TAR Bari, sez. II, sentenza 2022-04-21, n. 202200534

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. II, sentenza 2022-04-21, n. 202200534
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 202200534
Data del deposito : 21 aprile 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/04/2022

N. 00534/2022 REG.PROV.COLL.

N. 01066/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1066 del 2018, proposto dalla signora-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avv. G B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, Prefettura di Bari e Questura di Bari, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Bari via Melo n. 97;

per l'annullamento

- del decreto-OMISSIS-del 6.4.2018, notificato il 16.5.2018, con il quale la Prefettura di Bari ha disposto nei confronti della ricorrente il “ Divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti ” (art. 39 t.u.P.S.);

- nonché di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso o comunque consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, della Prefettura di Bari e della Questura di Bari;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2022 il dott. L I e uditi per le parti i difensori l'avv. G B, per il ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso depositato come previsto in rito, l’istante impugnava il decreto con il quale la Prefettura di Bari ha imposto il divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti.

Invero, a tanto l’Amministrazione aveva provveduto, a seguito di procedimento penale attivato nei confronti del marito con le contestazioni dei seguenti fatti di reato: “artt. 110 e 544-bis c.p.” (uccisione di animale), nonché “artt. 81 cpv, 110 c.p., 11 co. 3 lett. a), 30 L.

6.12.1991 n. 394, art. 3 co. lett. a), alleg. A del DPR 10.3.2004” (disturbo notturno alle specie animali) e “artt. 110 c.p., 13, co. 5, 21, co. 1 lett. b) e 30, co. 1 lett. d) e h) L. 11.2.1992 n. 157” (caccia con mezzi non consentiti).

Ne seguiva la sentenza di condanna del Tribunale di Trani, sezione distaccata di Ruvo di Puglia, -OMISSIS-del 18.12.2014 per il reato di “uccisione di animale” ai sensi degli artt. 110 e 544-bis c.p. per avere “ in concorso e previo concerto col figlio minore […] cagionato la morte di un esemplare di piccolo cinghiale con modalità insidiose e crudeli, sorprendendo la preda nottetempo con azione di disturbo – attraverso l’abbagliamento con un potente faro alogeno azionato da un fuoristrada in movimento – quindi investendola con quest’ultimo veicolo e finendola con numerose coltellate ”.

La sentenza di primo grado è stata confermata dalla Corte d’Appello di Bari con sentenza -OMISSIS-del 20.1.2016, avverso la quale il ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile con sentenza -OMISSIS-del 23.11.2016. Per i restanti reati contestati è stata dichiarata l’intervenuta prescrizione, ai sensi dell’art. 529 c.p.p., pur risultando dai fatti ricostruiti dall’Autorità Giudiziaria il “contesto di caccia” nel quale è stato commesso il reato di “uccisione di animale” per il quale si è pervenuti a condanna passata in giudicato.

Il figlio della ricorrente, all’epoca minore, subiva procedimento davanti al Tribunale penale minorile.

Tanto premesso, la deducente contestava i vizi di violazione di legge e svariati profili di eccesso di potere, come meglio delibati di seguito, assumendo nella sostanza come il gravato provvedimento finale fosse gravemente lesivo della propria posizione giuridica.

2.- Si costituiva l’Amministrazione, depositando documenti.

3.- Alla fissata camera di consiglio, l’istanza cautelare veniva accolta parzialmente con riferimento alle conseguenze più gravose, stante la particolare numerosità della disponibilità della collezione d’armi da caccia, disponendo comunque la custodia delle stesse al di fuori del contesto familiare.

4.- Scambiati ulteriori documenti, alla fissata udienza pubblica, dopo breve discussione, il ricorso veniva trattenuto in decisione.

5.- Il ricorso è infondato.

Con quattro distinte censure, che però ripercorrono una identica tesi di censura, viene contestata la violazione degli artt. 39 e 43 TULPS, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento di fatto, illogicità e contraddittorietà manifesta, generica violazione del principio di buon andamento ai sensi dell’art. 97 Cost.;
violazione dell’art. 12 legge n. 157/1992 nonché dell’art. 42 TULPS, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, ingiustizia manifesta, violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, nonché della circolare del Ministero dell’Interno in materia, la violazione dei principi di proporzionalità.

Rammenta tuttavia il Collegio che il possesso, la detenzione e il porto d’armi non costituiscono un diritto , bensì un’ eccezione al generale divieto di andare armati, sancito dall’art. 699 codice penale e dall’art. 4 comma 1, della legge 18 aprile 1975 n. 110 (Corte cost. 16 dicembre 1993 n. 440;
Cons. St., sez. III, 7 giugno 2018 n. 3435;
Cons. St, sez. III, 10 gennaio 2018 n. 91;
Cons. St., sez. III, 14 dicembre 2016 n. 5276).

Nella fattispecie concreta, dalla lettura delle sentenze penali di merito di primo grado e di appello, emerge che il marito e il figlio della ricorrente effettivamente, intorno alle ore 22:00, percorrevano itinerari ubicati nel Parco dell’Alta Murgia, armati con fucili da caccia, su mezzo (fuoristrada modello PK) attrezzato a tal fine e per di più dotato di un potente faro alogeno supplementare posizionato a lato passeggero e quindi uccidevano un piccolo cinghiale con modalità cruente (investimento d’auto e utilizzo dell’arma bianca).

I divieti di detenzione e il diniego del porto d’armi non implicano alcun accertato abuso nella tenuta o nell’utilizzo delle stesse, risultando sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base dell’apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie. Posto che, in primis , le autorizzazioni di polizia, compresa la licenza di portare le armi, possono essere denegate a chi non sia in possesso del requisito della buona condotta (artt. 11 e 43 T.U.L.P.S.) e che, in secundis , il porto di armi è vietato e può esser ricusato alle persone ritenute capaci di abusarne (artt. 39 e 43, ultimo comma, T.UL.P.S.).

Più specificamente, riguardo al caso concreto, nelle relazioni familiari, è stato affermato più volte in giurisprudenza che può ritenersi sussistente un pericolo di abuso, qualora il titolare di una licenza conviva con un soggetto cui già sia stata vietata la detenzione o il porto delle armi, perché il legame familiare e la convivenza comportano imprescindibili reciproci condizionamenti o tolleranze ( ex multis : T.A.R. Liguria, sez. I, 20 giugno 2020 n. 416;
T.A.R. Liguria, sez. I, 15 aprile 2019 n. 349). Pertanto, va sempre considerato il peculiare contesto socio-familiare (T.A.R. Piemonte, sez. II, 24 settembre 2019 n. 993), che deve essere immune da ogni menda (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 4 maggio 2011 n. 1095), ogni qual volta apprezzato anche in sede di rinnovo del titolo di P.S. (Cons.St., sez. VI, 30 settembre 2008 n. 4693).

In ultima analisi, il rilascio di un provvedimento favorevole in materia di armi e munizioni postula la convergenza di un triplice ordine di fattori, che devono essere cumulativamente riscontrabili: a) condotta personale irreprensibile;
b) equilibrio psico-fisico;
c) tranquillità e trasparenza dell’ambiente familiare e sociale (T.A.R. Campania, sez. V, 6 aprile 2016 n. 1685;
T.A.R. Calabria, 6 maggio 2003 n. 340).

Nel caso di specie, la ricorrente convive anche in base a risultanze anagrafiche con il figlio e, in base alla documentazione di polizia prodotta (nota Comando prov. C.C. del 27 dicembre 2017), emerge che convive o comunque si intrattiene con il marito in modo costante e quotidiano, risultando, pur anagraficamente residente in altro viciniore luogo, comunque allo stesso coniugata.

Pertanto, v’è pericolo di utilizzo improprio o abuso delle armi, da parte della stessa o di altri familiari conviventi, per l’endemica carenza dell’affidabilità del contesto familiare. La valutazione è stata fatta con riguardo all’osservanza delle comuni regole di convivenza sociale (T.A.R. Puglia, sez. III, 14 gennaio 2016 n. 38), oltre che di quelle cristallizzate in precetti giuridici, talché l’Autorità di P.S. ne ha dedotto la carenza della piena affidabilità (Cons. St., sez. III, 17 maggio 2018 n. 2974;
Cons. St., sez. VI, 16 maggio 2006 n. 4604). Tanto più che è emersa, come documentato in atti, la pregressa detenzione di ben n. 24 fucili da caccia et similia .

Né siffatto giudizio dell’Autorità di polizia presenta vizi logico-giuridici (T.A.R. Emilia-Romagna, sez. II, 13 dicembre 2018 n. 980), ovvero è carente di adeguata motivazione (Cons. St., sez. III, 17 maggio 2018 n. 2974;
T.A.R. Puglia, sez. III, 18 luglio 2017 n. 826;
T.A.R. Lombardia, sez. I, 3 gennaio 2019 n. 3), né infine trasmoda nell’eccesso di potere (Cons. St., sez. III, 25 gennaio 2019 n. 664).

5.- In conclusione, per le sopraesposte motivazioni, il provvedimento impugnato, con riferimento ai specifici motivi di gravame, è legittimo;
di conseguenza il ricorso va rigettato.

6.- Le spese possono essere compensate per la peculiarità del caso.

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