TAR Parma, sez. I, sentenza 2017-07-17, n. 201700263

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Parma, sez. I, sentenza 2017-07-17, n. 201700263
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Parma
Numero : 201700263
Data del deposito : 17 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/07/2017

N. 00263/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00350/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 350 del 2013, proposto da:
E P, rappresentato e difeso dall'Avvocato M R presso il quale elegge domicilio, in Parma, borgo S.Brigida n. 1;

contro

Università degli Studi di Parma, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliata, in Bologna, via Guido Reni n. 4;

per l'annullamento

del provvedimento 30-08-2013 prot. n. 27048 tit. 8 sez. 111, con il quale il Rettore dell'Università degli Studi di Parma ha ritenuto di non accogliere la domanda presentata dal ricorrente al fine dell'autorizzazione ad assumere l’incarico di Consigliere non esecutivo ed indipendente di Banca Intesa San Paolo s.p.a., per il periodo 18-11-2013/31-12-2016;

della non conosciuta nota dell'Ispettorato della Funzione Pubblica - Dipartimento della Funzione Pubblica ivi richiamata;

di ogni altro atto antecedente, conseguente e comunque connesso, ancorché non conosciuto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Parma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2017 il dott. M P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con istanza datata 19 dicembre 2012 il ricorrente, Professore ordinario presso l’Università degli Studi di Parma, chiedeva di essere autorizzato “ ora per allora ” ad assumere l’incarico di membro del Consiglio di Amministrazione di Banca Intesa S.p.A. per il periodo 18 novembre 2003 – 31 dicembre 2006 (incarico già ricoperto in virtù di espressa autorizzazione nel triennio precedente e ricoperto previa autorizzazione anche in epoca successiva).

Con nota del 30 agosto 2013 il Rettore dell’Università di Parma comunicava al ricorrente che “ l’incarico svolto, in assenza di preventiva autorizzazione, quale Consigliere non esecutivo ed indipendente di Banca Intesa S. Paolo S.p.A., per il periodo dal 18.11.2003 al 31.12.2006 ” non poteva essere accolta.

Il ricorrente impugnava il citato diniego deducendo l’omissione della comunicazione del preavviso di diniego ex art. 10 bis della L. n. 241/1990 (primo motivo), nonché, eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di motivazione e violazione dell’art. 6 della L. n. 168/1989 (secondo motivo).

L’Università si costituiva in giudizio sostenendo la legittimità del proprio operato.

Con ordinanza presidenziale n. 224 del 2 settembre 2016, in considerazione del notevole lasso di tempo trascorso dalla proposizione del ricorso ed la fine della verifica della permanenza dell’interesse alla decisione dello stesso, veniva richiesta all’Amministrazione una relazione di chiarimenti nella quale, esposti i fatti di causa (con la relativa documentazione) venisse precisato se successivamente all’adozione dell’atto qui impugnato fossero stati adottati ulteriori provvedimenti o fosse mutata la situazione di fatto e di diritto.

L’Università ottemperava con deposito del 28 ottobre 2016.

L’Università rassegnava le proprie conclusioni in vista della discussione di merito con memoria depositata il 9 giugno 2017.

Il ricorrente depositava le proprie conclusioni e le proprie repliche, rispettivamente, in data 9 e 21 giugno 2017.

All’esito della pubblica udienza del 12 giugno 2017 la causa veniva decisa.

Il ricorrente con il presente ricorso contesta la decisione dell’Università di non autorizzare ad effetto retroattivo l’assunzione di un incarico presso una società bancaria precedentemente assolto.

Con il secondo motivo di ricorso (il Collegio esamina con priorità essendo la questione con esso introdotta dirimente anche ai fini di stabilire la necessità o meno di adottare il preavviso di diniego) il ricorrente deduce che il provvedimento impugnato non sarebbe supportato da una sufficiente motivazione essendo fondato su di un non conosciuto parere interpretativo del Dipartimento della funzione pubblica acquisito il 25 giugno 2013 in base al quale l’art. 53 del D. Lgs. n. 165/2001 dovrebbe essere interpretato nel senso che non consentirebbe l’autorizzazione di incarichi extra lavorativi “ ora per allora ”.

Tale fondamento determinerebbe l’illegittimità della determinazione assunta poiché l’art. 6 della L. n. 168/1989 escluderebbe a tali fini la portata vincolante delle circolari ministeriali riconoscendo che le Università sono soggette unicamente alla legge, ai loro statuti e regolamenti.

Precisa ulteriormente il ricorrente che nulla osterebbe all’autorizzazione ora per allora dell’incarico assunto “ essendosi in presenza di un rapporto di lavoro la cui regolamentazione è caratterizzata dall’emanazione (salvo eccezioni) di atti paritetici ” (pag.5, ultimo cpv. del ricorso).

Afferma, infine, sotto un primo profilo, di essere incorso in una mera dimenticanza in perfetta buona fede e, sotto altro profilo, che l’attività svolta non avrebbe arrecato alcun nocumento all’attività didattica e ciò troverebbe conferma nella circostanza che l’incarico in questione veniva autorizzato tanto relativamente al triennio precedente quanto a quello successivo.

Il motivo è infondato.

In primis deve disconoscersi la natura di atto paritetico del provvedimento autorizzatorio invocato dal ricorrente atteso che il presente giudizio verte in tema di pubblico impiego non contrattualizzato e che, in ogni caso, l’adesione alla tesi del ricorrente determinerebbe l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione.

Ciò premesso deve rilevarsi che l’art. 53, comma 7, del D. Lgs. n. 165/2001 dispone che “ i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi ”.

Con specifico riferimento all’Università l’art. 6, comma 10, della L. n. 240/2010 prevede che “ i professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché' attività pubblicistiche ed editoriali. I professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché' compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza ”.

Dal richiamato contesto normativo si ricava un principio di generalizzato divieto per il ricorrente di assunzione di incarichi retribuiti fatta salva la possibilità di essere a tal fine autorizzato preventivamente dal Rettore.

Tale regime, come precisato in giurisprudenza, trova fondamento “ direttamente nel dettato costituzionale, in virtù della previsione, contenuta nell'art. 98 Cost., secondo cui i pubblici impiegati sono a servizio esclusivo della Nazione ed ha il chiaro scopo di conseguire l'obiettivo di garantire l'imparzialità, l'efficienza ed il buon andamento della pubblica amministrazione nel rispetto dei principi sanciti dall'art. 97 Cost. Dall'impianto normativo emerge, quindi, una presunzione legale di carattere generale in relazione all'incompatibilità degli incarichi esterni con i doveri d'ufficio (in termini, T.A.R. Lombardia, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 614). La situazione di incompatibilità deve, quindi, essere valutata in astratto, sul presupposto che la norma mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente al fine del miglior rendimento, indipendentemente anche dalla circostanza che questi abbia sempre regolarmente svolto la propria attività impiegatizia (cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, 13 gennaio 1999, n. 29) ” (TAR Calabria, Reggio Calabria, 14 marzo 2017, n. 195).

Il dato testuale tanto dell’art. 53 del D. Lgs. n. 165/2001 (“…previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza ”) quanto dell’art. l’art. 6, comma 10, della L. n. 240/2010 (“ …previa autorizzazione del rettore ”) depongono inoltre per la necessaria acquisizione preventiva dell’autorizzazione.

Sul punto la giurisprudenza è univoca nel riconoscere che “ depongono nel senso della necessità di un’autorizzazione preventiva degli incarichi irrinunciabili ragioni di buon andamento dell’amministrazione universitaria, che deve essere in grado previamente di assentire incarichi esterni dei professori universitari che possano, in astratto, potenzialmente pregiudicare l’adempimento della pubblica funzione cui gli stessi sono assegnati ” poiché “ la situazione di incompatibilità deve, quindi, essere valutata in astratto sul presupposto che la norma mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente al fine del miglior rendimento, indipendentemente anche dalla circostanza che questi abbia sempre regolarmente svolto la propria attività impiegatizia (cfr., Cons. Stato, sez. V, 13 gennaio 1999, n. 29 )” (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 613).

Il tema dell’ammissibilità di autorizzazioni postume , peraltro, é stato già affrontato dalla Sezione che ha di recente affermato che “ sarebbe un controsenso autorizzare ex post un incarico in base ad un potenziale conflitto di interessi, se si considera, altresì, che il fondamento della disciplina della norma citata deve rintracciarsi negli articoli 97 e 98 della Costituzione, ovvero nelle garanzie di imparzialità, efficienza e buon andamento dei pubblici impiegati che sono a servizio esclusivo della Nazione. Sussiste in questa materia una presunzione legale di carattere generale in relazione all’incompatibilità degli incarichi esterni con i doveri d’ufficio (in termini, T.A.R. Lombardia, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 614). E’ stato altresì affermato, con argomenti condivisi dal Collegio, che la situazione di incompatibilità deve, conseguentemente, essere valutata in astratto, sul presupposto che la norma mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente al fine del miglior rendimento, indipendentemente anche dalla circostanza che questi abbia sempre regolarmente svolto la propria attività impiegatizia (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 13 gennaio 1999, n. 29) TAR Emilia Romagna, Parma, n. 191/2017).

Irrilevante ai fini in esame è la pretesa buona fede del ricorrente atteso che non potrebbe in ogni caso sanare una condotta in palese contrasto con una norma di legge, peraltro, ben conosciuta dall’interessato che si era già fatto autorizzare all’assunzione del medesimo incarico per il triennio precedente.

Chiarita nei suesposti termini la necessità dell’autorizzazione preventiva deve ritenersi l’infondatezza del primo motivo di ricorso con il quale il ricorrente deduce in forma estremamente sintetica la violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990 poiché “ secondo la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, "Nel procedimento amministrativo la mancata comunicazione del preavviso di rigetto non comporta ex se l'illegittimità del provvedimento finale in quanto la norma sancita dall'art. 10 bis, l. 7 agosto 1990 n. 241 va interpretata alla luce del successivo art. 21 octies comma 2 il quale, nell'imporre al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, rende irrilevante la violazione delle disposizioni sul procedimento o sulla forma dell'atto allorché il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 28 giugno 2016, n. 2902 e 27 settembre 2016, n. 3948) ” (Cons. Stato, Sez. IV, 3 marzo 2017, n. 1001).

Nel caso di specie, a tacere del fatto che il ricorrente non allega alcun apporto partecipativo valutabile in proprio favore dall’Amministrazione in sede istruttoria, la determinazione impugnata ed il conseguente pregiudizievole effetto incidente nella sfera giuridica dell’interessato trovano fonte, come anticipato, in norme di legge con conseguente prosciugamento degli ambiti discrezionali riconosciuti all’Amministrazione.

Per quanto precede il ricorso deve essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi