, i quali non hanno potuto presentare le loro osservazioni ed esercitare il diritto di partecipazione procedimentale;d) tenuto conto del contenuto contraddittorio e indefinito delle Norme di Attuazione, il ricorrente non è posto in condizione di conoscere quale sia l’effettiva possibilità di utilizzazione del proprio bene.
Con memoria in data 9 gennaio 2023 il ricorrente ha ribadito e precisato le proprie difese.
Nella pubblica udienza in data odierna la causa è stata trattenuta in decisione.
A giudizio del Collegio il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate (peraltro conformi a numerosi precedenti della Sezione: sul punto, cfr., ad esempio, T.A.R. Catania, II, n. 2384/13, n. 2112/2013 e n. 2111/2013).
Quanto al rilievo secondo cui il Piano Paesaggistico avrebbe dovuto essere adottato dal dirigente e non dall’organo di indirizzo politico (cioè l’Assessore), è stato affermato dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana nelle sentenze nn. 811, 812, 813, 815 del 7 marzo 2012 che la competenza all’adozione del Piano Paesaggistico spetta all’Assessore, poiché l’art. 2, secondo comma, della legge regionale n. 10/2000 “lascia sì ai dirigenti l’emanazione dei provvedimenti ad efficacia verso terzi, ma non anche degli atti generali ed a contenuto pianificatorio”. In particolare, il citato art. 2 attribuisce agli Assessori le “funzioni di indirizzo politico-amministrativo” (primo comma), nonché la competenza per le “decisioni in materia di atti normativi” (primo comma, lettera a) e per la “definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l’azione amministrativa e per la gestione” (secondo comma, lettera b), mentre attribuisce ai dirigenti la competenza all’adozione “degli atti e dei provvedimenti amministrativi, compresi quelli che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno”. Il Piano Paesaggistico costituisce uno strumento fondamentale di esercizio della funzione di indirizzo politico-amministrativo, atteso il particolare rilievo degli interessi in esso considerati, la sua natura generale e la funzione caratterizzante che lo stesso è destinato ad assumere per quanto attiene all’indirizzo politico-amministrativo seguito dall’Amministrazione regionale in materia paesaggistica. Esso, inoltre, contiene (già all’esito della fase della sua adozione) prescrizioni normative che, analogamente a quanto avviene per gli strumenti urbanistici, incidono con efficacia “erga omnes” sulle possibilità di utilizzo del territorio. L’adozione e l’approvazione di tale strumento consentono, inoltre, la definizione di un piano che condiziona il successivo esercizio dell’intera attività amministrativa in ambito regionale. Tali rilievi inducono a ritenere che l’adozione del Piano Paesaggistico spetti all’organo responsabile della funzione politico-amministrativa, dovendosi condividere pienamente le conclusioni raggiunte dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana sull’esatto significato da attribuire all’espressione di cui all’art. 2, secondo comma, legge regionale n. 10/2000 (“ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi, compresi quelli che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno”), nel senso che la stessa non può ricomprendere quegli atti pianificatori che, per la loro particolare valenza sotto il profilo politico-amministrativo, impegnano direttamente la responsabilità dell’organo titolare di tale funzione.
Quanto alla previa valutazione ambientale strategica, come affermato dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con sentenze nn. 811, 812, 813, 814, 815, 817, 819 del 7 marzo 2012 (di riforma delle decisioni assunte da questo Tribunale), l’art. 6, primo comma, del d.lgs. n. 152/2006 contempla la VAS per “i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale” e la finalità del Piano Paesaggistico è quella di “indicare l’insieme coordinato dei parametri di tutela e salvaguardia dei valori paesistico-ambientali delle zone d’interesse paesaggistico, conformando a sé tutti gli usi, pianificati e/o programmati, quell’uso del territorio che intercetti beni o contesti sensibili, cioè di imporre usi del territorio coerenti con lo sviluppo sostenibile” (che è lo stesso scopo a cui risponde la VAS ai sensi del citato art. 6, primo comma, d.lgs. n. 152/2006), come risulta espressamente dall’art. 143, primo comma, lettera h), del decreto, il quale prescrive che il Piano individui le “misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile delle aree interessate”. Le norme del Piano, invero, “non servono… a porre regole esecutive dirette di gestione territoriale e che ogni successivo intervento… programmatorio o esecutivo successivo al Piano soggiace comunque alla valutazione ambientale strategica o d’impatto ambientale”. In buona sostanza, il Piano Paesaggistico non assume una “significativa incidenza… sull’ambiente” (restando, quindi, escluso dall’applicazione dell’art. 6, primo comma, d.lgs. n. 152/2006), a dispetto del fatto che gli strumenti di pianificazione paesaggistica “abbiano assunto nel tempo una portata territoriale e qualitativa via, via più ampia”, attraverso il noto percorso legislativo che ha visto affermarsi, attraverso la legge n. 431/1985, “una più compiuta e totalizzante nozione di paesaggio” e che è culminato nella nozione identitaria di paesaggio di cui al d.lgs. n. 42/2004, che trova fondamento anche nella Convenzione Europea del Paesaggio ratificata con legge n. 14/2006, il cui art. 1, lettera a), designa eloquentemente il paesaggio come “una determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Tali conclusioni sono confermate, come affermato dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, dalla distinzione ancora in auge (ed espressamente riconosciuta dall’art. 135, primo comma, del d.lgs. n. 42/2004) fra il Piano Paesaggistico in senso stretto ed il Piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, il cui maggior impatto in materia di futuro sfruttamento edilizio del territorio può, invece, giustificare il ricorso alla procedura di valutazione ambientale strategica. Il Piano Paesaggistico in senso stretto “non determina alcun impatto sull’ambiente (anzi, lo protegge)”, non abilita “alla realizzazione di progetti sul territorio” e non cagiona alcuna “alterazione2 dell’ambiente ai sensi dell’art. 5, primo comma, lettera c), del d.lgs. n. 152/2006, dovendo precisarsi a tale ultimo riguardo che con l’espressione “alterazione positiva” il legislatore non ha inteso far riferimento ad ipotesi di miglioramento ambientale (atteso che sarebbe un controsenso sottoporre a valutazione ambientale piani di siffatta natura), ma ha voluto “indicare le condotte commissive attive il cui effetto è pur sempre pregiudizievole nei riguardi” dell’ambiente. Può aggiungersi che la disciplina del Piano Paesaggistico in senso stretto assume indubbiamente un’incidenza su profili di rilievo urbanistico, ma ciò sempre al fine esclusivo di proteggere e valorizzare “l’ambiente nel suo aspetto visivo” (secondo la definizione di paesaggio di cui alla sentenza n. 367/2007 della Corte Costituzionale), alla luce dei valori culturali che il territorio esprime. In altri termini, il Piano Paesaggistico in senso stretto, pur nella misura in cui influenza la pianificazione urbanistica, si limita a tutelare “l’ambiente nel suo aspetto visivo” e non interferisce sugli ulteriori profili in cui si sostanzia la complessa nozione di ambiente (la salute pubblica, la vegetazione, la flora, la fauna, la qualità dell’aria e delle acque, le condizioni del suolo e del sottosuolo, gli eco-sistemi, l’impatto acustico, etc.). Anche “l’individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio” avviene esclusivamente in funzione “della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO” (art. 135, quarto comma, lettera d, del d.lgs. n. 42/2004), restando impregiudicata la successiva valutazione di natura ambientale, alla luce dei più complessi profili che la stessa involge, da effettuarsi in occasione della pianificazione urbanistica che farà seguito a quella di natura paesaggistica.
Quanto alla concertazione istituzionale, è opportuno in primo luogo chiarire che l’art. 143, secondo comma, del d.lgs. n. 42/2004 si riferisce ai rapporti fra autorità statale e regionale, non ai rapporti procedimentali fra autorità procedente (statale o regionale) ed altri enti territoriali minori. L’art. 145 del d.lgs. n. 42/2004, inoltre, si limita a prevedere, per quanto in questa sede interessa, che: a) i Piani Paesaggistici “possono prevedere misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione e programmazione territoriale ed economica” (secondo comma);b) le previsioni dei Piani Paesaggistici di cui agli artt. 143 e 156 non sono derogabili dagli strumenti urbanistici e prevalgono sulle previsioni eventualmente difformi in essi contenute (terzo comma);c) i Comuni sono tenuti “a conformare ed adeguare gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei Piani Paesaggistici” (quarto comma). Ciò non vuol dire, ovviamente, che i Comuni non siano chiamati a svolgere un ruolo significativo nella fase istruttoria che precede l’adozione del Piano, come eloquentemente indicato dall’art. 144, primo comma, che si preoccupa di assicurare la concertazione istituzionale e la partecipazione dei soggetti interessati. E’, tuttavia, da escludere che i Comuni partecipino alla fase di adozione del Piano Paesaggistico nella forma del concerto in senso tecnico, nel senso, cioè, che il provvedimento di adozione del Piano sia riferibile a - e promani anche da - gli Enti Comunali che hanno preso parte al relativo procedimento. Come risulta, infatti, dall’art. 135 del d.lgs. n. 42/2004 la funzione pianificatoria in materia paesaggistica spetta allo Stato e alle Regioni ed è solo fra questi Enti che, con particolare riferimento a quanto previsto dal primo comma, ultimo periodo, di tale disposizione, il provvedimento di adozione può eventualmente assumere la forma del concerto (ipotesi che ovviamente resta esclusa per la Regione Sicilia in ragione delle competenze amministrative “esclusive” che la stessa esercita in materia di tutela del paesaggio ai sensi dell’art. 1, primo comma, del D.P.R. n. 637/1975). Né tantomeno può parlarsi di atto complesso (diseguale), per il decisivo rilievo che i Comuni non manifestano od esprimono nel procedimento di adozione del Piano alcuna volontà provvedimentale. Ciò è stato chiaramente affermato nelle citate sentenze del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana nn. 811, 812, 813 e 815 del 7 marzo 2012, in cui si precisa che il procedimento in questione deve assicurare, come avvenuto nella specie, il necessario ed “adeguato coinvolgimento concertativo” degli enti comunali, “senza che ciò trasmuti in qualsivoglia forma di codecisione con i soggetti coinvolti”. La partecipazione dei Comuni in sede di adozione del Piano Paesaggistico risulta, quindi, di natura istruttoria e si giustifica sia in ragione dei possibili apporti conoscitivi che tali Enti possono recare ai fini di una più compiuta ricognizione dei valori paesaggistici e di più adeguate forme di loro tutela e valorizzazione, sia ai fini del necessario coordinamento della pianificazione paesaggistica con la pianificazione urbanistica (anche futura) dei Comuni, nel rispetto del principio di leale collaborazione (affermato in materia paesaggistica dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 367/2007) e della necessaria prevalenza del “bene paesaggio”, in quanto “valore primario… ed anche assoluto” (sul punto cfr. la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 367/2000, nonché le sentenze della stessa Corte n. 151/ 1986, n. 6421/1987, n. 182/2006 e n. 183/2006), la cui tutela costituisce, invero, “compito dell’intero apparato della Repubblica, nelle sue diverse articolazioni ed in primo luogo dello Stato, oltre che delle Regioni e degli enti locali” (sentenza Corte Cost. n. 378/2009), restando ferme, peraltro, le diverse competenze attribuite dalla legge ai diversi Enti coinvolti nell’esercizio di tale funzione (con particolare riferimento, quanto al caso in esame, a quelle attribuite a Stato e Regioni in materia di adozione ed approvazione del Piano Paesaggistico ai sensi dell’art. 135 d.lgs. n. 42/2004). Come precisato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 378/2000 (riferita ai Piani Paesistici Regionali), ai Comuni devono, quindi, essere garantite “adeguate forma di partecipazione… ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia” in campo urbanistico (autonomia che, occorre sottolineare, può esprimersi nell’imposizione, “in relazione ad esigenze particolari e locali, di limiti e vincoli più rigorosi o aggiuntivi anche con riguardo a beni vincolati a tutela di interessi culturali ed ambientali”, a dimostrazione del pieno coinvolgimento dei Comuni, nel rispetto tuttavia delle competenze stabilite dalla legge, nella funzione di tutela e valorizzazione del paesaggio, come risulta espressamente anche dall’art. 131, quinto e sesto comma, d.lgs. n. 42/2004: “Le amministrazioni pubbliche promuovono e sostengono, per quanto di rispettiva competenza, apposite attività di conoscenza, informazione e formazione, riqualificazione e fruizione del paesaggio nonché, ove possibile, la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati. La valorizzazione è attuata nel rispetto delle esigenze della tutela;“Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché tutti i soggetti che, nell’esercizio di pubbliche funzioni, intervengono sul territorio nazionale, informano la loro attività ai principi di uso consapevole del territorio e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realizzazione di nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti a criteri di qualità e sostenibilità)”. Occorre, tuttavia, evitare che la partecipazione dei Comuni ai procedimenti di pianificazione paesaggistica possa creare “situazioni di stallo decisionale”. La previsione della “partecipazione” dei Comuni già nella “fase tecnica di redazione del Piano” (come avvenuto nella specie tramite l’applicazione della disciplina procedimentale prevista in materia di bellezze di insieme, Piano Territoriale Paesistico e dichiarazione di notevole interesse pubblico) costituisce, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 478/2002, un equilibrato e ragionevole punto di convergenza fra le diverse esigenze di cui si è fatta menzione. Non risponde al vero, inoltre, che l’intervenuto coinvolgimento dei Comuni sia avvenuto con esclusivo riferimento al “metodo”, anziché ai contenuti dell’adottando Piano Paesaggistico. Come risulta, invero, dal verbale in data 27 luglio 2011 del Gruppo Istruttorio “Area Sud Orientale”, la concertazione posta in essere con i Comune ha avuto lo scopo, non solo di “istituire un confronto sulle metodologie generali che determinano le azioni di salvaguardia dei beni di interesse pubblico paesistico e fra la proposta di Piano Paesaggistico e i vari strumenti urbanistici già vigenti sul territorio, quelli ‘in itinere’ ed in generale le azioni programmatorie attivate dai Comuni”, ma ha anche assolto la funzione di “porre rimedio ad eventuali errori materiali rilevati… dai Comuni stessi, o di valutare eventuali proposte in ordine alla tutela delle aree di pregio” e “di proporre possibili soluzioni di eventuali conflitti nascenti dai diversi atti di pianificazione, gli uni improntati precipuamente al soddisfacimento di attese territoriali di tipo socio-economico, gli altri volti a garantire l’integrità dei caratteri dei beni paesaggistici”. Nel verbale, inoltre, si afferma esplicitamente che dal “confronto possono anche scaturire modifiche allo strumento pianificatorio, che, senza limitare la validità del Piano sotto l’aspetto tecnico e amministrativo, indichino nuove prospettive comunque volte a mantenere l’adeguato livello di tutela delle aree interessate dal… Piano” medesimo e si dà atto, altresì, della “lunga e approfondita concertazione… desumibile dalla cospicua documentazione prodotta e costituita dai numerosi verbali e da atti presentati dai.. Comuni” e che “condotto gli Enti Locali a dettagliare sotto forma di osservazione puntuale qualunque spunto critico nei confronti del Piano.
Ciò precisato, la dimostrazione dell’intervenuto apporto partecipativo dei Comuni sugli specifici contenuti del Piano risulta, oltre che dai verbali degli incontri di concertazione versati in atti dall’Amministrazione regionale, dallo stesso verbale in data 27 luglio 2011, nel quale si dà atto dell’accoglimento delle osservazioni rese dai Comuni in ordine ai seguenti profili: a) ricognizione di tutti i vincoli di cui all’art. 142 d.lgs. n. 42/2004 al fine di escludere dalla soggezione ai vincoli medesimi le aree urbanizzate soggette alle disposizioni di cui al secondo comma della stessa disposizione;b) previsione del regime di tutela di livello 1 per le rimanenti aree urbanizzate sottoposte a tutela paesaggistica e non caratterizzate da un particolare disordine urbanistico;c) previsione del regime di tutela 1 per i centri e in nuclei storici già compresi nei beni paesaggistici, salvi i casi particolari in cui l’eccezionale valore dei luoghi imponga norme più restrittive, con applicazione della disciplina di cui al Titolo II delle norme di attuazione;d) disciplina di recupero per i contesti territoriali, nell’ambito dei beni tutelati, soggetti a livelli di trasformazione e che presentino un forte impoverimento dei valori paesistici e previsione di indirizzi generali in sede di adeguamento del Piano Regolatore Generale per il recupero ed il riordino di aree degradate escluse dai beni paesaggistici;e) distinzione fra vincolo diretto ed indiretto per le zone sottoposte a vincolo archeologico sulla base dello specifico contenuto del provvedimento con cui è stato imposto il vincolo;f) riperimetrazione delle aree boscate secondo la individuazione effettuata dall’Inventario Forestale Regionale sulla base del d.lgs. n. 227/2001.
Al fine di valutare la congruità del procedimento di adozione del Piano utilizzato nel caso di specie, con specifico riferimento all’apporto partecipativo reso dai Comuni, occorre anche tener conto della distinzione, di cui all’art. 135, primo comma, del d.lgs. n. 42/2004, tra Piani Paesaggistici e Piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici.
I Piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici (che il d.lgs. n. 42/2004 considera espressamente, utilizzando però anche per essi la denominazione di Piani Paesaggistici) sono stati introdotti nell’ordinamento dalla legge n. 431/1985.
La stessa legge ha modificato la fisionomia dei Piani Paesistici Territoriali previsti dalla legge n. 1497/1939, non più riferiti, secondo l’interpretazione della citata legge n. 1497/1939 dominante in dottrina e giurisprudenza, alle aree che fossero state oggetto di un preventivo provvedimento di imposizione del vincolo, ma piuttosto fondati su una nozione di tutela del paesaggio improntata ad integrità e globalità.
Rispetto ai Piani Territoriali Paesistici, come configurati dalla legge n. 431/1985, i Piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici risultano caratterizzati da una più spiccata vocazione urbanistico-territoriale, operando con gli effetti e le tecniche proprie degli strumenti di pianificazione territoriale (tanto da aver spinto parte della dottrina ad inquadrarli nell’ambito della materia urbanistica), pur essendo teleologicamente orientati verso il preminente obiettivo della protezione dei valori estetici e culturali.
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 42/2004 e l’introduzione del nuovo strumento del Piano Paesaggistico, la distinzione fra tale Piano ed quello urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici può ritenersi attenuata, ma non scomparsa (come risulta chiaramente dall’art. 135, primo comma, del decreto: “…le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: “piani paesaggistici”).
E’ vero, infatti, che il contenuto minimo della pianificazione paesaggistica prevede oggi, anche nell’ipotesi di adozione del Piano Paesaggistico in senso stretto, la “individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio” (art. 135, quarto comma, lett. d, d.lgs. n. 42/2004), ma è altrettanto chiaro che il Piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici possiede comunque una più puntuale e significativa pregnanza in ordine ai profili del futuro sviluppo urbanistico e dell’utilizzo del territorio regionale a fini edificatori.
Da questo punto di vista appare fisiologico che la partecipazione procedimentale degli enti comunali risulti più intensa nell’ipotesi di adozione del Piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici, atteso che in questo caso la materia urbanistica, attribuita in primo luogo alla competenza amministrativa dei Comuni, viene attinta in modo più significativo dalle decisioni assunte con lo strumento di pianificazione regionale.
Il Piano adottato con il provvedimento in questa sede impugnato è un Piano Paesaggistico in senso stretto, rispetto al quale la partecipazione dei Comuni, oltre ad essere avvenuta secondo un modello procedimentale del tutto idoneo ad assicurare il soddisfacimento delle esigenze di cui all’art. 144, primo comma, d.lgs. n. 42/2004, risulta in concreto adeguata alle specifiche finalità dello strumento pianificatorio, incentrato essenzialmente sulla conoscenza, ricognizione, tutela e valorizzazione del paesaggio regionale, piuttosto che sulle prospettive di futuro sviluppo urbanistico (a differenza di quanto avviene, come ampiamente indicato, per il Piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici).
Quanto alla rappresentazione grafica, il Collegio osserva che le linee di perimetrazione delle aree, indipendentemente dal loro spessore in concreto (nella specie 2 millimetri), sono, per l’appunto, delle linee in senso geometrico, cioè una serie di punti (e il punto, come è noto, è privo di una sua dimensione in larghezza o lunghezza). Ne consegue che non bisogna tener conto dello spessore meramente grafico della linea che è stata tracciata, ma della sua natura, cioè del fatto che essa costituisce una divisione puntiforme fra le varie aree, sicché occorre far riferimento al centro dello spessore grafico della linea al fine di individuare l’esatta delimitazione delle aree medesime.
Non sussiste, poi, alcun obbligo di motivazione per gli atti normativi e a contenuto generale (art. 3, secondo comma, della legge n. 241/1990), mentre appare irrilevante la circostanza che fosse stata precedentemente rilasciata una concessione edilizia, poiché, non solo le valutazioni dell’Amministrazione in ordine al rilievo paesaggistico di un’area possono mutare nel tempo, ma occorre, altresì, che l’interessato fornisca la prova concreta che la determinazione precedente, che si ponga in contrasto con la successiva, non fosse illegittima.
Tale osservazione vale anche con riferimento all’affermazione di parte ricorrente secondo cui l’area non sarebbe interessata da emergenze arcehologiche.
Il Collegio ritiene, invero, che, in ragione della natura dispositiva del giudizio amministrativo, i motivi di gravame non possano essere affidati a mere allegazioni.
Come si desume, infatti, dalla complessiva disciplina di cui agli art. 63 e 64 c.p.a. e come affermato in modo puntuale dall’art. 64, primo comma, “le parti hanno l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni”, non potendo l’interessato fare affidamento sul tralatizio e sovente malinteso principio secondo cui nel processo amministrativo il principio dispositivo sarebbe temperato dal metodo acquisitivo, sicché il giudice potrebbe, in sostanza, istruire il giudizio d’ufficio, supplendo all’inerzia delle parti. Neppure può invocarsi in tal senso la previsione di cui all’art. 64, terzo comma, secondo cui “il giudice amministrativo può disporre, anche d'ufficio, l'acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della Pubblica Amministrazione”, poiché nella specie l’elemento di prova di cui si tratta - cioè il terreno, con le sue caratteristiche, riproducibili anche attraverso il deposito di consulenze tecniche - è nella piena disponibilità della parte ricorrente.
Le misure di salvaguardia di cui all’art. 143, nono comma, del decreto legislativo n. 42/2004 sono, poi, efficaci a far data dall’adozione del Piano e non occorre alcuna norma attuativa della previsione generale contenuta nel codice dei beni culturali, prevalendo tale disposizione successiva di livello primario sulle previsioni di cui al regio decreto n. 1357/1940, mentre l’art. 9 delle Norme di Attuazione del Piano Paesaggistico, il quale stabilisce che a far data dalla pubblicazione del decreto di adozione del Piano stesso non sono consentiti per gli immobili o nelle aree degli Ambiti 14 e 17 definiti dall’art. 134 del codice dei beni culturali interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela contemplate nello strumento, costituisce una mera applicazione - o, meglio, ripetizione - della disciplina di livello primario. Ne consegue che non è intervenuta alcuna “inversione” - nel senso che le regole poste a presidio della legittimità del procedimento, in luogo di precedere l’avvio del procedimento, sono state confezionate nel corso del procedimento medesimo - posto che l’art. 9 non ha statuito alcunché di innovativo, limitandosi a ribadire o ripetere quanto già sancito “ex ante” dalla fonte normativa primaria (cioè dell’art. 143, nono comma, del decreto legislativo n. 42/2004).
Con riguardo al rilievo secondo cui in sede di approvazione il contenuto del Piano sarebbe stato stravolto, il Collegio osserva quanto segue: a) l’approvazione del Piano promana dalla medesima Amministrazione che provvede alla sua adozione e deve radicalmente escludersi che essa debba consistere in un mero controllo di legittimità dell’atto adottato, essendo ben possibile apportare in sede di approvazione le opportune modifiche che non stravolgano completamente il generale assetto dello strumento adottato (conclusione che vale, ad esempio, persino nel caso di strumenti urbanistici approvati dalla Ragione e, quindi, anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione che approvi il provvedimento sia diversa da quella che lo adotti);b) la restituzione degli atti all’organo istruttore è necessaria nel solo caso in cui sia, per l’appunto, indispensabile procedere ad una rinnovata istruttoria e non nel caso in cui non sia affatto necessaria una nuova acquisizione di elementi istruttori o di apporti collaborativi, ma si tratti semplicemente di apportare modifiche marginali al Piano;c) la circostanza, rappresentata dal ricorrente, che sia stata effettuata una rimodulazione dell’area “paesaggio locale 6 - Balza di Agnone, Monte Tauro ed entroterra megarese” a seguito di una diversa perimetrazione e di una nuova suddivisione delle sub-zone (da 14 a 17) non costituisce affatto, a giudizio del Collegio, uno stravolgimento del Piano adottato, essendo semplicemente intervenuta una modifica del tutto parziale, fondata sui medesimi contenuti istruttori già acquisiti nel corso della procedura di adozione dello strumento.
Appare, infine, generica la censura con cui il ricorrente ha osservato che dall’esame delle Norme Tecniche di Attuazione (artt. 20 e 26) non sarebbe possibile comprendere la reale portata del vincolo apposto, atteso che l’interessato non ha spiegato le ragioni per cui la relativa disciplina risulterebbe “contraddittoria e indefinita”.
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato, mentre, tenuto conto della particolarità della controversia, le spese di lite possono essere eccezionalmente compensate.