TAR Roma, sez. I, sentenza 2013-10-07, n. 201308671

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2013-10-07, n. 201308671
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201308671
Data del deposito : 7 ottobre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10613/2012 REG.RIC.

N. 08671/2013 REG.PROV.COLL.

N. 10613/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

nel giudizio, introdotto con il ricorso 10613/12, proposto da Marcecaglia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , assistita e difesa dagli avv. ti Z e P, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Luigi Robecchi Brichetti,10;

contro

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato - Antitrust, in persona del legale rappresentante pro tempore, assistita e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge;

nei confronti di

Tubosider S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

- della deliberazione 11 ottobre 2012, n. 239321, dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato – Antitrust, comprensivo delle appendici A, B, e C, costituenti parte integranti di esso, comunicato alla ricorrente il giorno 11 ottobre 2012, ed emesso a conclusione del procedimento n. I/723, con cui è stato deliberato che le imprese M S.p.A., Car segnaletica stradale S.r.l., Ilva Pali Dalmine S.p.A., Ilva Pali Dalmine Industries S.p.A., Industria meccanica Varicchio – I.Me.Va. S.p.A., Metalmeccanica Fracasso S.p.A., San Marco S.p.A. – Industria costruzioni meccaniche in liquidazione e Turbosider S.p.A., hanno posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza, contraria all'art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, consistente in un'unica e complessa pratica concordata continuata nel tempo, volta a distorcere fortemente i meccanismi di confronto concorrenziale nel mercato nazionale dei dispositivi metallici di sicurvia nel mercato nazionale, irrogando le conseguenti sanzioni pecuniarie;

- della comunicazione delle risultanze istruttorie trasmessa dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, il 20 aprile 2012, nella parte riguardante la ricorrente;

- dei provvedimenti di proroga del termine del procedimento nn. 21864 del 1 dicembre 2010;
22481 del 1 giugno 2011;
23115 del 14 dicembre 2011;
23555 del 9 maggio 2012;
23731 del 11 luglio 2012;

- del provvedimento di avvio istruttoria n. 20665 del 13 ottobre 2010;

- nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato - Antitrust;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2013 il cons. avv. A. Gabbricci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

A. Le barriere stradali di sicurezza sono dispositivi di protezione stradale per i veicoli, collocati su strade e autostrade, realizzati in svariati materiali, quali il legno, la plastica, il calcestruzzo, ma soprattutto il metallo.

B. Il Consorzio Manufatti Stradali Metallici – Comast, fu costituito, ai sensi degli artt. 2612 segg. c.c., il 30 settembre 1994, con il dichiarato obiettivo di istituire e realizzare "una comune organizzazione volta a garantite la ricerca ed il mantenimento di standard qualitativi e produttivi", appunto delle barriere stradali metalliche;
di fatto, si affiancò alla preesistente Associazione fra i costruttori in acciaio italiani - l’A.C.A.I., la quale ancor oggi rappresenta le imprese pubbliche e private di settore e ne favorisce la collaborazione, ed è articolata in sezioni merceologiche, tra cui una relativa appunto alle barriere di sicurezza stradale.

Del Comast fecero parte Metalmeccanica Fracasso S.p.A., Industria Meccanica Varricchio – I.Me.Va. S.p.A., Tubosider S.p.A., Car Segnaletica Stradale S.r.l., San Marco S.p.A. – Industria Costruzioni Meccaniche, Ilva Pali Dalmine Industries S.r.l. (già S.p.A.) e Steam Generators S.r.l. (già Edilacciai S.r.l., già M Building S.p.A.) dal gennaio 2003 fino al maggio 2007, sebbene non tutte in continuità;
dopo, il Consorzio fu posto in liquidazione, a seguito di un’indagine giudiziaria, avviata perché si dubitava che lo stesso fosse utilizzato dai suoi aderenti per svolgere attività anticoncorrenziale.

C. Nell’ambito di tale indagine, promossa dalla procura della Repubblica di Trento, fu acquisita dal locale nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza una cospicua massa di documenti (verbali, documenti anche elettronici acquisiti presso il consorzio, presso i produttori e presso imprese acquirenti), che furono in seguito trasmessi al nucleo speciale tutela mercati - gruppo antitrust della stessa Guardia di finanza.

D. Quest’ultimo, a sua volta, completate le opportune verifiche, il 19 ottobre 2009 fece pervenire un’articolata segnalazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato;
e questa, il seguente 13 gennaio 2010, deliberò di avviare un’istruttoria, ex art. 14 l. 287/90, nei confronti di Fracasso S.p.A., Varricchio – I.Me.Va. S.p.A., Tubosider S.p.A., Car S.r.l., San Marco S.p.A., Ilva Pali S.r.l. e Steam S.r.l., nonché dello stesso Comast, per accertare eventuali violazioni dell’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: si sarebbe trattato di un’intesa, sotto forma di accordo o pratica concordata, tra i principali produttori di barriere stradali finalizzata ad evitare un corretto confronto concorrenziale tra operatori e a condizionare, anche in maniera significativa, le dinamiche concorrenziali presenti non solo nel mercato dei prodottio in questione, ma anche a valle nei mercatio della posa in opera delle barriere di sicurezza.

E. Il termine per la chiusura del procedimento, inizialmente fissato al 31 dicembre 2010, fu successivamente prorogato al 30 giugno 2011 e poi ancora al 31 dicembre dello stesso anno;
peraltro, il 14 dicembre fu disposta un’ulteriore proroga al 2 luglio 2012 e, con lo stesso provvedimento, il procedimento venne esteso a Ilva Pali Dalmine S.p.A. e M S.p.A., odierna ricorrente, cui la determinazione venne notificata il 23 febbraio 2012.

Il 20 aprile 2012 furono comunicate alle parti le risultanze istruttorie, ed il 9 maggio 2012 il termine di chiusura fu ulteriormente prorogato al 20 luglio 2012;
dopo gli ultimi adempimenti,il provvedimento conclusivo fu adottato nella seduta del 28 settembre 2012, con il n. 23931, e notificato il successivo 11 ottobre 2011.

F. Il provvedimento 23931/12 ha concluso che le imprese, evocate nel procedimento, avevano effettivamente attuato, nel periodo di riferimento, un’intesa restrittiva della concorrenza ex art. 101 T.F.U.E., “consistente in un’unica e complessa pratica concordata continuata nel tempo, volta a distorcere fortemente i meccanismi di confronto concorrenziale nel mercato nazionale dei dispositivi metallici di sicurvia”.

Le riunioni del Comast sarebbero dunque servite a ripartire le vendite tra gli associati, con la suddivisione e l’indicazione delle commesse spettanti a ciascuno dei partecipanti, e a definire e aggiornare periodicamente un listino prezzi di riferimento.

Le partecipanti avrebbero comunicato le proposte, pervenute a ognuna di esse, ripartendo poi le commesse, in base alla quota di spettanza per ciascuna impresa, predeterminata e variabile nel tempo, con le relative tolleranze, in termini di scostamento tra i valori teorici attribuiti a ciascun membro e i valori effettivamente di loro spettanza.

Sono state dunque applicate le seguenti sanzioni:

- Industria Meccanica Varricchio – I.Me.Va. S.p.A.: € 4.866.689,50;

- M S.p.A.: € 11.865.216,65

- Metalmeccanica Fracasso S.p.A.: € 11.013.165,40;

- San Marco S.p.A.–Industria Costruzioni Meccaniche in liquidazione: € 814.519,66;

- Tubosider S.p.A.: € 7.385.805,00;

- Car Segnaletica Stradale S.r.l.;
€ 1.338.994,07;

- Ilva Pali Dalmine Industries S.r.l. (già S.p.A.) € 33.174,10

G. Avverso il provvedimento hanno proposto separati ricorsi M S.p.A. (R.G. 10613/12), Varricchio S.p.A. (R.G. 10661/12), Tubosider S.p.A. (R.G. 10665/12), il Fallimento San Marco S.p.A. (R.G. 11103/12), Fracasso S.p.A. (R.G. 10589/12) e Car S.p.A. (R.G. 11226/12), ciascuno chiedendo l’annullamento del provvedimento gravato, per ragioni solo in parte coincidenti.

H. Il provvedimento gravato è stato sospeso per tutti i ricorrenti sino alla decisione di merito, considerata l’entità delle sanzioni irrogate, anche in relazione alla contingenza economica sfavorevole del settore di riferimento, non ravvisandosi, per altro verso, preminenti ragioni di pubblico interesse all’immediato pagamento delle medesime sanzioni, e ferma l’eventuale successiva applicazione retroattiva delle ulteriori sanzioni pecuniarie accessorie, quali indicate nel provvedimento impugnato. Solo nella sentenza, infatti, avrebbero potuto essere adeguatamente esaminate, da un canto, le questioni preliminari, quali la durata della fase istruttoria della procedura, anche in relazione alla data in cui l’intesa si sarebbe dissolta, e la corretta individuazione dei responsabili della condotta asseritamente illecita, e, dall’altro, quelle inerenti alla quantificazione della sanzione irrogata a ciascuno dei presunti responsabili.

I. Si è costituita in giudizio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, concludendo per la reiezione.

DIRITTO

1. Il provvedimento impugnato è censurato da M per:

a) violazione di legge e, in particolare, degli artt. 2325 c.c., 2462 c.c., dell’art. 3 della l. 24 novembre 1981, n. 689 e del principio di personalità della responsabilità;
in subordine, sarebbe viziato da eccesso di potere per insufficiente, contraddittoria ed irragionevole motivazione in ordine alla imputazione alla M S.p.A. di condotte anticoncorrenziali poste in essere da società controllate: l'Autorità ha affermato l’imputabilità alla ricorrente di condotte anticoncorrenziali che sarebbero state poste in essere da società da quella controllate, per il periodo della presunta intesa;

b) violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 28 della l. 24 novembre 1981, n. 689 e dell'art. 2943 c.c.;
eccesso di potere per sviamento, insufficiente ed illogica motivazione, essendo stato emesso successivamente alla scadenza del termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 della L. 689/81;

c) violazione e falsa applicazione dell'art. 14 della Legge 24 novembre 1981, n. 689 e dell'art. 31 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, essendo l'A.G.C.M. decaduta dalla potestà sanzionatoria ex art. 14 cit.;

d) violazione e falsa applicazione dell'art. 14 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, degli artt. 6, 7 e 14 del D.P.R. 30 aprile 1998, n. 217;
dell’art. 2, II e V comma, della l. 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost.;
eccesso di potere per travisamento dei presupposti e sviamento;
insufficienza e contraddittorietà della motivazione;
violazione del diritto di partecipazione e di difesa: l'Autorità non avrebbe rispettato il termine per la conclusione del procedimento, e sarebbero inoltre illegittimi i provvedimenti di proroga adottati nel corso dell'istruttoria e il provvedimento di estensione soggettiva nei confronti di M;

e) violazione dell' art. 14 della l. 10 ottobre 1990, n. 287 e dell'art. 6 del d.P.R. 30 aprile 1998, n. 217, dell' art. 15 Cost. e dell'art. 277 c.p.p.;
eccesso di potere per carenza di istruttoria, sviamento, travisamento, illogicità manifesta e contraddittorietà: e ciò, in particolare, in relazione all’utilizzo del materiale penale trasmesso dalla Guardia di Finanza ed, così, delle intercettazioni telefoniche effettuate nel corso del procedimento penale avviato dalla procura della Repubblica di Trento, ed, in ogni caso, la parzialità ed erroneità delle determinazioni che su di esso trovano fondamento.

f) violazione dell'art. 101 del TFUE e dell'art. 2 della L. 10 ottobre 1990, n. 287;
eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, errore sui presupposti e travisamento dei fatti, carenza ed insufficienza di istruttoria e della motivazione: ciò, in particolare con riferimento alla individuazione del mercato interessato, alla qualificazione giuridica, al contesto dell'intesa e ai meccanismi collusivi.

g) eccesso di potere, erroneità e contraddittorietà del provvedimento impugnato nella parte relativa alla quantificazione della sanzione;
violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 4, degli artt. 14, 15 e 31 della legge 287/90 nonché dell'art. 11 della legge 689/81 e dell'art. 3 della legge 241/90;
difetto di motivazione.

2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato: non può cioè essere condivisa la tesi per la quale gli ipotetici comportamenti anticoncorrenziali sarebbero stati realizzati dalla controllata Steam Generators S.r.l. e non potrebbero essere imputati alla controllante M S.p.A..

2.2. Invero, come si espone in ricorso, l’attività di produzione di barriere metalliche è stata svolta da M fino al 13 dicembre del 2004, quando il ramo d'azienda è stato ceduto a Ponteggi Dalmine S.p.A., che ha allora mutato la propria ragione sociale in M Building S.p.A.

2.3. Diversamente da quanto la ricorrente assume, il Collegio condivide l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, per cui M S.p.A. – che ha sempre avuto il controllo totalitario della società che conduceva il ramo d’azienda - è il soggetto cui è possibile ricondurre le attività del gruppo nel mercato di riferimento, sia direttamente (per il biennio di istruttoria 2003-2004), sia per il tramite di entità controllate (successivamente per il rimanente periodo 2005-prima metà del 2007): e da ciò discende la sua responsabilità e la sanzionabilità della sua condotta.

2.4. La ricorrente sostiene di aver ceduto il ramo d'azienda concernente la costruzione delle barriere stradali, e di non aver più operato da allora in tale mercato, e di essersi disinteressata delle altrui scelte imprenditoriali: d’altra parte, la normativa civilistica sulle obbligazioni sociali ne escluderebbe una responsabilità, né l’Amministrazione avrebbe indicato da quale disposizione deriverebbe tale responsabilità della capogruppo per il fatto imputabile alla società controllata.

2.5. Ebbene, all’opposto questo Collegio aderisce all’orientamento giurisprudenziale comunitario (così Corte di giustizia 10 settembre 2009, n. C 97/08P, Akzo Nobel NV e altri, puntualmente citato anche nelle difese dell’Autorità) per cui esiste una presunzione che la società madre controllante eserciti – con tutto ciò che ne segue - un'influenza determinante sul comportamento della sua controllata, almeno nella commissione di illeciti amministrativi che violano la concorrenza.

2.6.1. Invero, fino a prova contraria, ciò non contrasta affatto con il principio della responsabilità personale, dato che la controllante trae comunque profitto dalle attività abusive decise dal management che essa stessa ha scelto: del resto, se fosse davvero voluta uscire dal mercato delle barriere in metallo – come il ricorso afferma - M avrebbe ceduto il ramo d’azienda ad un soggetto estraneo, e non ad una società totalmente controllata, ciò che costituisce piuttosto una semplice riorganizzazione d’impresa, irrilevante nella valutazione sostanziale di una condotta anticoncorrenziale.

2.6.2. Non si dimentichi, in tal senso, che due membri della famiglia M, erano, nel periodo d’interesse, legali rappresentanti ed amministratori delle controllate: e se pure, come si legge in ricorso, “ a carico di essi il giudice penale non ha ravvisato alcun illecito in relazione alle vicende che hanno poi suscitato l'indagine antitrust”, ciò è irrilevante, in un contesto dove altri sono i presupposti ed il contenuto della condotta sanzionata.

2.7. M S.p.A. è stata dunque parte attiva della vicenda che ne occupa: non vi è qui un’imputazione oggettiva, ma una legittima presunzione di responsabilità, che la ricorrente non ha saputo superare.

3.1.1. Vanno ora esaminate le diverse questioni riferita alla durata del procedimento che ha condotto all’irrogazione della sanzione applicata, principiando dalla prescrizione eccepita dalla ricorrente.

3.1.2. Invero, l’art. 31 della l. 287/90, in materia di condotte lesive della concorrenza, prevede espressamente che, “per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge novembre 1981, n. 689”. Tra queste, l’art. 28 che, al I comma, stabilisce come “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”;
il II comma, a sua volta, dispone poi che l’interruzione della prescrizione “è regolata dalle norme del codice civile”.

3.1.3. In specie, secondo la ricorrente, il termine sarebbe iniziato a decorrere non oltre il maggio 2007, quando il Comast si sciolse, e si sarebbe dunque compiuto alcuni mesi prima del giorno 11 ottobre 2012, quando il provvedimento finale fu comunicato a M S.p.A., senza che si fosse verificato alcun evento interruttivo intermedio.

3.1.4. L’art 2943 c.c. – intitolato all’interruzione da parte del titolare – stabilisce, infatti, che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, ovvero da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore: e tali non sarebbero né l’iniziale contestazione di addebiti - che alla M pervenne nel febbraio 2012 – né i precedenti atti di proroga del procedimento.

3.1.5. Se ciò, sempre secondo la ricorrente, è evidente per il riferimento all’atto giudiziale, quanto alla costituzione in mora l'avvio del procedimento – e gli atti di proroga che ne confermano l’efficacia - è finalizzato esclusivamente ad accertare se sussistono le infrazioni oggetto di contestazione, senza che sorga così il potere di esigere sanzioni di natura pecuniaria, il quale diviene attuale soltanto dopo l’emanazione del provvedimento finale con cui, accertata l’infrazione, viene comminata la sanzione amministrativa.

3.2.1. La censura va respinta, giacché l’applicazione della disciplina civilistica va adeguata alle peculiarità del procedimento, e su tale fondamento il termine quinquennale può essere interrotto, diversamente da quanto la ricorrente ritiene, anche da atti diversi da quello di accertamento dell’infrazione e d’irrogazione della sanzione: segnatamente, da quello che avvia il procedimento per l’irrogazione della sanzione stessa.

3.2.2. In accordo con altra precedente giurisprudenza, ritiene questo Collegio che “in tema di sanzioni amministrative ogni atto del procedimento previsto dalla legge per l'accertamento della violazione e per l'irrogazione della sanzione ha la funzione di far valere il diritto dell'Amministrazione alla riscossione della pena pecuniaria, in quanto, costituendo esercizio della pretesa sanzionatoria, è idoneo a costituire in mora il debitore ai sensi dell'art. 2943 c.c., con conseguente effetto interruttivo della prescrizione (cfr. Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2007, nr. 1081;
Cass. civ., sez. I, 9 marzo 2006, nr. 5063;
id., 17 marzo 2005, nr. 5798)” (così, in motivazione C.d.S., IV, 2 marzo 2011, n. 1359).

3.2.3. Inoltre, sempre tenendo conto delle peculiarità del procedimento, la contestazione di addebiti è comunque un atto che avvia un procedimento di tipo partecipativo (cfr. artt. 6 e 7 del dpr 30 aprile 1998 , n. 217), individuando puntualmente l’oggetto della pretesa di chi lo forma: sicché la stessa contestazione si presenta contigua e sovrapponibile all’atto con cui si inizia un giudizio, interrompendo così la prescrizione.

3.2.4. Da ultimo, ogni incertezza interpretativa, e ogni ipotetica lacuna dell’ordinamento interno, è colmata dalla disposizione di cui all’art. 25 del regolamento del Consiglio n. 1 del 16 dicembre 2002 (concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato) per cui i poteri conferiti alla Commissione (sostanzialmente analoghi a quelli dell’AGCM) sono soggetti a prescrizione che “decorre dal giorno in cui è stata commessa l'infrazione”, ovvero, per le infrazioni “continuate o ripetute”, dal giorno in cui è cessata l'infrazione (II comma).

Inoltre (III e V comma), per quanto qui d’interesse:

a) quanto all'imposizione di ammende o di penalità di mora, la prescrizione “si interrompe con qualsiasi atto della Commissione o dell'autorità garante della concorrenza di uno Stato membro destinato all'accertamento o alla repressione dell'infrazione”;

b) gli atti interruttivi della prescrizione comprendono in particolare… “l'avvio di un procedimento da parte della Commissione o di un'autorità garante della concorrenza di uno Stato membro”;

c) per effetto dell'interruzione si inizia un nuovo periodo di prescrizione, ma questa opera comunque “al più tardi allo spirare del doppio del termine previsto”.

4.1. La ricorrente invoca poi la violazione dell’art. 14 della ripetuta l. 689/81: per il combinato disposto del primo e del secondo comma, la violazione deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore, ma, se ciò non è avvenuto, i suoi estremi “debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni”.

4.2. Ora, anche perché l’art. 31 della l. 287/90 prevede l’applicazione delle norme generali di cui alla l. 698/81 “in quanto applicabili”, la condivisibile giurisprudenza ha affermato che “l'arco di tempo entro il quale l’amministrazione procedente deve provvedere alla notifica della contestazione ai sensi dell'art. 14, l. n. 689 del 1981 è collegato, ai sensi di legge, non alla data di commissione della violazione, ma al tempo di accertamento dell'infrazione”. E tale è “in una prospettiva teleologicamente orientata, non già la notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma l'acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita;
conoscenza a sua volta implicante il riscontro, anche ai fini di una corretta formulazione della contestazione, dell'esistenza e della consistenza dell'infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non computabilità del tempo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, ai fini dell’acquisizione e della delibazione degli elementi necessari allo scopo di una matura e legittima formulazione della contestazione” (così C.d.S., VI, 8 febbraio 2008, n. 420;
conf. id. 30 gennaio 2007, n. 341;
T.A.R. Lazio Roma, III, 10 ottobre 2012, n. 8367).

4.3.1. Nella fattispecie, come già si è visto, il procedimento fu esteso a M S.p.A. da una decisione assunta dall’A.G.C.M. il 14 dicembre 2011, e di cui l’interessata ebbe comunicazione il 23 febbraio 2012, e dunque circa due anni dopo che l’Autorità aveva avviato il procedimento: il 13 gennaio 2010, che costituisce, per l’implicita dimostrazione di consapevolezza da parte dell’Autorità, il dies a quo del termine di novanta giorni, per la contestazione degli addebiti ex art. 14 l. 698/81, quanto all'esistenza e della consistenza oggettiva dell'infrazione e dei suoi effetti.

4.3.2. Ora, sia nelle sue difese, sia, prima, nel provvedimento, l’Autorità non si è preoccupata di giustificare perché le sia occorso un tale intervallo per l’estensione (in realtà, il difetto di motivazione è di ben più ampia portata, come si vedrà oltre sub §5), né questo è comunque desumibile dagli atti di causa. La deliberazione 14 dicembre 2011, che è l’unico atto che se ne occupa, si limita a rappresentare, del tutto genericamente, che “dalla documentazione acquisita, risulta che le società Ilva Pali Dalmine S.p.A. e M S.p.A., quantomeno per parte del periodo oggetto di istruttoria (a sua volta almeno pari al periodo 2003-maggio 2007), siano state presenti nel mercato di riferimento e abbiano potuto presumibilmente partecipare all'ipotizzata intesa orizzontale, sotto forma di accordo e/o pratica concordata, tra i principali produttori di barriere stradali”.

4.3.3. Ora, l’estensione alla M in realtà non deriva da documenti conosciuti pochi giorni prima della riunione del 14 dicembre, ma dalla condizione di capogruppo controllante la M Building.

Si tratta, insomma, di un dato ricavabile da una comune visura camerale, e che poteva essere conosciuto, con l’ordinaria diligenza, in tempi sicuramente assai più contenuti di quelli in specie impiegati dall’Autorità: una matura e legittima formulazione della contestazione era possibile ben prima dei novanta giorni precedenti alla data in cui la stessa è stata effettuata, quando ormai la decadenza era intervenuta.

5.1. Peraltro, se tale profilo d’illegittimità del provvedimento riguarda soltanto la M S.p.A., un altro ve n’è che concerne l’intero procedimento e, di conseguenza, anche la ricorrente.

Come il primo, deriva dalla circostanza che l’Autorità, in questa vicenda, ha operato come se credesse di disporre di un intervallo indeterminato per completare le sue verifiche: e ciò quando pure possedeva un ben ampio materiale istruttorio, legittimamente fornito ed organizzato dalla Guardia di finanza, che le avrebbe consentito di giungere rapidamente alla conclusione del procedimento, sì da rendere ingiustificabili i ritardi occorsi.

5.2. Il quarnto motivo di ricorso, come già detto, è intitolato alla violazione e falsa applicazione dell'art. 14 della l. 10 ottobre 1990, n. 287 e degli artt. 6, 7 e 14 del D.P.R. 30 aprile 1998, n. 217;
alla violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 2 e 5, della legge 7 agosto 1990, n. 241 e ss.mm.ii.;
alla violazione degli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost., all’eccesso di potere per travisamento dei presupposti e sviamento, all’insufficienza e contraddittorietà della motivazione, alla violazione del diritto di partecipazione e di difesa.

5.3. La sanzione, rileva la ricorrente, fu deliberata il 28 settembre 2012, a quasi tre anni dall'avvio del procedimento e ben oltre il termine di conclusione, inizialmente fissato nella comunicazione di avvio 13 gennaio 2010, e in seguito prorogato a più riprese: sicché i tempi del procedimento sarebbero stati eccessivamente dilatati, in maniera del tutto ingiustificata e illegittima.

5.3. Invero, la l. 287/90 nulla dispone quanto alla conclusione del procedimento;
viceversa, il citato d.P.R. 217/98, all’art. 6 prevede che il provvedimento, il quale dà avvio all'istruttoria, rechi l'indicazione del termine per la conclusione del procedimento, e ciò esclude che le procedure istruttorie siano rimesse, quanto alla durata, a scelte arbitrarie dell'Autorità.

5.4. Al contrario, secondo la ricorrente, troverebbero qui applicazione le previsioni comuni, di cui all’art. 2 della l. 241/90, sulla certezza della conclusione del procedimento, e segnatamente il V comma, per cui le Autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza, confermando quindi, l’assoggettamento al comune principio e dunque la necessità che anche a tali procedimenti sia assegnato un ragione termine finale.

Anche nel caso in esame, dunque, l'Autorità intimata era tenuta al rispetto del termine che aveva essa stessa fissato;
né tale conclusione può mutare per l'adozione, da parte della stessa Autorità, dei successivi provvedimenti di proroga.

5.5. Anzitutto, infatti, “ammettere plurime e indiscriminate proroghe” equivarrebbe “a privare di cogenza” la previsione del termine, “sottraendo di fatto l'amministrazione al suo rispetto”;
d’altra parte, nella specie, la motivazione dei provvedimenti di proroga in questione sarebbe palesemente insufficiente.

5.6. Sarebbe illegittima anche l’ulteriore proroga, motivata, a distanza di circa due anni dall'avvio del procedimento, dalla disposta estensione soggettiva del procedimento nei confronti delle società M S.p.A., mentre era noto sin dall'avvio del procedimento che M S.p.A., e le società da quella controllate, fossero percepite come un’unica entità produttiva dagli altri consorziati Comast.

5.7. In conclusione, il provvedimento sarebbe stato adottato nei confronti dell'odierna ricorrente all'esito di un procedimento gravemente viziato, di cui l'Autorità ha ingiustificatamente procrastinato la durata, estendendolo nei confronti di M ad istruttoria ormai compiuta e a termine ampiamente scaduto, senza darle adeguato termine a difesa.

6.1. Orbene, il Collegio non può che condividere le censure sin qui esposte.

La necessità che il procedimento prodromico all’eventuale irrogazione di una sanzione in materia di concorrenza abbia comunque un termine prestabilito, che non possa essere prorogato ad libitum discende, sia dai principi positivizzati nella l. 241/90, sia dalla norma, di cui al ripetuto art. 6 del d.P.R. 217/98: la quale, a sua volta trova fondamento in un’esigenza di certezza, anche considerato che, per un’impresa, essere sottoposta a un siffatto procedimento, può già determinare un cospicuo pregiudizio economico e comunque d’immagine.

6.2. Naturalmente, questo non significa che il termine inizialmente fissato – e che deve essere evidentemente adeguato agli elementi già noti e da acquisire, in relazione alla complessità della fattispecie – non possa essere prorogato: ma la proroga deve essere adeguatamente motivata, appunto perché essa costituisce comunque una deroga al principio per cui ogni procedimento amministrativo ha un termine prestabilito che l’Amministrazione deve rispettare.

6.3. Ora, se la proroga coeva all’estensione soggettiva a M ha proprio in questa una giustificazione - ma insufficiente, perché non spiega come mai l’estensione non fosse già stata disposta in precedenza, mentre ciò era sicuramente possibile - non hanno comunque alcuna reale giustificazione i primi due atti di proroga (1 dicembre 2010, n. 21864 e 1 giugno 2011, n. 22481, per un periodo complessivo di un anno), i quali contengono una motivazione del tutto identica - e già questo è indicativo - generica e stereotipata, con il mero richiamo alla “quantità e la complessità degli elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria e tuttora in corso di acquisizione”, nonché alla “necessità di procedere ad ulteriori approfondimenti istruttori": ciò che si potrebbe facilmente affermare per qualsiasi procedimento istruttorio.

6.4. In ogni caso, tali vaghi riferimenti non trovano riscontro nelle difese dell’Autorità, né negli atti del procedimento, dato che il provvedimento conclusivo è fondato quasi soltanto sugli elementi e sul materiale trasmesso con la nota segnalazione della Guardia di Finanza, marginalmente integrati da operazioni dell’A.G.C.M. ampiamente anteriori alla prima proroga: né poteva essere altrimenti, giacché, come sottolinea lo stesso provvedimento impugnato (§103) “l’acquisizione dei medesimi elementi istruttori sarebbe stata di fatto impossibile, atteso che tutti i possibili accertamenti ispettivi (presso le consorziate e il consorzio medesimo) erano già stati esperiti dalla GdF, e che la relativa documentazione era già stata posta sotto sequestro e, di conseguenza, era divenuta nella disponibilità esclusiva della sola G.d.F. stessa”.

6.5. In conclusione, stante l’illegittimità delle proroghe, il provvedimento finale è stato emesso ben oltre il termine di un anno – in sé cospicuo ma ragionevole – stabilito per concludere la procedura, la cui illegittimità ricade sull’atto finale che, con assorbimento delle ulteriori censure presentate, va annullato nei limiti dell’interesse: e cioè nella parte in cui irroga la sanzione di € 11.865.216,65 a M S.p.A., nonché comunque contiene prescrizioni per questa pregiudizievoli.

6.6. Le spese di lite, compensate per un terzo, seguono per il resto la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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